8.
La maschera migliore
Quella all’accampamento era una vita tutto sommato
tranquilla, che scorreva su binari di placida quotidianità.
Hermione e Ginny avevano imparato quasi ad amarla, perché amare ciò
che avevano era l’ultima risorsa di una vita alla deriva. Esonerate dal rischio
delle missioni in quanto ferite – Lupin aveva concesso alla prima una licenza
mai richiesta e mai voluta, Molly aveva impedito alla seconda di mettere piede
fuori dall’accampamento – a loro non rimaneva altro da fare se non impegnarsi
al meglio per rendere efficiente quell’angolo di pace che si erano ritagliati
nel bel mezzo di un bosco dimenticato dal resto del mondo.
Sebbene l’angoscia di sapere i loro compagni impegnati in
pericolosi incarichi fosse maggiore della serenità che, nel bel mezzo della
quiete, riuscivano a raggiungere, non potevano fare a meno di notare quanto di
buono ancora ci fosse in quel loro piccolo universo: una donna Babbana aveva da poco dato alla luce un bel maschietto, e Cho Chang si era innamorata di un
ragazzo che non aveva avuto paura di ammettere che la magia era tanto
spaventosa quanto bellissima.
E mentre raccoglievano legna per il fuoco, individuavano erbe
curative, andavano in cerca di cibo, Ginny e Hermione trovavano persino il tempo di sorridere. Perché
piangevano abbastanza quando i loro compagni tornavano all’accampamento, in
numero sempre minore. Perché piangevano abbastanza, la notte, quando l’assenza
dei loro fidanzati si faceva tanto dolorosa da costringerle a singhiozzare di
paura.
« Credi che stiano bene? » Ginny
aveva osato chiederlo durante una pigra giornata di rara pace. Tutti i membri
dell’Ordine erano al campo, stranamente quieti e per nulla intenzionati a
partire di nuovo. Le notizie che giungevano alle loro orecchie erano sempre
meno, anche se i problemi diventavano più gravi ogni giorno che passava.
« Ne sono sicura » Hermione non la
guardava negli occhi, ma la sua voce era ferma, determinata. Diede una rapida
occhiata intorno e, dopo essersi assicurata che non ci fossero Babbani in giro, agitò la bacchetta. Un allegro fuoco si
accese sotto la pentola di latta che aveva precedentemente riempito d’acqua.
« Come fai ad esserlo? » Ginny le
si avvicinò con la scusa di sistemare le stoviglie in una credenza improvvisata
con qualche trave di legno scheggiata.
« Perché lo sento » L’amica non traballò nemmeno per un
istante: rispose senza esitazione, puntando gli occhi dritti in quelli dell’altra,
sul volto un sorriso incoraggiante. La piccola Weasley
chinò il capo, un’espressione seria sul viso sfigurato.
« Lo senti o lo speri? »
L’acqua nella pentola comincio a bollire. Hermione
mascherò il suo sospiro stanco e impaziente voltandole le spalle, così da
nascondere l’espressione inquieta e amara che le aveva tagliato il viso,
cicatrice molto meno visibile di quella dell’amica, ma più profonda e forse
anche più dolorosa.
« Harry e Ron sanno cavarsela »
disse, mentre versava delle foglie profumate nella pentola. Una delicata
fragranza si levò dall’acqua, sottili fili di fumo a spandere quel gradevole
odore in tutto l’accampamento.
Preparare il tè era una di quelle azioni tanto semplici e
quotidiane, che compierle in quel frangente sembrava strano, anormale. Forse
era per questo che Hermione tremava, mentre poggiava
la grande pentola sul tavolo di legno che troneggiava al centro del campo.
« Anche senza di te? »
Forse, invece, era la perspicacia di Ginny,
la sua capacità di guardarle dentro anche quando lei stessa non era capace di
farlo. Magari era il pensiero dei suoi amici lontani, perduti, dispersi. In
pericolo.
« Io non… » cominciò, gli occhi lucidi e l’espressione
smarrita.
« Li hai perdonati, Hermione? Se » Ginny aveva cominciato con tono concitato, ma fu costretta
a bloccarsi, ingoiare l’amaro boccone che le
era risalito su per l’esofago e farsi forza. Si morse un labbro, tanto
forte da sanguinare, prima di continuare « Quando » disse, e marcò con enfasi quella
congiunzione temporale, perché aveva bisogno di convincersi che era necessario
solo più tempo. Non un’ipotesi, ma una questione di istanti. « Quando
torneranno, potrai dire di averli perdonati? ». Gli occhi di Ginny erano scure luci di una guardia impertinente e ligia
al dovere, del tutto decisa a scovare il ladro che si era infiltrato nel suo
territorio di competenza. Hermione sospirò, prima di
rispondere, fuggendo quello sguardo inquisitorio con fin troppa cura.
« Non hanno niente da farsi perdonare » disse, ma senza
convinzione. L’amica distolse lo sguardo da lei, forse intuendo che non era ciò
di cui aveva bisogno l’altra. Le concesse una breve tregua, ma non si trattenne
dall’esprimere a voce alta il suo pensiero.
