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Autore: bipolarry    25/10/2013    2 recensioni
Carpe diem, pensò Louis, il ragazzino dagli occhi grigi aveva catturato la sua attenzione ormai già da qualche ora, ed era così ubriaco che qualunque cosa fosse successa, non l’avrebbe mai ricordata. E non era certo colpa sua se Harry barcollava e ogni minuto che passava erano sempre più vicini.
“Dio, devo bere di meno” farfugliò Harry, più a se stesso che a Louis.
***
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I think the dog likes me.



“Niall, mi devi quindici sterline!” Louis lasciò le chiavi di casa sul tavolo della cucina, vide il suo coinquilino sotto l’arco della porta e ammiccò.
“Non ci credo! Il ragazzino ti ha baciato ed era sobrio!?” il tono incredulo di Niall portò un sorriso sulle labbra di Louis.
“Dovevi vederlo, totalmente perso..” diede le spalle all’amico e aprì il frigo in cerca di cibo, “i ragazzini confusi sono così facili da manipolare..” ritornò al tavolo con una mela tra i denti.
“Non credevo ti ci sarebbe voluto così poco,” sentenziò Niall, “le tue capacità di conquista stanno migliorando.” La sua risata riempì la stanza. Conosceva Louis meglio di chiunque altro, i due vivevano insieme da un anno, e non c’era mai stato nulla che li avesse fatti litigare.
Niall era un tipo ambiguo, mai violento, e con un mezzo sorriso sempre sulle labbra, di origini irlandesi, aveva le guance sempre rosa e i capelli biondi incorniciavano un viso dolce con due occhi turchesi, spesso lucidi e arrossati a causa di quella insana passione che aveva per l’erba. Aveva la grande dote di saper ascoltare senza fare domande, un grande consigliere e di animo genuino, nutriva un grande rispetto nei confronti di Louis, e riusciva a gestire con ottimismo i suoi continui sbalzi d’umore.
“Lo so.” Si strinse nelle spalle.
Solo un’ora prima era riuscito a giocare con i sentimenti di quel ragazzino, e ora era nella sua stanza, sulla sua tshirt ancora il profumo dolciastro Harry. Di certo non gli importava, non era la prima persona con cui si divertiva un po’, e prendere in considerazione i sentimenti degli altri non era esattamente il suo forte. Sostituì i vestiti con il pigiama e si mise nel letto, era sfinito, non dormiva da quasi ventiquattro ore.
Contava di allontanare Harry dalla sua vita entro qualche giorno, era un gioco, e il gioco è bello quando dura poco. Non avrebbe trascinato quella situazione per molto tempo. Non voleva problemi, non voleva nulla che potesse compromettere la sua stabilità.
Nonostante ciò, quel ragazzino aveva qualcosa in più, qualcosa che impediva a Louis di fargli del male. Forse era il modo in cui lo guardava, gli occhi lucidi, bagnati dalla sambuca, il modo in cui lo trascinava in situazioni assurde, e la sua perenne capacità di prendere ogni cosa con leggerezza.
La sua etica gli impediva di ferire chi non lo meritava, agli occhi di tutti era sempre stato un cinico bastardo, ed in parte era vero, ma lo faceva per difendere se stesso, adesso sentiva il bisogno di difendere anche Harry.
Dopo quasi due mesi ancora si ritrovava ancora all’una di notte a correre per strada con Harry per ripararsi dalla pioggia londinese, ancora riusciva a rubargli un bacio prima di tornare a casa, e ancora poteva guardarlo e contare le venature verdi che abitavano i suoi occhi. Ma Harry era un gioco. Era dicembre, e  si era dato una scadenza. Entro tre settimane avrebbe trovato qualcun altro con cui divertirsi, qualcuno di meno sincero, di meno ingenuo – qualcuno che meritava di essere preso in giro.
Era nuovamente fasciato in una camicia nera, un sorriso ammiccante sulle labbra, pronto a soddisfare le richieste dei clienti del bar, gli occhi puntati sulla piccola sala, i tavolini in legno uno accanto all’altro, aveva il naso abituato a quell’odore di alcol e chiuso, in un angolo Liam e Gemma avevano d’avanti rispettivamente il solito Whisky con ghiaccio e un hawaiian cocktail, uno di quei cocktail colorati alla frutta che tanto piacciono alle ragazzine. Harry aveva ancora il coraggio di chiamarli migliori amici – quel ragazzino era un ingenuo, andava in giro a bere fino a non reggersi in piedi ma non aveva il tempo di fermasi pochi secondi a capire cosa accadesse nella vita del fratello. Sovrappensiero si ritrovò a fissare Liam, che si girò verso di lui, sentendo il peso del suo sguardo. Sorrise a Gemma e si alzò dalla sedia, dirigendosi verso il bancone: si avvicinò a Louis con aria decisa, iniziò: “Smettila di giocare con mio fratello.” Lo guardò, il viso colmo di una calma apparente. Ma chi aveva di fronte non era certo un tipo da perdere la calma sul posto di lavoro, Louis avrebbe preferito mille volte rispondere con sarcasmo, e così fece.
