Capitolo
Sette: Hellsing
Assassino!
Il
sangue del demone disegnò un cerchio nero
nell’aria
pesante di fumo.
Gilbert
ricaricò velocemente l’archibugio, prima di
conficcarlo nelle fauci spalancate di un altro diavolo e fargli saltare
il
cervello con un colpo.
Assassino!
Estrasse
le sciabole il più rumorosamente possibile, per
soffocare la voce del suo incubo che ancora gli attraversava la memoria.
Assassino!
Era
stato quello strillo nei suoi sogni a farlo svegliare di
soprassalto, quella mattina. Aveva passato una mano sulla fronte
sudata, e
delle dita più piccole e paffute delle sue si erano
appoggiate sul suo braccio.
«Hai
dormito male?» aveva chiesto una vocina infantile.
Gilbert
aveva sorriso, accarezzando i capelli soffici del
bambino rannicchiato al suo fianco.
«Il
tuo meraviglioso fratellone stava solo pensando alla
pesante giornata di lavoro che gli si para davanti» lo aveva
rassicurato, per
poi alzarsi dal letto.
«Ucciderai
i demoni anche oggi?» aveva gorgheggiato il
bambino, sporgendosi dal letto.
«Come
sempre» aveva confermato Gilbert. Aveva afferrato le
sue armi e aveva cominciato la consueta ispezione: sarebbe stato un
vero
problema se si fossero inceppate durante il lavoro.
«Sei
considerato un eroe, per quello che fai?»
L’Hellsing
si era voltato, e non era riuscito a dire la
verità a quegli occhi azzurri che lo guardavano adoranti.
Per il piccolo Ludwig,
il fratellone rappresentava la meta irraggiungibile di perfezione, il
modello
ideale cui ispirarsi. E non poteva far crollare il sogno meraviglioso
che
vedeva nelle iridi cerulee del piccolo.
«Ovviamente!»
aveva riso Gilbert, gonfiando il petto. «Il
tuo fantastico fratello è ammirato, adorato e imitato in
tutta la
Confederazione!»
Il
viso raggiante di Ludwig era stato una ricompensa più che
onorevole per quella bugia. Aveva appoggiato la mano sulla testa del
piccino e
aveva accarezzato la sua chioma soffice.
«Mi
raccomando, chiudi a chiave la porta e non aprire a
nessuno fino a che il tuo meraviglioso fratello non sarà
tornato, d’accordo?»
Assassino!
Si
lodava in quel modo per convincere il piccolo Ludwig che
lui era davvero l’eroe della Galassia. E per ricordare a se
stesso che non
doveva ascoltare le grida di tutte le donnette fuorviate dalle fandonie
delle
famiglie Vaticane.
Un
movimento alla sua destra risvegliò la sua attenzione.
Raggiunse la fonte dello spostamento con un balzo felino, e
ciò che trovò lo
lasciò quasi trasecolato.
Era
convinto che gli abitanti di quel villaggio fossero
tutti morti o fuggiti; invece un giovane tremante e tramortito dal
terrore lo
fissava con occhi allucinati da dietro lo scudo di una porta crollata.
«Tutto
bene, laggiù?» s’informò
Gilbert, sporgendosi verso
di lui.
Il
giovane arretrò strozzandosi con il suo stesso fiato.
L’Hellsing intuì il motivo della sua paura: vedere
il proprio villaggio
distrutto dai demoni per poi trovarsi davanti uno sconosciuto armato e
coperto
di sangue nero doveva essere troppo per la psiche di una persona
normale.
Un’ombra
gigantesca oscurò il sole, e i due si trovarono
immersi in una notte innaturale.
L’Hellsing
torse il collo per scrutare il mostro alle
proprie spalle: un gigantesco Ciclope lo fissava dall’alto,
con un filo di bava
che pendeva dalla bocca disgustosa.
«Per
un ammasso di sporcizia della tua portata una
pallottola non sarebbe sufficiente» calcolò.
«E nemmeno un colpo di sciabola.»
Il
giovane lo fissò sbigottito mentre lo sterminatore
afferrava con la mano sinistra il fermaglio a forma di corvo sul suo
petto.
Punse il pollice con il becco del volatile di metallo, e
lasciò che alcune
gocce stillassero sul suo capo nero.
«Coraggio
Gilbird. È ora di svegliarsi!» chiamò,
lanciando
la spilla in aria.
Il
ghigno dell’Helsing si ampliò a dismisura quando
la
metamorfosi del suo orpello si completò: il ferro da cui era
stato plasmato il
fermaglio si sciolse di sua spontanea volontà, andando a
delineare un’iride di
ebano. Dall’occhio tenebroso si aprì un ventaglio
di piume, che si
moltiplicarono e ingrossarono fino a ricoprire tutto il corpo di un
corvo
mastodontico.
Il
volatile si gettò in picchiata sul Ciclope,
conficcandogli il becco nell’occhio deforme. Il mostro
portò entrambe le mani
al bulbo oculare zampillante sangue, e il corvo sfruttò
quell’occasione per
tempestargli il petto di beccate.
«Distrailo
ancora un po’, Gilbird» lo incitò
Gilbert,
ricaricando l’archibugio. Tracciò uno strano
simbolo con le dita sulla
pallottola, prima di chiudere l’arma e puntarla al cuore del
Ciclope.
Premette
il grilletto, e, come previsto, la magia infusa nel
bossolo funzionò: il proiettile si ingrandì
durante la sua corsa, e si rivestì
di un manto di fiamme violacee prima di infiggersi nello sterno
dell’abominio.
Il Ciclope lanciò un grido aberrante, il petto squarciato da
un enorme foro, le
fiamme di ametista che ancora bruciavano i bordi.
L’Hellsing
non si preoccupò nemmeno di assistere alla caduta
del mostro: aveva visto quello spettacolo così tante volte
che ormai era
diventato noioso. Voltò le spalle al Ciclope morente e si
rivolse al giovane
ancora paralizzato:
«Riesci
a muoverti?»
Il
ragazzo scosse la testa, e indicò con un indice
traballante la porta. Dunque non l’aveva usata come scudo
volontariamente:
l’uscio gli era semplicemente crollato addosso, bloccandogli
una gamba al
terreno.
«Gilbird,
puoi fare qualcosa per questo?» lo interpellò
l’Hellsing.