« Sai, io posso capirlo. Posso capire Harry per aver lasciato
me qui » C’era amarezza nelle sue
parole, un rancore leggero impregnato di qualcos’altro, qualcosa di molto più
dolce « ma non posso giustificarlo per aver fatto questo a te » Una breve
pausa, poi aggiunse « E nemmeno tu puoi, lo so ».
Hermione
strinse le labbra, trattenendo tra i denti la risposta che l’amica sapeva già.
Continuò a evitare con zelo gli occhi di Ginny,
perché temeva che avrebbe letto dentro i suoi una risposta di cui non aveva bisogno,
dato che la conosceva fin troppo bene. O forse temeva solo che scoprisse
sentimenti che non era ancora pronta ad affrontare, che negava persino a se
stessa perché li riteneva sciocchi, spaventosi, cattivi.
« È lo stesso motivo per cui ha abbandonato te, Ginny. Harry voleva solo proteggerci » Cercò di modulare la
voce, di accordare il suo timbro su accenti bassi e privi di tonalità o
particolari inflessioni. Voleva risultare distaccata, forse persino
indifferente, ma la sfumatura di rancore che assunsero le sue parole – la
stessa che aveva lo sguardo di Ginny – non sfuggì
alla più piccola dei Weasley.
« Non è giusto. Siamo perfettamente in grado di proteggerci
da sole » affermò, per poi chinare lo sguardo con rabbia, come se volesse
prostrarsi a quell’evidenza tanto dolorosa quanto ineluttabile. Quando alzò di
nuovo il capo, lo fece per dire qualcosa: aveva già aperto la bocca, quando il
suo sguardo si indurì improvvisamente.
Hermione si
voltò di scatto seguendo la traiettoria di quell’occhiata priva di gentilezza,
la bacchetta stretta tra le dita e un incantesimo a fior di labbra. Quando
incrociò gli occhi grigi di Draco Malfoy,
severi almeno quanto quelli dell’amica, emise un fioco sospiro di sollievo, che
sorprese persino se stessa.
« Volevo solo un po’ d’acqua » disse il ragazzo a mo’ di
spiegazione, stringendosi nelle spalle con un gesto semplice e in apparenza
casuale. A Hermione, però, non sfuggì il ghigno di
compiacente derisione che gli aveva appena tagliato il viso.
Solo poche ore più tardi, incrociò il suo sguardo nei pressi
del pozzo. Era evidente che lui fosse lì per lei, perché non si allontanava
quasi mai dalle rive del lago, e soprattutto, non per fatiche inutili, non per
faccende Babbane.
Un vento prepotente soffiava sul paesaggio muto. Il silenzio
spettrale e freddo che aveva avvolto l’accampamento quando la nebbia era
scivolata con spesse dita di piombo tra le tende e fra gli alberi aveva
qualcosa di sinistro.
La sua voce risuonò come un fruscio, insinuazione spavalda e
sfrontata che aveva il solo scopo di provocarla.
« E così Potter ha abbandonato le sue amichette, eh?»
Draco Malfoy non aveva mai osato così tanto con lei. Forse
avvertendo un’improvvisa debolezza, una crepa nel cuore che si rifletteva negli
occhi vacui e spenti, come un tremulo accenno di lacrime nel fondo dello
sguardo deciso, si avvicinò più di quanto avesse mai fatto, tanto da sentire il
calore della pelle di Hermione, china verso il fondo
del pozzo.
Lei, dal canto suo, incapace di prestare attenzione a un
particolare futile come quello della vicinanza – incapace di vedere la realtà
delle cose e soprattutto di leggere in quei gesti un desiderio recondito – gli
scoccò un’occhiata tagliente. Ingoiò saliva amara, fremendo di rabbia inconsulta,
mentre lui, con uno sprezzo che rendeva le sue parole ancora più irritanti,
aggiungeva: « Davvero idioti fino alla fine, hanno lasciato qui la loro unica
speranza di salvezza ». Era un sussurro sinuoso e insinuante, che tintinnò
nell’aria insieme alla catena che Hermione teneva tra
le dita malferme.
« Sarebbe un complimento, Malfoy? »
lo provocò velata, incapace di trovare parole pungenti quanto il suo sguardo
infastidito.
« E dov’è andato? » Draco non colse
la provocazione sottile delle sue parole. Con un rapido allungo le fu davanti,
proprio mentre lei issava il secchio sul bordo del pozzo.
« Non sono affari che ti riguardano » Il leggero tremito
delle sue mani fu evidenziato solo dal brivido che percorse la superficie
dell’acqua: piccoli cerchi si allargarono rapidi, dal bordo fino al centro. Un
ghignò si incise sul viso del ragazzo, ma lei finse di non vederlo,
concentrandosi sul suo lavoro.
« Ho toccato un tasto dolente, Granger?
»
Hermione esalò
un sospiro che sembrava più un rantolo sfuggito alle sue labbra per sbaglio.
Gli voltò le spalle, il manico del secchio ben stretto tra le dita piccole e
bianche, le spalle magre e sottili scosse da un tremito piccolo e leggero,
segreto spasmo del cuore.
