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Autore: Julia_Fred Weasley    29/10/2013    3 recensioni
Questa storia parla di una band musicale che mi sono inventata io, i personaggi principali sono Alex, Will, Simon e Sophie, ma io mi centrerò di più su Alex e Will, che hanno avuto un' infanzia difficile, il primo a innamorarsi dell'altraè Will che però non fa capire con esattezza l'amore che prova per Alex, quest'ultima il leader della band crede che serve qualcosa di nuovo, quel qualcosa che serve per dare un tocco in più alla band ed è qui che entra in scena Stephen, un ragazzo sicuro di sè, che sa di essere bello soltanto perchè è biondo, alto e ha occhi azzurri, ma in realtà lui è veramente bello e vuole far parte di questa band, il ragazzo comincia a conoscere Alex e quindi la corteggia anche se lei si irrita facilmente, però...
Genere: Comico, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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I WAS BORN, I HAVE LIVED, I WILL SURELY DIE

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 Will era seduto, sull’erba aspettando che Alex si facesse viva. Si trovava a Central Park. In una parte desolata del parco, dove la maggior parte delle persone si teneva lontano perché era nascosta. Intorno a lui, gli alberi lo torreggiavano. Era da ore che si rigirava un filo d’erba e dopo un po’ lo spezzava. Uno dopo l’altro, dopo l’altro. Era ancora frustato per quello che era successo.
Si era convinto che dopo la morte della mamma, suo padre non avrebbe avuto nessun’altra, figuriamoci la segretaria. Will non sapeva neanche com’era sua madre, non aveva neanche vissuto metà della sua vita con lei. Non aveva avuto neanche l’occasione di litigare con lei. Una di quelle litigate da adolescenti, per essere rientrato tardi, per essersi fatto trovare ubriaco oppure di essere uscito fuori di casa per un concerto imperdibile. Voleva tanto sapere cosa si provava anche se molti ragazzi della sua età non lo vorrebbero.
E infine gli era toccato un padre non presente. Le uniche volte che aveva passato del tempo con suo padre, era alle partite dei Lakers oppure alle partite dei Mets. E già, portandolo a delle partite di pallacanestro e baseball, suo padre non aveva capito niente di Will. A lui, non piaceva lo sport. Di nessun tipo. Ma Will faceva finta di tifare, si infilava anche la maglietta della squadra, portandosi dietro una mano di gomma, come sopra scritto #1. Ma non funzionava, suo padre era vicino a lui, ma era sempre incollato al display dell’IPhone. Chiamava, gli arrivavano messaggi e Dio sa, che altro ancora.
Ma Will faceva di tutto per farsi notare da suo padre. Ma poi ha capito che se la doveva cavare da solo. Era iniziato il liceo, è l’unica cosa che il padre gli disse, era di studiare, di avere voti alti e di fare domanda  a una buona università. Non sapeva neanche che aveva preso delle lezioni di chitarra e che le pagasse con i soldi del padre, prendendoli di nascosto.
Era strano di come Arthur non notasse niente. Will, si poteva definire quasi un secchione, ma studiare non gli piaceva molto. Lo faceva solo per lui, forse vedendo voti alti, l’avrebbe notato e gli avrebbe dedicato uno dei suoi :”Bravo, campione!”. Come faceva quando aveva otto anni. Ma nella vita di suo padre, Will sembrava non farne parte. Forse, era un miracolo che lo riconosceva oppure sapeva che abitava insieme a lui. E questa situazione, lo fece chiudere in se stesso.
Non era un normale adolescente. Si distingueva subito dalla massa, rimanendo sempre in disparte e non considerando nessuno. Forse molte ragazze, lo mangiavano con gli occhi a scuola, per questo suo atteggiamento, ma lui non ci faceva caso. Era chiuso nel suo mondo. E l’unica persona che lo riportava in vita era Alex. Non poteva crederci, credere di stare con lei. Era l’unica cosa che lo rendesse felice, dopo tanto tempo.
