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Autore: topstiel    25/10/2013    3 recensioni
[AU, Smith!Dean/Future!Castiel]
Dean odia il suo lavoro e vuole girare il mondo.
Castiel odia la sua vita e vorrebbe studiare le stelle.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Profuma di caffè e lenzuola aggrovigliate;
 

E' quando si sta sbrigando per non tardare in ufficio, il calore del cappuccino con aggiunta di -forse- troppa panna e zucchero che gli scalda la mano, che Gabriel viene fermato da un ragazzo dagli occhi blu e i capelli arruffati. Sta ansimando, le guance arrossate per la corsa, e Gabe lo squadra con un sopracciglio leggermente inarcato. Indossa dei jeans troppo stretti e le maniche della sua felpa sono lunghe abbastanza da far intravedere solo la punta delle dita. Ignora le profonde occhiaie sotto i suoi occhi.
"Sì?" chiede con tono vago, ma udibilmente irritato.

Castiel rialza lo sguardo, una volta fermato si era piegato sulle ginocchia per recuperare fiato, e, accennando un sorriso cordiale, si schiarisce la voce. "Lei lavora qui?" chiede e, vedendo l'altro annuire con un'espressione scettica, aggiunge: "Allora deve per forza conoscere il mio amico. Sa, un angelo tutto lentiggini e occhioni verdi." Mentire è sempre stato il suo forte. Dopotutto, è così che si diventa presidenti.

Le labbra di Gabriel si distendono all'istante in un sorriso divertito. "Amico, uhm." Annuisce, prendendo un breve sorso del suo caffè e spostando il proprio peso dal piede destro a quello sinistro. Fa slittare per un attimo lo sguardo all'edificio in cui lavora, per poi parlare. "Dean Winchester,"
Dean, ripete mentalmente il suo nome, o forse lo mormora, ma ciò non ha importanza, in quanto l'uomo davanti a Castiel ride compiaciuto di sé stesso. "Lo sapevo. Jo mi deve venti dollari."
Castiel aggrotta le sopracciglia, inclinando di poco il capo ad un lato, pronto ad aggiungere qualcosa, ma viene subito interrotto da Gabriel, il quale dà una veloce occhiata al suo orologio. "Senti, ragazzino, non ho tempo. Facciamola veloce: se ti sei svegliato in una camera di un qualche motel con pessima carta da parati da solo, non te la prendere. E' il mondo degli adulti, a volte dopo aver-"

"Voglio solo sapere dov'è il suo ufficio." lo interrompe Castiel, riservandogli un'occhiata sconcertata. Stringe i lembi delle maniche della sua felpa tra le dita e storce le labbra, sentendosi piccolo, inutile e stupido, tutta la sua sicurezza fatta crollare da una risata impertinente. Castiel tende a riempire la credenza del suo appartamento piena di liquori e alchool di tali impacci. Non è un ragazzino. Non è un idiota.

"Ah," dice solo Gabriel e, con un cenno del capo, intima il più giovane a seguirlo dentro l'edificio.
L'interno è luminoso; i pavimenti lindi e le pareti immacolate, le porte sono in vetro, così come l'ascensore, e nemmeno la traccia di un'impronta osa far sfigurare l'intera sala che, attualmente, viene animata dal brusio di cornette che vengono sollevate, da fogli che vengono timbrati e dai tacchi delle perfette segretarie. 

Castiel è un pugno in un occhio. 

Arriccia le dita dei piedi nelle scarpe e ripensa alla nottata precedente. Si sente come una lavagna cancellata male, evidenti tracce di gesso abbandonate a loro stesse, evidenti cocci di un Castiel spezzato giaciono ai suoi stessi piedi. Si scrolla di dosso la sensazione di sporco e smette di essere Castiel. Quindi accenna un sorriso alla propria persona e diventa il colui che conoscono tutti alla Roadhouse; quello con il nome strano che fa gare a chi beve più shot di brandy e gira nell'oscurità seguito dalla luminosa punta rossa di una sigaretta. Quello che si mostra sempre sorridente e malizioso, sicuro di sé perché tutti impazziscono per lui e i suoi metodi di superiorità nei confronti altrui e per i suoi grandi occhi tristi. E' più facile così.

"Sono Gabriel Speight, ad ogni caso." dice infine, dopo avergli spiegato il piano in cui si trova l'ufficio di Dean ed avergli consigliato di non combinare casini con un ghigno, spingendolo amichevolmente verso l'ascensore. 

"Castiel." risponde mentre osserva i tasti e vi fa scorrere sopra le dita, non realmente interessato al suo discorso.
L'altro accenna una risata sarcastica, roteando gli occhi al soffitto mentre si gusta il proprio caffè.