« Cosa ti aspettavi da Potter? Ha sempre voluto tutta la
gloria per sé, e il suo piccolo amico dai capelli rossi non ha- » Draco non ebbe il tempo né i riflessi. Si ritrovò con la schiena
premuta contro l’ampio tronco di un albero, la bacchetta di Hermione
puntata alla gola e i suoi occhi, una doppia minaccia, a fissarlo come
impazziti. Accanto a lei, il secchio rotolava a destra e sinistra con rantolo
metallico.
Il respiro gli si bloccò in gola, insieme a quello che era
certo fosse il suo cuore, giunto al cervello per vie nascoste e sconosciute e
poi esploso nel petto dopo un balzo dolorosissimo. Draco
osò abbassare gli occhi solo un istante: la bacchetta della ragazza era una
scusa sufficiente. Il suo cuore scoppiò di nuovo, e questa volta gli sfuggì
persino un rantolo disperato, quando si rese conto che le labbra di Hermione erano a una distanza così infinitesimale che
sarebbe bastato un respiro per sigillare il suo desiderio e appagare il suo
bisogno. Sarebbe bastato un niente. E avrebbe anche potuto scambiarlo per un
errore, lei, che si era avvicinata troppo perché lui l’aveva sfidata, e che
voleva a sua volta sfidarlo, e vincerlo, per non cedere alle sue ingiuste
provocazioni, per non permettere alle sue offese, alla sua invidia, di avere il
sopravvento sulla bontà.
Sarebbe stato un battito di ciglia, il nulla dopo la morte,
la cosa più autentica del mondo. Ed era così vero, così possibile, che lui ne
ebbe paura. Il terrore si cristallizzò negli occhi di Draco,
nebulosa sfumatura di grigio che tinse di cenere il suo sguardo spaventato. Hermione osservò il temporale addensarsi dentro le sue
iridi cristalline, e fece un passo indietro.
« Tu non sai niente di Harry » sibilò, scandendo a fatica le
parole. Ogni sillaba era un distillato di rabbia, di amarezza, di rancore, e
lei stessa non era capace di capire da dove venissero quei sentimenti, perché
era certa che non avevano mai abitato dentro di lei. « Né di Ron » aggiunse piano, la voce incrinata da una nota di
collera sfrontata che accompagnava quei nomi da pochi anni a questa parte.
Se ne rese conto solo in quel momento, Hermione,
di quanto l’abbandono dei suoi amici bruciasse ancora dentro di lei. Erano
state necessarie l’amarezza di Ginny e la sincerità
brutale di Draco Malfoy
perché si rendesse conto, con un poderoso ed egoistico moto d’orgoglio, che lui
aveva ragione – che lei era la loro unica speranza di salvezza.
Si pentì immediatamente di quel pensiero arrogante e superbo.
Una sfumatura cremisi le colorò le guance all’improvviso. Chinò il capo proprio
mentre una lacrima le pungeva le palpebre. Si accorse, però, con un certo
stupore, che non aveva voglia di piangere, perché era troppa la rabbia che, in
quel momento, si agitava dentro di lei.
Draco deglutì un amaro
boccone e trasse dei profondi respiri, riprendendo il controllo di sé. La
guardò in silenzio, immaginando i segreti pensieri che le frullavano nella
testa – quasi poteva vederli nella piega delle labbra, nel brillio degli occhi,
nella ruga che le increspava la fronte bianca.
« Ti hanno abbandonata perché sono stupidi e ti credono
inutile » La sottile insinuazione delle sue parole, quel velato complimento che
lei non riuscì a percepire, costò a Draco più di
quanto lei stessa potesse immaginare.
Ti credono inutile
ma non lo sei.
Ti credono inutile
ma si sbagliano.
« Ti sbagli » rispose lei, seguendo il filo dei suoi pensieri
in modo del tutto inconsapevole ed errato. Aveva risalito al contrario il
sentiero di riflessioni che aveva portato Draco Malfoy a formulare quella precisa frase, e come intuendo
una certa sorpresa da parte sua alla risposta appena data, alzò lo sguardo su
di lui.
C’era rabbia, nei suoi occhi. Un tremito lieve la scuoteva da
dentro, eppure non poté fare a meno di vederlo.
Draco Malfoy.
Hermione non
l’aveva mai visto così, senza quel ghigno a deformare i lineamenti stranamente
puliti del viso, solo con uno sguardo limpido, quasi smarrito, a fissarla
dall’alto di un complimento mancato. Era come se, pur stando fermo, stesse
camminando verso di lei, per la prima volta senza maschere, parlandole delle
altre facce indossate fino a quel momento. Era come se, da quell’attimo, ma
senza pensarci, fosse diventato diverso da quel che era un tempo.
Durò solo un istante. Quando Hermione,
perplessa, sbatté le palpebre per convincersi che quella visione era davvero
reale, per trovare un senso a quel nuovo viso che non conosceva, lo trovò
uguale a quello che aveva conosciuto un tempo – il Draco
Malfoy con cui aveva sempre avuto a che fare.