“Non gioco con quel ragazzino confuso, è lui ad aver cominciato” l’angolo della sua bocca piegato in un leggero sorriso, “tu piuttosto, quando pensi di dirglielo?” con il mento indicò Gemma ancora seduta al tavolino da sola. “Sai, vi crede migliori amici. Non ho avuto il cuore di dirgli che ti fai mia sorella.”
La rabbia attraversò gli occhi di Liam, teneva a Gemma più di qualunque altra cosa e non si spiegava come quei due venissero dalla stessa famiglia. “Harry non se lo merita, non sa quello che sta facendo.”
“Oh avanti, sa benissimo cosa sta facendo, non è così stupido come credi.”
“Lascialo perdere.”
La curiosità di Louis non fece altro che aumentare, il ragazzino si faceva sempre più interessante, e infastidire il fratello maggiore rendeva il tutto più divertente. “Certo, domani pomeriggio andiamo a pattinare sul ghiaccio, vi va di venire con noi?”
Il viso di Liam tornò ad assumere un’espressione dura, “grazie davvero ma ho altro da fare.”
“Mia sorella?” alzò il sopracciglio destro in segno di finto stupore.
“Non so mio fratello cosa ci trovi di tanto speciale in te.”
“Tuo fratello mi trova speciale?” si portò una mano al petto, fingendosi  colpito da quell’affermazione. “Sono lusingato, la sera giocate a pettinarvi i capelli e parlate di me?” disse con tutto il veleno che aveva in corpo.
Liam fece schioccare la lingua in segno di disprezzo e si allontanò.
“Allora domani ti aspetto, ci vediamo da me alle sette!” disse Louis, ancora sputando veleno.
 
Nonostante l’inconveniente di Liam, la giornata era andata piuttosto bene, Louis tornava a casa in macchina, ancora una volta canticchiava seguendo i gusti della radio – a moment, a love, a dream, a laugh, a kiss, a cry – adorava cantare in macchina, la sua voce non era niente male, si era sempre promesso che se un giorno si fosse scocciato dei bar – cosa che sarebbe accaduta a breve – si sarebbe dato alla musica. Aveva iniziato a piovere e i tergicristalli gli permettevano di vedere nitidamente la strada solo un secondo su cinque. Parcheggiò l’auto proprio fuori casa, corse verso la porta per evitare di bagnarsi, bussò sperando che Niall fosse ancora sveglio. Aspettò qualche secondo, si guardò attorno, maledicendo le chiavi di casa rimaste nella stanza addetta allo staff del Jack.
Ma chi gli aprì la porta non era Niall.
Il ragazzino dai capelli ricci e gli occhi grigi lo fissava con aria assonnata. “Uhm Louis, sono le tre, torni sempre così tardi?” mugugnò aggiustandosi i capelli.
“E tu che fai in casa mia? Dov’e Niall?” Era quasi infastidito dalla sua presenza, entrò in casa urtandogli la spalla, alla ricerca del coinquilino.
“Ancora sul divano, credo.” Disse stropicciandosi un occhio, ancora assonnato. Capendo di non far parte del discorso, Harry tornò in camera di Louis, dove si stese un’altra volta sul letto, stavolta incapace di prendere sonno.
Louis entrò in soggiorno a passi lunghi, deciso. “Che diavolo ci fa quel ragazzino in questa casa?”
Niall era steso sul divano, gli occhi socchiusi, un sorriso perso sulle labbra. “Oh, è ancora qui?” l’odore acre di erba aveva invaso la stanza. Jay, il pastore tedesco che avevano adottato era accucciato sul tappeto, alla vista di Louis alzò le orecchie e scodinzolò.
“Certo che è ancora qui! E per qualche motivo era a dormire nel mio letto!” sbottò Louis, si passò una mano tra in capelli in preda alla rabbia.
