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Autore: esse198    29/10/2013    1 recensioni
"Era la persona più normale che potesse esistere al mondo, quelle poche passioni che aveva, le coltivava in modo molto discreto trattandosi di musica e della lettura di qualche romanzo e di qualche fumetto. Difficile suscitare l’irritazione della gente."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL SOLE E LA LUNA
 


La tendenza al pessimismo, che credeva aspetto predominante del carattere del padre, era in verità molto radicata anche in lei. Proprio come suo padre era capace in un solo momento di far crollare tutto quanto e far apparire tutto totalmente nero. Nulla andava bene nella sua vita, gli eventi, le scelte, le persone: era tutto perso, era tutto inutile.
Il giorno dopo si svegliava e allora tutto appariva sotto un’altra luce, tutto più semplice, più chiaro, più facile, più probabile, e meno catastrofico. Possibilmente la razionalità o soltanto il buon umore regolava i pensieri e i sentimenti. Non era questione di clima e del tempo che se era bello e il cielo era sereno, allora girava bene o se pioveva ed era troppo brutto e invece andava tutto male. Era questione di spirito. Forse era l’impatto psicologico alle scoperte, nel provare quei sentimenti di rancore, di malessere generale. Poi forse cercava di farci l’abitudine, ma non era per sempre, perché finiva sempre per crollare in qualche momento, in qualche tipo di depressione, bastava anche solo un piccolo dilemma, uno di quelli ridicoli, insignificanti per far piombare il malumore e tutta quella serie di complessi a lei così geniali….
Ma passata la bufera, passata la tempesta, tutto tornava normale. Era la quotidianità a colmare i vuoti. Le cose da fare, i libri da studiare, le lezioni da seguire e tutta quella serie di azioni che compongono e riempiono una giornata.
 
- Ciao Selene!
- Ciao Elena!
Il suo sorriso era qualcosa di spettacolare. Ti scaldava come poteva fare una coperta o un camino acceso. Elena, come annunciava il suo nome, era una persona solare. Era una ragazza molto bella, infatti erano molti i ragazzi che le facevano il filo e lei era bravissima a gestirli. Si adeguava a seconda del ragazzo: se si trattava di un donnaiolo magari ci giocava un po’ per farlo poi rimanere a bocca asciutta, se invece erano ragazzi per bene chiariva da subito le cose. Tutto questo perché lei l’aveva già un ragazzo, era lontano, ma sapeva che lui la stava aspettando. E così il suo più grande desiderio, che era anche il suo scopo, era quello di racimolare una sommetta discreta per poterlo raggiungere e costruire con lui un futuro. Come molti altri ragazzi siciliani anche lui era stato costretto ad emigrare nel nord dell’Italia in cerca di un lavoro decente, di sicuro pagato meglio e un po’ più sicuro rispetto che nel paese natale. Elena invece faceva la commessa in una grande libreria, non ne capiva nulla di letteratura e simile, da ragazzina aveva letto qualche classico, tipici di quell’età, ma per il resto le sue letture erano le riviste televisive, e si soffermava su quelle che anticipavano novità sui telefilm più in voga, ma anche no. Quando si trattava di telefilm divorava ogni genere di serie, da quelli sentimentali e adolescenziali a quelli investigativi, dalle sitcom americane, come “Friends”, alle serie italiane. Detestava i reality, e quando le capitava di vederne qualcuno o si faceva grasse risate o dava di stomaco, a seconda del suo umore.
Selene ed Elena erano colleghe di lavoro. Selene aveva iniziato a lavorare quell’estate in quella libreria e aveva deciso di restarvi anche per l’inverno, ma solo part-time, per avere anche il tempo di studiare per l’università. Con la sua collega aveva instaurato un bellissimo rapporto, avevano preso quasi da subito a raccontarsi le cose, a farsi piccole confidenze, a passarsi le novità, un po’ come fossero vecchie compagne del liceo. Anche per questo le piaceva molto quel posto. Era una libreria grandissima, piena di libri, di tutti i generi. All’inizio si era sentita molto spaesata, tra tutti quei testi, tra tutti quei titoli, poi però aveva velocemente preso confidenza e familiarità con ogni reparto. A lei piaceva molto leggere, il problema era che non sempre poteva permettersi le spese di tutti i libri che avrebbe voluto leggere. Però lavorare lì le permetteva di scoprire, anche se superficialmente, nuovi autori, nuovi generi. E poi c’era l’odore della carta, dell’inchiostro di cui si lasciava inebriare piacevolmente.
E poi quell’inverno fu assunto un nuovo commesso. Era un ragazzo, giovane e molto carino. A Selene piacque subito, aveva un’aria da bravo ragazzo, dai modi raffinati che richiamavano molto la semplicità, un sorriso favoloso, quanto anche tutto il resto, come i suoi occhi dal verde molto intenso e cristallino. I capelli scuri e corti modellati con una buona dose di gel. Ed era alto, magro e dalla maglietta attillata si poteva immaginare un torace leggermente scolpito. Sembrava davvero simpatico.
 