L’impalpabile cambiamento di Draco
fu tutto interiore: le barriere che, senza volerlo e in modo del tutto
inconscio, aveva improvvisamente abbassato, divennero insormontabili barricate
di paura. Il sorriso beffardo che gli increspò il volto era solo un sintomo di
difesa, l’unica arma che conosceva per dissimulare il suo essere. Eppure, una
parte di sé, quella più autentica, rimase affacciata oltre il profilo spento
della sua maschera peggiore.
« Ti senti abbandonata, vero? Ti senti tradita » Un sussurro lieve, stranamente privo di arroganza, che
sulle sue labbra, però, assunse un sapore acre. Hermione
digrignò i denti.
« Non dirmi come mi sento, Malfoy.
Tu non sai niente di me, non sai cosa significa, non sai cosa si prova… » La
voce stridula si ruppe in una lacrima che le scivolò sulla gota.
« Lo so, Granger, perché anche io
sono stato abbandonato » Lo disse con tono piatto e monocorde, Draco Malfoy. Quella confessione
che poteva anche sembrare una supplica, umiliazione mai detta di una colpa non
sua, sembrava più una semplice constatazione distaccata che ciò che era
davvero: l’amara constatazione di un abbandono.
« Tu non hai amici » esalò Hermione
tremando. Lo disse con disgusto, ma non nascose una certa, selvaggia
soddisfazione nell’affermare quella che entrambi sapevano essere la verità. Se
ne sorprese lei stessa, perché non era mai stata cattiva, e quell’irriverenza
non le apparteneva. Era la rabbia a parlare, quel dolore spesso che le scavava
dentro ferite sempre più profonde. La sofferenza dell’abbandono, il terrore
della scoperta – “Sono ancora vivi, Hermione”, lo so,
ma poi lo sapeva davvero o ci sperava soltanto? - l’angoscia di una guerra che
non era più sicura fosse la sua, perché in fondo lei non apparteneva a quel
mondo, non completamente. Erano troppe sensazioni per una persona sola, un peso
troppo greve da sopportare. E allora, mentre Draco Malfoy insinuava, la provocava, la svuotava – ma solo per
riempirla di nuovo, e lei ancora non lo sapeva – quelle emozioni crudeli e selvagge,
desolate e desolanti, si mescolarono ed esplosero, e il risultato fu una
malignità crudele che lei era certa fosse stata richiamata da lui.
Poi, solo dopo qualche istante, solo dopo che lui rispose,
tornò in sé.
« Fa differenza? »
Ed Hermione capì quanta disperazione
ci dovesse essere in quella prigionia senza scampo e senza vie d’uscita. Si
rese conto che la maschera che Draco Malfoy indossava non era la stessa che lui aveva scelto di
portare, ma solo quella che gli altri gli avevano cucito addosso; e che persino
quel suo bisogno di prevaricare gli altri derivava non da un animo cattivo, ma
piuttosto da un insieme di circostanze che l’avevano reso tale.
Divisa tra gratitudine
ed irritazione, Hermione fece un passo verso di lui.
Non era nello stato d’animo di sopportare altre provocazioni, altre offese, e
avrebbe preferito girargli le spalle e andare il più lontano possibile da lui,
eppure, in qualche strano modo, gli era grata. Semplicemente perché era ancora
lì, forse perché le aveva mostrato il prezzo da pagare per una guerra che, ora
lo sapeva con certezza, era anche e soprattutto la sua.
« Anche io sono stato abbandonato » continuò Draco, dopo averla guardata a lungo negli occhi, per
cercare dentro di lei una conferma. « Nessuno dei miei compagni è venuto a
cercarmi. Nessuno » rimarcò, stringendo i denti. La sua voce aveva assunto un
colore cupo e nero, nonostante l’impassibilità dello sguardo « Nemmeno » Soffiò
forte dalle narici, prima di continuare, in un’esternazione di rabbia « nemmeno
mio padre. Solo che per me non è una novità ».
Draco la guardò con
occhi spenti, i pugni chiusi e un’espressione immutabile. Si domandò per quale
motivo avesse confidato proprio a lei quella profonda amarezza, frutto di una
consapevolezza che non era nemmeno sorpresa – perché sapeva già da tempo quale
sarebbe stato il prezzo da pagare per militare tra le fila del male.
Lei, disse una voce nella sua testa. Me stesso, aggiunse lui a fior di labbra, in un mormorio che la
ragazza non poté udire.
« Nemmeno io sono andata a cercarli » disse Hermione, dopo qualche minuto di silenzio, gli occhi
ostinatamente fissi dentro quelli di Draco. Ora,
però, ogni traccia di rabbia era scomparsa; c’era solo tristezza, dentro di
lei, e un accenno leggero di lacrime. Il suo sguardo era acquoso, delicato come
la tenue tinta del cielo dopo un temporale estivo. « Ma non l’ho fatto perché
non m’importa di loro, solo… per proteggerli. Per… » Prese un profondo respiro,
tentando di accettare quella verità, per la prima volta dall’inizio della
guerra.
Harry e Ron non l’avevano mai
abbandonata, avevano solo cercato di proteggerla, perché le volevano bene. Ma
non era questo il motivo della rabbia di Hermione,
perché più che il loro abbandono, ciò che la addolorava era il suo.