Se ci fosse stata sua madre, forse le avrebbe chiesto come si fa a capire che quello che stava provando era amore vero. Poi pensò come sua madre potesse aver sposato Arthur, chi si sposerebbe un uomo che è totalmente assente dalla tua vita?. Forse, suo padre era così distaccato con lui a causa dell’incidente di sua madre, forse…
- Oh, sei qui? – Alex interruppe i suoi pensieri. Quando Will la vide arrivare verso di lui, tutto gli sembrò sbagliato. Stare con lei, suo padre… la band. Ma soprattutto stare con lei. Come se tutto quello che era successo fosse un madornale errore, solo adesso se ne rendeva conto. Ma voleva aspettare, forse non era come credeva. Alex si sedette affianco a lui, a gambe incrociate e poi con naturalezza gli baciò le labbra. Lui rimase lì, senza neanche muovere ciglio, facendola fare. Poi chiuse gli occhi e quell’errore svanì. Prendendole il viso tra le mani. – Di cosa volevi parlarmi? – gli domandò. Lui boccheggiò per un secondo poi pensò al centro di tutta quella storia. Suo padre.
- Mio padre… ho visto che si scopava Biddy. – Alex lo guardò alzando le sopracciglia, quasi scettica.
- La segretaria? – lui annuì – e… poi? Cosa è successo? Avete parlato?
- No, me ne sono andato.
- Come tuo solito – Alex alzò gli occhi al cielo – da quando lo sai?
- È successo prima della festa di Jennifer. – Alex rimase in silenzio, cosa poteva fare?
- Beh, forse adesso è felice. – tentò di dire. Will la guardò puntando gli occhi sui suoi.
-  Io non lo sono, nessuno può sostituire mia madre… anche se non la conoscevo appieno. I genitori single, devono rimanere single, no? – lo disse con espressione un po’ disgustata e ad Alex scappò un sorriso – E poi quella Biddy – ma che razza di nome è?! – non mi piace per niente, è così stronza!
- E che ne sai, tu non la conosci appieno e poi vi siete visti solo quando eri piccolo.
- Ma da che parte stai?! – Will alzò un angolo delle labbra.
- Senti, vediamola in questo modo: tu hai tuo padre e forse starai per avere anche una seconda madre – Will sbuffò – invece io sono sola, Will. Non ho né una madre né un padre, non so da dove vengo e ho cinque fratelli insopportabili più la madre adottiva col cancro. Chi è messo meglio? Will, rispondimi, chi? – man mano che elencava quelle stragi Alex non si accorse di aver alzato la voce. E forse qualche lacrima le era anche uscita, scivolandole giù, fino al collo.
- Sì, hai ragione, hai ragione – annuì colpevolizzandosi per quello che aveva detto. Si sentì in colpa per aver sputato quelle parole e mentre lei piangeva le sue braccia la circondarono facendole affondare il suo viso nel suo petto. Poi Alex se le asciugò subito col dorso della mano, odiava che gli altri la vedessero piangere anche se si trattava del suo migliore amico.
- Parlaci, Will… parla con tua padre. – disse, poi si alzò e Will la guardò asciugarsi col polso l’umidità sul viso. Lo lasciò lì, da solo, pensando che l’aveva chiamata per una stupidaggine, per una cosa che forse avrebbe potuto risolvere benissimo da solo. Ma aveva chiamato lei, lei che non sapeva neanche che fare della sua vita in quel momento. Con problemi più grandi di lei. Che la calpestavano, non lasciandola respirare e con poco tempo a disposizione nel trovare tutte le risposte. Forse era fregata, se lo ripeteva in continuazione. Forse sembrava l’unica volta in cui si sentiva veramente sconfitta, ma non riusciva a dirlo ad alta voce. Altrimenti pensava che si sarebbe avverato.

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Andò al capannone, l’unico luogo che forse poteva guarire i suoi pensieri messi in disordine nella sua testa. Avrebbe tanto voluto che i pensieri venissero catalogati, messi in uno schedario, e poi eliminati man mano che venivano risolti con successo. Ma cose del genere non succedevano neanche nei videogiochi. Will le aveva fatto crollare di nuovo tutto, forse era così felice che stesse con lei che neanche aveva pensato a quello che invece a lei succedeva, oppure voleva solo un consiglio di un’amica, ma… non doveva fare altro che parlare.
