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Autore: tins_    29/10/2013    0 recensioni
La solita routine: ti alzi per andare a scuola, ti vesti, carichi la tua migliore amica Alice in macchina e ti ritrovi nel bel mezzo di una apocalisse zombie, così ti chiedi se sarai davvero più intelligente di quei personaggi stupidi che ti propinano i film horror.
Let's kick some zombie ass
Genere: Azione, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando non ci sarà più posto all'inferno... i morti cammineranno sulla terra.
-L'alba dei morti viventi

 
Di nuovo uno di fronte all’altro mi stringeva a se sempre di più.
-Non credevo potessi essere di nuovo felice-
-Sai, non possiamo smettere di goderci le piccole cose- sorrido e mi accarezza la guancia.
 
Stremato dalle forze. Non so nemmeno come sono riuscito ad arrivare fino a qui. Giro l’angolo della strada e mi ritrovo davanti questa struttura che ho sempre considerato come una prigione ma che ora bramo più dell’oro. Qui sicuramente c’è qualcuno. C’era qualcuno.
Mi avvicino sempre di più al cancello ma qualcosa mi blocca. Una mano.
Lurida e viscida si è agganciata alla mia caviglia. Il corpo a cui è attaccata è uno spettacolo ancora più lugubre. Ormai sono due giorni che vago da una parte all’altra della città sperando di trovare un posto sicuro. Finalmente ero riuscito a ricaricare il telefono, per grazia divina non avevano ancora staccato l’elettricità.
Trovo assurdo come possa precipitare la situazione in così poco tempo.
72 ore.
In realtà cosa ne potevamo sapere? L’epidemia si sarebbe potuta espandere in tutto questo tempo che tanto i media non avrebbero fatto uscire nessuna informazione. L’America aveva provato ad avvertirci, ma hanno preferito tagliare i ponti comunicativi. E dove ci ha portato tutto questo?
72 fottutissime ore e il Mondo in cui ero abituato a vivere si è disintegrato.
Rinfaccerei volentieri a mia mamma tutte le sue prediche riguardo a quanto tempo sprecavo a guardare film sugli zombie e a rincoglionirmi con i videogiochi di guerra. Il problema è che non posso. Non so nemmeno dove sia mia madre. Più che altro non ho il coraggio di immagine come stia.
Ho provato a chiamarla ma in casa non ha risposto nessuno o al cellulare. So che dovrei avere paura, ma non ho avuto il tempo per metabolizzare questo sentimento.
Per due giorni ho provato a telefonare a ogni numero presente nella mia rubrica. Passavo le ore a sentire i battiti a vuoto e le segreterie telefoniche. Sembravano interminabili.
Poi finalmente una risposta. Avevo dimenticato anche di conoscerla una voce del genere. Quello che aveva di profondamente diverso era il tono. Un sussurrio quasi impercettibile interrotto da singhiozzi.
-Pronto?-
Inizialmente non volevo crederci.
-C’è veramente qualcuno dall’altra parte? Non ti sto immaginando vero?- a stento trattenevo l’entusiasmo. Non potevo fare troppo rumore. Non era sicuro.
La sentivo respirare.
-Senti, ho bisogno di aiuto… io ho … sono solo- non riuscivo a mettere in ordine i pensieri.
-Non posso parlare- ripeteva lei. Ora non la sentivo solo tremare, ma anche piangere.
-Ascoltami, devi solo ascoltarmi. Non posso stare da solo ancora a lungo.. là fuori è come andare al macello e io, io voglio vivere! Ti prego, devi dirmi dove ti trovi. È sicuro lì?-
-Io.. non ne sono sicura. C’è questa casa, è vicino alla stazione ferroviaria… ci ha ospitati un uomo, aveva recintato l’abitazione da anni… non credo sia molto sano di mente ma ci tiene al sicuro. Io devo riattaccare, non possiamo fare rumore la notte… buona fortuna-.
