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Autore: syontai    30/10/2013    13 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 8

La trovata di Lena

Leon si svegliò di colpo. Ancora gli stessi incubi di sempre, non ce la faceva più. Doveva chiedere a Humpty Dumpty di aumentare le sue dosi di sonnifero da prendere la sera, ma non pensava che quelle terribili immagini continuassero a tormentarlo. Mosse la braccia fuori dalle coperte e si stropicciò gli occhi assonnati. Oltre ai soliti incubi c’era qualcos’altro che non riusciva a scacciare dalla sua testa: l’immagine di Violetta e del loro ultimo incontro. Ripensò al dolce sapore della pelle di Violetta, sensazione che accompagnava le sue labbra con insistenza. Quella ragazza stava diventando per lui quasi un’ossessione e non si sapeva spiegare il perché. Voleva distruggerla, ce l’aveva con lei senza motivo, ma allo stesso tempo si sentiva quasi attratto. No, non l’amava, lui non provava amore, ma quell’attrazione che sentiva era dettata dalla curiosità, ne era sicuro. Sentì le coperte muoversi al suo fianco e un lieve sbadiglio. Si era svegliata; non che gli importasse, ma non vedeva l’ora che lasciasse il suo letto. Lara si posizionò su un fianco, osservando le spalle larghe del principe e lo guardò dolcemente. “E’ tardi” sibilò Leon, senza guardarla negli occhi, con lo sguardo fisso sul baldacchino. “Lo so, ti chiedo perdono, ma stanotte non ho dormito molto” ridacchiò divertita. “Ti ho sentito agitarti nel sonno” aggiunse poi, facendosi seria. “Non sono questioni che ti riguardano” rispose secco Leon, sbuffando. Quella ragazza faceva troppe domande per i suoi gusti, stava iniziando a non sopportarla. Lara mosse la mano tremante verso di lui, e con un tocco impercettibile gli sfiorò i capelli. Leon si voltò di scatto e le afferrò la mano: sembrava furioso. “Non farlo mai più. Non voglio che mi tocchi” la intimò, ringhiando come un animale. Lara si allontanò spaventata, quindi annuì per fargli capire di aver compreso, e si alzò coprendosi con le coperte di un colore rosso scuro, tendente al bordeaux. “Ci vediamo stanotte, allora” disse, mentre frettolosamente cercava i vestiti finiti per terra. Leon scosse la testa, ma lei non lo poté vedere. “Per stasera ho altri programmi” esclamò lui con voce roca. Senza nemmeno accorgersene si inumidì le labbra passandoci la punta della lingua: ancora la sensazione di quel sapore così dolce e inebriante. Lo cacciò con la forza di volontà, ma il turbamento rimase. “Con quella nuova?” chiese Lara, senza riuscire a nascondere una punta di acidità. “Non penso che la questione sia di tuo interesse” esclamò Leon, alzandosi di scatto e afferrando i suoi vestiti, poggiati su uno sgabello vicino al letto. Emise uno sbadiglio vigoroso, stiracchiandosi un po’ e sciogliendo i suoi muscoli, e Lara si incantò a osservare quel fisico perfetto. Le numerose cicatrici sul petto e lungo la schiena gli conferivano ancora più fascino. “Non hai bisogno di quella lì, io potrei farti stare molto meglio, e lo sai” provò a convincerlo, facendo il giro del letto e posizionandosi al suo fianco con aria supplicante. “Sei noiosa” asserì il giovane infilandosi una maglia di cotone purissimo arancio scuro. “Ma, Leon….” mugolò la serva, rimanendoci male. Nonostante non avessero un rapporto d’affetto, non era mai stato così freddo e scortese nei suoi confronti. “Ho fame, penso che scenderò a fare colazione” tagliò corto subito, dopo essersi allacciato la cintura in pelle nera, da cui pendeva la custodia della sua spada. “Leon, stai lontano da quella serva. Non è come noi” lo avvertì Lara, dilatando le pupille e sgranando gli occhi. Leon fece un cenno con la mano, per farle capire che riteneva insignificante quell’affermazione. Sbatté con forza la porta, lasciando la ragazza sola con i suoi pensieri. Il principe non l’avrebbe mai considerata importante per lui, ma le stava bene così, le bastava poter stare al suo fianco, poter soddisfare i suoi desideri sempre e comunque. Nonostante non lo desse a vedere, sentiva che qualcosa era cambiato in lui quando aveva conosciuto quella Violetta. Non ne aveva ancora avuto conferma, ma se lo sentiva. Violetta era un ostacolo alla sua felicità, Leon era suo, di nessun altro, e quella serva avrebbe dovuto capirlo al più presto.
