CAPITOLO 12
Frozen inside without your touch
Without your love, darling
Only you all the life upon the die
All of this I, I can't believe I couldn't see
Kept in the dark, but you were there in front of me
I've been sleeping a thousand years it seems
Got to open my eyes to everything
Without a thought, without a voice, without a soul
Don't let me die here, there must be something more
Bring me to life...
Bring
me to life, Evanescence
Ero
sicura di sognare. Il vestito che mai mi sarei sognata di indossare nel
ventunesimo secolo mi suggeriva che mi trovavo in una situazione
irreale.
Il sole declinava e io correvo. Verso dove? Non lo sapevo.
Non ricordavo il mio nome. Non sapevo cosa stessi facendo e soprattutto
perchè.
La landa desolata che stavo attraversando, però, fece
sorgere in me un
dubbio. Ero forse ripiombata nei panni di Elizabeth? Forse. In quel
momento non
mi importava.
In effetti, la protagonista di Orgoglio e Pregiudizio, afflitta e
pentita
per la risposta repentina e avventata data all'uomo che non si era resa
conto
di amare, passeggiava per qualche tempo nella fredda brughiera prima di
rincontrare Darcy e legarsi a lui per sempre.
La luce si faceva sempre più fioca, ma mi sforzai comunque
di scorgere
anche un minimo movimento nella fitta vegetazione che interrompeva la
piatta
campagna inglese.
«C'è qualcuno?», domandai,
improvvisamente inquieta. L'unica risposta che
ricevetti fu l'ululato del vento.
Ammaliata dal fascino misterioso di quel bosco mi addentrai tra le
fronde
degli alberi. Il crepuscolo stava cedendo il posto ad una notte buia e
senza
luna. Rabbrividii, incapace di orientarmi nella fitta
oscurità che mi
avvolgeva. Mi rendevo perfettamente conto che era inutile proseguire,
perciò mi
fermai. Mi sedetti ai piedi di un grande albero, sola e infreddolita.
Ma
qualcosa si mosse tra le tenebre. Impietrita, mi strinsi le ginocchia
al petto.
Avevo cominciato a tremare.
Quando mi parve di sentire un tocco freddo sul collo mi svegliai di
soprassalto, con la fronte bagnata di sudore.
Per un attimo, non capii dove mi trovassi. Il comodo letto su cui ero
sdraiata non mi era affatto famigliare. Le pareti, tinte di un giallo
pallido,
non rievocavano alcun ricordo.
Un lampo di lucidità illuminò per un attimo la
mia memoria. La sera
precedente, esausta per le infinite ore di viaggio, avevo chiesto
ospitalità
presso un hotel di Volterra.
La consapevolezza di essere giunta a destinazione si
impossessò di me in un
baleno. Sentii il bisogno di prendere una boccata d'aria.
Uscii sul piccolo balconcino della stanza, respirando a pieni polmoni
la
frizzante brezza mattutina.
In lontananza, il cielo si stava tingendo di rosso. Attesi con pazienza
l'alba: per me, quel giorno, il sole stava sorgendo per l'ultima volta.
Fasci di luce dorata illuminarono il cielo, solleticando con il loro
calore
la cittadina ancora addormentata. Poco dopo, il sole vinse
l'oscurità con tutto
il suo splendore, illuminando il mio viso pallido e stanco, su cui quei
tiepidi
raggi non avrebbero più brillato dopo quel giorno.
Con calma, mi vestii e mi pettinai. Non era necessario uscire
così presto.
Sapevo di essere in anticipo. Pensai alla foga con cui ero corsa
incontro a
James, tanto tempo prima, e sorrisi. Contro ogni logica ero
evidentemente
ansiosa di sfidare la morte, sebbene fossi consapevole del fatto che
non avrei
mai potuto vincerla. In fin dei conti, non ero un'eroina delle fiabe.
Alla reception, pregai di chiamare un taxi. Il portiere di notte, che a
breve avrebbe finito il suo turno, mi guardò perplesso prima
di esaudire la mia
richiesta.