Il
corvo planò sulla porta e la sbriciolò senza
fatica con
il suo becco d’acciaio, facendo mancare non pochi battiti del
cuore al giovane,
che minacciò di scoppiare di paura quando
l’Hellsing si chinò su di lui e se lo
caricò in spalla come se quasi non avesse peso.
«Sei
originario di questo paese?» domandò Gilbert.
Al
ragazzo occorsero alcuni secondi per recuperare le
parole, sprofondate in fondo ai piedi.
«…no»
sussurrò, flebile.
«Eri
qui in viaggio?» proseguì Gilbert.
«…
non lo so» esalò l’altro.
«Come
fai a non saperlo?» lo incalzò
l’Hellsing.
Il
corpo del ragazzo tremò contro di lui come per un
terremoto interno, e infine il giovane cedette:
«Non
ricordo nulla prima dell’attacco dei demoni.»
«Quindi
non ti ricordi nemmeno da dove vieni. Ah, questo è
un problema.» valutò velocemente le opzioni che si
aprivano sul destino di quel
giovane: sarebbe sicuramente morto, se lo avesse lasciato solo e ferito
su quel
pianeta carbonizzato. Ma non poteva nemmeno riportarlo alla sua
famiglia, poiché
il ragazzo non ricordava dove fosse.
«Gilbird,
riesci a portarci entrambi?»
Il
corvo volò a pochi centimetri dal suolo, permettendo al
padrone di raggiungere la sua schiena con un salto.
«Tra
poco saremo a casa!» manifestò spavaldo
l’Hellsing.
Per
tutto il tempo del volo, il giovane si domandò
angosciato cosa intendesse quell’uomo assurdo per
“casa”: sicuramente si
riferiva a un castello gotico in marmo nero, circondato da lava e
protetto da
draghi sputa fiamme.
La
realtà lo colpì con un’immagine quasi
banale: una
tranquilla baita nel mezzo di una pianura completamente brulla, vicino
all’unico lago rintracciabile nel raggio di chilometri.
Gilbert
smontò dalla cavalcatura alata senza perdere la
presa sul ragazzo arpionato alle sue spalle, e, a un suo fischio, il
gigantesco
corvo ripiegò le piume e chinò la testa,
iniziando il processo di
rimpicciolimento che lo portò in pochi secondi ad assumere
nuovamente la forma
di una spilla di metallo.
Gilbert
la raccolse da terra e, trovandosi con entrambe le
mani occupate, bussò alla porta di casa con la punta di
metallo dello stivale.
Quello
che fece capolino dallo stipite non fu un servo
demoniaco rigurgitato dalle fosse tartaree, ma un bambino biondo
incredibilmente grazioso.
«Questo
signore è Matthew, e sarà nostro ospite per un
po’.
Salutalo, Ludwig» lo presentò Gilbert.
«Salve
signor Matthew» gorgheggiò il piccolo, studiandolo
con gli occhioni cerulei. «È ferito.»
«Ha
una frattura alla tibia e al perone. Mi servono delle
stecche e delle bende» diagnosticò
l’Hellsing.
Il
bambino annuì e trotterellò sul pavimento di
legno fino a
raggiungere una sedia, che posizionò sotto una smisurata
credenza di legno di
ciliegio. Gilbert vigilò su di lui finché non lo
vide scendere dallo scranno
sano e salvo, e barcollare verso i loro con le medicazioni richieste.
«È
sempre così ubbidiente?» si sorprese pacato
Matthew.
«L’ho
cresciuto bene. È un bravo bambino» si
vantò Gilbert,
carezzando la zazzera morbida del piccolo, che arrossì
contento per i
complimenti del fratello maggiore.
Il
giovane si sarebbe potuto commuovere per quel quadretto
familiare, se solo l’Hellsing non fosse stato coperto di
sangue nero e non
avesse tenuto in mano un’inquietante stecca che aveva
intenzione di
conficcargli nella gamba.
«Abbiamo
finito l’anestetico» si rammaricò
Ludwig. «Però
abbiamo della grappa.»
«Bravo.
Vai a prenderla» lo lusingò Gilbert, prima che il
piccolo scalpicciasse in direzione della cantina.
«Siete…
attrezzati» notò con un filo di voce Matthew.
«Siamo
gli unici esseri viventi su questo pianeta, dobbiamo
essere attrezzati» sminuì
l’Hellsing.
«Perché
mi avete presentato come Matthew?»
La
spiegazione di Gilbert fu semplice e pratica.
«Non
hai ricordi precedenti all’attacco dei demoni, quindi
suppongo che tu non ricordi nemmeno il tuo nome. Matthew ti si addice,
hai la
faccia da Matthew.»
Il
giovane non indagò su quali fossero gli attributi di una
“faccia da Matthew”, e permise allo stravagante
uomo di adagiarlo sul letto in
mezzo alla stanza.
Il
bambino ritornò portando con aria trionfale la bottiglia
di alcolico.
Una
mano imbrattata di sangue gli schiaffò
l’imboccatura
sotto il naso, e l’Hellsing consigliò:
«Bevi
più che puoi. E spero che tu non sia uno di quelli che
danno di stomaco durante la sbornia.»
«Lo
spero anche io» si augurò spaventato Matthew,
prima di
accostare le labbra al collo della bottiglia.
Si
era svegliato in mezzo a un parapiglia di demoni e fuoco,
aveva volato su un corvo gigantesco e un bizzarro individuo coperto di
sangue
nero lo esortava a bere fino a perdere i sensi.
Pregò
che, al suo risveglio, il mondo fosse tornato normale
e tutto quello che era successo fino a quel momento si rivelasse essere
un
incoerente incubo.
***
Non
volevo che
lo scoprissi così.
Ma
non volevo
darti ulteriori fastidi.
So
che sei un
uomo generoso, so che ti preoccupi per gli altri.
So
che avresti
sofferto troppo. Per questo ho agito in prima persona.
La
luce del sole mattutino scivolò nella fenditura tra le
palpebre e gli ferì la pupilla, facendolo svegliare con un
mugolio.
La
prima cosa a dolere fu la testa, ancora impantanata nei
fumi dell’alcol. La seconda fu la gamba immobilizzata da
un’intelaiatura di
stecche e bendaggi.