Lena si svegliò presto quel giorno: aveva tanto lavoro da fare, e poco tempo da perdere. Non appena ebbe aperto gli occhi, si rese conto che il letto di Violetta era rimasto completamente intatto, e la sua compagna di stanza non era ancora rientrata. Mentre si preparava per andare a fare colazione nelle cucine, continuava a buttare lo sguardo verso le coperte di lana candide, e la sua espressione si faceva sempre più preoccupata: aveva paura che quella povera ragazza fosse caduta vittima del principe Vargas. Si avvicinò al suo comodino e prese da un cestino un nastro azzurro che usò per legarsi i capelli. Il cestino era in vimini ed era l’unico oggetto rimastole della vecchia casa, dove aveva abitato con suo padre e sua madre. Sospirò al ricordare quei momenti di pura gioia, dove la sua innocenza di bambina era perfettamente coniugata ad una vita priva di preoccupazioni e difficoltà. La porta si aprì di colpo, facendola sobbalzare, e una figura spenta fece il suo ingresso.
Violetta aveva passato la notte in giro per il castello, consumando tutte le sue lacrime. Ogni tanto si fermava per il corridoio buio che stava attraversando e si toccava nervosamente il collo, dove Leon aveva impresso il suo marchio, quel bacio che al solo pensiero le faceva venire i brividi. Sentiva ancora le mani del principe sul suo corpo, e quella sensazione di nausea. Si era interrogata sul perché di quel comportamento, perché Leon dovesse avercela con lei, e alla fine si era data una risposta: la sua era pura e semplice malvagità. E nonostante tutto non riusciva a non provare pena per lui; nel suo sguardo leggeva dolore e sofferenza dietro quel perenne odio che voleva lasciar trasparire. Lena le aveva detto di stara attenta, di cercare di non incrociarlo, e lei non gli aveva dato retta. Era stata una sciocca superba, convinta di poter cambiare le persone con la sua sola presenza; adesso ne avrebbe pagato le terribili conseguenze. Il peso opprimente nel petto che l’aveva accompagnata per tutta la sera, non era sminuito affatto con il sorgere del sole, anzi…lo scorrere lento dei minuti la avvicinava sempre di più alla sera in cui avrebbe versato lacrime amare di dolore. Lena la stava osservando con le mani che ancora legavano il fiocco, senza capire il suo stato d’animo, ma intuendo che qualcosa di grosso era avvenuto.
“Va tutto bene?” chiese Lena, avvicinandosi e osservando le profonde occhiaie e gli occhi arrossati. Violetta non rispose ma si sedette sul letto, con lo sguardo fisso su un punto della stanza. La lingua era appiccicata al palato, e non riusciva nemmeno ad emettere un suono. La gola le bruciava per i numerosi singhiozzi, le membra le imploravano un po’ di pace e tranquillità, ma tutto quello le era impossibile. Perché le immagini di ciò che sarebbe successo quella notte erano come delle spine che si infilavano con forza nel suo corpo; e non c’era alcun modo di estrarle. Nella sua riflessione notturna aveva anche pensato a tutti i possibili modi per evitare di doversi concedere al principe: la fuga non era possibile, e non poteva sperare di evitarlo in eterno, prima o poi l’avrebbe costretta. Per un secondo un’idea assurda le era balenata nella mente: il suicidio. Ma l’aveva scacciata subito: voleva vivere, ci teneva a quel dono così prezioso, e non intendeva rinunciarci a causa di un essere spregevole come Leon. “Si può sapere che ti succede? Stamattina mi sono svegliata e non c’eri…hai passato tutta la notte fuori?” la interrogò Lena, agitandosi sempre di più. Aveva paura che fosse successo ciò che più temeva, la reazione della ragazza gliel’aveva fatto presagire. Violetta annuì e cercò di dire qualcosa ma gli uscì solo un flebile suono. “Ti porto qualcosa dalle cucine, va bene? Tu riposati, oggi mi occuperò io dei tuoi compiti” la rassicurò la ragazza, accarezzandole una spalla con fare materno e uscendo a passo svelto. Violetta si stese sul letto, e per la stanchezza si addormentò, sperando vivamente che fosse tutto frutto di un brutto incubo.  