Alex, al suo posto l’avrebbe fatto, lei andava sempre al punto. Si fermò sulla soglia del mondo che lei aveva creato e si appoggiò alla porta scorrevole, avrebbe tanto voluto gridare, un grido frustrato, arrabbiato, stanco, liberatorio. E c’era vicino nel farlo se una sinfonia non l’avesse interrotta dalle sue azioni. Ascoltandola le sembrò più liberatoria del suo grido, un seguirsi di note ad un ritmo ragionevole ma allo stesso tempo veloce che andava man mano a crescere.
Una musica al piano, che non aveva mai ascoltato e che non era proprio adatta alla persona che lei supponeva stesse suonando. Più l’ascoltava e più l’impulso di chiudere gli occhi e di ondeggiare la testa come se fosse trasportata dal vento si faceva forte. E si stupì di come solo quel tocco di dita su dei tasti per lei anonimi le facesse scorrere brividi per tutto il corpo, facendola sentire viva e provocandole il fiatone come se avesse fatto una corsa disperata verso la sua casa appiccata dal fuoco.
Poi quell’idilliaca atmosfera si interruppe quando la sinfonia si trasformò in suoni frustrati che colpivano senza nessuna emozione, schiacciando tasti a caso, come se quel qualcuno se la stesse prendendo col piano perché non era riuscito a produrre il suono giusto, ma forse non era così. Le labbra prima dischiuse di Alex, si chiusero diventando una linea e sperò che il sangue non le uscisse dalle labbra dopo che le avrebbe liberate.
Aprì la porta del capannone con un solo strattone e la luce del sole faceva un perfetto disegno della sua ombra sul pavimento che copriva anche il ragazzo della meravigliosa sinfonia.
Con i gomiti appoggiati sul suo strumento e una mano a mantenergli la fronte, stanco e con delle borse a contornargli gli occhi. Quest’ultimi lucidi e rossi. Diede una sbirciata alla ragazza che si affiancò a lui per poi alzare un angolo delle labbra e fare un sorriso di scherno.
- Che c’è? Sei qui per dirne altre delle tue? – rise, una risata calda e tenue. In realtà Alex non seppe cosa dire in quel momento. Che l’era piaciuto come aveva suonato? Come mai era in quelle condizioni? E soprattutto perché non l’ha ancora insultata? Non aveva mai sentito suonare Stephen, da solista. Non credeva che potesse essere così bravo, e si sbagliava di grosso.
Chi pensava che quelle mani che avevano toccato chissà quali e quante parti del corpo femminile, potevano essere così gentili con dei tasti neri e bianchi. Guardò prima il piano, come se fosse dispiaciuta che Stephen l’avesse trattato così e poi il suo proprietario. Che appena Alex mosse un passo si alzò dalla sedia e andò al centro della stanza dandole le spalle, con ancora una bottiglia di birra in mano. Che forse gli sarebbe caduta da un momento all’altro data la sua instabilità nel fare qualsiasi cosa.
- Io… - l’unica cosa che riuscì a dire. Ed entrambi si stupirono della sua insicurezza.
- Oh, mi sorprende che non abbia nient’altro da dire. – rise ancora porgendosi alle labbra la bocca della bottiglia. In quel momento Alex si sentì imbarazzata cercando di pensare a qualcosa di sensato di cui parlare, ma non seppe perché quell’impressione di Stephen la stupiva e l’ammaliava allo stesso tempo, rendendola incapace di fare qualsiasi cosa. Passò un altro po’ di tempo prima che riprese parola – Sai perché amo così tanto il pianoforte? – disse, solo adesso Alex notò la voce da ubriaco che si sforzava di celare – Come vedi i tasti sono di due colori, quello bianco… lo identifico come una vita normale. Poi ci sono i tasti neri e come puoi vedere sono anche di meno a quelli bianchi, come se stessero a indicare un numero minore della vita opposta, la mia. Sono sempre stato uno dei tasti neri, fin da piccolo. Perché mai all’improvviso la mia vita si dovrebbe trasformare in un tasto bianco, è inutile! Ah! E sai una cosa… sul piano non ci sono tasti grigi. – Rise, finalmente girandosi verso di lei, con gli occhi più lucidi di quanto lo erano prima, fece un altro sorso, sembrava mantenersi meno eretto di prima.