Confuso
dal sonno e dai postumi della sbornia, Matthew si
guardò intorno, e riconobbe con fatica la casa
dell’Hellsing. Quando era
entrato non vi aveva fatto caso, ma l’abitazione era
concentrata in un’unica
grande stanza: nell’angolo a sud era stato incastrato un
esercito di credenze e
un fornello a gas per cucinare, il tutto completato da tavolo e sedie
di legno;
al limitare della cucina si apriva la porta che dava accesso alla
cantina, e
sulla parete limitrofa l’arredamento comprendeva una
libreria, un angolo giochi
per il piccolo Ludwig e il mobile da cui il bambino aveva estratto le
medicazioni. Lungo la parete di fronte alla cucina erano stati
allineati il
letto dell’Hellsing, su cui adesso di trovava, e il giaciglio
più piccolo del
bambino. Poco distante da quest’ultimo, una scala a pioli si
arrampicava allo
sconosciuto piano superiore.
«Ben
svegliato, signor Matthew.»
Il
giovane fece quasi saltare la steccatura alla gamba per lo
spavento: non aveva minimamente notato il piccolo abbarbicato a lato
del letto.
«Bu-buongiorno»
balbettò senza voce.
«Avete
riposato bene?» domandarono i due occhi zaffiro,
l’unica cosa visibile dal bordo del materasso, assieme a una
manina paffuta che
reggeva i suoi occhiali, malamente accomodati dopo lo schianto che li
aveva
scheggiati.
«Sì…
ho dormito bene…» Matthew attorcigliò
il lenzuolo tra
le dita, imbarazzato per la sua richiesta. «Dove…
dove è il bagno?»
«La
latrina è qui fuori» il piccolo indicò
la porta di casa,
esplicativo.
«No,
dovrei lavarmi…»
«Usiamo
il lago.»
Matthew
si convinse che l’alcol che ancora gli circolava in
corpo avesse distorto la reale risposta del piccolo: i flutti di quella
distesa
d’acqua dovevano essere ghiacciati, vista la temperatura
esterna.
«Il
lago» ripeté Ludwig, notando la reticenza del
giovane.
«Il…
lago…»
Le
mani tenere del bambino afferrarono la sua, e lo
strattonarono ostinate finché il giovane non scese dal
letto, pur con le
difficoltà arrecate dalla gamba immobilizzata.
Avanzò
zoppicando e saltellando, appoggiandosi come meglio
poteva al marmocchio, fino a raggiungere la sponda del lago.
Matthew
non riconobbe subito l’uomo seduto sulla sponda,
impegnato a rimuovere l’amo dalla sua preda. Senza
l’uniforme degli Hellsing e
il sangue di demone colato addosso, Gilbert sembrava un uomo normale,
perfino
bello. Le sfumature rosse dei suoi occhi apparivano affascinanti e non
inquietanti, e i capelli d’argento, se baciati dal sole di
ghiaccio di quel
luogo e non dalle fiamme della battaglia, assomigliavano a pacifici
raggi
lunari. La camicia di tessuto pesante e i pantaloni di fustagno
conferivano
un’aria di casalinga rilassatezza al tutto, diradando
l’immagine fosca di
sterminatore. Ma era destino che l’Hellsing non potesse farsi
vedere in
condizioni del tutto comuni: il pesce che aveva appena pescato aveva le
dimensioni di un cucciolo di viverna.
«Guarda
cosa si è procurato il tuo meraviglioso fratello!»
proclamò soddisfatto. «Ci basterà per
almeno tre giorni!»
Matthew
arretrò con il cuore, non potendolo fare con la
gamba malata: l’occhio morto di quel pesce abnorme che lo
fissava gli metteva i
brividi.
«Come
mai siete venuti al lago, voi due?» Gilbert estrasse
finalmente l’amo dalla bocca del dinosauro, lo
ripulì e lo infilò nel tascapane
appeso in vita.
«Dovrei
lavarmi» tentennò Matthew.
«Spogliati,
allora.»
Il
giovane rimase spiazzato e imbarazzato da quell’ordine.
«Spogliarmi?»
«È
il primo passo, se ci si vuole lavare» sottolineò
ovvio
l’Hellsing, per poi rivolgersi al piccolo: «Ludwig,
ti dispiace mettere questo
animale sotto sale?»
Il
bimbo tese le braccia tozze e si caricò il pesce sulla
testa, per poi ondeggiare verso casa.
«Nel
lago vivono… pesci di quelle dimensioni?»
«Sì»
mitragliò Gilbert, senza la minima premura per lo
spavento dell’altro. «Ma non preoccuparti: basta
stare dove l’acqua è bassa, e
non si avvicineranno» portò di nuovo lo sguardo
sul ragazzo e commentò: «Hai
intenzione di farti il bagno con i vestiti?»
Matthew
torse il bordo della camicia con le mani e le parole
con la lingua nel patteggiare:
«Posso…
avere un secchio?»
L’Hellsing
non sbuffò e non protestò, e gli porse il catino
con relativa gentilezza. Matthew fu piacevolmente sorpreso dal trovarvi
dentro
anche il sapone e un panno con cui strofinarsi. Procedette a
spogliarsi,
sebbene rallentato dalla steccatura nel togliersi i pantaloni, ma non
rimosse
la biancheria: anche se voltato di spalle, l’Hellsing non lo
aveva lasciato
solo.
Aveva
appena cominciato a insaponarsi un braccio quando
l’uomo gli chiese a bruciapelo:
«Sai
qual è il mio ruolo?»
«Siete…
l’Hellsing» incespicò Matthew.
«Non ricordi
niente
di te, eppure sai quale sia la mia carica» notò
Gilbert. «Davvero inconsueto.»
«Non
so perché mi ricordi questa…» la lingua
del ragazzo si
pietrificò: l’Hellsing aveva tirato fuori da
chissà quale luogo nascosto un
coltellaccio a serramanico lungo quanto il suo avambraccio.
Gilbert
fece roteare il pugnale nell’aria come un bambino
avrebbe giocato con un areoplanino di carta, e chiese:
«Sai
anche quali voci girino su di me?»
Matthew
si coprì il cuore con l’asciugamano, la sua unica
ed
esigua difesa contro quella lama assassina.
«So
che siete… ricercato…»
Il
giovane si ritrasse sul sasso viscoso, il più lontano
possibile da quel coltello vorticante.
«E
sai anche il motivo?»
«Si
dice che sia la vostra famiglia a richiamare i demoni.»
