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Autore: Amrita    24/10/2013    1 recensioni
Rivisitazione della fiaba "Il re Bazza di Tordo" dei fratelli Grimm.
"«Nemmeno stasera hai scelto uno sposo, Abigail, eri stata avvertita - mi dice. - Lasciandoti scegliere ti ho lasciato una grande libertà, una libertà che non viene concessa a tutte le donne, ma ora mi trovo costretto a...» sospira stringendomi più forte «Sceglierò io - bisbiglia, deciso. - Anzi, lascerò che decida il fato: sposerai il primo che si presenterà alla nostra porta, chiunque esso sia.»"
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Guardo il mio sposo mentre camminiamo per il sentiero. Perché non ho scelto un marito da sola? Perché ho lasciato che succedesse tutto questo?
«Ora, via, andate via dal mio castello. Non lascerò che la moglie di un mendicante viva sotto al mio stesso tetto» ha detto mio padre, il re, cacciandomi. Così, con la testa bassa nel tentativo di nascondere il mio viso, ho camminato al fianco dell'accattone sulla via principale della città, giudicata da mille e mille sguardi taciturni. Il silenzio regnava tra la gente, e i passi che mi allontanavano dalla mia vecchia casa risuonavano sempre più pesanti. "Guardatemi, sono la moglie del mendicante!" sembravano urlare "Guardatemi, deridete la mia stoltezza!"
Forse sono stata stolta, ma mio padre è stato crudele. Quegli omuncoli non erano degni di me, e lui lo sapeva. Avrebbe dovuto accettarlo. Anche adesso, è lui che deve convivere con la degradante idea di avere un pezzente in famiglia, e il pensiero rende la mia situazione meno amara.
Un ostinato cinguettio mi distoglie dai miei pensieri e mi costringo ad alzare gli occhi. Chissà da quanto siamo usciti da quel girone di dannati e ci siamo addentrati nella foresta. Gli alberi ci circondano altezzosi, solo qualche scoiattolo ritardatario smuove le foglie mentre una nebbia sottile filtra i colori viola e arancio del tramonto.
«Dove ci troviamo?» chiedo con ammirazione.
«Questa foresta appartiene al principe Loki, colui che chiamavi Corvo. Se non l'avessi rifiutato, sarebbe tua» canticchia tranquillo il mio accompagnatore, e io non rispondo. Non ho bisogno di farmi prendere per i fondelli da un rozzo accattone, così continuo a trascinarmi in silenzio tra le foglie cadute e le spesse radici.
Iniziano a calare le tenebre quando il musicista smette di camminare «È troppo buio per proseguire – mi dice -, dobbiamo fermarci per la notte.»
Fermarci per la notte? Nel bosco? Io, la principessa? E cosa dovrei fare, mettermi a dormire a terra?
Quando lui si sdraia capisco che sì, è esattamente ciò che si aspetta.
Busso sulla sua spalla con due dita, mantenendo la maggior distanza possibile «Scusa, secondo te dove dovrei mettermi io?» gli chiedo enfatizzando l'ultima parola e sollevando le sopracciglia. Lui indica la terra sotto ai miei piedi «Assolutamente no! Mi rifiuto di dormire in compagnia di ratti, insetti e chissà quale altra porcheria!» squittisco, indicandolo quasi involontariamente. Le sue sopracciglia si aggrottano e la sua mascella si contrae per un momento, ed io sento ancora una volta il dolce gusto della superiorità.
«Attenta, gli animali del bosco fiutano la paura» mi dice, poi si volta su un fianco, ignorandomi.
Bene, me la vedrò da sola. Sollevo il cappuccio del mio mantello, coprendomi la testa, poi mi siedo sotto un albero, e mi abbraccio le gambe. Immediatamente, sento la mancanza del castello.
