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Autore: Blam_    23/10/2013    1 recensioni
Mi chiedo che senso ha?
Non la vita. La vita non ha nessun senso. Già il parto è una cosa inutile: devi soffrire per regalare al mondo una vita che probabilmente non avrà nessun senso.
Prima dovevi sopravvivere per vivere, ora se sei vivo esisti.
La vita è un peso.
Ma che senso ha?
Si può essere indipendentemente liberi?
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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La casa dei miei nonni era un piccolo castello con 16 stanze e troppi abitanti.
 L'arrivo mio e di mia madre sconvolse la "tranquillità" della casa perchè ogni famiglia aveva un settore: il piano terra era dedicato interamente ai miei nonni e a mio zio Diego che non aveva nessuna intenzione di sistemarsi altrove e sosteneva che la vita matrimoniale non avrebbe mai fatto per lui; il primo piano era dedicato alla famiglia di mio zio Ennio che comprendeva sua moglie Clarissa , la zia bisbetica come preferivo chiamarla, l'essere più putrido e orribile di questo mondo. Non so cosa mio zio abbia mai trovato in lei: era odiosa e vendicativa, snob e antipatica, odiava tutti e tutti condividevano questo suo odio....Una volta, dopo un brutale litigio che avevo avuto con lei, chiesi a mio zio Perchè? e lui mi rispose sinceramente Per il sorriso.A tal proposito posso confermare che l'amore è davvero cieco anzi, è privo di nervi ottici: mia zia sorrideva asimmetricamente tenendo la bocca semiaperta e facendo intravedere i suoi denti storti e gialli da fumatrice di sigari , le se labbra erano troppo pompate e sempre infangate da rossetti rosso-arancio o da lucidalabra alla fragola che tra parentesi odiavano anche i suoi figli,Due gemelli completamente identici che amavano distruggere i vasi comprati ai mercatini della loro madre che gli spacciava per originali vasi Ming, Benjamin e Gianni.
 Il secondo piano era quello che amavo di più in assoluto.
Era lo spazio delle due sorelle. Le mie due zie, Celia e Tania,vivevano insieme, ognuna con il proprio marito e i propri figli. Il loro era il piano più grande e quello più chiassoso perchè erano due famiglie completamente diverse e ognuna aveva i propri vizi e le proprie pecore nere. Le due sorelle erano completamente diverse: una amava l'ordine, l'altra passando lasciava una scia di mutande sporche e barbie rapate;una aveva figli maschi con la gonna , l'altra femmine con le palle; una aveva sposato un perfettino ex-nerd liceale, attualmente figo egocentrico, professore classico, l'altra un produttore di software, videogiochi e programmatore di PC, fascista e un pò bambino, che amava organizzare piccole gite ,tra draghi e donzelle da salvare ,con me, le sue figlie e i figli della sua cognata "adorata". In sintesi: su quel piano si odiavano tutti per principio.
Solo noi bambini riuscimmo ad alleviare la tensione che si creava ogni volta. Io e i miei cugini facevamo tutti parte di una piccola gang che si avventurava in que labirinto di stanze per cercare tesori o frugare nei bauli di nonnone, si riuniva ogni sera alle 7 per organizzare incrsioni nelle stanze proibite degli adulti e per programmare gli orari degli scherzi che distribuivamo per l'enorme casa. Gli unici che trovavano divertenti i nostri atti di baby vandalismo erano mia madre, mio zio Diego, il marito di mia zia Tania alias il programmatore mascherato da Peter Pan, zio Peppe ,che a volte prendeva parte ai nostri viaggi avventurosi, e mia nonna che faceva il doppio gioco e ci forniva gli approvigionamenti. Tutti gli adulti e i gemelli della strega Magò ci dichiaravano guerra al nostro passaggio, davano di matto se ci vedevano riuniti e iniziavano a diventare paranoici ogni volta che ci trovavano in luoghi che ritenevano "insoliti" come...il bagno! Avevano così paura di ritrovarsi scarafaggi morti nelle scarpe che ci infliggevano 10 punizioni nell'arco di un minuto e che finivano sempre per accavallarsi e che poi nessuno ricordava la loro esistenza. Alla fine fecero una tabella ad ognuno del nostro gruppo per ricordarsi delle pene in auge, quelle scontate e la loro lunghezza. Ognuno di noi poteva vantarsi di avere già la fedina penale insozzata. La prendemmo come una tabella dei Record e, alla fine, gareggiammo per stabilire nuovi traguardi in punizioni: chi ne aveva totalizzate di più in un anno si sarebbe proclamato re della squadra Zeta. Ciò significava che la dittatura dei più grandi sui più piccoli era inesistente e che vigeva la tirannia del monarca avido e vendicativo.