- Cos’è successo? – fece Alex, con voce ferma e espressione attenta. Come se stesse cercando di risolvere un problema di matematica. Ma Stephen era uno di quei problemi ma che alla fine, come risultato ti riportava un numero con una sola cifra.
- E perché dovrei dirtelo a te! Che non sai neanche come risolvere la tua, di vita! – lei alzò le sopracciglia, in un’espressione di scherno.
- Sembra che oggi devo risolvere anche quelli degli altri – rispose. Stephen si guardò intorno, beffardo. Quando era ubriaco sembrava più sfacciato del solito. Le diede di nuovo le spalle, facendo mostrare ad Alex le scapole che si intravedevano dalla maglietta bianca. Si passò la mano nei capelli e fece un sospiro pesante, come se volesse liberarsi di un peso enorme solo soffiando un po’ d’aria. Ringraziò di aver bevuto quasi tutta la notte così che gli occhi lucidi non fossero causa di qualcos’altro.
- Mio padre, ieri era tornato tardi. A casa non lo trovo mai e non ho la minima idea di cosa stia facendo. Sembra più ubriaco del solito, quando torna, almeno quelle poche volte che lo vedo. Ieri notte, ho sentito qualcuno bussare, alla porta… era mio padre. Dovevi vederlo, quanto aveva paura, dietro di lui c’era la polizia, lo stavano seguendo da un bel po’. E poi vengono a dirmi che è in arresto perché si è fatto beccare mentre vendeva droga, capisci! E secondo te, chi è che dovrà pagare la cauzione?! – Alex rimase lì ad ascoltare, a braccia conserte a qualche passo da lui.
Non lo guardava con pietà, ma come un ragazzo a cui avevano tolto la giovinezza. Che aveva troppe cose di cui liberarsi. Che faceva tanto il duro ma che in realtà non sapeva neanche da dove iniziare. Forse era lui quello più fragile, non Will. Alex si sentì in dovere di fare qualcosa, qualcosa che non risultasse stupido ma che sarebbe almeno riuscito a farlo ragionare.
Strinse le labbra, facendosi coraggio di intervenire. Ma lui scoppiò in una risata isterica, che Alex conosceva benissimo. Perché lei era la prima ad abusarne. I frammenti della bottiglia volarono quasi in tutta la stanza, dopo che Stephen la buttò con furia a terra. Parlare con lui, Alex l’aveva sempre considerato un’impresa, non sapeva mai come reagire con lui, o cosa dire.
Trovava difficile comunicargli, ed era anche la prima persona che le faceva provare una cosa del genere. Si guardò attorno e sul piano trovò un IPod, suppose che fosse il suo. Lo prese e poi andò sicura dietro di lui, che le teneva ancora le spalle. Poteva toccarlo benissimo col suo corpo da quanto era vicino, ma l’unica cosa che fece fu quella di sussurrargli all’orecchio.
- Il Pianoforte non è l’unica valvola di sfogo, sai? – lui si girò, sentendosi stranamente a disagio per quella scena.
- Che intendi dire? – disse dubbioso, anche se la sua espressione non lo constatava.
- Il rock! Sì, è con quello che ti puoi sfogare, non dirmi che su questo tuo bellissimo IPod non c’è niente di questo genere?! O per te, è così di basso livello come noi? – forse quello fu l’unico momento di quella giornata che Alex sentì un briciolo di divertimento dentro di sé. Lui sbuffò alzando gli occhi al cielo e mostrando un sorriso, uno di quelli che riservava ai primi giorni di scuola.
- Da qua! – lo strappò dalle mani di Alex e andò a sedersi sul letto, scelse la canzone e alla fine si sdraiò mostrando una cruda naturalezza, come se niente fosse successo. – Cos’è? Non vuoi vedere la mia brillante compilation rock?! – lei rise e andò a tuffarsi sul letto vicino a lui, prendendo una cuffietta e sentendo i primi assoli di chitarra. Alzò le sopracciglia sbigottita, guardando Stephen e poi il soffitto, ripetendo poi un’altra volta lo scambio di sguardi.
- Ti piacciono gli Young Guns?! – esclamò scettica. – Tu? – ripeté.