Sento la mancanza delle soffici coperte di cotone, lana, seta e del morbido materasso di piume, della serva che mi spazzolava i capelli ogni sera, del calore del caminetto. Sento la mancanza del salone e dei profumi delle cucine, della tavola imbandita con cibi di gran varietà, profumi speziati che ti riempiono le narici e ti fanno venire l'acquolina in bocca. Mi brontola lo stomaco, e mi rendo conto che non abbiamo cenato. Lancio un'occhiata a mio marito. Potrei chiedergli del cibo, ma sembra essersi già addormentato. Non che mi faccia troppi problemi a svegliarlo per richiedere ciò che mi spetta, ma mi rifiuto di dargli la soddisfazione anche per un solo momento, mi rifiuto di poter fargli credere che io possa dipendere da lui per qualcosa.
Vorrei dormire, sento le palpebre pesanti, ma i suoni della foresta mi tengono sveglia. Un fruscio di ali, il soffiare del vento, un ramo che si spezza, un lupo che ulula lontano, uno zampettare fin troppo vicino. Solo quando il cielo inizia a rischiararsi riesco finalmente a rilassarmi, e chiudere gli occhi.

È ormai giorno quando mi sveglio. Sento un fiato caldo sul collo e qualcosa di morbido che mi sfiora il viso. Apro gli occhi con uno scatto, e mi trovo davanti un paio di occhietti neri incastonati su un'enorme muso ricoperto di pelliccia marrone. Lancio un'occhiata verso il punto  in cui il mendicante si era addormentato e lo vedo a terra, immobile, le braccia e le gambe in una posizione leggermente innaturale. I pochi oggetti che portava con sé sparsi ovunque. Gli abiti strappati.
Istintivamente, lancio uno strillo. L'orso sembra spaventarsi più di me, poiché indietreggia di qualche passo, poi solleva una zampa e vedo gli artigli che incombono su di me come una sentenza di morte. Avvicino le ginocchia al petto e cerco di proteggermi la testa con le mani, come se potesse servire a qualcosa, ma l'attenzione dell'animale sembra venire attirata da qualcos'altro e gira l'enorme testa con un grugnito.
Seguo il suo sguardo, e vedo mio marito in piedi, la camicia a brandelli e qualche graffio superficiale sul petto e sulle braccia, le labbra livide per il freddo e le dita strette attorno a una pietra, che lancia sulla schiena dell'orso. Questo emette un altro grugnito e si avvicina per attaccare il suonatore, che però scatta veloce e si inoltra nella foresta.
L'animale lo segue, dimenticandosi di me.
Io rimango li, non riesco a muovere un muscolo. Sento lo stomaco chiuso in una morsa per la paura e per la fame, il fiato mozzato, tremo. Tremo, e tengo gli occhi puntati sugli alberi, osservando il punto in cui l'ombra li ha inghiottiti.
Dopo quella che mi sembra un'eternità, sento dei passi veloci e leggeri avvicinarsi, e io tiro un sospiro di sollievo.
«Se non ti fossi fatta prendere dal panico tutto questo non sarebbe successo» mi dice mio marito, passandomi davanti senza degnarmi di uno sguardo, e raccatta le sue cose da terra «In futuro, sappi che se rimani immobile l'orso penserà che sei morta e andrà via.»
«Per essere precisi, tutto questo non sarebbe successo se tu non mi avessi portata via dal castello in primo luogo» gli faccio notare, stizzita.
Lui pianta i suoi occhi nei miei mentre si allaccia il mantello al collo «Per essere precisi - mi riprende - tutto questo non sarebbe successo se tu fossi stata più giudiziosa in generale, ma puoi tornare al castello se vuoi. Io vado a casa» dice, iniziando a camminare.
«Lo farei se solo sapessi la via del ritorno!» gli strillo.
Lui si limita a fare spallucce senza fermarsi «Affari tuoi.»
Lancio uno sguardo agli alberi alle mie spalle con desiderio, poi guardo mio marito che si allontana sempre più.
«Oh, che diamine» borbotto, prima di seguirlo con passo spedito, cercando di raggiungerlo.
   
 
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