Lena percorreva il corridoio che portava alle cucine con un’ansia crescente; i passi si facevano sempre più svelti, il suo nervosismo sempre più accentuato. Pane con la marmellata, acqua, un bicchiere di latte. Pane con la marmellata, acqua, un bicchiere di latte. Si ripeteva questa sorta di lista per la spesa per tutto il tragitto, non perché avesse paura di dimenticarsi qualcosa, ma perché così poteva tenere occupati i suoi pensieri in qualcosa di apparentemente superfluo. Senza rendersene conto andò a sbattere contro qualcuno proprio all’ingresso. “Stai attenta a dove metti i piedi!” esclamò con la sua vocina acuta Lara, squadrando la giovane serva. “Ah, sei tu” aggiunse subito dopo con gli occhi ridotti a due fessure. “Sloggia, sgualdrina” la richiamò Lena, stanca di quelle sue continue arie da superiorità. “Tu e la tua amichetta forse pensate di potermi fare le scarpe, ma puoi riferire a Violetta che non riuscirà a conquistare il principe Leon. Lui preferirà sempre e solo me!” esclamò la donna con fierezza. “Non ti capisco, ma certo è che sei completamente pazza, e un giorno questa tua ossessione per il principe ti porterà alla rovina, cara Lara” la intimò Lena, sbuffando. “Davvero non capisci? Vuoi dire che Violetta non ti ha detto nulla sulle attenzioni che Leon le rivolgerà stasera?” chiese maligna, puntandole il dito contro. Lena si portò una mano alla bocca, inorridita. Lo sapeva, lo aveva intuito fin da subito, ma sperava che Violetta stessa smentisse tutto con le parole. Senza degnare più attenzione alla sua interlocutrice entrò nelle cucine e afferrò un vassoio di bronzo poggiato in cima a una pila. Afferrò qualcosa da mangiare per lei e la sua compagna di stanza senza badarci minimamente. Con la testa era rimasta ancora alla conversazione avuta poco prima, e stava già pensando a una soluzione. No, Leon, non ce la farai, si ripeté decisa, mordendo con forza una mela verde, mentre con l’altra mano reggeva il vassoio.
Leon aveva ormai finito la sua colazione, consumata in completo silenzio e in solitudine. Jade non si era ancora svegliata e nella stanza era risuonato solo il tintinnio delle sue posate. Non gli interessava essere da solo: era sempre stato così in fondo. Dalla morte del padre la sua vita era cambiata. In meglio? In peggio? Nessuna delle due. Era cambiata, punto. Sospirò pensieroso, affacciandosi dalle ampie vetrate della biblioteca, e osservando il verde dei suoi occhi riflettersi. Gli erano sempre piaciuti i suoi occhi, il loro colore così particolare. Lui amava il verde, gli ricordava i campi, i prati sterminati, la natura selvaggia; in parole povere, la libertà. Apparentemente sembrava libero, ma non lo era. Delle catene invisibili avvolgevano il suo corpo e si inoltravano nella sua testa, controllandone ogni singolo pensiero. Non era libero di agire né di pensare, e quella condizione in fondo non gli dispiaceva. Se non era libero, non aveva responsabilità delle sue azioni, e uccidere diventava più semplice quando ti sentivi costretto a farlo. Era stata una delle prime lezioni che aveva imparato.