Matthew
quasi si rovesciò sulla schiena come una tartaruga
quando l’Hellsing arrestò improvvisamente il
pugnale, con un’espressione
furibonda sul viso. Mille scenari raccapriccianti di quel coltellaccio
conficcato nel suo corpo gli si pararono davanti agli occhi, prima che
Gilbert
riprendesse a giocarci, facendolo dondolare sull’indice.
«Una
bugia del Vaticano» decretò infine, tetro.
«Vuoi sapere
la verità?» non attese risposta e
continuò, spedito come una slavina di
montagna: «La mia famiglia ha sempre sterminato i demoni che
minacciavano gli
esseri umani, ma per farlo avevano bisogno di un aiuto. Per questo ci
siamo
specializzati nel combattimento magico e nel richiamo dei famigli, come
Gilbird. Un uomo con armi comuni avrebbe poche speranze contro i mostri
di
ieri, non trovi?»
Matthew
annuì, deglutendo a fatica.
«E
il Vaticano deve aver avuto paura che potessimo rubare i
loro fedeli, o qualcosa del genere. Hanno distrutto il nostro nome e
plagiato
l’opinione pubblica. Hanno fatto credere a tutti che fossimo
noi stessi a
richiamare i demoni e, poiché molte persone ci avevano visto
evocare i nostri
famigli… la paura fa credere a molte idiozie.»
«Ma
vi avranno visto combattere contro i demoni…»
Gilbert
gli indirizzò uno sguardo più tagliente della
lama
che faceva penzolare tra le dita.
«Se
ieri, prima che io ti portassi a casa mia e ti curassi,
ti avessero detto che ero stato io a evocare i diavoli… ci
avresti creduto?»
Matthew
avrebbe voluto rispondere che no, non avrebbe mai
prestato fede a una simile menzogna, ma l’ipocrisia di
quell’affermazione gli
legò la lingua. Lo aveva visto apparire con la divisa nera e
gli occhi
fiammeggianti, i capelli argentei raggrumati di sangue, e lo aveva
visto
evocare una bestia spaventosa come i demoni che lo circondavano. Capiva
perché
la gente spaventata avesse potuto credere a quella versione.
Gilbert
accettò il suo silenzio colpevole senza nemmeno
battere le palpebre, e seguitò, rivolto al coltello:
«Non
mi sorprenderebbe scoprire che sono stati loro ad aprire
i cancelli ai demoni, diciassette anni fa.»
«Ai
demoni…?»
Il
pugnale scivolò tra le dita dell’Helsing, e gli
tracciò i
polpastrelli con una sottile riga scarlatta. Gilbert sfregò
il pollice sulle
ferite, seccato. Quella puntura non era nulla, in confronto ai ricordi
di tanto
tempo prima.
«Potrai
non crederci, ma questo posto, una volta, era un
giardino. Era tutto coperto di erba e boschi, ed era una gioia vederli
cambiare
con il ritmo delle stagioni. E c’erano case,
animali… c’era vita» le iridi
rosse divennero torbide come il lago poco distante, e
l’Hellsing proseguì: «Poi,
diciassette anni fa, un portale si è aperto inspiegabilmente
su questo pianeta.
Orde e orde di demoni si sono rovesciate su di noi. E anche il migliore
sterminatore non può resistere a un attacco di
massa.»
La
punta del pugnale pizzicò l’unghia
dell’Hellsing, e il
suo tono fu marmoreo nel terminare:
«Misteriosamente,
la maggior parte dei demoni non si sono
mai mossi da questo pianeta. Proprio come se fossero stati evocati esattamente per la distruzione di questo
mondo» un sorriso di amaro sarcasmo contorse le labbra
pallide dell’uomo. «Sono
fuggiti solo alcuni gruppi sporadici, come quello di ieri.»
Matthew
inforcò gli occhiali, malamente storti e con una
fastidiosa crepa su tutta la lente destra, e indossò la sua
espressione più
seria nel chiedere:
«Non
avete mai provato a smentire le menzogne del Vaticano?»
«Da
soli non si può fare tanta strada.»
«Da…
soli?»
Le
labbra ruvide di Gilbert si appoggiarono sull’elsa di
legno del pugnale, e le allontanò per rispondere:
«Quel
giorno, ero l’unico a non trovarsi su questo pianeta.
Ero in giro con due miei vecchi amici. E al ritorno, ho scoperto di
essere
l’unico Hellsing rimasto» strinse le nocche sul
pugnale e digrignò i denti nel
dichiarare: «Per cinque anni ho vissuto su un asteroide qui
vicino, e sono
sceso sistematicamente a distruggere i demoni, finché non ho
riconquistato il
pianeta. I miei due amici di cui sopra mi hanno molto
aiutato» un sorriso
appena stemperato di affetto sorse sulle labbra dell’uomo,
per tramontare
subito dopo: «Poi ho costruito questa casa. E dopo ho
cominciato a cacciare i
demoni fuggiti, anche se sapevo che questo avrebbe aggravato
l’immagine pessima
degli Hellsing.»
«Perché
lo avete fatto, allora?»
Il
pugnale ciondolò pigro tra le mani di Gilbert, che
sbottò, malinconico e petulante al contempo:
«Se
non lo faccio io, chi è in grado di farlo? Sono
l’unica
persona all’interno della Confederazione capace di
fronteggiare quei demoni
senza bagnarsi i pantaloni. E poi, non voglio che altra gente torni a
casa sua
e trovi solo macerie fumanti. O che veda il suo pianeta ridotto a una
distesa
brulla. Quindi, anche se mi attirerò le ire del Vaticano,
continuerò a
combattere finché non avrò eliminato anche
l’ultimo demone.»
La
schiuma sul corpo di Matthew si era seccata in una strana
fantasia di mezzelune bianche sulla sua pelle, che il ragazzo rimosse
distrattamente mentre bofonchiava:
«Avete
detto di essere il solo rimasto… quindi Ludwig è
stato adottato?»
«L’ho
creato io.»
L’espressione
vacua di Matthew esigeva spiegazioni, per cui
Gilbert specificò:
«Non
è un essere umano. È un costrutto. La mia magia
è
abbastanza potente da permettermi simili giochetti, una volta nella
vita.
Adesso ha circa sedici anni.»
«Sedici…?»
«Per
una qualche strana ragione, non vuole saperne di
crescere. Ma credo che sia colpa mia: lo vizio così tanto
che si trova più che
bene a fare la parte del bambino.»
