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Autore: Critti    13/04/2008    1 recensioni
Il tempo passa. I giorni galoppano come cavalli che corrono lontano, portando con sè l'oblio di una promessa che in un modo o nell'altro deve essere mantenuta. Riusciranno i Cullen a soddisfare la parola data ai Volturi? La loro decisione sarà priva di conseguenze? Lo scoprirete in questa ff, che prende avvio nel momento esatto in cui la Meyer aveva interrotto la narrazione di Eclipse.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Dopo i due capitoli narrati dal punto di vista di Leah, torna a raccontare Bella,che ci terrà compagnia fino alla fine!:) Buona lettura!

CAPITOLO 12

Frozen inside without your touch
Without your love, darling
Only you all the life upon the die
All of this I, I can't believe I couldn't see
Kept in the dark, but you were there in front of me
I've been sleeping a thousand years it seems
Got to open my eyes to everything
Without a thought, without a voice, without a soul
Don't let me die here, there must be something more
Bring me to life...
Bring me to life, Evanescence

 

Ero sicura di sognare. Il vestito che mai mi sarei sognata di indossare nel ventunesimo secolo mi suggeriva che mi trovavo in una situazione irreale.
Il sole declinava e io correvo. Verso dove? Non lo sapevo.
Non ricordavo il mio nome. Non sapevo cosa stessi facendo e soprattutto perchè.
La landa desolata che stavo attraversando, però, fece sorgere in me un dubbio. Ero forse ripiombata nei panni di Elizabeth? Forse. In quel momento non mi importava.
In effetti, la protagonista di Orgoglio e Pregiudizio, afflitta e pentita per la risposta repentina e avventata data all'uomo che non si era resa conto di amare, passeggiava per qualche tempo nella fredda brughiera prima di rincontrare Darcy e legarsi a lui per sempre.
La luce si faceva sempre più fioca, ma mi sforzai comunque di scorgere anche un minimo movimento nella fitta vegetazione che interrompeva la piatta campagna inglese.
«C'è qualcuno?», domandai, improvvisamente inquieta. L'unica risposta che ricevetti fu l'ululato del vento.
Ammaliata dal fascino misterioso di quel bosco mi addentrai tra le fronde degli alberi. Il crepuscolo stava cedendo il posto ad una notte buia e senza luna. Rabbrividii, incapace di orientarmi nella fitta oscurità che mi avvolgeva. Mi rendevo perfettamente conto che era inutile proseguire, perciò mi fermai. Mi sedetti ai piedi di un grande albero, sola e infreddolita. Ma qualcosa si mosse tra le tenebre. Impietrita, mi strinsi le ginocchia al petto. Avevo cominciato a tremare.
Quando mi parve di sentire un tocco freddo sul collo mi svegliai di soprassalto, con la fronte bagnata di sudore.
Per un attimo, non capii dove mi trovassi. Il comodo letto su cui ero sdraiata non mi era affatto famigliare. Le pareti, tinte di un giallo pallido, non rievocavano alcun ricordo.
Un lampo di lucidità illuminò per un attimo la mia memoria. La sera precedente, esausta per le infinite ore di viaggio, avevo chiesto ospitalità presso un hotel di Volterra.
La consapevolezza di essere giunta a destinazione si impossessò di me in un baleno. Sentii il bisogno di prendere una boccata d'aria.
Uscii sul piccolo balconcino della stanza, respirando a pieni polmoni la frizzante brezza mattutina.
In lontananza, il cielo si stava tingendo di rosso. Attesi con pazienza l'alba: per me, quel giorno, il sole stava sorgendo per l'ultima volta.
Fasci di luce dorata illuminarono il cielo, solleticando con il loro calore la cittadina ancora addormentata. Poco dopo, il sole vinse l'oscurità con tutto il suo splendore, illuminando il mio viso pallido e stanco, su cui quei tiepidi raggi non avrebbero più brillato dopo quel giorno.
