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Autore: esse198    27/10/2013    1 recensioni
"Era la persona più normale che potesse esistere al mondo, quelle poche passioni che aveva, le coltivava in modo molto discreto trattandosi di musica e della lettura di qualche romanzo e di qualche fumetto. Difficile suscitare l’irritazione della gente."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
 
“…la gente che passa ci guarda e prosegue veloce
ci osserva e prosegue veloce
magari saluta, ma sempre prosegue veloce…”
 
D. Silvestri – “L’autostrada”
 


Ecco come si sentiva. Tutto il mondo a guardarla, tutto il mondo a sorriderle, ma forse nemmeno quello, anzi, avrebbe bramato quei sorrisi, falsi sorrisi. Giusto per poter sentire addosso almeno un po’ di simpatia. E tutto il mondo la guardava far niente. Perché in fondo non faceva nulla di eccezionale nella sua vita. Era la persona più normale che potesse esistere al mondo, quelle poche passioni che aveva, le coltivava in modo molto discreto trattandosi di musica e della lettura di qualche romanzo e di qualche fumetto. Difficile suscitare l’irritazione della gente. Eppure si limitava a fare quelle cose quasi in segreto, convinta di essere l’unica ad interessarsi a quegli aspetti della realtà. Unica e sola. Sola interiormente, in quello che provava, in quello che viveva. Era in uno stadio evolutivo in cui si dovevano abbandonare i sogni, le passioni, costruirsi una vita e non pensare a nient’altro, a nessun tipo di distrazione. I sentimenti erano diventati dei divertimenti, qualcosa di superficiale, come ninnoli ad addobbare gli spazi vuoti della vita. E come tali, una volta finita la pausa, bisognava smettere quelle cianfrusaglie e lasciarsele alle spalle. Per paura. Incoscienti sì, ma coi sentimenti profondamente codardi ed eternamente bambini. Anche lei era rimasta bambina e più passava il tempo, più trovava un forte motivo di orgoglio in questo. Vedeva in questo suo essere rimasta infantile, la purezza, qualche sprazzo di ingenuità, anche, purtroppo…, ma non voleva assolutamente perdere il fascino di quei sentimenti, di quegli ideali quali la libertà, la fiducia e l’onestà. Era rimasta profondamente legata a quei ricordi liceali, quando dopo aver vissuto la sua prima scottatura amorosa, una di quelle serie, o almeno concrete, aveva ritrovato il preziosissimo appoggio delle sue amiche. Ed erano state tante le passeggiate sul molo, le scorrazzate per le vie della città, i pranzi, ad immaginare la futura vita universitaria tutte insieme. A condividere ancora molto assieme. E lei c’aveva creduto. Forse più di tutte le altre, e per questo aveva rinunciato a molte libertà, era scesa a parecchi compromessi, si era resa molto disponibile per il benessere delle sue amiche e per la pace comune, ma non era servito a niente. Mano a mano che il tempo passava i vecchi ricordi svanivano e lasciavano amaramente il posto a quelle nuove vicende che facevano calare giù a picco l’asticella di tutti quei bellissimi sentimenti che aveva coltivato per quelle persone a lei così importanti.
Quell’estate il sipario aveva lasciato lo spazio alla verità, alla realtà dei fatti. Aveva aperto gli occhi su parecchie cose, su certi comportamenti e a tutto quello che inconsapevolmente aveva subito. Non erano ingiustizie esagerate, ma di tutto quello che si aspettava non era tornato quasi nulla e così aveva deciso che ne aveva abbastanza di piccoli soprusi che lentamente lenivano il suo animo e tutta la sua fiducia.
Si chiedeva: per cosa?
Cosa ne era tornato, cosa ne aveva guadagnato? Sola era e sola rimaneva.
La solitudine era la cosa che più la impauriva. Il terrore di rimanere sola, di non poter contare più su nessuno, oltre la sua famiglia. Aveva conservato molte cose belle ed era difficile rinunciarvi.
Intendiamoci: aveva coltivato quelle amicizie, quei rapporti con tutta la sua passione, con tutta la sua fiducia, non aveva mai pensato o calcolato un tornaconto, però si sentiva calpestata, nei suoi stessi sentimenti. Sentiva di non meritare quell’indifferenza, quegli abbandoni.