La
mente ripescò le immagini del piccolo che si arrampicava
alla ricerca dei medicinali, che accorreva al capezzale con una
bottiglia di
grappa e che barcollava sotto il peso del mastodontico pesce. Non era
sicuro
che l’Hellsing fosse del tutto consapevole del significato
della parola
“viziare”.
Il
pugnale compì un’ultima rotazione
nell’aria, prima di
essere afferrato al volo e riposto in tasca.
«Vado
a tagliare il girino» annunciò, avviandosi verso
casa.
Non
si aspettava che, circa dieci minuti dopo, la porta di
legno sarebbe stata aperta da un’apparizione con gli occhiali
storti e i
capelli fradici, che gonfiò il petto mingherlino in
un’altisonante
dichiarazione d’intenti:
«Qualunque
cosa accada, crederò sempre in voi.»
L’assurdità
di quella situazione raggelò entrambi nelle
rispettive posizioni: Gilbert osservava Matthew, ritenendo che simili
annunci
non avrebbero dovuto essere fatti da persone bagnate, parzialmente
insaponate e
con un paio di lenti pendule che si reggevano sul naso per miracolo
divino;
Matthew fissava Gilbert, in particolare le sue mani ricoperte di
interiora di
pesce e la carcassa sventrata della bestia sul tavolo, chiedendosi
perché
quell’uomo fosse sempre circondato da un alone di
anormalità.
«Se
non ti asciughi in fretta, ti prenderai un malanno» lo
redarguì Gilbert.
«Dico
sul serio. Se anche tutta la Confederazione dovesse
esservi contro, io continuerò a credervi.»
Gilert
appoggiò le budella del cucciolo di viverna sul
tavolo, e si avvicinò al ragazzo con le mani ancora
grondanti di sangue e
liquidi intestinali.
«Ti
ingrazio, Matthew» esclamò, porgendogli una mano
lorda.
Il
giovane cercò di convincersi che le cose viscide e
flaccide che sentiva sotto le sue dita fossero bacche di bosco mentre
ricambiava il gesto dell’Helsing.
«Smettila
di darmi del voi» lo avvertì Gilbert, tornando al
suo posto sul tavolo. «E dobbiamo trovare un rimedio per i
tuoi occhiali.»
Matthew
annuì vigorosamente e corse ad asciugarsi, come
precedentemente consigliato dall’Hellsing.
Non
sarebbe stato d’aiuto durante una battaglia, e sicuramente
il Vaticano non avrebbe ascoltato la difesa di un giovane che non
ricordava
nemmeno la sua provenienza esatta. Ma l’Hellsing sembrava
rincuorato; aveva
scorto il barlume di un sorriso, nei recessi amaranto dei suoi occhi da
sterminatore.
***
Sei
uno
sterminatore di demoni, ma credo che sia giunto il momento in cui le
tue armi
rimangano silenziose.
Ludwig
ti
aiuterà ad accettare il mio tradimento. E spero che un
giorno troverai la forza
di perdonarmi e di guardare di nuovo al domani.
Sono
sicuro che
ce la farai.
Perché,
a questo
mondo, non esiste nessuno più meraviglioso di te.
Da
quel giorno in poi, i ricordi si erano accumulati come
tante fotografie nella memoria dell’Hellsing, avvezza solo
alle lotte da tempo
immemore.
Il
pomeriggio stesso di quel giorno, quando tutti e tre
insieme avevano costruito una buffa imbragatura di stecchi e pelle per
raddrizzare gli occhiali di Matthew, ma nessuno era riuscito a fare
nulla per
la crepa che spaccava la lente destra, e il ragazzo si era rassegnato a
vedere
il mondo diviso a metà.
A
marzo, quando era tornato da una spedizione contro i
demoni, e aveva trovato Matthew e Ludwig affaccendati con il bulbo di
una
pianta ignota; il piccolino era corso da lui agitando le braccia come
un
gabbiano impazzito, strepitando qualcosa su come volessero restituire
al
fratellone il pianeta dei suoi ricordi.
Ad
aprile, quando era tornato con una ferita al braccio, e
Matthew si era occupato di lui insieme a Ludwig. E, durante la
convalescenza,
gli aveva parlato delle ultime due persone che lo avevano visitato,
tanti anni
prima. Uno dei due aveva i capelli più lunghi e il seno
più pronunciato di
quello di Matthew, e quando lui gli aveva chiesto se si trattasse di
una donna,
gli aveva risposto che no, si trattava di un uomo molto grasso. Si era
guadagnato un’occhiata molto peculiare dal giovane e la
risata irrefrenabile
del fratellino minore.
A
maggio, quando avevano approfittato del disgelo per
nuotare nel lago, e Matthew si era spaventato a morte quando
un’alga gli aveva
afferrato la caviglia, credendo che fosse chissà quale
mostro inenarrabile.
A
giugno, quando si era accorto di includere spontaneamente
anche quel ragazzo con gli occhiali sbilenchi nella ristretta cornice
della sua
famiglia. Lo aveva capito una sera, quando aveva visto Matthew dormire
con il
piccolo Ludwig adagiato sulla pancia. Gli era sembrata una scena
tremendamente
perfetta, qualcosa di così innocente da fare quasi male.
Allo
stesso tempo, il giovane si era abituato alla sua
divisa oscura da sterminatore, al colore improbabile dei suoi occhi e
dei suoi
capelli, e al suo carattere che oscillava paurosamente tra il vanesio e
il
magnetico.
Ogni
passo compiuto in direzione dell’altro li aveva portati
a incontrarsi nel discorso di luglio.
«Ho
pensato… che anche se non recupero la memoria… va
bene
lo stesso.»
Gilbert
aveva alzato lo sguardo dal fucile che stava pulendo
per indirizzarlo a Matthew.
«E
se tu avessi una famiglia che ti aspetta?» lo aveva
contraddetto l’uomo.
«Potrebbe
essere morta nell’attacco al villaggio. Non posso
esserne certo. E poi ora… siete voi la mia
famiglia.»
Quell’ultima
frase gli costò un enorme sforzo e tutto il suo
coraggio, per essere pronunciata.
L’archibugio
incontrò il pavimento con un suono legnoso, e
le gambe della sedia stridettero sulle assi quando l’Hellsing
si alzò.
«Hai
scelto una famiglia piuttosto bizzarra… due fratelli e
nessuna donna» considerò Gilbert.