- E allora?! – scosse la testa – Sorpresa?! – lei aprì la bocca non sapendo che dire, ancora doveva capacitarsene. Da amante del piano, a quello del punk. Chi capiva quel ragazzo, era bravo. Restarono in silenzio, a contemplare il soffitto mentre nelle loro orecchie riecheggiava la canzone Interlude. Alex aveva un braccio piegato, vicino alla sua tempia mentre con un solo movimento dell’altra poteva benissimo toccare quella di Stephen.
I sospiri erano lievi, e anche pieni di tensione. Che si poteva tagliare con un coltello. Era la prima volta che Alex si sentì impotente con una persona, a sentirsi così inadeguata e a pensare così tanto a quello che doveva dire.
Riuscire a capire Stephen era come trovare una cura per Jenn. Prima l’odiava, le rispondeva a tono, poi le diceva tutto fregandosene di quello che lei poteva pensare o dire, a meno che lei ci sarebbe riuscita. E restare con lui, in quel modo le sembrò una cosa surreale, che mai avrebbe pensato che potesse accadere. Si girò, lievemente, a guardare il suo viso, stava ancora guardando il soffitto.
Aveva ancora gli occhi lucidi e rossi e forse neanche pensava che lei lo stesse guardando, e infatti una lacrima limpida e pura coprì la sua tempia, nascondendosi il più presto tra le pieghe della coperta. Cercando di far riassumere a Stephen la sua reputazione, ma che purtroppo era riuscita a cambiare in quel momento.

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Will, fece quello che gli fu consigliato. Anche se per lui era una cosa impossibile. Non sapeva cosa dire al padre. Non avevano mai parlato più di qualche secondo e poi la conversazione che stava per svolgersi si presupponeva anche piuttosto imbarazzante. Non credeva che suo padre potesse avergli nascosto qualcosa del genere.
E poi con la segretaria! A Will sembrò il classico più scontato e patetico di sempre! E poi da quando andava avanti questa storia?! Allora, suo padre non era un vegetale come pensava sempre sul computer o sull’IPhone. Era da un’ora ormai che faceva avanti indietro davanti alla porta di casa sua, pensando attentamente a cosa avrebbe cacciato fuori dalle labbra.
Ma alla fine si decise e dopo aver premuto il campanello di casa sua perché si era dimenticato le chiavi, si mise a braccia conserte mantenendo l’espressione più distaccata e atona che sapesse sfoderare. E dire che quel momento doveva essere abbastanza serio. Si sentirono dei passi veloci e poi la porta si aprì di scatto mostrando un uomo alto, con capelli neri e aria stravolta e contenta allo stesso tempo. Indossava, in tutta la sua autorità, un accappatoio.
Will lo guardò dall’alto al basso, guardando per la prima volta suo padre conciato in quella maniera, per non parlare delle sue pantofole ai piedi. E così, la conversazione sarebbe diventata ancora più imbarazzante.
- Oh, Will sei tornato, credevo di non…
- Si, si adesso sono qui, mi faresti il favore di vestirti e di spiegarmi cosa cavolo stai combinando?! – lo sorpassò entrando in salotto. Suo padre rimase sbigottito per quella risposta pronta tant’è che rimase ancora con lo sguardo al vialetto di casa. Poi si girò e decise di chiudere la porta, salì le scale per il piano di sopra e si presentò qualche minuto dopo vestito in maniera più decente. Una felpa e un pantalone della tuta. Will cercò di mantenere uno sbuffo divertito. Si ricordava che si vestì così solo quando lui e sua madre ridipinsero le pareti del soggiorno. E che alla fine i loro vestiti diventarono bianchi di vernice per una lotta all’ultimo sangue.