Non era mai andata a cercarli. Non aveva mai tentato di
seguirli. E non perché pensava di non poterli trovare – li conosceva abbastanza
da poter prevedere le loro mosse – ma per pura vigliaccheria. Aveva
giustificato se stessa in mille modi, ma non era mai riuscita a perdonarsi.
Ora, però, dentro lo sguardo di Draco,
l’aveva fatto. E l’aveva fatto scoprendo un lato comune con quel nemico di
sempre; capendo che le sue paure erano anche quelle che provava lui. Aveva
cominciato con l’intenzione di consolarlo, e aveva finito per scoprire verità
che forse sapeva, ma che aveva tenuto nascoste a se stessa.
Ecco da cosa nasceva quella sua sensazione prossima alla felicità. Forse
non era poi così debole come aveva sempre creduto; dopotutto, ci si misura
rapportandosi agli altri, non esiste alternativa. E, di quando in quando, in
modo assolutamente involontario, arriva qualcuno e ti insegna qualcosa sul tuo
conto.
Così, non per la prima volta, Hermione
pensò che lei e Draco avevano qualcosa in comune. Non
per la prima volta, Hermione accarezzò, con il timore
di una bambina e la reverenza di un prete, un’idea che gli era balenata in
mente già da prima: che tra loro due ci potesse essere un qualcosa di simile
non tanto all’amicizia, quanto al rispetto reciproco. Un muto rapporto fatto di
elogi nascosti dietro offese e complimenti mutati in insulti. Un sodalizio di
sguardi di nascosto.
Era, in fondo, qualcosa che già c’era ma che Hermione non riusciva a vedere: Draco
che si nascondeva dietro un muro di bugie e indifferenza, e lei che andava a
scovarlo al di là di quell’armatura di freddo distacco, con la grazia di una
donna e la docilità di una bambina. Non se n’era mai resa conto, prima di
allora, e forse nemmeno in quel momento le fu chiaro, ma l’attraeva il mistero
di Draco Malfoy: la
disperazione leggera del suo essere e la contraddizione costante del suo
apparire. Quel tentativo di lasciare fuori il mondo, di
non farsi corrompere e non per paura. Quello schermarsi dietro offese e
parolacce per sentirsi più forte, per prevalere. Quell’arroganza che era solo
facciata, perché il suo bisogno di prevaricare gli altri derivava solo da una
debolezza interiore che lei non sapeva spiegarsi.
Perché Hermione Granger, un po’, segretamente, invidiava Draco Malfoy. D’altronde, si
giustificava, chi, in vita sua, non aveva mai invidiato la fama, la gloria, il
potere, la ricchezza? E, più di ogni altra cosa, la purezza del suo sangue,
quella che a lei mancava e che la faceva sentire straniera in terra natale. Lo
invidiava solo un po’, con l’educato distacco di una bambina che si scopre
ferita dagli insulti di un suo compagno di scuola, ma non osa ribattere perché
sa che ha torto, torto marcio. Solo allora Hermione
si rasserenava, solo quando quel pensiero le attraversava la mente trovava la
pace: capiva di essere superiore a lui perché non aveva bisogno di essere
cattiva per essere migliore.
Quei pensieri per Hermione
erano piante contorte e incolte, germogli neonati; per Draco,
erano l’ennesima foglia di una quercia ormai millenaria.
Draco sapeva già quanto loro si
assomigliassero, e avrebbe solo desiderato una maggiore consapevolezza da parte
della ragazza, o, forse, meno vigliaccheria da parte sua. Aveva intuito già da
tempo quanto, in lui, fosse cambiato: del ragazzino che era stato era rimasto
poco. Forse era stata la guerra, forse la maturità acquisita nel corso degli
anni, o ancora quel sentimento estenuante che drenava, giorno dopo giorno, ogni
sua energia, la lucidità di una vita che non viveva, non completamente. Era
stato un mutamento graduale, forgiato dal dolore e cesellato dalla paura, ma
infine levigato dall’amore per Hermione. Quando
quella presa di coscienza era diventata certezza, Draco
aveva capito, con una sicurezza senza misura, che di lui era rimasto ben poco,
e che avrebbe dovuto indossare altre maschere per nascondere se stesso, facce
diverse che gli avrebbero permesso di sopravvivere in quel mondo che si era
scelto per errore.
Ora, però, nonostante quella ferma
consapevolezza, mentre si specchiava nell’acqua limpida del lago, non riusciva
più a riconoscersi: il riflesso che vedeva non gli apparteneva più, e persino
nei suoi occhi c’era una luce nuova, irriconoscibile persino a se stesso.
Cos’era, Draco
lo capì solo dopo, quand’era già troppo tardi.
***
« Dovresti avvicinarti. Non si fidano di te perché sei così
schivo che… »
« Ma non posso avvicinarmi. Se io… »
« I se e i ma sono la patente dei falliti, Malfoy.
Nella vita si diventa grandi nonostante
»
Già. Nonostante. Nonostante questo amore che
mi dilania l’anima. Nonostante la paura di essere scoperto. Nonostante il
dolore di ogni tuo sguardo.
