Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Prof    28/10/2013    5 recensioni
Berthold ha la grazia di mostrarsi più compassionevole nei suoi confronti, lanciandogli un’occhiata piena di misericordiosa pietà, mentre Reiner azzarda un mezzo sorrisetto complice e scintillante, e gli dimostra la sua approvazione levando in alto il pollice. Eren sente distintamente di voler sprofondare inghiottito dalle profondità della terra, lì e adesso. Non vuole nemmeno sapere che cosa cazzo abbia da approvare quel cretino Reiner. Già anche il solo ipotizzarlo lo fa rabbrividire.
Dove Eren impara che non c'è limite alla vergogna che si può provare in pubblico, che è difficile dire di no, e che non c'è limite all'umana crudeltà, specie se finalizzata a fare del - presunto - bene.
[Occulti accenni Rivaille/Eren, se vi va di vederli] [Scritta per Rota ♥]
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren, Jaeger
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note: disperatamente comica, vagamente fluff, OOC per farvi sorridere, senza alcuna pretesa (ma tranquilli, che qui non se ne hanno mai avute). Non dite che non vi ho avvertito. Buona lettura. ♥


Per Rota, con la speranza che possa farla sorridere.
(Caporale, no, non mi odi per quanto sta per leggere!)







L'imbarazzo di un atto gentile







Nessuno ride, per il semplice fatto che nessuno ha intenzione di ritrovarsi a pulire i recessi più oscuri del castello come punizione per aver osato tanto.
Meglio: nessuno sta ridendo in quel preciso momento. Ma appena si sarà allontanato dal Caporale, appena non sarà più alla portata delle sue orecchie e del suo sguardo severo, Eren sa già che orde di sberleffi lo assaliranno senza alcuna pietà, in particolar modo provenienti dai suoi stessi compagni di reggimento. Come biasimarli, del resto?

Impietrito, mentre il Caporale avanza come se nulla fosse tra le truppe intente in elementari mansioni di routine, quasi non respira più, come se trattenendo il fiato potesse farsi invisibile e sfuggire così a quel cammino della vergogna.
Per puro sbaglio, intercetta lo sguardo pieno di genuina curiosità di Connie, incredulo di fronte a quello che sta accadendo; poco più in là, Jean ha la faccia di uno che vorrebbe piegarsi in due dal ridere ma che al contempo ce la sta mettendo tutta per non cedere alla disperata necessità, finendo con il produrre una smorfia orribile su già un viso da prendere a schiaffi. Peggio al peggio.

Berthold ha la grazia di mostrarsi più compassionevole nei suoi confronti, lanciandogli un’occhiata piena di misericordiosa pietà, mentre Reiner azzarda un mezzo sorrisetto complice e scintillante, e gli dimostra la sua approvazione levando in alto il pollice. Eren sente distintamente di voler sprofondare inghiottito dalle viscere della terra, lì e adesso. Non vuole nemmeno sapere che cosa cazzo abbia da approvare quel cretino Reiner. Già anche il solo ipotizzarlo lo fa rabbrividire.

Non parliamo di Ymir, l'eloquente espressione di una intenta nello stendere un elenco infinito di insulti e prese per il culo da appioppargli quella stessa sera in mensa, di fronte a tutti, per il generale sollazzo. Già un paio se li può immaginare: da “cocco del Caporale” a “Principessa sul pisello” fino a degenerare nelle più turpi perversioni quali “A quando il matrimonio?”.

Un secondo brivido lo percorre da capo a piedi, facendolo irrigidire sul posto; si sente le orecchie tanto rosse dall’imbarazzo che ha paura possano essere visibili da lì a un miglio. Abbassa lo sguardo, decidendo che magari soffre di meno se non intercetta le occhiate impiccione dei suoi compagni, puntandolo sullo stemma dell’Armata Ricognitiva ricamato sulla tasca della divisa dello stesso Caporale, pregando che quel supplizio finisca al più presto.

Il Caporale si blocca. In piedi, al centro del cortile. Forse ha intuito il disagio del ragazzo. Forse gli legge direttamente nel pensiero – non si spiega altrimenti il suo puntuale agire al contrario di quello che spera Eren.
Abbassa lo sguardo.
“Eren” lo chiama.

L’interpellato sente distintamente le viscere contrarsi in uno spasmo di pura tensione.
“E-eh?” rantola, al momento dimentico di come si formulano le parole.

“Guardami quando ti parlo”
Pura violenza quella che si infligge ai muscoli del collo per eseguire l’ordine. Deglutisce, e sente di potersi mettere a piangere lì da un momento all’altro da tanto è dispertato. Incrocia lo sguardo del Caporale.
“S-to bene. Posso camminare da sol--“ gnaula, per l'ennesima volta.
“Non credo proprio. Hai la faccia sofferente”

Eren apre bocca ed emette un verso non meglio identificato, una sequela di suoni vocali che finisce nello sfumare in uno silenzio rassegnato e pieno di sconforto. Perché la caviglia non gli fa più male già da un bel pezzo. Perché è da qualcosa come mezz’ora che dice che la caviglia non gli fa male, e che quindi può camminare. Perché se soffre non è colpa della caviglia, diamine, ma per il semplice e terribile fatto che torna al castello, di fronte a tutti, sotto gli occhi di tutti,  in braccio al Caporale Rivaille. In braccio, se non si è ben capito.
Il quale, di fronte alla risposta affatto esauriente del ragazzo, si limita ad alzare un sopracciglio, come se stesse scarrozzando un bimbetto dal facile capriccio, e senza dire altro, senza che nessuno osi anche solo fiatare, prosegue nel suo cammino, come se nulla fosse.

Si arrende Eren, sconfitto; tanto via d’uscita non c’è, e ormai quel che si è visto si è visto. Non gli rimane che sperare che le prese per il culo della sera non siano troppo pesanti. O che non durino troppo a lungo. O che arrivi un'orda di giganti a interrompere la cena; va bene tutto, va davvero bene tutto.

Chiude gli occhi e finalmente rilassa tutti i muscoli, sospirando affranto. La rassegnazione sopravvenuta fa scemare anche un poco l’imbarazzo, donandogli un nuovo stato di quiete. E forse proprio percependo ciò, quell’abbandono spontaneo, che Rivaille rinsalda la presa, rendendo il contatto ancora più stretto di quanto ce ne sia bisogno.
Eren non dice nulla, né si dimostra contrariato in alcun modo, accettando, infine, quella che pare una gentilezza.












   
 
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