Con calma, mi vestii e mi pettinai. Non era necessario uscire così presto. Sapevo di essere in anticipo. Pensai alla foga con cui ero corsa incontro a James, tanto tempo prima, e sorrisi. Contro ogni logica ero evidentemente ansiosa di sfidare la morte, sebbene fossi consapevole del fatto che non avrei mai potuto vincerla. In fin dei conti, non ero un'eroina delle fiabe.
Alla reception, pregai di chiamare un taxi. Il portiere di notte, che a breve avrebbe finito il suo turno, mi guardò perplesso prima di esaudire la mia richiesta.
Dopo pochi minuti, una Volvo bianca si fermò davanti alla hall dell'albergo. Il mio stomaco ebbe un sussulto.
Il viaggio fu breve. Pagai il tassista e mi diressi a passo sicuro verso il mio vestibolo.
Attraversai la grande piazza che poco più di un anno prima avevo percorso di corsa nonostante fosse gremita di gente. Quel giorno, invece, solo una anziana mendicante era seduta sul bordo della grande fontana che si trovava al centro. Incuriosita e desiderosa di alleviare la fame che certamente l'attanagliava mi avvicinai, mettendo una banconota nel piccolo bicchiere che stringeva tra le mani.
Sentii un borbottio sommesso prima di distinguere parole che mi colpirono e mi toccarono nel profondo.
«È l'amore, non la ragione, che è più forte della morte.Non dimenticarlo,cara».
Coperto da un cappuccio nero, non riuscii a scorgere il suo viso.
“Lo farò, lo prometto”, pensai.
Mi concentrai con tutte le mie forze per cercare di ricordare il punto in cui si trovava la porta del palazzo da cui io, Edward e Alice eravamo usciti incolumi l'anno precedente. Avventurandomi tra i vicoli ancora debolmente illuminati che circondavano il palazzo dei Priori mi trovai improvvisamente di fronte ad una pesante porta di legno, che interrompeva le fila perfette di mattoni che componevano le antichissime pareti del palazzo.
Inspirai profondamente e la spinsi. Stranamente la porta era aperta.
Mi ritrovai in un corridoio angusto, su cui si affacciava soltanto la porta di un ascensore. Premetti un pulsante, mettendo in moto il mio mezzo di trasporto verso l'inferno.
Due porte di metallo si dischiusero davanti a me, lasciandomi passare. Soltanto un altro pulsante mi separava dalla mia meta. Lo premetti, contando mentalmente gli ultimi secondi di vita che mi rimanevano. Stranamente mi sentivo tranquilla. Sapevo che qualcosa nella mia testa non funzionava.
Quando una voce gracchiante mi annunciò che avevo raggiunto il secondo piano sbucai in quella che sembrava l'anticamera di un ufficio di lusso. Dietro all'alta scrivania di mogano lucido un tempo occupata da Gianna, trovai un'altra ragazza altrettanto carina. Elegantissima, aveva lunghi capelli castani e occhi grandi ed espressivi. Mi salutò con un calore che contrastava in modo evidente con la freddezza della stanza.
«Benvenuta, sono Alessandra. Posso esserti d'aiuto?»
Appena aprii la bocca per risponderle una grande porta dorata si aprì. Ne uscì Felix che sorrise ad Alessandra prima degnarmi della sua attenzione. Lei contraccambiò con un cenno della mano. Sperai sinceramente che i Volturi la risparmiassero. Ebbi la sensazione che in un altro contesto saremmo potute diventare buone amiche. Felix posò il suo sguardo felino su di me.
«Bella, sei in anticipo».
«Lo so», risposi con freddezza.
«Seguimi», ordinò.
Attraversammo interminabili corridoi prima di raggiungere la stanza circolare in cui l'anno prima ero entrata abbracciata ad Edward. Il mio stomaco sussultò, mentre sentivo l'adrenalina bruciare vene. In lontananza, mi parve di sentire un ringhio sommesso. Evidentemente, la paura che segretamente provavo mi stava facendo delirare.
Fui sicura di essere sopraffatta dalle allucinazioni nel momento in cui vidi davanti a me l'immagine sfuocata di Irina. Mi stropicciai gli occhi, distrutti dalle lacrime e dalle poche ore di riposo.
La snella figura della vampira, però, più nitida e reale che mai, non scomparve.

  
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