“Leon” lo chiamò una voce vecchia e stanca. “Humpty” rispose educatamente Leon, riponendo un libretto nero, che teneva in mano, usando l’indice come fermalibro. Si voltò di scatto verso il bibliotecario, che gli sorrise amorevolmente. “A cosa stavi pensando?” chiese l’uomo, sedendosi sul banchetto di lettura. “A niente” ribatté in modo vago il principe, posizionandosi sulla panca di fronte alla sua. “Ultimamente menti molto male” ridacchiò l’uomo divertito. “E con questo cosa vorresti dire?” lo interrogò l’altro, evidentemente stizzito. “Dico che l’arrivo di qualcuno ha scosso la stasi che ti aveva trascinato nella più completa e cieca obbedienza”. “Sei un vecchio pazzo” esclamò il giovane, tornando a concentrarsi sul libro. “Può darsi. Ma non c’è niente di male nell’ammettere che quella Violetta ti ha turbato in tutti i sensi” lo riprese con aria furba Humpty Dumpty, rialzandosi. Si avvicinò ad uno scaffale di una delle librerie e con l’indice scorse le rilegature polverose dei libroni. “Non penso proprio che mi abbia fatto alcunché quella ragazzina insignificante. Piuttosto sarò io a turbarla” ghignò Leon, pregustandosi la nottata che si stava lentamente avvicinando. Come sempre l’inevitabile profumo della pelle di Violetta, si impresse nei suoi sensi, dandogli un leggero brivido. “Se il tuo interesse per la giovane è così insignificante, perché nei tuoi occhi vedo del dubbio?” disse sorridendo il bibliotecario, estraendo un libro rosso fuoco; sembrava piuttosto recente. Il titolo in lettere dorate era in una lingua sconosciuta. “Ancora lo strapazzato!” sbuffò il giovane, prendendo con riluttanza quel tomo che gli stava porgendo l’anziano. “Lo strapazzato è la nobile lingua di noi uomini-uovo, e ti ho insegnato a leggerla fin da piccolo” si infuriò Humpty Dumpty, facendo un piccolo saltello. “D’accordo, d’accordo” si arrese, facendo roteare gli occhi. “Quel che cambia e quel che resta” lesse lentamente; doveva ancora prendere dimestichezza con quella lingua ormai morta. Nessuno la parlava più, tranne Humpty Dumpty, l’ultimo uomo-uovo. “Perfetto” affermò soddisfatto l’uomo, sfogliando velocemente le pagine giallognole. Leon ebbe il tempo di scorgere l’autore scritto in piccolo sulla copertina. “Ma l’hai scritto tu!” esclamò sorpreso il principe, che non si aspettava certo una sorpresa del genere. Humpty Dumpty ridacchiò soddisfatto di quell’affermazione. “Ecco, trovato” esclamò d’un tratto, voltando il libro verso Leon, e facendogli vedere un’immagine. Un giovane cavaliere era inginocchiato di fronte a una fanciulla dai capelli lunghi e dorati, e le baciava la mano candida in modo lieve. Una spada insanguinata era poggiata per terra, vicino cui giaceva la testa di una qualche creatura bestiale mozzata. “Che c’è scritto sotto?” gli chiese serio. Leon abbassò lo sguardo dalla figura e lesse quasi sussurrando. “Ciò che resta, ciò che nemmeno il tempo può smorzare”. “Ridicolo!” aggiunse poi ad alta voce, richiudendo il libro. Un’improvvisa immagine di lui che baciava la mano di Violetta, la quale arrossiva imbarazzata, attraversò la sua mente, ma la cacciò subito con la propria forza di volontà. Il bibliotecario sembrò leggergli dentro perché disse: “Sapevo che avresti capito”.