Ricordo che sotto il regno di mia cugina più piccola, Amelia, fummo costretti tutti a correre intorno all'orto delle patate cantando l'inno di mameli in una giornata di pioggia. Quando rientrammo tutti infangati e bagnati, infreddoliti e con un piccolo accenno di raffreddamento, a causa della regola che avevamo imposto al gruppo (Il capo di ogni atto assurdo non va mai denunciato al nemico), pagammo cara la nostra ubidienza cieca a quella piccola tiranna di 4 anni. Quindi quando mia madre decise di stanziarsi definitivamente nella sua precedente casa scoppiò il finimondo: nessuno voleva cedere il piccolo feudo su cui aveva costruito i proprio impero. Gli unici che non badarono ai letti e allo spazio con ossigeno incorporato fummo io e i miei compagni di squadra.
Di solito quando mia madre arrivava in quel breve periodo di una settimana a casa Bonaggiunta, alloggiavamo sul divano letto del piano terra ma non si era organizzati per n periodo più lungo. Erano tutti convinti che lei e io saremmo rimasti dei senza meta a vita.
Poichè la mia dolce e furibonda mammina si rifiutò categoricamente di comprare casa in quella bettola di paese dove passai il più traumatico periodo della mia vita (l'adolescenza), cacciò dal suo zaino da viaggio una tenda tedesca e ci accampammo in giardino.
 Questa strana forma di protesta continuò per due mesi, per mia fortuna estivi, quando ebbi un flash di idee concatenate che suggerivano di rendere il terzo piano accogliente e simile ad una casa per me e la ribelle con la tenda. Avremmo potuto avere un piano tutto nostro e per di più non conteso da nessuno, argomentai. Mia madre rispose con un categorico e secco no.
Come venni a sapere, grazie alle tecniche di spionaggio della squadra zeta, il terzo piano era stato in precendenza la dimora dei due defunti cani di mia madre.
 Essendo un'animalista convinta, adottò quelle due povere bastarde sottraendole alla strada quando erano ancora piccole e loro per ricambiare il favore divennero le sue due spalle pelose. Così mi spiegai il mistero di mia madre che si rifugiava al terzo piano e non faceva entrare nessuno: piangeva i bei ricordi che aveva di quelle amiche che l'avevano abbandonata ,felici di averla potuta servire con il loro amore canino e fedele.
Ma c'era anche un altro motivo per cui non voleva che ci stanziassimo lì: l'appartamento non era mai stato finito...anzi non era stato neppure iniziato; aveva solo il tetto e le aperture tra i muri per le finestre. Ovunque c'era cacca di piccione, nidi di rondine e trappole per topi. Il pavimento come le pareti erano incomplete e rivestite di cemento grezzo, c'erano lattine di vernice ovunque e scie di colore acrilico anche sulle cacche di piccione. In più la mansarda, come chiamavano il terzo piano, era na sorta di ripostiglio in cui mia nonna accomulava tutti i ricordi inutili della famiglia e che non si decideva mai a buttare. Una sorta di accaparratore incallito e psicotico con la faccia di un'adorabile nonnina. Poichè si avvicinava settembre e l'inizio della mia entrata nelle scuole publiche, minacciai mia madre di andare a vivere con la strega del primo piano e di diventare un coso snobboso come lei, se non si fosse mossa dal giardino e non avrebbe trovato un'appartamento per l'inverno.
Lavorai così per tutta l'estate alla costruzione di un posto su cui avrei potuto mettere le mie radici come mia madre, aiutato da tutta la squadra zeta che trovò una nuova disciplina in cui cimentarsi: il collezionare cacca di piccioni. Avevo 11 anni e mi apprestavo ad entrare negli anni bui di ogni essere umano. All'essere gidicato, etichettato, distrutto e riplasmato dai miei coetanei; mi preparavo ad entrare in quel mondo dove avevo promesso di non farne mai parte. Ogni minimo cambiamento mi spaventava.
Stavo per perdere la mia libertà da innocente con la fedina penale sporca e una tabella che lo confermava. Anche se fui sempre troppo furbo per farmi beccare dal nemico....

 

 

  
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