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Autore: LiamJPayne92    29/10/2013    3 recensioni
2 Persone diverse, incontrate per caso, la stessa storia, lo stesso destino.
Entrambi sono connessi.
Tutto è collegato.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Gli promisi che un giorno sarei tornato da lui.
Quel giorno purtroppo arrivato ancora non è, e non so se mai arriverà…”


Tutto iniziò quando sull’isola arrivò quella scialuppa trainata dalle onde mosse in tempesta.
I granelli di sabbia gelidi come piccoli pezzi di ghiaccio si infilavano tra le mie dita, il cielo era cupo, nuvoloso, nessun raggio di luce trapelava tra le nubi.
Mi avvicinai all’ imbarcazione, facendo molta attenzione a non pestare con i piedi le piccole conchiglie trasportate dalla corrente, e notai che vi era un bambino addormentato avvolto tra numerose lenzuola lacerate.
Ero piccolo allora, non avevo neanche 8 anni, e cercai disperatamente aiuto,gridando con tutto il mio fiato per farmi sentire da qualche isolano di passaggio.
Nessuno rispose alle mie urla.
All’improvviso il bambino avvolto nelle lenzuola aprì gli occhi, arruffò i capelli con le dita delle mani e alzò gli occhi incrociando il suo sguardo con il mio.
Era un bambino più o meno della mia età o poco più, dai capelli neri come la notte, splendidi occhi castano scuro come la terra incendiata , ed i vestiti di cotone che indossava erano strappati in molti punti.
Cercò di alzarsi con fatica aggrappandosi per il piccolo ramo su cui era issata una vela dilaniata, ma cadde inesorabile privo di forze tra le mie braccia.
Cercai di togliermi i vestiti che avevo addosso, coprii il suo gracile corpo e continuai a chiamare soccorso alternando a sistemargli i vestiti in modo da non farlo congelare dalla brezza marina.
All’improvviso vidi le luci di una lanterna in lontananza.
Il bagliore fioco della fiamma si faceva sempre più intenso fino a rivelare una sagoma famigliare:
Era una donna dai lunghi capelli castani, di costituzione magra, gli occhi verdi come l’erba estiva, vestita con un lungo abito di seta bianca con un nastro ceruleo legato in vita.
Era Anne, conoscente dei miei genitori e madre di un mio amico.
“Liam, cosa ci fai in spiaggia con questa tempesta in atto? I tuoi genitori saranno preoccupati!” disse la donna con voce preoccupata.
“Anne, è arrivata questa zattera trascinata dalle onde e-e ho visto che c’era un bambino tra le lenzuola…” le risposi preoccupato e in preda alle lacrime.
Anne sfiorò la fronte del bambino che sostenevo tra le braccia per poi prenderlo tra le sue.
“Ha la fronte caldissima…E’ meglio se lo portiamo a casa e ci prendiamo cura di lui.
Chiamerò i tuoi genitori e gli dirò dell’accaduto…” disse per poi alzarsi e dirigersi verso la sua abitazione.
Corremmo lungo la spiaggia dalla gelida sabbia con tutte le nostre forze, attraversammo le desolate vie della foresta di palme per poi rifugiarci dentro la piccola casa di legno dove vivevano Anne e Harry, il figlio.
“Harry, prendi subito dei vestiti dal tuo armadio e portarmeli il prima possibile, intanto tu Liam vai a prendere qualcosa dalla dispensa. E’ denutrito.” Disse Anne appena varcata la soglia della porta.
Harry, il figlio di Anne, era uno dei miei più grandi amici d’infanzia insieme a Louis e Niall.
Bambino anch’esso della mia stessa età, leggermente più basso di me di statura e di costituzione magra.
Aveva folti capelli castani raccolti in piccoli riccioli, occhi chiari come la madre e un sorriso sempre sul volto, molto ammirato dalle bambine dell’isola.
Mente Harry corse in camera sua in cerca di vestiti asciutti e di una coperta, corsi in cucina a prendere qualcosa da mangiare dalla dispensa nel frattempo che Anne coricava il bambino naufrago sul divano di casa sua.