- Will…
- No, parlo io, tu hai già fatto abbastanza. – disse facendo diventare quella situazione imbarazzante a una drammatica in un secondo. – Si può sapere quando cazzo è successo tutto questo?! E poi una mente così intelligente come la tua si porta a scoparsi la segretaria a casa! E poi perché tenermelo nascosto? E poi tutte le tue continue frasi su quanto sia importante fare la cosa giusta e a incitarmi a studiare, quando non ne avevo la minima voglia! E poi la tua continua non presenza durante tutta la mia vita! Dopo che la mamma è morta, non te ne sei completamente fregato di me! Non mi hai neanche chiesto se andava tutto bene, se mi sentivo depresso o se la mancanza di tua moglie avesse significato qualcosa per me! Ma tanto, chi se ne frega… Will è un campione! Lo dicevi sempre tu, no?! Will c’è la farà, sa cavarsela da solo! Ma avevo solo otto anni! Cazzo! Come credi che un bambino si senta dopo aver scoperto che sua madre è morta! – Sì… forse si era lasciato anche troppo andare lasciando stare il vero problema, che in quel momento era suo padre. Ma finalmente suo padre si era deciso a parlare e per tutto quel tempo si era sentito così oppresso da se stesso. Per tutto quel dolore che gli pesava dentro che a volte aveva fatto ricorso a delle pillole per allievarlo. E questo Alex lo sapeva. Gli aveva sempre detto di non esagerare e infatti aveva smesso da un sacco di tempo e aveva iniziato con le lezioni di chitarra.
- Mi sentivo solo, Will. E non te ne ho parlato perché sapevo che avresti reagito così, sapevo che per te pesava ancora la morte di tua madre.
- Sì, ma non hai fatto niente, dico bene?
- Ero nella tua stessa condizione, non prendevo pillole però. Will… stai bene, ti prego non dirmi che sei diventato depresso fino al suicidio.
- Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?! – scosse la testa Will – E per la cronaca adesso sto bene, grazie! – fece piccato. Ok, la cosa le sembrò al quanto patetica. – Perché Biddy? Tra tutte le donne che ci sono sulla faccia della terra! Perché lei? – suo padre lasciò un sorriso divertito.
- Tu non ci crederai ma quando tua madre è morta, Biddy mi ha aiutato moltissimo. Non credevo che potesse essere così d’aiuto. È riuscita a farmi vedere la luce, ad aiutarmi ad andare avanti per la morte di tua madre. – Will lo guardò e si stupì di aver visto sull’espressione di suo padre qualcosa che sia diverso da una luce di un display. Purtroppo con quelle poche parole, era riuscito a convincerlo. Lui non aveva niente in contrario se suo padre si era innamorato di un’altra donna, ma perché non dirglielo? Veramente pensava che fosse così fragile come tutti credevano? Lui continuò a guardarlo, cercando di trovare una risposta convincente.
- E così te la sbatti sulla scrivania?! – sì, convincente. Nonostante l’atmosfera che aveva portato quella conversazione si trovarono a ridere entrambi per quell’esclamazione. Una risata che alleggerì quell’atmosfera e che fece capire a Will l’atteggiamento di suo padre. Che in quel momento sospirò.
- Will, mi dispiace che non sia stato un padre presente. Che non ti abbia seguito nei momenti che tu ritenevi importanti. Per la scelta del liceo. E per tutto quello che a te interessa.
- Sarei andato comunque con Alex. – commentò senza pensarci.
- Ah! Quella ragazza, lo so che è venuta a casa, Will. È… è… la tua…
- Migliore amica. – rispose, tenendo le mani nascoste nella felpa e guardando i piedi.
- Oh! Non credevo che… Ad ogni modo, spero che non ci siamo problemi con la scuola.
- Oh, no! È tutto a posto – annuì poco convinto.
- Vorrei tanto che andassi ad Harvard come tua madre, è lì che l’ho conosciuta. – Doveva ancora finire il liceo e suo padre già pensava ad Harvard?! Che poi si trovava dall’altra parte dell’oceano. Non avrebbe rivisto più nessuno. E si sarebbe sentito solo, ancora.
- C-ci penserò papà. – ma lo sguardo di Arthur era così pacifico e pieno di speranza che ci pensò a non deluderlo. Ora che avevano parlato. – Da quanto tempo ti tenevi tutto questo? – Cambiò discorso, quando non voleva far notare che teneva troppo a qualcosa. Ma che Will, quel cambiamento l’aveva notato.
- Da, molto molto tempo – ammise, restando anche lui al “gioco”. – Ma parlare con te mi ha liberato di tutto, aveva ragione… dovevo solo riuscire a parlarti.