Riattaccò così. Capivo la situazione. Trovarsi lontani da casa. Inoltre la conoscevo bene, malgrado fosse una ragazza con gli attributi aveva problemi a tenere i nervi saldi.
Jess.
Ricordavo lei e i suoi capelli spettinati. La sua risata acuta e il suo carattere prorompente. Ci trovavamo spesso d’accordo, eravamo uguali. Questo portava però al caos quando non ci trovavamo sulla stessa lunghezza d’onda. Forse è per questo che avevamo smesso di parlare.
E ora mi ritrovo qui. Davanti alla stazione ferroviaria con un coltello da cucina in mano e un pugno di coraggio nell’altra.
In questi casi l’unica cosa da fare era chiudere gli occhi e proseguire.
Corro nascondendomi dietro alle macchine e inizio a pensare che potrei aprirne una e guidare fino alla casa. Il problema è che allungherei la strada e rischierei di più che camminare nel sottopassaggio e arrivare direttamente dall’altra parte della ferrovia in meno di 5 minuti.
In realtà le probabilità sono uguali. Potrei morire in quel buco nero o in strada.
Quale preferisco?
A questo punto mi sembra più logico attraversare direttamente il sottopassaggio più in fretta che posso e correre dritto verso la casa.
Prendo un lungo respiro  e parto. Noto una scarsa affluenza di morti per strada, cioè, morti che camminano. Chiamarli zombie mi disgusta però non ho ancora trovato un nome che mi soddisfi.
Sono arrivato all’inizio della discesa. Sento i passi striscianti rimbombare.
Okay, forse ora inizio a sentire la paura.
Scendo lentamente i primi gradini attento a non fare il minimo rumore. Rigiro il coltello fra le dita sentendomi un po’ più sicuro.
E all’improvviso arrivo in fondo e osservo la scena che mi aspetta per i prossimi 30 metri.
Saranno una ventina di zombie. Posso farcela? “Cazzo uomo, DEVI farcela” mi ripeto impaziente.
Il primo sarà a pochi passi da me mentre gli altri sono sparpagliati verso il fondo. Devo solo riuscire a distrarli. Impegnarli in un’altra parte per quei fottuti secondi che mi separano dall’uscita.
Mi guardo intorno.
Qualcosa deve esserci. Per forza. E poi la vedo.
Un paio di lattine di birra pochi metri più avanti. Scatto silenziosamente da quella parte e le raccolgo con delicatezza senza fare alcun rumore.
Pian piano mi avvicino sempre di più all’estremità opposta del sottopassaggio cercando di non farmi notare, restando nella parte buia. Respiro a malapena cercando in tutti i modi di restare vivo.
Sono a metà. Basta poco per rivedere la luce del giorno e decido che è il momento giusto per correre.
Quindi porto in alto il braccio e tiro con tutta la forza che ho prima una lattina e poi l’altra e grazie a un aiuto divino raggiungono la scalinata da cui sono sceso. Loro , sentendo il rumore, accorrono per vedere se riescono a mangiare qualcosa di vivo oggi. A quel punto parto e non mi volto indietro nemmeno per vedere se sono in salvo o no. Corro fino a che non mi rimane più fiato. Fino a quando i polmoni non mi dicono basta.
Corro finché non cado a terra. È davvero finita così?
Una voce. Sento una voce gridare il mio nome.
-Max!-
Cerco di mettermi a sedere. In realtà quello che riesco a fare è riaprire gli occhi e vedo di sfuggita una massa ramata informe che si muove sopra di me.
-Max..-, la ragazza mi versa dell’acqua sulla testa e cerca di tirarmi su.
-Mi chiamo Massimo Decimo Meridio… e avrò la mia vendetta in questa vita o nell’altra!-
La ragazza ride.
-Ti sembra il momento di citare il Gladiatore?-


Angolo della vergogna: incitata da un mio amico ho dovuto scrivere il nuovo capitolo. Spero vi piaccia!
  
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