“Nasce così senza avvisare
ma è così difficile
lasciarsi andare
non so chi sei
non so cos’è
ma negli occhi tuoi
mi perderei”
Dirotta su cuba – “I silenzi che parlano”
 
Aveva negli occhi qualcosa di indeterminato. Era difficile descrivere, dare un nome a quello sguardo, dargli una definizione. Forse era un lampo, un flash, una luce particolare, o al contrario, poteva essere un’ombra. Sì, era più portata a credere che si trattasse di un’ombra, un riflesso che la spingeva a sentimenti, a reazioni che in altri casi non avrebbe avuto.
Non era cattivo, anzi. Era sempre stato sincero e chiaro nelle sue intenzioni (a suo modo), nelle sue paure, nelle sue incertezze. Ma lei forse non era stata così forte da dominarle, da instaurare una sorta di regime, di ordine tra loro, nel loro rapporto, facendosi trascinare da quell’abisso di timori che avvolgeva lui, permettendogli di farle del male. Ma la cosa assurda era che non si trattava di un male, nel vero senso del termine. Perché lei viveva bene con lui, nei suoi abbracci, nei suoi baci, nelle sue attenzioni. Ma sentiva che non le bastava. Eppure non aveva il coraggio di imporsi.
Quando Elena l’aveva conosciuta pensò a lei come a una gattina, per i suoi movimenti, per il suo modo di ondeggiare quando camminava, per il suo corpo che aveva lineamenti sinuosi e morbidi, per quei suoi atteggiamenti di chi graffia e fa le fusa, apparentemente opportunista, ma imparò a capirla davvero solo in seguito a questa storia, scoprì in lei quell’essenza femminile, quell’amore di donna che si poteva provare per un uomo, quella fragilità e quel coraggio (o incoscienza) di buttarsi e vivere. Col tempo, anche per costruire una certa familiarità con lei, cominciò a chiamarla Gattina e le rimase questo nomignolo.
Tutto era cominciato una sera. Da un po’ di tempo Selene, Elena e la Gattina uscivano insieme e con loro c’erano anche altri ragazzi, tra cui lui, Darkman, chiamato così per il suo look un po’ aggressivo, per il suo interesse a ciondoli, anelli e maglie, o qualsiasi oggetto, che rappresentassero teschi, croci, e simboli oscuri e di tendenza horror, anche se lui sembrava impressionarsi se gli si parlava di racconti, film o fumetti dell’orrore. Era un tipo molto strano, per certi versi buffo, ma anche molto misterioso. In quei suoi modi sempre molto vaghi era impenetrabile. Indossava la maschera di quello che ci prova con tutte, che tira le battutine, che provoca, ma in pratica non si muove. Sembrava seguire tutto un percorso suo, un percorso ignoto, forse bizzarro, eppure lui sembrava consapevole e deciso in quello che cercava, in quello che stava costruendo. Era difficile capire cosa vivesse, cosa stesse costruendo: parlava molto poco di sé, di quello che faceva quotidianamente, a cosa si dedicasse, quando stava in compagnia si limitava a fare lo sbruffone e soprattutto bisognava muoversi e non stare fermi sempre allo stesso posto, come cercasse qualcuno, ma poi non lo vedevi mai con qualcuno.
Un grande mistero.
Prima di quella sera non c’era mai stato nulla di più di un saluto, di qualche parola scambiata nel gioco corale del gruppo.
Quella sera la Gattina e Darkman (sembrano i protagonisti di un fumetto americano) avevano cominciato a scherzare, a raccontarsi fatti loro, storie vere e inventate, esperienze un po’ drammatizzate per l’occasione o totalmente canzonate. Insomma si prendevano per il culo nei loro discorsi e nessuno dei due era sicuro di quanta verità ci fosse nei discorsi dell’altro.
Cominciarono così a farsi simpatia.
Ma la cosa sembrò finire lì, perché, nonostante si fossero scambiati i numeri del cellulare, nessuno dei due si fece sentire dall’altro e la cosa a tratti sfumava, a tratti si accendeva.
Poi una sera scattò qualcosa.