Matthew
aveva scosso la chioma bionda, e perfino i denti
avevano tremato quando aveva buttato fuori a forza:
«Mi
piace stare qui. Adoro Ludwig e... sono innamorato di te»
pronunciò l’ultima frase al doppio della
velocità normale, e rallentò di nuovo
stridendo: «E non mi viene in mente nessun mondo che possa
valere la vostra
perdita.»
Le
braccia dell’Helsing, dure come l’acciaio, gli
strinsero
lo stomaco, e la voce dell’uomo gli lambì i
capelli:
«Resta
con noi, allora.»
Matthew
poggiò una mano sui polsi di Gibert, le cui ossa
ispessite dalle lotte quasi foravano la pelle.
Aveva
capito perché l’Hellsing avesse creato Ludwig.
Completamente solo su un asteroide, a contemplare pieno di rancore il
suo
pianeta mentre veniva fagocitato dai demoni. Lo aveva fatto nascere per
non
soccombere alla solitudine e all’odio: l’affetto di
Ludwig aveva stemperato
quell’isolamento pieno di ombre. Ma ora non c’erano
più demoni su quel pianeta,
e ne erano rimasti pochissimi in giro per la Galassia. Era giusto che
anche
l’Hellsing potesse godersi una vita tranquilla.
«Ehm…
hai capito… quello che ti ho detto prima?»
azzardò Matthew,
quando non poté più sostenere quel silenzio teso.
«Certo
che ho sentito» confermò tranquillo Gilbert,
accentuando l’abbraccio. «E la mia risposta
è stata: “resta con noi”.»
Matthew
si voltò verso di lui, e si scontrò con
l’espressione irrigidita dall’imbarazzo
dell’Helsing. Per quanto fosse forte in
battaglia e spavaldo nella vita quotidiana, si era quasi disabituato ai
rapporti umani: per anni, l’unica persona con cui aveva
parlato era stato il
fratellino minore.
Il
giovane sorrise, appoggiandosi al petto dell’uomo.
Nemmeno
lui ricordava bene come funzionassero i rapporti tra
le persone, ma non c’era fretta. Avevano una vita per
riscoprirlo insieme.
***
Arriva
per tutti
il tempo di svegliarsi, Gilbert.
Il
mio è
arrivato qualche mese fa. Perdonami se ho taciuto.
Ma
anche io
volevo viaggiare insieme a te, volevo vivere insieme a te. E ho voluto,
egoisticamente, che questo sogno durasse il più possibile.
Ho esteso la notte
per non fare mai arrivare il mattino.
Non
odiare i
raggi del sole, quando arriveranno: la colpa è solo mia, che
ti ho tenuto
nell’ombra più del dovuto e ora i tuoi occhi si
sono disabituati alla luce.
Erano
passati altri mesi, e altri ricordi si erano
accumulati.
Gli
abbracci di Gilbert erano come il ferro e i suoi baci
ricordavano una guerra. Avevano impiegato un po’ di tempo a
trovare una
sintonia in modo che le ossa di Matthew non scricchiolassero per le sue
strette
e che la sua bocca potesse muoversi nel bacio senza essere
monopolizzata.
Il
piccolo Ludwig aveva intuito che qualcosa stava
cambiando, ma non dava segno di gelosia infantile; al contrario,
sembrava
contento di aver trovato una persona cui affidare il ruolo di madre,
anche se
era meno femminile di come se l’era immaginata.
Per
fortuna non si era accorto di nulla, la sera in cui
Matthew e Gilbert avevano diviso il letto per la prima volta.
«Aspetta»
bisbigliò Matthew sotto la caverna delle coltri,
preoccupato. «Ludwig…»
«Oh,
quando dorme non lo svegliano nemmeno le cannonate» e
ne diede la prova pratica uscendo con la testa dalle coperte e urlando:
«Ehi,
Ludwig, sei sveglio?»
In
risposta, un ronfare associabile a un orso e non a un
bambino di un metro e venti si levò dal giaciglio del
piccolo.
«L’unico
problema è che non potremo accendere neanche una
candela» mormorò Gilbert, tirando di nuovo le
coperte sopra la testa. «Mi
sarebbe piaciuto vederti meglio.»
Matthew
trattenne il respiro e i battiti del cuore quando le
labbra ruvide dell’Helsing calarono a violare le sue. Si
erano già baciati
altre volte, ma in quel frangente il contatto delle loro bocche
sembrava ancora
più intimo, e Matthew rabbrividì per ogni singolo
sfioramento della lingua del
compagno.
Gilbert
masticò in silenzio qualche imprecazione quando le
sue dita inciamparono sui bottoni della camicia e sulla fibbia della
cintura
del giovane per via di quel maledetto buio. Sopperì alle
momentanee lacune
della vista con il tatto; gli occhi gli permettevano di vedere solo un
bordo
grigio cupo in un oceano nero, mentre la pelle gli restituì
sensazioni molto
più appaganti: appoggiò la guancia a quella del
giovane per poter sentire i
suoi ansiti soffocati mentre le sue dita esploravano il corpo timido
sotto di
lui. I pettorali magri sussultarono e gli addominali si contrassero
quando ne
ripassò i contorni, e il bacino si alzò
istintivamente contro di lui mentre lo
attraversava per arrivare alle natiche del ragazzo.
Una
mano tremante si insinuò nei bordi allargati della sua
camicia, e si interruppe basita non appena venne a contatto con la sua
pelle
frastagliata.
«Non
si esce illesi da una vita di scontri contro i demoni»
sussurrò Gilbert.
Matthew
toccò quel corpo sfregiato senza proferire verbo.
Anche senza l’ausilio delle pupille, le dita furono
più che sufficienti per
fargli comprendere l’entità di quelle cicatrici:
la pelle che lambiva era
increspata così vistosamente che lo spirito di raggrinziva
al pensiero di quali
battaglie avessero portato quelle deturpazioni.
«Non
è proprio… quel che si dice
meraviglioso» screditò
Gilbert, e il suo ghigno amareggiato scintillò pallido nelle
tenebre.
Fu
il turno dell’Hellsing per trasalire quando le labbra del
giovane baciarono quelle cicatrici raggrinzite. Non si limitarono a
sfiorarne
una, ma percorsero tutta la ragnatela di sfregi tratteggiata sul petto
dell’uomo da mille guerre consecutive.
