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Autore: aelfgifu    24/10/2013    6 recensioni
Come è nata la strana amicizia tra Stefan Levin e una giovane scrittrice tedesca?
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
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Ritratto estivo di ragazzo svedese

 

5. I stared in wonder at the young and the old

 

E ora si dia fiato alle trombe...

 

***

 

I stared in wonder at the young and the old,

for in the maze time had not been with me

Edwin Muir, The Labyrinth

 

È strano come i segreti, in realtà, non siano affatto segreti.

Noi ci sforziamo di proteggere i nostri dalla curiosità e dalla crudeltà altrui, eppure stanno scritti a chiare lettere nel nostro sguardo, nelle modulazioni della nostra voce, nei nostri gesti, perfino nel nostro modo di dormire.

Io quando dormo incrocio le braccia al petto, in modo che la mano destra abbracci la spalla sinistra e la mano sinistra abbracci la spalla destra. Dormo abbracciandomi: e tu? Come dormi tu?

Sono pronta a scommettere che dormi raggomitolato. Non è difficile immaginarselo.

E così il tuo segreto era davanti agli occhi di tutti nel video di una vecchia partita postato su YouTube. Pensa, l’ho scoperto grazie al mio nipotino svogliato, che di solito sono io ad aiutare tutte le volte che deve scrivere un Referat di letteratura, e invece stavolta è stato lui ad aiutare me.

Nessun segreto, perciò, è veramente un segreto.

 

***

 

È una partita serale, un anticipo. Inizierà alle otto e terminerà prima delle dieci. Nonostante sia maggio, fa ancora molto freddo, perciò mi porto dietro anche il cappotto.

Lo stadio acceso di rosso somiglia davvero a un canotto gonfiabile, come dicono affettuosamente i frequentatori abituali. Io non c’ero mai venuta: son passati i tempi di quando andavo alle partite insieme a papà, la domenica pomeriggio. Quasi vent’anni... è una magnifica opera di architettura, senza dubbio, un Colosseo del ventunesimo secolo, e questi splendidi artifici dell’illuminazione danno al contesto un che di veramente irreale.

Mostro il mio invito a uno steward, lui spalanca tanto d’occhi, quindi mi fa scortare al mio posto con una deferenza che rasenta il ridicolo.

Sono curiosa di vedere chi ci sarà. Nonostante segua poco questo mondo, sicuramente riconoscerò qualche faccia – leggo ancora le riviste di gossip quando vado dal parrucchiere.

Mi accomodo al mio posto e mi guardo intorno.

Poco più avanti a me, alla mia sinistra, c’è un gruppetto di ragazze sui trent’anni, molto belline, molto cool. Non ne conosco nessuna.

Intanto sono state accese tutte le luci, continua ad affluire gente, qualcuno soffia negli altoparlanti, i tifosi incominciano a provare cori e slogan, vengono spiegate le prime bandiere, i primi striscioni.

Anche la tribuna VIP si sta riempiendo, vedo entrare alcuni uomini di mezza età. Passa un signore di una sessantina d’anni e il mio cuore salta per aria: è incredibile quanto sia diventato grigio, ora porta anche gli occhiali, ma il lampo del suo sguardo è sempre quello: Kalle Rummenigge. Domani andrò a trovare papà e gli dirò: ho visto Rummenigge di persona! Arriva un altro gruppo di giovani donne. Una di loro mi lancia un’occhiata indefinibile, poi, prima di passare oltre, dà di gomito alla sua vicina, attirandone l’attenzione. Dicono qualcosa. Non sono un volto conosciuto, per loro: saranno curiose di sapere chi sono e perché sono qui.

Poi vedo movimento attorno alle panchine, le squadre stanno uscendo sul campo.

Si schierano.

Vengono presentate le formazioni.

Si procede ai saluti di rito.

Si giocano a sorte il campo e il calcio d’inizio.

Alcuni ritardatari arrivano correndo, sento il rumore dei loro passi dietro di me.

Chiudo gli occhi... mi sento così sperduta quassù, tra questa gente che non conosco, che non è nulla per me. Così pesce-fuor-d’acqua. Avevo ragione a essere agitata... quella ragazza di prima, che aveva da guardare? Voleva fare commenti sul mio aspetto? Sul mio abbigliamento? Troppo poco fighetta per la tribuna delle persone importanti? Inspiro profondamente e ordino a me stessa di fare soltanto bei pensieri, durante questa partita.

Immagina come dev’essere stare sul campo, mentre migliaia di tifosi chiamano a gran voce il tuo nome. Levin è abituato a tutto questo, chissà come deve essergli sembrata buffa la nostra presentazione con trenta persone trenta di pubblico? Voglio chiederglielo. Ma chissà, forse avrà provato disagio come ne sto provando io ora, forse non è questione di pubblico, è solo un fatto di abitudine.