Leon si alzò di scatto con il volto funereo. “Mi hai annoiato, vecchio, ho di meglio a cui pensare. Mi vado ad allenare un po’” esclamò prima di uscire passo svelto dalla biblioteca. Non riusciva a capire cosa volesse dirgli Humpty Dumpty mostrandogli quell’immagine. E’ solo uno povero pazzo, pensò, mentre attraversava velocemente la sala d’ingresso e usciva all’esterno. Aveva solo voglia di esercitarsi un po’ al tiro con l’arco, e con la spada. Quando si allenava il suo corpo e la sua mente entravano in sintonia, e perdeva di vista tutto il mondo che lo circondava. Le armi erano diventate le sue uniche compagne, il suo unico modo per evadere la realtà. Afferrò la prima spada che si trovava nell’armeria, posta affianco al campo di addestramento, e la fece roteare nella mano destra con sicurezza. Stupido Humpty, e stupide chiacchiere. Sferrò un colpo, prendendo in pieno un manichino posto ai lati del campo con un grosso bersaglio rosso sulla stoffa e ne fuoriuscì un rivolo di sabbia. Lui non era cambiato per niente, lo sentiva. Diede un altro colpo che fece tremare il supporto in legno. Era stanco di farsi comandare da tutto e tutti. Si asciugò con una mano il sudore sulla fronte, e andò a prendere l’arco con le frecce. Quella sera avrebbe dimostrato al mondo che lui era il solito Leon, e che era impossibile redimere chi ormai si era completamente perso.
Lena era rimasta per tutto il tempo seduta accanto a Violetta, cingendole le spalle in un abbraccio rincuorante. Stava pensando a come risolvere quella situazione, non voleva che Violetta dovesse subire quella sorte. Violetta cercò di farla demordere da propositi assurdi: “Non c’è alcuna soluzione…stasera mi presenterò nella stanza di Leon, e…”. Deglutì al pensiero e ricominciò a singhiozzare. “No, io non lo permetterò!” esclamò decisa la ragazza, tornando a riflettere. “Leon tutte le sere si dirige nelle sue stanze, e si fa portare da Lara una sorta di sonnifero per la notte, che assume dopo aver…insomma, ci siamo capiti” riepilogò con calma. Conosceva abbastanza le abitudini del principe, anche se non nel dettaglio. Notte, sonnifero, Lara. Quanto odiava quella Lara! Era così superba, così insopportabile, si credeva una regina, mentre non era altro che una…Si riprese, costringendosi a tornare a pensare a una soluzione. Notte, sonnifero, Lara, stanze. Sonnifero! “Ma certo! Dovevo pensarci prima” disse tutta euforica Lena, alzandosi di scatto. “Non capisco…” mormorò Violetta, sempre più confusa. “Ho un piano, Violetta. Un piano che ha molte probabilità di successo come molte di fallimento. Sei disposta a provarci?” chiese seria la giovane serva, torturandosi alcune ciocche di capelli nell’attesa. Violetta ci pensò un po’ su, quindi annuì decisa. Doveva provarci, doveva dimostrare a Leon che non l’avrebbe avuta tanto facilmente.
Lena attraversò il corridoio che portava alla sala del trono, quindi svoltò a destra salendo una scalinata in pietra che la fece sbucare al piano superiore. Numerose porte si estendevano, intravide un’altra scalinata che portava a una delle torri del castello. Quello era il piano dei laboratori, dove i medici sperimentavano nuove cure o farmaci. Bussò alla prima porta sulla sinistra dove si poteva leggere la scritta ‘Medicinali: istruzioni per l’uso’. Un anziano con un camice bianco che arrivava per terra, impolverandosi, si affacciò mostrando i suoi occhialoni spessi che incorniciavano due piccoli occhietti grigiolini. “Cosa