Anche
nell’oscurità, gli fu possibile capire quanto le
gote
del giovane fossero diventate rosse dal calore che emanavano.
Gilbert
gli sollevò il mento per strappargli un altro bacio
prima di farlo stendere sul materasso. Matthew contenne i primi gemiti
premendosi le mani sulla bocca prima che l’Hellsing le
sostituisse con le
proprie labbra. Gilbert sentì le sue guance bagnarsi con le
lacrime del
compagno quando cominciò a spingere in lui, ma le braccia di
Matthew si
strinsero con forza sulla sua schiena quando cercò di
allontanarsi.
Lo
aveva abbracciato a quel modo, quasi avesse paura che
sparisse, ogni volta che avevano condiviso
l’intimità del letto insieme.
Gilbert lo accarezzava sulla schiena, come per rincuorarlo con la sua
presenza:
era lì, era con lui, e non sarebbe fuggito.
Lo
attendeva assieme a Ludwig quando partiva per le sue
crociate contro i demoni, e lo rinfrancava la notte.
«Sei
più agitato, ultimamente» notò una sera
Gilbert, il suo
amante steso su di lui, ancora sudato per l’amplesso.
Matthew
aveva stretto i pugni contro il suo petto,
rannicchiandosi su di lui. Una vocina flebile era risalita fino alle
sue
orecchie:
«Ti
manca solo un demone. Cosa farai, dopo averlo ucciso?»
Gilbert
rovesciò le loro posizioni per trovarsi sopra di lui
nel dichiarare, sicuro di sé:
«Tornerò
qui per vivere con te e Ludwig. Potremo piantare
altri alberi, oltre al bulbo dietro la casa. Magari i prossimi che
coltiveremo
daranno anche frutti» aggiunse, acido, poiché il
seme piantato mesi e mesi
prima non aveva ancora fatto sbocciare nemmeno una foglia.
«Potremo girare per
la Galassia. Antonio potrebbe farci fare qualche viaggio sulla sua
Aereonave,
se glielo chiediamo, e quel perdigiorno di Francis non aspetta altro
che
l’occasione di fare festa…»
Il
buio coprì le lacrime, ma non il suono strangolato del
singhiozzo. Gilbert passò una mano sulla guancia del suo
compagno e la ritirò
bagnata.
«Anche
io vorrei che tutte queste cose si realizzassero»
Matthew si aggrappò a lui, più disperatamente di
quanto non avesse fatto tutte
le volte precedenti. «Ma non è più
possibile, Gilbert.»
«Che
intendi dire? Finché siamo vivi, è ovvio che
è
possibile…»
Un
ricordo improvviso gli sbranò la memoria. E il suo cumulo
di immagini felici ne fu carbonizzato.
«Non
è più possibile…»
ripeté Gilnbert, scostandosi da
Matthew. «Perché tu sei morto, dieci anni
fa.»
Il
ragazzo accese la candela appoggiata sul comodino, e
rischiarò il suo corpo nudo. La luce si incuneò
crudelmente nel buco aperto sul
suo polmone.
«Adesso
ricordi, Gilbert?» la voce tremò come la luce
della
candela, e gli occhi fremettero a loro volta per le lacrime bloccate.
L’Hellsing
portò una mano alla fronte, mentre i ricordi si
accavallavano impietosi.
Quel
giorno in cui era arrivato a casa e non aveva trovato
Matthew, ed era corso a cercarlo, preda di un’inspiegabile
agitazione.
E
lo aveva trovato, ore e ore dopo, un corpo lordato di
sangue abbandonato vicino a un fucile, il suo
fucile, quello con cui aveva ucciso tanti diavoli.
Io
sono l’ultimo
demone rimasto.
Quel
giorno un
diavolo, per sfuggirti, si è incarnato nel corpo di un umano
morente. Per
questo non avevo ricordi del mio passato, ma sapevo esattamente chi
eri.
Possedevo solo i ricordi del demone.
Ma
penso che
nemmeno il diavolo avesse previsto che l’umano si sarebbe
svegliato con una
coscienza nuova, né che si sarebbe innamorato di te.
So
che non
controllerò questo demone per sempre: un giorno si
disfarà di questo corpo e
verrà a tormentarti. Già allo stato attuale delle
cose, a volte faccio fatica a
controllarlo. Non voglio che tu sia costretto a uccidermi, e non voglio
correre
il rischio di ucciderti io. Per questo vado per primo.
Incurante
del sangue, Gilbert aveva sollevato quel cadavere
da terra. La testa del ragazzo aveva ciondolato all’indietro,
priva di forze e
di vita, e gli occhiali, ancora malamente accomodati, erano caduti sul
suolo
duro di gelo.
Ma
sappi
comunque che non dimenticherò mai, nemmeno nella prossima
vita, il tempo che
abbiamo passato insieme. Matthew ha vissuto poco, ma è stato
più felice di
quanto tante persone non lo siano state durante una vita centenaria.
Per
questo ti
saluto con un sorriso, Gilbert.
L’Hellsing
aveva scrollato quelle membra frigide, lo aveva
chiamato, aveva pianto sul suo petto squarciato come se le sue lacrime
potessero sanarlo. Lo aveva stretto finché la sua stessa
camicia non era
diventata rossa, finché il suo cuore non si era prosciugato.
Solo
quando il dolore era deflagrato dentro di lui,
polverizzandogli mente e spirito, Gilbert era riuscito a ruotare gli
occhi
spiritati verso il foglio che giaceva poco lontano, infilato sotto una
pietra.
L’ultima
lettera di Matthew terminava così:
Ti
aspetterò nel
Walhalla, il paradiso degli eroi di cui mi hai tanto parlato. Spero che
mi
faranno entrare, anche se non ho fatto nulla di particolarmente audace
nella
mia breve vita.
Ma
è la mia
unica speranza di incontrarti ancora.
Perché
non
importa quello che diranno gli altri, Gilbert.
Tu
sei, e sarai
per sempre…
«…
il più grande eroe della Galassia.»
La
frase conclusiva fu salata da una lacrima, che rotolò
furtiva sulla guancia dell’Hellsing per poi infrangersi sulle
sue labbra.
La
tristezza avvelenò il sorriso sforzato del giovane, quando
asserì:
«Hai
ricordato.»
