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Autore: meliloto    24/10/2013    4 recensioni
[Louis P.O.V.]
“Allora guardami in faccia.” Si fece tutto d’un tratto serio. Stava cercando di essere forte, lo sapevo, sapevo che poteva farcela, per questo avevo trovato il coraggio di lasciarlo.
“Vattene.” Sibilai.
“Non mi prendere per il culo almeno, voglio una spiegazione, voglio sapere perché. Me lo devi, stiamo insieme da tre anni, cazzo.”
[Larry]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LOUIS P.O.V.


Ed eccomi qui, con Emma che continua a piangere tra le braccia e Jack addormentato, non so come, sulle gambe.
«Tesoro, ti prego, vuoi dirmi che c’è che non va?» Sussurro cercando di sovrastare le urla, mentre perdo le mie mani tra i suoi meravigliosi capelli castani.
In risposta ottengo solo un pianto ancora più forte ed isterico, so che lo sta facendo apposta, ma sono stanco e ho la febbre, tutti abbiamo la febbre, quindi mi limito a darle ciò che desidera. Infondo è mia figlia, anche biologicamente parlando, quindi non posso biasimarla.
Prendo il telefono dalla tasca della tuta, cercando di fare attenzione e non muovere troppo la testa del piccolo Jack. Mentre ascolto gli squilli che si perdono nel vuoto lo guardo, è terribilmente uguale a suo padre, anche quando dorme. Ha solo due anni e i suoi riccioli sono già come quelli di Harry, per non parlare di quelle due splendide fossette sulle guance.
«Amore, dove sei finito?» bisbiglio, mentre gli occhioni azzurri di Emma si ingrandiscono e si illuminano, iniziando a brillare di luce propria. È innamorata, follemente innamorata di lui. Decisamente mia figlia.
«Lou sono uscito da neanche mezz’ora, non posso volare. C’è un traffico da pazzi, ci dev’essere qualche torneo di tennis, sono completamente imbottigliato.»
«Ma Emma non smette di piangere.» Continuo mentre lei si avvicina alla cornetta in silenzio.
«Papà Haz, canta!» farfuglia urlando, ho mal di testa ma non posso trattenermi dal ridere.
Harry, dall’altro capo del telefono sta gongolando, lo sento distintamente. Dopo le solite storie si convince, prettamente da solo, ed emozionato come un bambino inizia a cantare. Sono frasi sconnesse, parole che risuonano più dolci del miele ma senza un briciolo di senso, si tratta della sua melodia, quella che canticchia sempre, che lo accompagna nella giornata è lui in musica e parole. Si tratta dell’unica cosa al mondo che fa calmare Emma, ciò che preferisce in tutto il suo universo di bambina di tre anni.
È così felice, glielo si legge in faccia, si è tranquillizzata e ha deciso di accoccolarsi sotto al mio braccio.
«Grazie, ci sei riuscito.» Dico riprendendo il telefono, tra i colpi di tosse.
«Farò in fretta, promesso.» Lo so. 
Jack si sta svegliando, ha deciso di aprire gli occhi e regalarmi un’altra delle sue tranquille espressioni beate, poggia la manina sul mio braccio, proprio su queltatuaggio.
2421
Ricordo quel periodo, come se non fossero passati sette anni. L’avevo fatto dopo avergli promesso che quello sarebbe stato il periodo più lungo da ‘separati’. E non mantenni la promessa, c’era da aspettarselo infondo, con tutto quello che abbiamo passato un po’ di drama è il minimo che ci si possa aspettare. Ma ora siamo felici, abbiamo due figli e tutto ciò che sto aspettando è che Harry torni a casa con le medicine per me e per i bambini.
Sembra assurdo come si possa crescere ed evolversi così tanto in così poco tempo.
«Buongiorno.» Sussurro all’orecchio di Jack stampandogli un sonoro bacio sulla fronte. Scotta ancora, questa maledetta febbre non vuole proprio scendere. Come al solito in risposta ottengo un sorriso, un meraviglioso, dolce sorriso.
Parla poco ma esprime tutto nel suo modo speciale. È il bambino più dolce che io abbia mai visto.
Decido di alzarmi e preparare qualcosa di caldo, giusto per placare quel senso di spossatezza e cercare di prendermi cura dei miei piccoli. Li lascio sul divano, con la mia felpa rossa addosso, l’uno abbracciato all’altra.
Barcollo sino in cucina scalzo, non ho la forza di rivestirmi. Metto a bollire dell’acqua e mi siedo sui freddi sgabelli verdi del bancone. Non posso mollare.
Sento dei rumori provenire dall’ingresso e mi alzo di scatto, correndo praticamente privo di sensi in soggiorno.
«Hun, che ci fai in piedi?»
Finalmente è tornato. Gli sorrido confuso e mi accascio di nuovo sul divano attorno ai miei cuccioli.
C’è lui adesso e io posso crollare, sfinito.