Nel suono rimbombante di quella musica che sembrava far saltare il pavimento e sfondare le casse, seduta ad uno di quei pochi tavoli, occupati disordinatamente da mucchi svariati di ragazzi, buttava giù il suo drink, un cocktail improvvisato al banco dal barman, un po’ forte, ma sostenibile. Stava a guardare la gente attorno a sé, tutta quella confusione di persone, osservava il mondo attorno a sé. In verità cercava qualcuno con cui parlare, ma aveva perso ogni speranza, restò lì a guardarsi ancora intorno, a scuotere la testa e il piede destro al ritmo della musica. E pensava. Pensava a quei sentimenti che aveva maturato di recente, al suo atteggiamento ostile che aveva preso ad usare. Aveva smesso con i sorrisini idioti, aveva smesso con le smancerie, specie se le aveva girate di brutto.
In passato un solo ragazzo riusciva a farle uscire un po’ dei suoi pensieri: era il ragazzo della sua amica, quella con cui fino a poco tempo fa usciva di coppia, ma avevano smesso di uscire tutti assieme e le occasioni di vedersi, di scambiare quattro chiacchiere era svanito. Difficile spiegare cosa avesse, ma ti diceva tutto quello che pensava e ti chiedeva sempre il motivo dei tuoi atteggiamenti, che questi fossero manifestazioni di tristezza o altro. Aveva imparato a intuirla, e avevano anche condiviso certi sentimenti, certe emozioni, per persone diverse, ma noti a tutt’e due. Tra i due vi erano stati frasi, appelli, a volte richieste di aiuto non sempre del tutto raccolte o intuite. Ma erano momenti che Selene adorava. Era stato il suo primo amico e le mancava.
Quante persone le mancavano!
Forse era proprio questa la sua solitudine, l’impossibilità di far tornare le cose com’erano, nonostante ripetuti tentativi, non c’era stato verso di ripristinare i ricordi e farli rivivere nella realtà. Ma in fondo persino grandi filosofi e pensatori l’avevano detto che gli eventi non possono ritornare, nemmeno a far rincontrare i protagonisti di quel momento. Era un luogo perduto, quel luogo dettato dall’evento.
Le mancava quella sua stessa amica, le loro lunghe chiacchierate, i cazzeggiamenti vari, quando fingevano per le strade di Palermo di essere lesbiche camminando abbracciate strette, facendo aderire i corpi nel muoversi, nel camminare.
Le mancava il suo più grande amore. Un amore nemmeno iniziato, ma fortemente vissuto, tra gesti eroici, rifiuti, ripensamenti, ripensamenti e ancora ripensamenti rimasti tutti a vuoto. Ma un mucchio di emozioni. Bastava un “ciao”, un sorriso, e quegli incroci di sguardi erano, banalmente, “attimi eterni”.
- Ehi! Che ci fai qua sola? Perché non vai a ballare? – si era presentato quasi di sorpresa, o di soppiatto e subito a dirle cosa doveva fare. Come in passato.
- Non mi va…
- Mah…
- Ma tu dove ce l’hai la ragazza?
- Mah, qua intorno… la stavo cercando. Tu l’hai vista?
- No.
Si era seduto. Ma non stava cercando la sua ragazza? Quando le avevano passato la notizia era stata prima dubbiosa, non sapeva se crederci, poi molto contenta, ma aveva sperato che fosse una brava ragazza. Quando una sera si videro e lui gliela presentò pensò: “Allora è vero!” e non le piacque molto, forse per la freddezza con cui si era presentata, avrebbe detto ci fosse quasi una certa ostilità, ma perché poi? Lui non era il suo grande amore, com’è facile pensare. Era il quinto membro del gruppo. Una piccola fiamma, bastevole a far scattare la gelosia dell’altro, del Grande Amore, c’erano state battutine, allusioni, provocazioni, raccolte e fatte rimbalzare, ma mai prese sul serio. Un gioco, niente più. E le era piaciuto quel gioco, era stato un modo per distrarsi, per divertirsi, forse per sentirsi viva, per certi versi. Adesso non poteva più permettersi le solite battutine, stava con un’altra e l’altra sembrava un po’ gelosa….
- Allora, che mi racconti? Tutto a posto? – si era limitata a chiedere, solito approccio, per rompere il ghiaccio.
- Sì, tutto a posto. E tu?
Lei rispose come lui e chiusero lì la conversazione. Era passato troppo tempo, si era persa ogni naturalezza. E in quel momento sopraggiungeva l’altro, il Grande Amore. Anche lui chiese cosa facevano, soprattutto si rivolgeva al suo amico e sembrava quasi un rimprovero e doveva esserlo, visto che aggiunse che la sua ragazza lo stava cercando. Allora quello si alzò e svogliatamente andò dalla sua lei. L’altro restò, rimase in piedi a guardarla, a scrutarla.