"Solo Castiel?" 

"Solo Castiel."

Ogni mattina, la sveglia di Dean inizia a trillare con insistenza non appena il display segna, con brillanti caratteri rossi, le cinque e trenta del mattino.
Solitamente, allunga una mano verso di essa e la spegne con un grugnito, concedendosi un minuto esatto per realizzare i piani della giornata. Non che ci sia molto da organizzare nella sua monotona vita. I suoi occhi dedicano al soffitto uno sguardo intenso e perso nei pensieri, come quel momento in cui ti esterni da te stesso e ti dimentichi di star facendo una cosa, come ascoltare la musica o lasciare che la tua vita ti scivoli via dalle dita.

Alle cinque e quaranta, il suono dell'acqua che batte contro le porte della doccia si riflette per l'appartamento, e Dean approfitta di diversi minuti per dedicarsi a sé stesso, finendo ansante e con le labbra schiuse, la testa premuta all'indietro contro la parete fredda e umida. La nuova cameriera allo Starbucks è carina. Forse dovrebbe chiederle il suo numero. Anna, gli pare si chiami.

Alle cinque e cinquantadue, Dean scosta le tende dalla finestra che si trova nella cucina, osservando il tempo di fuori mentre attende che il suo primo caffè sia pronto.
Alle sei e quattro, infila pigramente la tazza dentro la lavastoviglie. Se, occasionalmente, mette dentro anche un piattino ricoperto di briciole di crostata, la sua giornata è iniziata nel migliore dei modi.

Sei e sette. Dean si infila una delle tante camice bianche che popolano il suo armadio. A volte, se il pomeriggio precedente è stato occupato, o semplicemente troppo pigro, deve prima curarsi di stirarla. Si annoda perfettamente la cravatta attorno al collo e si infila i pantaloni, concedendosi una lunga occhiata allo specchio, che sfrutta per aggiustarsi i capelli e sorridersi con sicurezza.

Alle sei e ventitré, perfettamente vestito e con la borsa sottomano, mette in moto l'auto. Quando fa troppo freddo, aspetta un minuto per fare in modo che si riscaldi. Quindi accende la radio e, mentre guida verso il centro della città, ascolta, con gli occhi fissi sulla strada, le notizie. Capita ne commenti qualcuna a voce alta, e, nelle giornate dove Dean non si sente Dean, le sue dita cambiano la stazione radio con fare furtivo, ascoltando, per il resto del viaggio, note rock degli anni settanta.
Questo non lo sa nessuno. Perché lui è Dean Smith Winchester, è un uomo serio e la musica disordinata non fa per lui. Quando si concede il lusso di canticchiare assieme a Robert Plant, passa il resto della mattinata a sorridere.

Alle sei e quaranta, la sua tappa fissa è lo Starbucks. Apprezza la calma dell'orario mentre sorseggia un espresso nel suo solito posto che si fa riservare. Recentemente, ora che lavora lì, Anna gli sorride e, quando sta per uscire, lo saluta e gli augura una buona giornata. Dean le fa sempre l'occhiolino e, mentre la porta si chiude, la sente ridacchiare con Ruby.

Arriva davanti al grattacielo dove lavora alle sette e dieci precise. Il ritardo è una cosa che accade ogni mai. Entrando, saluta Jo con un sorriso e, talvolta, Gabriel e Victor gli danno una pacca sulla spalla, attirando la sua attenzione con sorrisi divertiti e "Losechester!" esclamati con scherno. Gabriel si dilunga sempre. Davvero divertente.
I tre amici si dividono, ognuno per il proprio lavoro, ricordandosi di incontrarsi per la pausa pranzo. Capita che Dean passi davanti l'ufficio di suo padre, attirando la sua attenzione con un semplice eppur teso gesto della mano.

Dean esce dal lavoro alle cinque del pomeriggio.
Il resto della sua vita è vuota. Una tazza di tè lasciata a raffreddarsi ed abbandonata a ciò che è: fredda, inutile e indesiderata. 
Ingabbiato dal lavoro, una solenne promessa del suo passato rinchiusa nel garage della palazzina in cui abita.
Pomeriggi fatti di televisione e lunghe chiamate con suo fratello. Qualche uscita occasionale con una segretaria carina, cliché lasciato sospeso per aria dal disinteresse, dal desiderio di qualcosa che Dean non riesce a identificare, eternamente insoddisfatto dalla sua vita e da tutti.

Forse dovrebbe veramente chiedere il numero ad Anna. Gli eventi della notte precedente sono scivolati nel dimenticatoio.