Draco chinò il capo, ferito dalla durezza delle sue parole. Il suo
volto era illuminato da una luce fioca che ne metteva in risalto la magrezza: i
lineamenti spigolosi erano ombreggiati da drappeggi scuri, come macchie sul
pallore del volto. Nella penombra, i suoi occhi grigi scintillavano come
diamanti grezzi.
« Io non capisco,
perché… »
« Con gli occhi chiusi è difficile vedere » La sua voce era
roca, un sussurro basso ma calibrato, sfumato di un calore che Hermione non gli aveva mai sentito addosso.
Mentre lui poggiava, con inusuale delicatezza, lo sguardo su
di lei, si domandò cosa fosse quel coraggio che improvvisamente si era
affacciato dai suoi occhi. Debolezze? O solo parole sepolte sotto veli di bugie, allusioni
velate che avevano il solo scopo di mostrarle la sua maschera migliore?
Non aveva importanza, se Hermione
lo guardava in quel modo.
***
Quando era arrivato il momento, Draco
aveva pagato il tributo delle sue colpe. Erano arrivati durante la notte, in
silenzio, mentre lui dormiva su un giaciglio improvvisato – foglie secche come
letto e coperte per proteggersi da un freddo troppo interiore per poterlo
scacciare davvero. Erano arrivati come la prima neve dell’inverno, posandosi su
di lui con una delicatezza gelida. Poi, delicati non erano stati, e le sue urla
avevano spezzato la quiete dell’accampamento gettando il panico tra i
sopravvissuti.
L’aveva salvato Hermione, un
cipiglio severo sul volto che si era addolcito solo quando aveva incrociato il
suo sguardo.
Lui l’aveva ringraziata con una gratitudine superba e
irritata, ma che lei seppe riconoscere oltre il velo di diffidenza che, ormai,
sapeva essere solo apparenza.
« Ma cose sei? La regina delle cause perse? La crocerossina
dei cattivi ragazzi? »
« Solo una che crede nelle seconde occasioni »
Draco aveva sbuffato e
aveva chinato il capo. Inconsciamente, i suoi occhi erano caduti
sull’avambraccio sinistro. Accanto al Marchio Nero, cominciava ad allargarsi un
livido giallastro.
« Non ci sono seconde occasioni per me » aveva ammesso con una pacatezza talmente gelida che Hermione aveva dubitato lo credesse davvero.
« Forse perché non ne hai bisogno » aveva risposto lei. Con
un fluido movimento del polso aveva dato un lieve tocco al braccio del giovane:
il livido si era riassorbito all’istante.
« Come? » Draco aveva corrugato la
fronte, confuso. Al di sotto delle sopracciglia biondissime, i suoi occhi grigi
erano smarriti, ma in fondo alla pupilla si era accesa una luce che lei non
aveva saputo interpretare.
« Mi hai salvata. Tre volte. Questo denota già una certa
inclinazione al bene » Hermione gli aveva piantato
addosso due enormi occhi castani, e poi aveva sorriso lievemente. Il cuore di Draco aveva mancato un battito, prima di ricordarsi che
quelle non erano le parole che voleva sentirsi dire. Solo allora, con una
brusca frenata, si era infranto contro un muro di delusione e amarezza.
Hermione parlava
perché non sapeva, e le sue parole, che in un’altra circostanza avrebbero
dovuto indirizzarlo verso un cammino d’espiazione, avevano suscitato invece in Draco un’ilarità del tutto fuori luogo.
***
Hermione non poteva
fare a meno di osservarlo. Era curiosa, lo era da sempre, e lui era una materia
che non poteva studiare sui libri, che nessuno poteva spiegarle: l’animo umano
è incomprensibile, nebuloso come il cielo di quel giorno oscuro.
Ne era attratta come lo era dalla Trasfigurazione, dall’Aritmanzia, dalle Antiche Rune: lo considerava né più e né
meno come una materia da studiare e infine comprendere, per il bene suo e degli
altri – capire come annientarlo così che non potesse più nuocere a nessuno. Non
sapeva ancora che dietro quel bisogno spasmodico di sapere che lei scambiava
per curiosità, c’era qualcosa di più profondo, ormeggiato prima ancora negli
occhi grigi di Draco. Non sapeva ancora, Hermione, che l’amore chiama amore, è una legge inevitabile
dell’universo. E che lei perdeva un pezzo di sé ad ogni sguardo di quel ragazzo.
Draco, invece, aveva
cominciato a capirlo. La sua diffidenza cominciava a trasformarsi in un’audacia
inspiegabile persino a se stesso. La cercava con lo spasmodico bisogno che lo
condannava da sempre; come un naufrago cerca la terra, o come un assetato
l’acqua. Come cerca un cuore a cui manca qualcosa.
Costretto a passare le sue giornate chiuso nei suoi pensieri,
isolato dal resto del mondo, in quell’oasi di pace che l’Ordine aveva creato, Draco aveva avuto modo di mettere ordine nei suoi pensieri
e fare un resoconto della vita che aveva vissuto; questo non era servito a
consegnarlo alla giustizia di una confessione, ma l’aveva aiutato senz’altro a
trovare una quiete che non conosceva da tempo.