- Che c’è? – chiese lei.
- Ma perché non vieni a ballare?
- Non mi va.
- Quanto sei minchia!
Era quella la solita espressione per chiudere una discussione, che ci stesse oppure no. Era l’esclamazione per commentare gli atteggiamenti più strani, le risposte più insolite e poteva equivalere a qualcosa tipo: quanto sei strano! Ma in quell’espressione colorita c’era qualcosa che rendeva il concetto molto più chiaro, specie all’interno del contesto in cui era detto, da quei ragazzi, in quelle situazioni. Un po’ come un marchio, o meglio, un tormentone, una parola d’ordine.
Comunque, una volta aver chiuso con quell’esclamazione si rigirò e tornò verso il vivo della festa.
Averli visti dopo tanto tempo le aveva permesso di osservarli attentamente e si accorse che l’Altro era davvero carino, più del suo Grande Amore. Com’era possibile che si fosse innamorata proprio di lui? Non aveva nulla di buono. Scorbutico, lunatico, permaloso e menefreghista. Forse affascinante. Sì, molto probabilmente il fattore fisico prevaleva più di tutto. Ma anche i ricordi, i momenti passati assieme, le frasi sussurrate avevano fatto di lui la persona più importante che avesse. Un pensiero costante, un amore provato quasi inconsapevolmente, come fosse scontato. C’era. Come il battito del cuore, come il respiro. Non se ne rendeva conto, ma se provava a farne a meno si sentiva mancare l’aria. Era un sentimento molto forte. Qualcosa che non aveva mai provato. E aveva bisogno di quel sentimento. Difficile capire se contasse più il sentimento della persona che lo ispirava, ma era certa che non era quello il momento per capirlo. Aspettava la prossima carrozza, quella con dentro l’amore successivo per capire finalmente quanto fosse stato importante il suo Grande Amore.
Le girava la testa.
Era forse tutto quel pensare. Oppure tutto l’alcool che aveva ingerito.
Provò ad alzarsi, ma lentamente ricadde sulla sedia. Lentamente, perché nessuno si accorgesse che forse non riusciva a reggersi in piedi. Possibile che fosse l’alcool? Non aveva bevuto così tanto….
Il ragazzo seduto al suo stesso tavolo fu l’unico a intuire che forse c’era qualcosa che non andava nella ragazza, di fatti esitante si accertò che stesse bene. Selene mentì dicendo che andava tutto bene, ma il ragazzo non le credette e le offrì il suo aiuto. Si alzò e invitò Selene ad alzarsi pure lei. Allora poggiò le mani sul tavolo e si fece forza con le braccia. Una volta in piedi il ragazzo si prodigò a sostenerla. Così tra le braccia di quel ragazzo sconosciuto si avviò fuori dal locale. Il suo Grande Amore e la sua Amica, sopra citata, si accorsero di Selene e di quel ragazzo, si insospettirono e li seguirono.
Trovarono Selene seduta al muretto circostante il locale e adiacente al cancello, con le gambe distese e la schiena stirata alla parte opposta, come stesse prendendo il sole. Tirava profondi respiri, mentre il suo Soccorritore, accanto a lei, le porgeva del caffè.
- Sele, che è successo? – aveva chiesto preoccupata l’Amica.
- Niente, niente, è tutto ok. – rispose e poi rivolgendosi al suo Soccorritore aggiunse: - No, il caffè no, per favore, non voglio vomitare.
- Ma sei ubriaca, ti senti male? – insisteva ancora l’Amica.
- No, niente, sto bene, gira solo un po’ la testa, ma sono lucida.
- Guarda che appena arrivi a casa e ti stendi dai di stomaco. – disse il Soccorritore.
- Che ore sono? – chiese Selene.
- Le 11 e mezzo.
- Allora ho ancora un’ora per smaltire l’alcool. Adesso vado a ballare così smaltisco un po’.
Fece per alzarsi, ma faceva fatica a sostenersi. Cavoli! Come diavolo era arrivata a quei livelli? Non lo sopportava, non le era mai capitato! E non era proprio in vena di fare la stupida, quella sera. E con chi poi? Con il soccorritore sconosciuto? Di certo non con il Grande Amore. No, non era cosa. Tornò a sedersi e con voce sommessa disse: - Grazie ragazzi, ma adesso lasciatemi sola. Per favore.
I tre si guardarono, ognuno per nulla intenzionato a mollarla lì sola. La più decisa a non mollarla era la sua Amica. Chiese agli altri due di allontanarsi, i quali obbedirono.


 
  
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