Gilbert
non si mosse mentre la realtà intorno a loro
assumeva gradualmente una consistenza nebbiosa fino a svanire
nell’etere. Quasi
non si accorse di essere sospeso nel bel mezzo del bianco assieme al
giovane,
entrambi vestiti come l’ultimo giorno in cui si erano visti.
«Sono
morto anche io?»
Matthew
scosse il capo, sistemandosi sul naso un paio di
occhiali finalmente integri.
«Sei
addormentato. Poco dopo la mia morte, sei stato
catturato dalle forze di Britannia, e sei stato condannato alla
Prigione Caina.»
Le
sopracciglia argentate dell’uomo si incontrarono in un
interrogativo.
«Ma
so che a Caina i prigionieri sono tormentati dagli
incubi…» protestò.
Il
sorriso di Matthew si addolcì in una nuova
luminosità, e
il giovane spiegò:
«Non
gli avrei permesso di farti questo. Non dopo l’inferno
che ti hanno costretto a subire per tanti anni. Pare che il mio
desiderio di
aspettarti e di proteggerti mi abbia in qualche modo legato alla
terra…»
«Non
sei riuscito a raggiungere l’aldilà?»
Matthew
cercò di addobbarsi il viso con l’espressione
più
rassicurante che conosceva, per placare lo sconforto che leggeva negli
occhi
dell’uomo.
«Non
potevo lasciarti solo. Mi sono sostituito ai loro
incubi fasulli, e ti ho fatto rivivere i nostri giorni insieme fino ad
ora» il
giovane mosse la mano come per scostare una tenda e,
all’improvviso, un volto
conosciuto apparve dal nulla.
«Antonio?»
si sbigottì Gilbert.
«È
venuto a salvarti. Insieme ad altre persone che avrai il
piacere di conoscere non appena ti sveglierai» espose Matthew.
«E
quando mi sveglierò?»
«Non
appena lo desidererai per davvero. I tuoi poteri da
Hellsing possono sconfiggere la stregoneria di Caina, con
l’aiuto degli altri.»
Un
silenzio denso come piombo colò tra di loro.
«Quando
mi risveglierò, non potrò vederti mai
più» il tono
di Gilbert ricalcò quello dei Vaticani durante le funzioni
funebri.
Matthew
nascose le lacrime battendo le palpebre e confermò:
«Io
non appartengo più a questo mondo. È tempo che
vada nel
posto che è stato preparato per me.»
Il
giovane allargò le braccia e liberò le lacrime
quando
l’Hellsing lo strinse in un abbraccio poderoso.
«Non
importa se non sarà il paradiso degli eroi» la
voce di
Gilbert risuonò dura come l’acciaio: era la sua
ultima difesa contro il pianto.
«In qualunque posto ti troverai, aspettami. Quando la mia
vita avrà termine, ti
raggiungerò.»
Le
mani di Matthew si strinsero sulle sue spalle, mentre la
fronte sfregava sulla sua divisa in un assenso disperato.
«Nel
frattempo, non invaghirti di altri uomini. Anche se è
impossibile che tu possa trovare qualcuno meraviglioso come
me.»
Una
risata gli solleticò il petto. La baldanza di Gilbert
era un punto fermo come la Stella Polare per i marinai. E Matthew fu
grato di
avere un elemento fisso che gli ricordasse quella che era stata la sua
casa.
L’Hellsing
sentì il corpo del suo amante scomporsi tra le
sue braccia, avvertì una corda legarsi al suo cuore e
strattonarlo verso la
terra. Sollevò velocemente il viso del suo compagno per
unire le loro labbra
un’ultima volta, prima dell’estremo saluto.
E
in quel bacio entrambi rividero una tundra inospitale, un
lago la cui acqua era così ghiacciata da essere quasi
tagliente, e una casa in
cui una strana famiglia aveva trascorso un tempo bizzarro e felice come
il
sogno di un ubriaco…
Ti
aspetterò,
Gilbert.
Ti
aspetterò per
sempre
***
Si
risvegliò con le spalle ancora incastrate nel ghiaccio e una
fortissima emanazione di calore di fronte a sé. I suoi
capelli e i suoi vestiti
erano incollati al viso e al corpo dalla cascata di ghiaccio sciolto
che si era
riversata su di lui.
Non
sapeva a chi dovesse la sua parziale libertà, ma lo
avrebbe ringraziato in seguito.
Strinse
le mani un paio di volte a vuoto, prima di
concentrare la sua energia in esse e fare forza per uscire da quel
globo
gelido.
Il
ghiaccio intorno a lui scricchiolò e crepitò
orribilmente, mentre il potere dell’Hellsing lo faceva a
pezzi senza alcuna
pietà.
Si
scrollò le gocce artiche dagli occhi appena in tempo per
valutare la distanza dal suolo, e ammortizzare con le ginocchia
l’impatto con
il pavimento.
Udì
il proprio respiro grattare l’immobilità attonita
calata
tutto intorno. La cascata polare continuava imperterrita dai suoi
capelli
fradici. Gilbert fu grato a quei rivoli gelidi: le sue lacrime, anche
se più
salate, più calde e più sofferenti, si sarebbero
ben amalgamante a quelle gocce
indifferenti.
Scostò
la frangia grondante dal viso, e i suoi occhi
scarlatti si aprirono di nuovo sul mondo reale, dopo tanti anni di
sopore.
Il
ghigno che la Confederazione considerava maligno e che i
suoi amici ritenevano semplicemente tipico di quell’uomo
stravagante solcò le
labbra dell’Hellsing, ancora violacee per il freddo.
La
voce, raschiata dal gelo di quel luogo, risuonò comunque
forte e chiara nell’annuncio di Gilbert:
«Ehilà,
gentaglia. Il più grande eroe della Galassia è
tornato.»
E bentornato, eroe della Galassia<3
Ho aggiornato con un giorno di ritardo ç_ç Chiedo scusa, ma alcuni impegni mi hanno impedito di aggiornare ieri .-.
Piccola comunicazione: causa Lucca Comics e laurea in spaventosa concomitanza, temo che dovrò saltare l’aggiornamento della settimana prossima, e posticipare quello della successiva al 13 novembre ç_ç
Vi chiedo scusa .-.
Per farmi perdonare, vi do un piccolo anticipo: nel prossimo capitolo… Spamano. Spamano senza pietà 8D
Al 13 novembre<3
Red
P.S. Come sempre, il banner è di Cla<3 Se riconoscete le immagini, avvisatemi e metterò i credits<3