Immagina, Julia... immagina i custodi dello stadio, quelli che di questo posto conoscono ogni buco, ogni scaletta o passaggio segreto, ogni stanzino, ogni condotto dell’aria. Che meraviglia dev’essere per loro quando fanno la ronda di controllo, che emozione.

E immagina come dev’essere stare qui quando squadre, pubblico, tutti sono andati via dopo una partita serale, come dev’essere stare qui e abbracciare con un unico colpo d’occhio tutto il campo ormai vuoto e silenzioso, un secondo prima che vengano spente le luci.

“Julia?... Julia Gutenbrunner?”

La voce mi arriva sparata da destra mentre sto guardando dall’altro lato, manca poco che mi prenda un colpo. Mi giro di scatto.

Un giovane alto, biondo, dai capelli che gli ricadono a ciocche spettinate sulla fronte e sulle tempie, con un bel viso dalle linee pulite e penetranti occhi di un azzurro cupo è a pochi passi da me, e mi guarda come se conoscesse il mio nome ma non la mia faccia e aspettasse una conferma.

Mi occorrono tre secondi per mettere a fuoco la fisionomia, e credo – non posso verificare – che sulla mia faccia sia apparsa un’espressione a metà tra lo sbalordito e il cretino, ma prima ancora di poter articolare suono, il giovane prende posto velocemente accanto a me, dicendo:

“Permette?...”

Quindi mi tende la destra indirizzandomi un sorriso più largo della faccia:

“Molto lieto, Karl-Heinz Schneider”

 

***

 

È lui. Inequivocabilmente.

Non ti puoi sbagliare.

Perché Karl-Heinz Schneider tutti sanno chi è. E tutti lo riconoscono a prima vista.

Come i versi della gita di Pasqua nel Faust.

E le torri rotonde della nostra cattedrale.

Karl-Heinz Schneider, a Monaco, è più o meno dappertutto.

(E non solo a Monaco)

Stringo la mano che mi viene tesa – sorprendentemente stringiamo allo stesso modo, con cordiale energia – e rispondo:

“Julia, ma...”

“Ero preavvisato” mi anticipa lui. “Le istruzioni erano: cerca una ragazza sui trentanni, piccoletta, capelli castani corti... avrà sicuramente unaria spaesata, non è il tipo che frequenta stadi di calcio, perciò vai da lei, presentati e stalle vicino finché non arrivo io”.

“Levin?”

“Sorpresa? Sapesse come sono rimasto sorpreso io. Non aveva mai parlato tanto!”

“Ma lei che fa quassù, non gioca?”

Lui allarga le braccia:

“Un piccolo infortunio”.

“Mi dispiace, spero che non sia una cosa seria”.

Schneider si tocca la spalla sinistra con due dita:

“Scontro di gioco. Vogliono risparmiarmi per la finale di Champions League...”

Sorrido tra me e me. Schneider è del Nord, e nonostante abiti a Monaco ormai da molti anni, non ha perso il suo bell’accento settentrionale.

Nicht allein mich zu ergötzen bin ich hier so hoch gestellt, recito a fior di labbra.

Non ho mai visto quest’uomo se non nelle inquadrature televisive, eppure la sensazione che dà se gli si è fisicamente vicini è esattamente la stessa che si prova guardandolo alla televisione. Sarà per il passo ampio ed elastico da sportivo, il viso sempre alto e diritto, lo sguardo osservatore, inquisitivo, lievemente ironico, la massa di ciocche bionde sparate in tutte le direzioni che somigliano a una criniera, ma viene naturale paragonare questo ragazzo a un leone.

È talmente vicino a me che riesco anche ad avvertire il suo profumo, qualcosa di deciso ma dal fondo amaro.

“È vero che lei scrive?”

Annuisco.

“E come ha fatto una che scrive a conoscere Levin?”

“Non gliel’ha detto?”

“No, ha solo detto che le aveva mandato un biglietto per la partita e...”

“Se è curioso glielo domandi. Potrebbe anche rispondere”.

“Oh, bene, non sono affari miei” alza leggermente le spalle, come un bimbo birichino che dica “tanto non me ne importa” quando in realtà gliene importa moltissimo. E sorride. Ancora. Poi aggiunge: “Però ammetto di essere curioso...”

Stavolta sono le mie labbra a incresparsi impercettibilmente, involontariamente.

“È la prima volta che invita una ragazza e...”

“Non sono una ragazza, signor Schneider”

“Come?...”

“Ho trentacinque anni, signor Schneider, la parola ‘ragazza’ non fa per me”

 

***

 

E così eccola. È lei.