Nella confusione generale i due scivolarono via dal gruppo, e andarono ad appartarsi in uno di quei vicoli di cui è pieno il centro storico. Vi erano vecchi portoni di case abbandonate, preceduti da due o tre gradini. Se ne stavano seduti su uno di quei gradini, davanti a uno di quei vecchi portoni: lui su un gradino più alto, dietro di lei, quest’ultima sul gradino sottostante. Sedeva tra le sue ginocchia e solo di tanto in tanto, nell’intenzione di appoggiarsi, quasi si sdraiava su di lui. Lui le carezzava la guancia con le dita, ma solo ogni tanto, per gioco, per curiosità. Lei se ne stava immobile, senza l’intenzione di allontanarsi, senza il coraggio di girarsi ad incrociare il suo sguardo.
Allontanarsi significava rinunciare a quello stato di benessere, girarsi significava rischiare di baciarsi, il che comunque non le sarebbe dispiaciuto. Così passavano i minuti tra stupidi giochetti, provocazioni e risate, fino a che lei senza volerlo, senza accorgersene, si voltò a guardarlo e rimase immobile con gli occhi di lui dentro i propri. Lentamente lui si avvicinò, mentre la sua mano faceva una leggerissima pressione sui propri capelli, e la baciò. Sulle labbra, poi le sue labbra si aprirono e iniziarono un dolcissimo e sensuale gioco con quelle di lei. La ragazza si lasciò trasportare e invadere da tutta quella dolcezza, da tutta quella passione. Non aveva mai provato qualcosa di così intenso, di così coinvolgente, di così devastante.
Sul momento non ci fu nessun commento, nessuna decisione. Ma alla Gattina quel bacio suscitò parecchi turbamenti. Non le era passato per nulla indifferente, anzi, era stato molto importante, e sconvolgente. Non ci dormì per diverse notti, fino a che, un giorno prese il coraggio a due mani e si recò presso quell’istituto dove Darkman stava frequentando un corso, che genere di corso fosse non lo sapeva, ma sapeva che passava i pomeriggi lì. Andò a trovarlo lì, sapeva che facevano diverse pause e aspettò. Quando lo vide uscire dal portone principale gli andò timidamente incontro. Lui la salutò sorpreso, ma non troppo. Andarono a sedersi ad una panchina lì vicino.
- Senti, dobbiamo parlare di quella sera. – esordì lei.
Lui non disse nulla, così fu lei a proseguire:
- Tu non hai niente da dire in proposito?
- Beh, mi è piaciuto molto baciarti…. Sono stato bene. – sembrava serio nel pronunciare quest’ultima frase.
- Io… cioè, per me quel bacio è stato molto importante. Che dobbiamo fare?
- Non lo so. Così come siamo non ti va bene?
- Beh, veramente… non ci sentiamo mai, mai una telefonata, nemmeno un messaggio. Ora come ora, non mi va più bene.
- Beh, allora dimentichiamo quella sera e torniamo a come eravamo.
Rimase di sasso. Non si aspettava di essere liquidata tanto facilmente. Per cui non le rimase che rialzarsi, salutarlo e andarsene.
Lui però rimase a guardarla mentre si allontanava e nello sguardo aveva qualcosa che non era quello di chi aveva appena risolto la faccenda. C’era forse del rammarico?
Forse sì, perché qualche giorno dopo, durante una scampagnata tra amici, tentò più volte di avvicinarla, per tornare a scherzare come ai vecchi tempi, fino a che riuscì a ristabilire quel vecchio clima di complicità e fu allora che cominciò a tirare delle battutine su loro due. La Gattina allora non poté evitare di rinfacciargli la decisione presa da lui.
- Vuoi ancora stare con me? Te lo chiedo perché a me piacerebbe e non poco. – come risposta ricevette lo sguardo di lei, ancora dubbiosa.
- Però c’è una condizione. – continuò lui e lei crucciò lo sguardo.
- Aspetta, fammi indovinare: non dev’essere una cosa seria.
- No, - rispose lui – se stiamo insieme dobbiamo rispettarci, però tra tre mesi dovremo troncare questa storia.
- Cosa?
- Oggi è il 21 febbraio. Dunque… marzo, aprile, maggio. – e intanto scandiva i mesi aiutandosi con le dita – Il 21 maggio dovremo lasciarci.
- Scusa, questa cosa non ha senso.
- E niente spiegazioni. – ancora altro stupore negli occhi di lei. Allora pensò che fosse una specie di trappola. Pensò che lui le stava dicendo una cosa simile certo che lei avesse rifiutato, voleva liberarsi di lei in quel modo assurdo, allora pensò di cogliere quella provocazione e decise.
- Ci sto.


 
  
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