È tutto così buio, avverto una mano accarezzarmi i capelli, apro lentamente gli occhi e mi ritrovo in camera da letto, con Harry seduto accanto.
«C-che?»
«Shh, i bambini dormono e la febbre è passata, è rimasta solo a te.» Dice lui lieve.
«Ho preso qualcosa?»
Lo sento sorridere, non mi serve neanche vederlo. «Sì, due ore fa ma non è servito. Vorrà dire che devo pensare io a te.» Sussurra stendendosi accanto a me sotto alle coperte.
«Non ti vorrai approfittare di un ragazzo malato, vero?»
«Perché no?»
Sento i suoi denti freddi sulla mia pelle bollente, mi bacia sul collo e poi scende, i brividi della febbre si mescolano a quelli di piacere. I suoi capelli solleticano morbidi la mia superficie ed io sono in estasi. Scende sino all’elastico della tuta e si ferma.
«Beh?» Gli chiedo.
Torna a stendersi al mio fianco e mi fa appoggiare la testa sul petto.  «No, hai ragione, non lo farei mai. Più che altro perché in queste condizioni non reggeresti il ritmo.»
Un idiota, ecco con chi sto. «Oh davvero?» il mio ghigno è talmente pronunciato da far muovere i muscoli della pancia. «Vedremo, quando starò meglio se sarai ancora così convinto.»
Lui mi guarda di sbieco sicuro di sé. «Mi stai forse sfidando?» Chiede con il suo solito tono da schiaffi.
Lo mordo proprio sotto al collo, violentemente, voglio lasciargli un segno, perché se non fosse ancora chiaro a qualcuno, lui è mio.
«Secondo me è tutta una tattica questa.» Continua sussultando un poco per il morso.
Sono perplesso. «Una tattica per cosa?»
Passa la lingua sui denti cercando di camuffare una risatina ironica. «Per farti scopare.»
«Per che cosa?» Quasi urlo strozzandomi da solo ed iniziando a tossire come un pazzo.
Il suo ghigno aumenta a dismisura. «Beh, mi sembra chiaro, ti vergogni a chiedermelo, ma a quanto pare non riesci a resistere senza un po’ di me neanche quando stai male.» Blatera, beandosi delle sue parole.
Gli tiro un pugno dritto nel fianco e lo trovo terribilmente duro, perché lui sta ancora ridendo come un idiota, e con questo ride ancora più sguaiatamente.


 
HARRY P.O.V.

Sono completamente bloccato nel traffico londinese da più di venti minuti, avrei dovuto prendere la metro, ma siccome sono io mi è stato sconsigliato. La prossima volta me ne frego, la mia famiglia sta male e io sono qui fermo a respirare lo smog dei taxi.
Certo è vero, se quell’idiota del mio fidanzato non avesse insistito per giocare a calcio in giardino con questo tempo nessuno si sarebbe ammalato.
Suona il telefono, la vocina dei miei bimbi mi fa capire che è Lou. Ogni volta che parte quella suoneria ricordo il giorno in cui li abbiamo registrati mentre ci imitavano cantando le canzoni dei one direction, senza risparmiarsi le varie mossette.
«Amore, dove sei finito?» la sua voce è così debole che quasi mi spaventa, lui non sta mai male sul serio.
Colpisco il volante innervosito «Lou sono uscito da neanche mezz’ora, non posso volare. C’è un traffico da pazzi, ci dev’essere qualche torneo di tennis, sono completamente imbottigliato.»
«Ma Emma non smette di piangere.»
Di solito riesce a gestirli così bene i bambini, ma questa volta dev’essere proprio distrutto.
«Papà Haz, canta!» È  Emma, il mio cuore salta in gola. Non riesco a farci l’abitudine, mi sciolgo sempre ogni volta che ho a che fare con loro, sono tutto per me, tutto.
Cerco di trattenermi dal piangere come uno di quei papà ‘così gay’ alle recite scolastiche e non so come ci riesco. Probabilmente perché sono sul punto di cantare.
Cantare mi ha salvato la vita, mi ha portato qui, facendomi trovare l’amore a soli diciassette anni.
Canto il solito motivetto che le piace tanto, la sento ridere ed ascoltarmi in adorazione. «Ora basta piangere, promesso?» Le chiedo.
Neanche mi risponde, perché probabilmente ha già perso la sua attenzione in qualcos’altro.
«Grazie, ci sei riuscito.» È distrutto, devo sbrigarmi.
«Farò in fretta, promesso.»