Esattamente rispondente alla descrizione.

Sulla trentina.

Piccola di statura.

Capelli corti.

E aria estremamente spaesata.

Però è venuta. Ha accettato l’invito.

Mi guarda con stupore, deve avermi riconosciuto, ma io non le dò il tempo di parlare e mi presento.

Risponde alla mia stretta di mano senza imbarazzo, con energia.

È chiaramente sorpresa di vedermi qui, non sa spiegarsi come e perché io l’abbia individuata.

E allora glielo dico.

Ancora stupito io stesso.

Ancora col ricordo della folgorazione ricevuta martedì scorso, dopo l’allenamento, quando Levin mi ha fermato e mi ha chiesto:

“Tu sabato non giochi, vero?”

Ho confermato che no, non avrei giocato.

“Però sarai alla partita?”

Sì, sarei stato alla partita.

“Allora posso chiederti un favore?”

“Sentiamo...”

“Ho invitato... una persona. Una mia... ehhhm... amica”. Qui il viso di Levin ha preso fuoco. “Non è un tipo che frequenta gli stadi. Si sentirà spaesata. Potresti tenerle compagnia? Le ho promesso che a fine partita l’avrei raggiunta ma nel frattempo... è brutto trovarsi da soli in un posto poco familiare”.

Ha detto: una mia amica? Non credo alle mie orecchie; non ci credo, ho pensato.

Ha detto: è brutto trovarsi da soli?

Quando mai ha parlato così tanto Levin?

E con tanta accoratezza?

“Ah, e, Schneider... sii educato. Non è dei tipi che circolano nel nostro ambiente. È una che scrive...”

“Hmmm?” ho domandato, e la mia espressione non doveva promettere niente di buono. Mentre nella mia mente si articolava il seguente pensiero “accidenti, Levin, per una volta che ti fai una ragazza, deve essere proprio una che scrive?”, lui, guardandomi con i suoi occhi colore del mare ghiacciato, con molta calma ha aggiunto:

“Non te lo farà pesare, stai tranquillo. È una persona fuori dal comune”.

Ha detto: persona fuori dal comune?

O sono pazzo io o è impazzito lui, ho pensato.

E così eccola. È la prima volta che Levin invita una ragazza, mi lascio sfuggire.

Lei sorride impercettibilmente e mi risponde che non è una ragazza, che è un po’ troppo grande per quest’appellativo. Lo dice gentilmente, ma piena di serietà, guardando davanti a sé con aria assorta.

Siamo già al quinto minuto del primo tempo e non ho dato neanche uno sguardo alla partita.

Credo di capire perché Levin tenga a questa donna. Se quando l’ha incontrata per la prima volta gli ha fatto lo stesso effetto che sta facendo ora a me, credo proprio di capire.

Incroci il suo sguardo ed è come se ti rompessi. Poi ti parla, e i tuoi pezzi esplosi si ricompongono.

 

***

 

Note al testo. 1) I stared in wonder at the young and the old eccetera. Il titolo e l’epigrafe riprendono alcuni versi di The Labyrinth, del poeta scozzese Edwin Muir (1887-1959). Secondo me è una delle cose più belle che siano mai state scritte, se ne avete l’occasione leggetela, è meravigliosa! I versi in questione si riferiscono al fatto che Julia d’improvviso viene catapultata in un mondo che non conosce. 2) Le torri della Frauenkirche di Monaco hanno una caratteristica copertura a bulbo. 3) I versi sulla passeggiata fuori porta di Pasqua tratti dal Faust di JW Goethe sono tra i più famosi della letteratura tedesca; parlano dell'arrivo della primavera e della rinascita della natura a nuova vita. 4) Nicht allein um mich zu ergötzen... per capire questi versi, andare alle note al testo de Il suo cuore come un dizionario :-D

 

Nota (pazzerella) dell’autore. Ho inserito una apparizione fugace di Karl-Heinz Rummenigge perché è appurato e pacifico che il maestro Takahashi si sia ispirato a lui per il personaggio di Karl (tranne per il soprannome di “(giovane) Kaiser”, che copia quello di Franz Beckenbauer). Io ho voluto fare un pochino di filologia schneideriana e sono andata a cercare delle immagini di Rummenigge da giovincello: è impressionante la somiglianza che aveva con il nostro Karlchen! Guardare per credere:

http://www.kicker.de/news/fussball/bundesliga/bl50/574303/artikel_karl-heinz-rummenigge-%28bayern-muenchen%29.html

Disclaimer. Ricordiamo sempre che Karl-Heinz Schneider e Stefan Levin appartengono a Yoichi Takahashi...

  
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