vuoi?” chiese burbero, grattandosi il capo canuto. “Mi servirebbe una forte dose di sonnifero. L’ha richiesta il principe Leon in persona” spiegò il più innocentemente possibile. “Non hai un mandato scritto” osservò l’uomo con disprezzo. “No…si tratta di un’emergenza. Se non arrivo in tempo sia io che te faremo una brutta fine” si giustificò, facendo un emblematico gesto di una testa mozzata. “Giovani! Stupidi e impazienti” borbottò il medico, liberando l’ingresso e avvicinandosi a un bancone in legno in fondo alla stanza. Il laboratorio era quasi completamente al buio, e l’aria malaticcia del medico faceva intuire che non era solito abbandonare spesso il suo luogo di lavoro. “Pfui!” sbottò il medico, prendendo in mano uno degli alambicchi e osservando con cura la sostanza liquida di un verde scuro al suo interno. Ne prese un altro e ne riversò la sostanza viola al suo interno. Un piccolo ‘puff’ determinato dalla reazione chimica, riscosse il torpore che aveva accompagnato Lena, non appena entrata lì dentro. “Quindi, quello è…” disse, indicando l’ampolla, che adesso aveva assunto una tonalità azzurrina. “Shhhh…Sto lavorando. Sto creando!” la riprese con impazienza. “Ma almeno sa come…”. Il medico la zittì di nuovo e tornò a lavorare. Erano ormai passate due ore, e finalmente sembrò aver finito. “Eureka!” esclamò soddisfatto. “Quindi il sonnifero è pronto?” chiese speranzosa Lena, non riuscendo più a stare lì dentro. “Il sonnifero? Quale sonnifero?” se ne uscì il vecchio, evidentemente perplesso. Lena per poco non esplose, ma fece un respiro profondo e decise di mantenere la calma: “Quello che devo portare al principe…”. Il medico si portò una mano sulla fronte. “Me lo potevi ricordare prima, ragazza!” esclamò, aprendo un armadio addossato alla parete, pieno di fiale e bottiglie. Prese una fiala di vetro riposta sullo scaffale più in alto, piena di un liquido trasparente. “Mi raccomando, non più di tre gocce. Già cinque gocce lo farebbero addormentare di sasso, all’improvviso” mormorò l’uomo, porgendole il medicinale. Lena annuì spazientita, prese la fiala ed uscì in fretta e furia da quel luogo buio e ammuffito. Cinque gocce erano proprio ciò che gli serviva.
Leon faceva su e giù per la stanza nervosamente. Era soddisfatto, profondamente soddisfatto. Di lì a qualche minuto Violetta si sarebbe dovuta presentare come d’accordo nella sua stanza, e avrebbe compiuto la sua opera. Sarebbe stato fantastico distruggere tutto ciò in cui credeva, voleva che provasse un dolore simile al suo, e non sapeva spiegarsi il perché. Forse vorresti che lei ti comprendesse, pensò all’improvviso, corrugando la fronte. No, non lo voleva affatto. Perché avrebbe dovuto? Perché ti senti legato a lei. Non è vero, non è così. Si sedette un attimo sul letto, ma poi scattò nuovamente in piedi, e si tolse la cintura a cui era legata la spada, preparandosi per il suo arrivo. Si avvicinò al camino acceso, approfittando del suo calore, e si perse a contemplare le fiamme crepitanti. Un improvviso senso di benessere lo avvolse e nei suoi occhi lo scintillio del fuoco si rese manifesto con una violenza incredibile. La legna ardeva e lentamente si riduceva in cenere, e Leon si incantò a quello spettacolo di distruzione. Il fuoco era lui, potente, affascinante, e distruttivo, mentre la legna erano coloro che tentavano di ostacolarlo o semplicemente incrociavano la sua strada. Lui non aveva pietà di niente e di nessuno.