“Oh, Lou, è arrivato piangendo, non ricordo perché ma voleva davvero parlarti e gli ho detto che se voleva poteva aspettarti qui e lui ha detto che andava bene e che gli piacevi e che questa casa era molto carina e che io ero così simpatico. Mi piace il ragazzino, dovresti calcolarlo di più, e tutti quei ricci sono così carini, come puoi ignorare un ragazzo con tutti quei ricci, guardalo.” Parlò tutto d’un fiato. Fu quello il momento in cui Louis capì che era inutile provare a tirare fuori un pensiero sensato dalla testa di Niall.
Non gli rispose e salì al piano di sopra, sperando di ottenere qualche risposta più chiara da parte di Harry.
Lo trovò steso sul letto a fissare il soffitto. “Non ti ho dato il mio indirizzo per piombare in casa mia e occupare la mia stanza.” Sentenziò ancora sulla porta.
“Ho litigato con Liam, non volevo stare in casa con lui.”
“Beh? Cosa avresti fatto se non ci fossi stato io?”
“Non lo so.” Louis ebbe la sensazione che quella risposta non si riferisse solo a ciò che era accaduto quel pomeriggio, ma non volle andare più a fondo.
“Non puoi restare qui.” Constatò con sicurezza.
“Posso dormire sul divano se vuoi, ma ti prego non farmi tornare a casa.” Piagnucolò Harry.
“Sei minorenne, non posso tenerti in casa senza avere dei problemi, e so che tuo fratello non vede l’ora di crearmene.”
“Liam sa che sono qui e non farà nulla. Ha detto che posso fare quello che voglio, che non gli importerà più nulla di quello che faccio.”
Tipico, pensò Louis, adesso gli toccava anche badare al ragazzino ubriaco. Mantieni la calma, si disse. Sospirò, non aveva il cuore di cacciare Harry, sapeva quanto Liam certe volte potesse essere una palla al piede – i suoi pensieri furono interrotti dalla voce del più piccolo.
“Non mi avevi mai detto che tu e Gemma siete fratelli.”
Inoltre, Liam non aveva la capacità di farsi i fatti suoi.
“Tuo fratello non dovrebbe mettere bocca sulla mia famiglia, e nemmeno tu.” Rispose seccato.
Entrambi erano stesi uno accanto all’altro, fissavano il soffitto leggermente illuminato da una piccola lampada che Louis aveva sul comodino accanto al letto.
“Mi chiedevo solo come mai non me l’avessi mai detto. Conosco Gemma da sempre e non mi aveva parlato di te, conosco te da due mesi e non mi hai mai parlato di lei. Non sono stupido, e credo che ci sia qualcosa che manchi.” Non sapeva perché, ma lo disse sussurrando.
Generalmente, una volta giunti alla fase voglio sapere qualcosa sulla tua vita, Louis liquidava gentilmente il ragazzo di turno e ne trovava un altro nel giro di ventiquattro ore. Ma ancora una volta, non con Harry. Avrebbe voluto farlo, ma qualcosa glie lo impediva.
“Io e Gemma abbiamo smesso di parlare quando sono andato via di casa, io avevo sedici anni e lei quattordici,” iniziò, “non è mia sorella. Non sono legato a lei, abbiamo solo gli stessi genitori, ma lei è una persona qualunque. Non mi importa che si faccia tuo fratello, per me è una normale cliente del Jack.”
L’ingenuità di Harry si intromise tra i due. “Perché sei andato via di casa?”
L’ultima cosa di cui Louis aveva voglia di parlare erano le sue scelte. “Non – non mi va di parlarne.”
“È per quello che sei, non è vero?” una punta di genuina curiosità nella voce di Harry.
“Alla mia famiglia non andava bene.”
“Perché?”
L’insistenza di Harry lo metteva a disagio, rimase in silenzio.
“Mi devi una spiegazione, Lou.” Continuò. Niall era l’unico a chiamarlo Lou, era un soprannome che lo faceva sentire bene, mai nessuno gli dava dei soprannomi. E sentirlo pronunciare dal ragazzino gli fece comparire un sorriso sulle labbra.
“Sono persone all’antica, mio padre gridò alla malattia, sperava che un medico avesse potuto curare la mia devianza sessuale, così la chiamava.” Rise, “mia madre piangeva, gridava, tentava in tutti i modi di tenere il suo primogenito a casa, mi adorava, ma amava mio padre, e scelse lui. Quella mattina decisi di andare via.” Si voltò ad osservare il viso di Harry, che aveva ancora lo sguardo puntato verso il soffitto. Non sapeva bene che risposta aspettarsi, ma Harry, invece, gli pose un’altra domanda.