 
La prima reazione di Dean è lasciare cadere a terra la propria borsa.
Il tonfo attira l'attenzione di Castiel, il quale distoglie gli occhi dalla foto che tiene tra le mani, posandolo su Dean. Tiene i talloni sulla scrivania, le gambe incrociate tra di loro, e la suola dei suoi anfibi sono rivolti alla porta; un costante sorriso regna sul suo volto.

Dean apre la bocca, allungando un braccio per indicare Castiel con fare accusatorio, ma si ferma a mezz'aria, deglutendo a vuoto. Si dà una veloce occhiata intorno, quindi chiude la porta dietro di sé e, quando si volta per fronteggiarlo, Castiel è intendo a rigirarsi la cornice tra le dita, facendo scorrere la punta dell'indice sui tratti di uno dei due visi raffigurati nella foto.

"Questo è il mio ufficio." afferma infine Dean, passandosi la lingua sul labbro superiore dopo essersi schiarito la voce. Mantieni la calma. C'è sicuramente un modo per risolvere la faccenda senza fare scenate. C'è solo un pazzo drogato dentro il tuo ufficio.
Si incrocia le braccia al petto. Seriamente? Dean osserva Castiel davanti a sé, inarcando un sopracciglio. Oltre ad avergli messo in disordine i piani della nottata precedente (Quali piani? Sbotta una voce dentro di lui. Guardare Walking Dead e lamentarti di quanto noiosa sia la tua vita senza però farne nulla a riguardo?), si presenta nel suo ufficio dando l'impressione di essere uno stalker maniaco. Oh Dio, e se lo fosse? Dean cerca di ricordare se il suo ufficio disponga di un tasto per chiamare la sicurezza, esattamente come nei film. O se, quel posto di schifo ce l'abbia, uno staff che si cura della sicurezza del luogo.  Calmati.

"L'ho notato," risponde Castiel, riponendo al proprio posto la foto. Sposta i piedi dal tavolo, portandoli sul sedile della sedia girevole in pelle nera (Quella costa, pensa Dean), quindi fa un ampio giro con essa, avvolgendo la stanza con gli occhi. "E scommetto che non hai nemmeno letto metà dei libri presenti qui." termina con un sorriso, stirando le braccia con elasticità felina.

La stanza è piuttosto grande, le pareti ricoperte da librerie colme di libri, una scrivania piazzata nel fondo e, dietro di essa, un'ampia parete a finestra che si affaccia sul centro di Sioux Falls. Vede la vettura di una polizia passare, seguita da un'ambulanza, cosa che vede accadere spesso, e le spalle di Castiel si irrigidiscono al suono delle sirene, abituato a fuggirne. 
Dean, intanto, sta considerando seriamente l'idea di gettargli addosso qualche libro e chiamare qualcuno. 
Non lo fa. Come, la notte precedente, non ha chiamato il 911.

Una cosa che gli è sempre stata tra i pensieri, è la facilità del cambiamento. Come sia facile cambiare un dettaglio della propria vita e ritrovarsi con uno sconosciuto dentro al proprio ufficio, con la possibilità di essere brutalmente uccisi in quell'istante. Quasi divertente come un gioco.
Le enormi possibilità, finali diversi, che si possono raggiungere in un arco temporale che dura, al minimo, dai settanta agli ottanta anni. E Dean immagina: immagina come sarebbe se Mary fosse ancora lì, a tagliargli le croste dei panini e a ricordargli che gli angeli vegliano su di lui. Come sarebbe stato se se ne fosse fregato di ciò che pensa suo padre e avesse lasciato il liceo per lavorare alla Chevy Impala del '67, che ancora dorme impaziente nel suo garage. Se avesse deciso di fare ciò che vuole, girare il mondo e trovare una ragazza frizzante a cui piacciono i tramonti e le passeggiate sulla spaggia.
Dean immagina.

Non ricevendo alcuna risposta, Castiel si passa una mano tra i capelli scuri, finendo per fare l'opposto di ciò che era intenzionato a fare, scompigliandoseli maggiormente. "Mi chiamo Castiel." si presenta, sorridendogli malandrino. "E voglio che tu ti innamori di me."
Marca il voglio con desiderio negli occhi, due fieri oceani blu. 








Note d'autrice.
Sto seriamente cercando di aggiornare una volta a settimana. Ce la posso fare.
Ammetto che, inizialmente, volevo fare questo capitolo più lungo. Però sono una merdina impaziente che vuole aggiornare.
Ringrazio infinitamente le persone che si degnano di leggere questa schifezzuola, you're awesome. 
E se mi lasciate una recensioncina vi regalo un Misha da insultare e amare allo stesso tempo.

Peace out, bitches.
Toppy.
   
 
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