Quando gli trascinavano davanti i cadaveri gli bastava
chiudere gli occhi, e immaginare che i singhiozzi non fossero altro che rane
lontane, che il fruscio delle foglie fosse dovuto al vento, che la scia di
sangue fosse solo pozione versata.
Era piacevole trascorrere le giornate in quel modo, senza il
bisogno di menzogne e maschere, senza la necessità di costruire muri tra sé e
il resto del mondo, se non quelli che sentiva il bisogno di erigere, e non
perché rischiava la vita, ma per orgoglio personale.
Era piacevole sapere che i suoi giorni non erano più in
bilico tra vita e morte. Era un’esistenza felice, e, al contrario di ciò che si
sarebbe aspettato, non era vuota, perché lo teneva vivo la speranza, mai
veramente nutrita fino in fondo, che si era accesa dentro di lui.
Era piacevole quella prigionia perché c’era lei, a cui non
importava il suo partito e che lo trascinava ogni giorno più vicino senza che
lui se ne rendesse conto.
Se lo stava domandando proprio in quel momento, Draco, come avesse fatto Hermione
a farlo sedere a tavola con tutti gli altri. Non importava che tra lui e l’uomo
più vicino ci fossero cinque posti di distanza; non quando il sorriso di Hermione era così luminoso.
« Ancora zuppa? » Molly gli rivolse un sorriso cauto e
misurato, che lui ricambiò con un’occhiata carica di disgusto.
« No, faceva schifo » replicò, con un tono così composto ed
educato da suscitare l’ilare sorpresa della donna.
« Voglio vedere se sai fare di meglio tu, con radici secche e
funghi velenosi » borbottò la Signora Weasley
voltandogli le spalle con fare vagamente offeso. Charlie emise un sospiro
spazientito, alzò gli occhi al cielo e poi, con espressione divertita, richiamò
la madre, allungando la ciotola verso di lei.
« Era buona, ma’ » disse incoraggiante. Il viso di Molly si
illuminò di un sorriso materno e soddisfatto. Charlie attese che lei si
voltasse, prima di regalare la sua zuppa alla terra.
***
Era una giornata opaca, fatta di assenze e vuoti colmati con
cumuli di terra sopra ai quali era affissa una croce. Era una giornata di
lacrime e capi chini, di parole banali ed elogi vacui e insignificanti quanto
la rassegnazione di un comandante che tornava da solo, legato a due corpi.
Che Neville era gravemente ferito l’avevano capito dallo
sguardo di Luna, disabitato da qualsiasi emozione. Che Neville era tornato da
solo lo avevano saputo solo dopo, quando Lupin aveva aggiunto altri nomi alla
lista dei dispersi.
Il cielo era di un cupo grigio piombo, e un vento
inarrestabile si consumava nell’aria fredda di un Gennaio senza giustizia. La
frenesia vorace eppure già morta dell’accampamento sembrava presagire un
temporale che le nuvole, però, non promettevano.
Quando Hermione si avvicinò a Draco aveva gli occhi lucidi di pianto, e nello sguardo il
dolore della morte. Lui non ebbe bisogno di guardarla per avvertire la densa
aura di sofferenza che si portava dietro. Forse, non voleva guardarla affatto:
per ricordarla con quell’espressione dura e ardente con cui aveva imparato ad
amarla; o più semplicemente, per evitare che il suo viso, i suoi occhi, le sue
labbra gli facessero cambiare idea. Per impedire che il semplice guardarla lo
distogliesse dalla sua decisione.
Draco non era una
persona altruista, non lo era mai stato, ma sapeva che l’amore aveva poco a che
fare con l’egoismo, e se n’era reso conto qualche ora prima: quando Neville era
entrato nell’accampamento a testa alta, da solo, barcollando. Però, con un
unico obiettivo: cercare gli occhi di Luna. Solo quando li aveva incrociati si
era concesso il lusso di crollare a terra e abbandonarsi al dolore.
Dopo, era stato un mal
di testa fastidioso e roboante, per lui. Le urla e i pianti sembravano non
dover finire mai. Per un intero giorno, tutti non fecero altro che scavare
fossi e versare lacrime.
Draco aveva osservato Hermione, naturalmente, e l’aveva vista improvvisamente più
vecchia di cent’anni, come se portasse
sulla sua schiena il fardello di quelle morti – centinaia di corpi sulla sua
schiena, e la colpa era solo sua, sua e dei suoi compagni.
Improvvisamente, persino la possibilità, remota ma
dolcissima, che lui potesse davvero avere una chance di salvarsi svaporò
nell’aria fredda di quel giorno senza clemenza. Perché lo erano state quelle
morti, ingiuste e senza clemenza, e lo sarebbero state tutte quelle a seguire,
e l’unica cosa che importava a lui era che dentro una di quelle tombe non
venisse calato il corpo di Hermione. Ed era sicuro,
nel suo delirio di onnipotenza, che lui l’avrebbe condotta sotto terra. Forse
aveva ragione, forse non si rendeva conto che Hermione
era invece l’unica che poteva portare lui ben lontano dalla possibilità di
finire sotto terra, ma ancora lungi da una tale consapevolezza e restio ad
accettare i suoi sentimenti, indossò la maschera che preferiva, quella che gli
avevano cucito addosso gli altri e che lui, però, vestiva con maggiore
comodità.