Dopo pochi minuti, una Volvo bianca si fermò davanti alla
hall
dell'albergo. Il mio stomaco ebbe un sussulto.
Il viaggio fu breve. Pagai il tassista e mi diressi a passo sicuro
verso il
mio vestibolo.
Attraversai la grande piazza che poco più di un anno prima
avevo percorso
di corsa nonostante fosse gremita di gente. Quel giorno, invece, solo
una
anziana mendicante era seduta sul bordo della grande fontana che si
trovava al
centro. Incuriosita e desiderosa di alleviare la fame che certamente
l'attanagliava mi avvicinai, mettendo una banconota nel piccolo
bicchiere che
stringeva tra le mani.
Sentii un borbottio sommesso prima di distinguere parole che mi
colpirono e
mi toccarono nel profondo.
«È l'amore, non la ragione, che è
più forte della morte.Non dimenticarlo,cara».
Coperto da un cappuccio nero, non riuscii a scorgere il suo viso.
“Lo farò, lo prometto”, pensai.
Mi concentrai con tutte le mie forze per cercare di ricordare il punto
in
cui si trovava la porta del palazzo da cui io, Edward e Alice eravamo
usciti
incolumi l'anno precedente. Avventurandomi tra i vicoli ancora
debolmente
illuminati che circondavano il palazzo dei Priori mi trovai
improvvisamente di
fronte ad una pesante porta di legno, che interrompeva le fila perfette
di
mattoni che componevano le antichissime pareti del palazzo.
Inspirai profondamente e la spinsi. Stranamente la porta era aperta.
Mi ritrovai in un corridoio angusto, su cui si affacciava soltanto la
porta
di un ascensore. Premetti un pulsante, mettendo in moto il mio mezzo di
trasporto
verso l'inferno.
Due porte di metallo si dischiusero davanti a me, lasciandomi passare.
Soltanto un altro pulsante mi separava dalla mia meta. Lo premetti,
contando
mentalmente gli ultimi secondi di vita che mi rimanevano. Stranamente
mi
sentivo tranquilla. Sapevo che qualcosa nella mia testa non funzionava.
Quando una voce gracchiante mi annunciò che avevo raggiunto
il secondo
piano sbucai in quella che sembrava l'anticamera di un ufficio di
lusso. Dietro
all'alta scrivania di mogano lucido un tempo occupata da Gianna, trovai
un'altra ragazza altrettanto carina. Elegantissima, aveva lunghi
capelli
castani e occhi grandi ed espressivi. Mi salutò con un
calore che contrastava
in modo evidente con la freddezza della stanza.
«Benvenuta, sono Alessandra. Posso esserti d'aiuto?»
Appena aprii la bocca per risponderle una grande porta dorata si
aprì. Ne
uscì Felix che sorrise ad Alessandra prima degnarmi della
sua attenzione. Lei
contraccambiò con un cenno della mano. Sperai sinceramente
che i Volturi la risparmiassero.
Ebbi la sensazione che in un altro contesto saremmo potute diventare
buone
amiche. Felix posò il suo sguardo felino su di me.
«Bella, sei in anticipo».
«Lo so», risposi con freddezza.
«Seguimi», ordinò.
Attraversammo interminabili corridoi prima di raggiungere la stanza
circolare in cui l'anno prima ero entrata abbracciata ad Edward. Il mio
stomaco
sussultò, mentre sentivo l'adrenalina bruciare vene. In
lontananza,
mi parve di sentire un ringhio sommesso. Evidentemente, la paura che
segretamente
provavo mi stava facendo delirare.
Fui sicura di essere sopraffatta dalle allucinazioni nel momento in cui
vidi davanti a me l'immagine sfuocata di Irina. Mi stropicciai gli
occhi,
distrutti dalle lacrime e dalle poche ore di riposo.
La snella figura della vampira, però, più nitida
e reale che mai, non
scomparve.