- E credo che la persona che te lo abbia consigliato, abbia fatto bene. – Arthur si avvicinò e lo abbracciò con forza quasi da spezzargli le costole. Will si sorprese ma poi si sfilo le mani dalle tasche e le sue mani raggiunsero le spalle del padre. Strinse gli occhi e senza neanche accorgersene un angolo delle sue labbra si alzò. Quando si staccarono notò che suo padre aveva gli occhi lucidi e lo osservò con attenzione mantenendogli la spalla, accorgendosi solo adesso di quanto suo figlio fosse cresciuto e di quanto fosse più alto di lui. Un espressione fiera che Will fu felice di vedere. – Ah! Mi devi ridare tutti i soldi che hai usato per seguire le lezioni di chitarra.
- Oh… lo sapevi.
- Will, ti rendi conto di quello che stai dicendo?! – gli diede delle pacche sulla spalla e poi se ne andò cantando una canzoncina tra le labbra chiuse nel suo ufficio.

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La sua famiglia stava diventando sempre più strana ogni giorno che passava. Non sapeva cosa fare, era sempre Alex che aveva ragione, Alex che risolveva i problemi, Alex a cui chiedevano aiuto. E lui era l’emarginato, quello che combinava guai, quello meno affidabile. Già era tanto se si accorgevano che c’era anche lui, in quella sotto specie di famiglia. Stava passeggiando sui marciapiedi di New York, evitando a tutti i costi il negozio di Al. Cercava sempre di soffiargli qualcosa di dolce, e per poco non gli veniva il diabete. Doveva incontrare i suoi amici, avevano detto che si sarebbero incontrati in un posto non molto lontano dal negozio di musica. Era sera e il cielo già presentava un colorito blu notte. I fari che illuminavano la sua figura a intervalli regolari fino a quando non arrivò a un piccolo parco circolare, con una fontana al centro e tutto intorno il verde scuro che sovrastava quel posto. E proprio lì una voce lo chiamò.
-Marc, siamo qui! – chiamò un suo amico. Il ragazzo alzò lo sguardo e vide alcuni ragazzi seduti su una panchina, con un alone di fumo a circondarli. Lui li raggiunse a passo lento e il faro che illuminava la loro panchina mostrò anche le borse sotto agli occhi di Marc. Il viso un po’ più magro del solito. I capelli biondi gli ricadevano sulle palpebre.
- Guarda cosa ho rimediato stamattina! – esclamò un altro compagno. Affianco a lui, siringhe e bottiglie d’alcol a fargli compagnia.
- È roba buona? – chiese Marc, atono.
- Certo, dai vieni! – non se lo fece ripete e andò con lui, pronto per ospitare nel suo corpo il piacere che gli faceva visita da qualche giorno. Tanto era l’unica felicità che gli rimaneva, non sapeva da dove veniva, chi erano i suoi genitori e poi venire a sapere di essere adottato, da una donna che non ha mai apprezzato e che adesso si era beccata anche il cancro.
Non aveva amici, sapeva di non averceli, quelli non lo erano. E la scuola la odiava. Voleva solo avere delle risposte ma non riusciva ad averle. E si sentiva solo, inadeguato, ogni cosa facesse non andava mai bene. La vita, non andava bene.

Il negozio era aperto anche a quell’ora, anche se tra qualche minuto era ora di chiusura. Marge stava silenziosamente aggiustando i vinili, mentre Stephen era intento a pulire la vetrina. Era da un po’ che lavorava lì e Marge non si era fatta pregare per assumerlo. “Così posso vedere meglio quelle chiappe d’oro!” aveva risposto. E dopo un gemito disgustato da parte di Alex, il gioco era fatto. E quel lavoro stava durando anche più di una settimana, per Stephen. Si fermava sempre al reparto dei pianoforte. Li puliva, sempre la sera, trovando una scusa per toccare quei tasti. O per suonare qualche sinfonia “per sbaglio”. Stava pulendo i piatti della batteria quando dalla grande vetrata notò un ragazzo coi capelli biondi, una felpa e scarpe da ginnastica. Gli sembrò familiare, ma non sapeva con certezza assicurarsi dove l’avesse visto.