“E come sei arrivato al Jack?” Il ragazzino era diverso perché non lo compativa, era semplicemente interessato alle vicende, gli piaceva conoscere le persone, ascoltare quello che avevano da dire.
E avrebbe ascoltato Louis per ore, perché amava il suono della sua voce.
“Mia madre era proprietaria di un bar a Chelsea, lo ereditò da suo padre, un uomo ricco e terribilmente bigotto. Io ogni giorno, dopo scuola, andavo da lei e passavo i pomeriggi al bar, è lì che ho imparato tutto quello che so. A sedici anni ormai sapevo tutto ciò che c’era da sapere, e farmi assumere non fu un problema. Venni a vivere qui, inizialmente da solo, ma avevo bisogno di una mano per l’affitto, conoscevo Niall perché era sempre al Jack, eravamo buoni amici già da un po’, sapevo che aveva bisogno anche lui di un posto in cui stare, e gli proposi di venire qui, e lui si portò anche il cane.” La sua risata riempì la stanza.
“Quel cane mi vuole bene, credo di piacerle.”
“Davvero? Io credo mi odi.”
La risata stanca di entrambi riecheggiò, stavolta fu Harry a voltarsi verso Louis, e ancora, dopo i mesi passati insieme, rimase affascinato dai suoi lineamenti. Portò la mano vicino il suo viso e con l’indice seguì il contorno nella sua mascella, poi del mento, fino a sfiorargli la gola. Lasciò la mano sul suo petto e si girò su un fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Liam dice che non durerò più di quanto sia durato qualunque altro ragazzo che tu abbia conquistato al Jack.”
Louis si ritrovò ad accarezzare i capelli di Harry, perso. “Tuo fratello dice una marea di stronzate.”
Non era mai stato uno che le mandava a dire, Harry sorrise stampandogli un bacio sul collo. Si addormentò con le labbra che ancora gli sfioravano la pelle, Louis aveva un profumo intenso, penetrante, di quelli che dopo anni sono ancora in grado di risvegliarti i ricordi.
 
Appena aprì gli occhi la prima cosa che vide fu la schiena nuda di Louis, era di spalle, in piedi, avanti al letto. Per la prima volta Harry notò che tra le sue scapole c’era un tatuaggio, non più grande di cinque centimetri. Dovette aggiustare gli occhi alla luce del mattino per riuscire a mettere a fuoco il disegno, era una rondine. Non lo faceva il tipo da tatuaggi, né quantomeno un tipo da rondini. Louis trafficava con le mani nell’armadio cercando chissà quali vestiti, ed ogni volta che il suo braccio si muoveva, i muscoli che gli fasciavano la schiena si muovevano sotto la sua pelle, Harry era concentrato sul suo corpo canonico e regolare, la linea curva della sua spina dorsale, le spalle larghe, i capelli lunghi appena da sfiorargli la nuca, e l’elastico dei pantaloni del pigiama appena sotto le fossette sulla sua schiena. Avrebbe voluto passare così il resto della giornata, nel letto, ad osservare Louis.
Si avvinghiò alle sue spalle larghe, mordendogli il collo, lo trascinò con sé sopra le coperte ancora in disordine. “Dove stai andando?” bisbigliò contro il suo orecchio.
Louis premette le sue labbra contro quelle di Harry, “al Jack, recupero le chiavi di casa e torno. Puoi aspettare qui se vuoi, altrimenti Niall può portarti al negozio.”
“Quale negozio?” Il più piccolo era genuinamente incuriosito.
“Con cosa credi che la paghi tutta quella roba?” Rise, “lavora in un vecchio negozio di vinili a Covent Garden, mi costa ammetterlo.. ma quando parla di musica: sa quello che dice.
Il viso di Harry si illuminò, si sedette con le gambe incrociate sul letto e guardò Louis implorandolo, “ti prego, ti prego, posso davvero andare con lui?”
“Certo che puoi, ormai ci porta chiunque.” Nascose in quella frase tutte le notti passate con la testa sotto il cuscino perché Niall e la ragazza di turno facevano troppo, troppo, casino. La sua considerazione gli valse uno sguardo interrogativo da parte di Harry, che batté le mani e si alzò dal letto, “vado a prepararmi!” morse un’ultima volta il labbro inferiore di Louis e si diresse verso il bagno.