Neanche un’ora dopo sono a casa, entro e trovo i piccoli accoccolati sul divano con la sua felpa come coperta. Lou sta vagando per casa in stato confusionale.
«Hun, che ci fai in piedi?»
Appena mi vede crolla malamente sul divano intorno ai bambini. Sorrido e li copro con un plaid azzurro.
Vederli lì, insieme, mi rende la persona più felice al mondo, temo quasi di scoppiare per quanto sono appagato e contento.
Mi dirigo in cucina e la trovo sottosopra, come al solito quando Lou è da solo a casa con i bambini. Finisco di preparare quello che sembra essere un tentativo mal riuscito di tè e lo porto in salotto insieme alle medicine che ho comprato.
Emma è ancora sveglia. «Piccola coraggio, bevi questo, così starai meglio.»
«No.» Ovviamente. Non posso aspettarmi altro che una risposta del genere dal sangue del suo sangue.
«Non ti va di stare meglio? Così potrai giocare di nuovo.»
«No. Io voglio stare qui con papà Lou.»
«Ahn… capisco, beh è un peccato perché la polvere di fata che c’è in questo bicchiere oltre a far passare la febbre trasforma le bambine in principesse.» Invento senza la minima vergogna.
suoi meravigliosi occhi blu si ingrandiscono a dismisura brillando, prende il bicchiere e beve tutto d’un fiato, quasi strozzandosi.
Ora la mia unica speranza è che si dimentichi della storia della principessa, altrimenti farà l’offesa per giorni. Come suo padre.
Nel frattempo sveglio Jack, che abituato alle grida della sorella sta continuando beatamente a dormire. Nemmeno apre gli occhi, solo la bocca per ingurgitare il liquido arancione che gli sto facendo bere, sinceramente non capisco se è sveglio, ma l’importante è che abbia preso la medicina. Non faccio neanche in tempo a togliergli il bicchiere dalle labbra che cade in un tonfo sul cuscino, continuando indisturbato il suo sonno.
La stessa, identica scena si ripresenta con Lou, che beve in sostanza inconsciamente. A volte mi chiedo davvero di chi sia figlio Jack, lui e Lou sono davvero uguali.
Afferro un bimbo per braccio e li porto a dormire in camera, tornando a controllarli ogni dieci minuti, finché la febbre non è passata dal tutto.
Ora devo prendermi cura di Louis. Lo porto sul letto - e quando si accorgerà che l’ho preso in braccio darà i numeri – e lo faccio stendere senza che lui si renda conto di nulla.
Quando dorme è davvero qualcosa di mozzafiato. Non ci farò mai il callo, è perfetto e il cuore mi scoppia dentro al petto ogni santa volta. Mentre lo contemplo mugugna qualcosa, forse sono gli incubi causati dalla febbre.
Lo accarezzo piano per cercare di placare quell’inquietudine.
«C-che?» bisbiglia illuminandomi con l’azzurro dei suoi occhi.
«Shh, i bambini dormono e la febbre è passata, è rimasta solo a te.» Parlo piano, sperando che si riaddormenti cullato dalla mia voce.
«Ho preso qualcosa?»
Sorrido, allora non se è accorto sul serio. «Sì, due ore fa ma non è servito. Vorrà dire che devo pensare io a te.» Mi infilo sotto alle coperte insieme a lui.
«Non ti vorrai approfittare di un ragazzo malato, vero?»
Tipico. Anche in queste condizioni deve fare il cretino. «Perché no?» gli chiedo avvicinandomi e inondandolo di baci e morsi sul petto, sul collo, sino ad arrivare vicino ai pantaloni. Il fatto che stia male non mi impedirà certo di torturarlo un pochino.
«Beh?» Sembra seccato.
«No, hai ragione, non lo farei mai. Più che altro perché in queste condizioni non reggeresti il ritmo.»  Rincaro la dose, perché entrambi sappiamo esattamente dove vogliamo arrivare.
«Oh davvero? Vedremo, quando starò meglio se sarai ancora così convinto.» Ora esageri.
Gli lancio un’occhiataccia, sa benissimo qual è il limite e l’ha ampiamente superato. «Mi stai forse sfidando?»
In risposta ottengo un morso, bollente e violento in pieno collo, se solo non stesse così a pezzi, sicuramente ce lo ridurrei io, visto quanta voglia ho.
«Secondo me è tutta una tattica questa.» Continuo sicuro di me.
«Una tattica per cosa?»
Cerco di nascondere un ghigno poco rassicurante. «Per farti scopare.»
«Per che cosa?» Nell’urlare si strozza da solo e tossisce più volte. Lo guardo e ho ‘sete’. Non riesco a capacitarmi di quanto possa essere innamorato di lui, visto che lo trovo sexy anche quando tossisce.
«Mi sembra chiaro, ti vergogni a chiedermelo, ma a quanto pare non riesci a resistere senza un po’ di me neanche quando stai male.» Riprendo gongolando.
Mi solletica con un pugno nel fianco ed è il contatto che mi serve per finirlo. Salgo su di lui e lo guardo dritto negli occhi.
«Beh, posso restare?»




 
***
Bene bene bene. Diciamo che ...forse...mi è uscita un po' tanto fluffosa. Un po' troppo...
Comunque sia ho deciso di chiuderla così sperando che vi piaccia e che non vi faccia vomitare zucchero.
:3 Se siete arrivate a leggere fino qui vi ringrazio davvero dal profondo del cuore (ecco, continuo a fluffare anche qui) e spero boh, che sia stata una lettura piacevole (?) o almeno di avervi fatto passare mezz'ora senza pensare a niente a parte al fluff. lol
Bene, ora vado a nascondermi nell'angolo più buio dell'universo in attesa che mi diciate cosa ne pensate di questo capitolo/mi lanciate zucchero addosso urlando.

Siete belle, in ogni caso.

Meliloto
***
  
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