La giovane donna levò con velocità i vestiti impregnati dall’acqua e dalla salsedine, lo asciugò accuratamente e in seguito gli mise alcuni vestiti che Harry gli aveva portato con fretta.
Lo coprì con una coperta spessa e pesante ed in fine gli lasciò del cibo in una ciotolina vicino al divano, nel caso gli fosse venuta fame durante la notte.
Era una ciotolina in porcellana di piccole dimensioni con all’interno un mandarino e una fetta di pane, uniche cose che trovai nella dispensa in preda all’agitazione del momento.
Anne prese nel frattempo il telefono, chiamò i miei genitori per informarli dell’accaduto e gli disse che sarei rimasto a dormire da lei per la notte che stava per giungere.
“Stà bene? Si riprenderà?” Le chiesi preoccupato senza togliere lo sguardo dal corpo del giovane coricato sul divano in stoffa rossa.
“Ho paura per lui Anne.” Le presi bruscamente  la vestaglia in seta con la mano destra in preda alle lacrime.
“Prima o poi si sentirà meglio, ora andate a dormire che si è fatto decisamente tardi.” Rispose Anne con tono rassicurante.
Si alzo dalla posizione accovacciata cui era la donna, mi prese in braccio ed insieme ad Harry ci accompagnò in camera, ci mise a letto, rimboccandoci scrupolosamente le coperte ed in fine ci diede un bacio sulla fronte ad entrambi prima di socchiudere la porta della stanza.
Quella notte mentre giacevo nel letto a dormire insieme ad Harry sentii il bisogno di assicurarmi che il bambino dai capelli corvini stesse bene.
Scesi dal letto, aprii la porta della camera e uscii senza fare rumore, socchiusi la porta e percorsi le scale con in mano una semplice copertina in tessuto.
Mi appostai vicino al divano dove il ragazzino giaceva addormentato e mi accovacciai sul pavimento con addosso la coperta sulle spalle.
Il tempo passava e la preoccupazione saliva.
Vedere questo povero essere in condizioni critiche era un vero e proprio colpo al cuore.
All’improvviso il bambino aprì gli occhi, si voltò verso di me e mi sorrise.
Presi dalla piccola ciotola nei pressi del divano un piccolo pezzo di pane e glielo porsi mostrando un lieve sorriso.
Allungò la piccola mano destra per prendere il pezzo di pane ma risultava titubante nell’afferrarlo.
“Prendilo pure” Gli dissi sorridente “l’ho preso apposta per te, e se vuoi ce né abbastanza per entrambi”.
Il bambino prese il pane delle mie mani, se lo portò alla bocca e iniziò a masticare voracemente.
“Zayn.” Disse il bambino.
“Zayn?” gli risposi incuriosito, piegando il capo da una parte, mentre cercavo di capire cosa intendesse dire.
“Il-il mio nome…Zayn.” Mi rispose con la bocca piena di pane.
“Oh…io mi chiamo Liam. Ma se vuoi puoi chiamarmi Lee, come fanno i miei amici.” Gli risposi con tono dolce.
“Io non sono tuo amico.” Mi rispose bruscamente con tono aggressivo.
“Però possiamo sempre diventarli.” Affermai con decisione pur mantenendo un tono pacato.
“Forse.” Mi contesto per poi girarsi dall’altra parte volgendo lo sguardo verso il tessuto del divano.
Decisi di rimanere a dormire accanto al divano per fare compagnia a Zayn, di conseguenza mi sdraiai sul tappeto del salotto per poi coprirmi con la copertina che mi ero portato appresso.
“Come ha fatto ad arrivare qui? Chi è costui? Diventeremo mai amici?”.
Queste le domande che mi affioravano per la mente quella gelida notte, mentre il vento soffiava fuori dalle finestre e  i rumori della tempesta andavano pian piano svanendo.
Fu una delle notti più strane della mia vita.


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Ciao,
finalmente sei arrivato/a alla fine del primo capitolo di "Connected.", la mia primissima FF.
Che ne pensi della vicenda? E dei personaggi?
Se hai voglia, mandami una tua recensione con i tuoi punti di vista e io sarò ben contento di risponderti.
Buon proseguimento.
Con affetto,
LiamJPayne92.
  
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