Il ragazzino non era poi così male, non ricordava da quanto tempo non parlasse della sua famiglia, ma era evidentemente troppo. Il problema con Harry era che aveva smesso di essere un gioco, molto, molto tempo fa. Gli importava di lui più di quanto desse a vedere, più di quanto ammettesse a se stesso, più di quanto le circostanze lo permettessero.
Era abituato alle persone che vanno e vengono, alle occasioni colte al volo, alle strade che si separano; sapeva che nessuno, tra quelli che gli erano stati accanto, sarebbe rimasto fino al giorno dopo. Faceva spallucce e andava avanti, non aveva bisogno di essere legato a qualcuno, sapeva di essere forte abbastanza da farcela da solo.
Tutto finché un ragazzino dall’aria furba non si presentò al Jack, completamente ubriaco, un sorrisino confuso sui denti, e dall’aria impacciata. Giocaci ancora un po’, si ripeteva, perché no? Non si sarebbe fatto male nessuno, o almeno, Louis non si sarebbe di certo fatto male.
Poi lo guardava alzarsi dal letto, due mesi dopo, i capelli ricci ancora in disordine, l’euforia di far parte di una nuova realtà, e lo stesso sorriso confuso sui denti. Una strana sensazione gli stringeva il petto, per la prima volta gli importava di qualcuno che non fosse se stesso. Scelse una t-shirt blu e fece per uscire, passò avanti alla porta del bagno e disse, “dopo il Jack passo da voi, ci vediamo tra qualche ora!”
“Va bene!” sentì la voce di Harry provenire dall’altro lato della porta. Con la coda dell’occhio scorse la figura di Niall ancora sul divano, pronto per un altro giorno di ritardo; divertito, gli si avvicinò, “porta il ragazzino con te,” suggerì, “non dovrebbe crearti problemi, entro qualche ora passo a prenderlo” lo rassicurò.
“Oh Lou, abbiamo adottato un figlio? Non credevo che la nostra relazione sarebbe mai arrivata fino a questo punto, ti amo Lou.” Gli mandò un bacio.
“Avanti, porta con te il ragazzino e non fare storie!” Uscendo, la risata di Louis riempì la stanza.
 
Contava di passare al Jack solo per recuperare le chiavi di casa, ma non aveva previsto l’inconveniente Liam, si sentì i suoi occhi addosso non appena mese piede nel bar, si chiedeva solo che genere di richiesta avesse questa volta. Il ragazzo lo seguì nella stanza addetta allo staff: “Fallo tornare a casa.” Disse.
Louis gli dava le spalle, si girò con un sorriso divertito sulle labbra, “Non puoi stare qui,” inclinò leggermente la testa, “e il ragazzino può fare quello che vuole, se preferisce stare da me è perché gli hai reso la vita impossibile.”
“Ti ricordi almeno il suo nome?” il tono inquisitorio si fece sempre più duro.
Harry può fare quello che vuole, se preferisce stare da me è perché gli hai resto la vita impossibile. Contento?” ostentava sicurezza.
Liam sospirò, quasi arreso, la visiera del cappellino che aveva in testa gli coprì gli occhi. “Nostra madre ci morirebbe se sapesse cosa stai facendo ad Harry.”
Cosa sto facendo ad Harry,” gli fece il verso, “non ti seguo, cosa vorresti dire?” aveva capito benissimo a cosa si riferisse, ma voleva sentirlo uscire dalla sua bocca.
“Lascialo tornare a casa.” Il tono quasi supplichevole.
“Tornerà quando vorrà.” Gli passò accanto e fece per uscire, ma Liam gli bloccò il polso destro e aggiunse, “Harry non è come te, e tu non meriti una persona come lui, non è una persona come le altre, se provi qualcosa per lui, sappi che lui la vive amplificata un milione di volte, non è il ragazzino che lasci deluso una sera e si dimentica di te, ho dovuto crescerlo per diciassette anni, non puoi, non puoi entrare nella sua vita e distruggere tutti i miei sforzi, non hai idea di contro chi e cosa ho dovuto combattere per farlo diventare la persona che è oggi. Lascialo tornare a casa, esci dalla sua vita prima che sia troppo tardi.” Concluse.
Non aveva mai sentito Liam parlare così tanto, e sul momento trovò quel discorso abbastanza patetico. Non si sarebbe mai sognato di mettere bocca sul rapporto che lui aveva con Gemma, anzi, era felice che se la facesse, ne traevano vantaggio entrambi.