La sua mano prese un movimento meccanico nel fare avanti e indietro con lo strofinaccio, mentre i suoi occhi non riuscivano a mollare la presa su quel ragazzo. La sua mente si sforzava così tanto da far assumere un movimento anche agli occhi, che si socchiusero e di far avvicinare il suo viso così vicino alla vetrina che per poco non ci andava a sbattere la fronte. Si trovò per un momento così assorto con se stesso e con quello scenario di ragazzi la fuori che presupponeva stessero facendo nulla di buono, che non si accorse delle grida di Marge dietro di lui.
- RAGAZZO! – ma questa volta i suoi timpani non potevano sopportare oltre. La sua mente si deconcentrò e per la sorpresa cadde sulla batteria facendo un gran fracasso da sentirsi anche fuori. E che infatti i ragazzi, udendolo si allontanarono e si ripararono nel buio. – ECCO, GUARDA CHE HAI COMBINATO! CERTO CHE SEI PROPRIO SORDO!
- Scusami, Marge, ma ero un tantino occupato.
- Sì, a guardare il tuo riflesso alla vetrina, bellissimo tra l’altro. – lui alzò gli occhi al cielo, stanco delle avances della proprietaria, ma era l’unico lavoro che finalmente gli piaceva e quindi poteva anche sopportarla. – Ma puoi farti benissimo perdonare con un lavorino extra. – disse avvenente facendogli l’occhiolino. Lui rise e scosse la testa, scandendo benissimo la parole “NO!” – Ah! Vabeh… ci ho provato. Comunque è ora di chiudere, e per favore mi accompagneresti a casa, ho paura a quest’ora della notte.
- Una come te?
- Sì, sono pur sempre una donna. – alzò le spalle ovvia delle sua risposta. – Penseremo domani alla batteria. – alzò una mano non curante come per scacciare una mosca. Chiusero il negozio e infine Stephen si preoccupò di accompagnare la donna a casa. Lei lo prese sottobraccio mentre il ragazzo chiudeva, come di solito, i pugni nelle tasche del giubbotto di pelle. – A proposito che stavi guardando, fuori? – sapeva che Marge non era scema, altrimenti il suo negozio non sarebbe durato così a lungo.
- Uhm… niente, mi era sembrato di vedere qualcuno di familiare. – Marge non si curò molto di quello che le aveva detto e lui ne fu grato, perché forse doveva ancora darsi lui una risposta.
Come al solito quella notte si ritirarono tutti al capannone per le prove, e quando Alex entrò non vide nessuno di buon umore. Sembrava che ognuno avesse avuto una brutta esperienza quella giornata anche se poi si era conclusa eccellentemente. Ma ormai nulla era più certo. Alex fece un sospiro li guardò tutti e poi senza dire una parola andò verso il microfono. Bisbigliò al suo interno come se fosse un soffio il titolo della canzone e Will attaccò con i primi accordi. Non replicò per la scelta, perché gli Young Guns non erano un repertorio a cui guardavano spesso, ma anche lui si ritrovò benissimo in quella canzone che decise di abbandonarsi ad essa.






P.S - Ciao! Scusate il grandissimo ritardo per questo nuovo capitolo! Ma ci sono stati molti cambiamenti al momento, come la scelta per l'università e robe varie. E poi per questa storia ho avuto un calo di ispirazione, che neanche se mettevo le mani sulla tastiera mi usciva qualcosa. Mi dispiace per i ragazzi/e che seguono questa storia senza neanche recensire. E anche per quelli che recensiscono e che mi fanno capire la loro opinione, nel migliorare qualcosa. Purtroppo per voi, questo "angolo autrice" ci deve essere per forza ad ogni capitolo così che posso scrivere sia i ringraziamente che le canzoni! :P
Questa è la canzone che Stephen fa al piano: http://www.youtube.com/watch?v=EMnygBICkRI (ascoltatela che è magnifica!)
La canzone Interlude dei Young Guns: http://www.youtube.com/watch?v=aaamh_FsP50 (tutta strumentale ma bellissima... vabeh, i gusti so gusti u.u)
E infine la canzone da cui prende il titolo il capitolo, sempre dei Young Guns: http://www.youtube.com/watch?v=W_yi6VNiKQ0 (*-*)
Spero che vi piacciano e che non sia l'unica pazza in questo momento! A presto (si spera)...
Julia :D  
  
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