« Vuoi sapere i loro nomi? » Hermione
non lo guardava negli occhi. La sua voce era tremula, sembrava nuotare nelle
lacrime che lei si sforzava di non versare.
« Perché dovrebbero importarmi? » Il tono di Draco era duro e freddo, un sibilo simile a un dardo
pungente.
« Perché sono stati i tuoi a fare questo » Adesso, le parole
di lei avevano assunto una sfumatura di rancore che non riuscì a cancellare
nemmeno la rabbia severa dei suoi occhi. « E perché pensavo che dopo i mesi
passati qui, quelli che sono morti fossero diventati… »
« Cosa? Miei amici? Miei alleati? Granger,
se pensi che io possa passare dalla vostra parte solo perché mi tenete
prigioniero qui dentro… » La collera di Draco, del
tutto ingiustificata, rimbalzò dentro gli occhi vacui di Hermione.
Ogni emozione si era rimpicciolita e spenta, nel suo sguardo, ma quando lui
esplose con una rudezza che spezzò l’inesistente quiete del luogo, lei fu
costretta a voltarsi e confrontarsi con quell’ira sottile.
Per un attimo, Draco pensò che lei
avesse finalmente compreso. Per un attimo, a Draco
sembrò di vedere la consapevolezza espandersi lentamente negli occhi di Hermione. Poi, l’attimo passò, e lei parlò con la dolcezza
di sempre.
« Non hai mai provato a scappare » considerò con tono cauto.
La sua voce era ovattata e quieta, sembrava muoversi adagio, come se stesse
camminando sopra un filo sospeso su un canyon immaginario.
« Lupin ha detto… »
« Lo so cosa ha detto, ma non hai mai nemmeno tentato »
« Tengo alla mia pelle, Granger. Ma
se vuoi che scappi, dimmi pure come si fa » Un ghigno sardonico tagliava a metà
il viso pallido e affilato di Draco.
« Chiunque avrebbe cercato di fuggire. Anche a costo della
vita. Io avrei preferito morire piuttosto che rimanere prigioniera, ma tu… » Hermione non riuscì a finire la frase, perché la voce del
ragazzo sovrastò persino i suoi pensieri, tanto che l’iniziale intuizione
svaporò in una confusione che si nebulizzò negli occhi castani.
« Io ho un certo istinto di autoconservazione, Granger, cosa che a voi, evidentemente, manca » soffiò tra i denti. Con un cenno del capo
indicò i fossati scavati per seppellire i corpi. Aveva sul volto un’espressione
divertita, e questo disgustò Hermione più di ogni
altra cosa. « Vuoi sapere perché non scappo? Cibo gratis e protezione. Magari
riesco persino ad arrivare alla fine della guerra prima che questa massa di Babbani e Sanguesporco mi
contaminino del tutto »
Lo schiaffo arrivò, preciso e potente, sullo zigomo del
ragazzo, con una velocità tale che lui avvertì il dolore prima ancora di vedere
la mano di Hermione partire. Quando aprì gli occhi li
piantò immediatamente sul viso di lei, oltraggiato da quel gesto che aveva
suscitato in lui reazioni impreviste – perché gli bastava il contatto con la
sua pelle, di qualsiasi natura esso fosse, per bruciare d’amore. La
mortificazione e lo strazio che lesse dentro lo sguardo lucido della giovane
strega, però, lo svestì di ogni emozione. Sembrava turbata da quella cattiveria
improvvisa.
« Non sembrava ti dispiacesse tanto parlare con me quando eri
solo » considerò in un sussurro addolorato, la fronte corrugata in
un’espressione ferita.
« Solo. Hai detto bene » sottolineò Draco
con puntuale freddezza.
Hermione chinò
il capo e trasse un respiro profondo. Ebbe bisogno di un’enorme sforzo di
volontà per non piangere lì, davanti a lui: ad arginare le lacrime, era rimasta
solo la sua dignità, ancora più salda di fronte a quelle malignità gratuite.
« D’accordo » disse piano. « Non capisco perché lo fai, ma so
che questa è solo una delle tue facce, Malfoy » I
suoi occhi, trasparenti in un modo che Draco non si
sarebbe mai aspettato, erano lo specchio limpido della sua anima. Attese
qualche istante, prima di voltargli le spalle. Rimase immobile a guardarlo, come
se si aspettasse una replica da parte sua, ma quando questa non giunse, se ne
andò senza fiatare, trascinandosi dietro una scia di sangue invisibile.
Era un gioco stupido, si disse Draco,
ferirla per sentirsi invincibile, per domare la paura e per convincersi di
avere una speranza di salvezza. Forse era il gesto più coraggioso che avesse
mai fatto in vita sua: sacrificare se stesso e il suo amore per la salvezza di Hermione, e fingere che quell’immolazione non gli costasse
ogni singola molecola del suo essere.
Ma era quella la maschera che aveva deciso di indossare. La
migliore, per il bene di Hermione.
Mi
trovate qui: Eloise.