Con la superficialità che lo contraddistingueva tirò via il polso dalla sua presa, ma prima di dargli le spalle e chiudere la porta, aggiunse, “Non puoi stare qui, esci.”
Con le mani che ancora gli tremavano dalla rabbia, una volta sulla strada, si portò una sigaretta alle labbra. Liam aveva sferrato un duro colpo contro il suo autocontrollo. Aveva in mente la sua voce quando diceva, non meriti una persona come lui. Chiuse gli occhi e inspirò, e provando a lasciarsi alle spalle quella conversazione si diresse verso la fermata del bus, sperando di trovare una soluzione tra i consigli di Niall.
 
Harry era seduto per terra tra una manciata di vinili, il piccolo negozio finalmente vuoto, la sua voce cantilenante continuava a chiedere informazioni a Niall, “Questo di che anno è? E questo quante copie ha venduto? Non ci credo, questo qui è introvabile! Questo è autografato? Vuoi dirmi che Paul McCartney ha toccato questo stesso vinile? Questa è la sua firma? Sul serio?”
Niall rise, “sì, ragazzino, quella è la firma di Sir Paul McCartney” cacciò dalla tasca dei jeans il portafogli e ne estrasse una vecchia polaroid, “quello accanto a Paul è mio padre”
Harry alzò lo sguardo, confrontando l’uomo nella foto con il viso di Niall, “Cazzo, è davvero tuo padre!”
Entrambi risero, ed Harry tornò tra i vinili impolverati.
Dalla vetrina che dava sulla strada, Niall intravide il profilo di Louis. Dicembre aveva già imbiancato le strade, le vie principali erano già piene di lucine natalizie, e lui se ne stava fuori, senza entrare, il naso arrossato e si riscaldava le mani avanti alla bocca.
Agli occhi di Niall, Louis era sempre stato sulle righe, vagamente egoista, fin troppo sicuro di sé, spavaldo, eppure non era mai stato scorretto, sapeva che il motivo di un carattere tanto duro era la paura di perdere se stesso. Gli aveva raccontato di aver vissuto da solo fin dall’età di sedici anni, e tutto ciò che gli era rimasto era se stesso, se avesse concesso a qualcuno di catturare, e portare via, una parte di sé, sarebbe rimasto senza niente. Abbassò lo sguardo e quella testa piena di ricci catturò la sua attenzione; il modo in cui si guardavano, la loro complicità, gli fecero capire che una piccola parte di Louis, sarebbe sempre rimasta con il ragazzino. I suoi occhi tornarono sulla figura magra e snella del suo coinquilino, a cui fece segno di entrare.
I tre passarono l’intero pomeriggio al negozio, un sorriso costante sulle labbra di Louis, che nascondeva e sotterrava la discussione avvenuta poche ore prima. 









*angolo dello squilibrio mentale,
hello girls, (soffritevi i miei riferimenti a supernatural ugh)
dunque, dunque, volevo dirvi che ho scelto questo titolo non a caso, se piaci al cane sei in famiglia. Il fatto che Harry e Jay (ugh i pastori tedeschi sono la mia razza preferita çwç) vadano d'accordo diciamo che segna l'entrata ufficiale di Harry in casa di Louis e Niall.
La scostante crackship Liam/Gemma mi ammazza lol, e davvero mi dispiace aver fatto passare Liam per lo stronzo della situazione, però avevo assolutamente bisogno di qualcuno che si opponesse ad Harry e Louis, e il lavoro sporco è toccato a lui. (sorry, sigh), il fatto che Gemma sia la sorella di Louis mi confonde tantissimo, ma sinceramente non avevo voglia di creare nuovi personaggi, quindi ho scelto Gemma, anche perchè è tanto carina ç_ç 
vabè la canzone che Louis canta in macchina immagino e spero sia stata riconosciuta da tutti, (inoltre lasciatemi dire che a moment, a love, a dream, a laugh, a kiss, a cry  è anche il titolo di una raccolta di drabble larry che ho iniziato a scrivere ugh)
e ultima cosa, quando Harry guarda Louis di spalle, i miei little-things-feels si sono fatti sentire, e ho deciso che Louis ha delle fossette sulla schiena UGH soffro. 
in caso ci dovessero essere degli errori vi prego di avvisarmi ;w;
adesso tornerò miseramente su tumblr a piangere guardando vecchie gif. 
grazie mille a chi ancora legge e a chi ha recensito i primi capitoli. 

tanto love *
chris -
  
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