Sentì qualcuno bussare alla porta, e distolse lo sguardo dal camino. “Avanti” esclamò con decisione. La porta si aprì, ed entrò Violetta, che stringeva nella mano tremante un calice di rame, con al suo interno quello che sembrava essere dell’ottimo vino rosso. Leon osservò la ragazza avanzare lentamente e fermarsi subito dopo, guardandolo negli occhi, già lucidi. Sorrise soddisfatto: era così fragile. Spezzare la sua volontà e la sua umanità era stato un gioco da ragazzi, fin troppo facile per i suoi gusti. Si era già stancato, e avrebbe smesso lì, se non fosse che già si stava pregustando una bella nottata, passata divertendosi come non mai. Non poté fare a meno di apprezzare le morbide curve di Violetta, che, per quanto nascoste dai vestiti volutamente larghi, non gli erano sfuggite affatto, anzi, erano quasi state il suo primo pensiero, vedendola entrare. Ma c’era una cosa che desiderava più di qualunque altra: sentire nuovamente il sapore della sua pelle. Era diventata una sorta di ossessione che non riusciva in alcun modo ad allontanare, era da quella mattina che ci pensava costantemente. Leon ammiccò con fare seducente, e si avvicinò alla ragazza, paralizzata per il terrore. Fece sfiorare lentamente le labbra con le sue, e riuscì ad avvertire i brividi di paura che la attraversarono. Si leccò il labbro soddisfatto, e si beò di quella situazione, posizionando con calma le mani intorno ai fianchi di Violetta. Con una rapida occhiata indicò interrogativamente il calice. “E questo?” chiese curioso, e intrigato allo stesso tempo. “E’…per renderti la serata più piacevole” mormorò la ragazza, mentre la vicinanza di Leon, per quanto sgradita, le provocò un lieve rossore alle guance. “Wow, non mi aspettavo tutta questa premura” ribatté il principe, sospettoso. “E’ avvelenato?” chiese, per poi scoppiare subito a ridere della sua battuta. Le tolse il bicchiere dalla mano e lo appoggiò sul comodino vicino al letto, quindi si avvicinò e depose un veloce bacio all’altezza del collo. Proprio come se lo ricordava: era un sapore divino, che ti faceva continuamente desiderare di averne ancora. “Sei strana, Violetta. Strana, ma affascinante. Non ti fare illusioni, non ti risparmierò per questo. Anche se sono sicuro che dopo un po’ la punizione non ti sembrerà poi così terribile” rise freddamente, guardandola dritta negli occhi. Violetta fece un respiro profondo: voleva piangere, voleva urlare, ma doveva cercare di contenersi, o il suo piano avrebbe fallito in partenza. “Non vuoi bere per brindare a questa notte?” chiese, tentando di nascondere il terrore che l’attanagliava. Leon scosse la testa, con un sorrisetto beffardo. “Ho voglia di altro questa notte, qualcosa di molto più dolce del vino” rispose, lasciandole una scia di baci lungo il collo, fino alla guancia. “Molto più dolce” ripeté, sussurrandole all’orecchio. 











NOTA AUTORE: sento già l'odio di voi lettori per come ho interrotto il capitolo xD Perdonatemi seriamente, ma un po' di suspense ci vuole proprio. La trovata di Lena era geniale, ma...non sembra aver funzionato! E adesso che succederà? Leon non sembra affatto intenzionato a fermarsi (come alcuni di voi avevano sperato), anzi...l'unica cosa buona è che sente un'attrazione fisica, ma ancora siamo lontani cento miglia da qualcosa che si avvicini all'amore. E' rimasto certamente turbato da alcuni dettagli di Violetta, come il sapore della sua pelle, che rimane un'ossessione per lui. E anche la scena nella biblioteca quando leggendo il libro datogli da Humpty (più Leonetta di lui non c'è nessuno xD *gli stringe la mano*) in cui si immagina per un secondo lui inginocchiato di fronte a Violetta che le bacia la mano è significativa. Leon comincia a sentire le sue certezza incrinarsi, ma non si arrende, è davvero testardo. Ah, tenete a mente gli incubi di Leon, hanno a che fare con il suo passato, che nel sonno, nell'incoscienza, non lo abbandona per niente, anzi lo tormenta continuamente! Tanti misteri ancora da svelare, ma questi capitoli introspettivi su Leon e Violetta li adoro, non so perché, mi piace approfondirne i pensieri in questo modo. Come sono belli, anche se ancora non c'è proprio da rallegrarsi xD Violetta è contraddittoria (in parte): soffre tantissimo per la condizione che la aspetta, ma rimane comunque affascinata dalla figura del principe, che la attrae in modo unico. E cosa più importante: oltre ad Humpty (che però conosce la storia), lei è l'unica ad aver capito da un solo sguardo che Leon ha qualcosa che non va. Qualcosa che nasconde, e nel prossimo capitolo il suo dubbio si tramuterà in certezza, come avremo occasione di vedere :D Lara è un personaggio negativo, ma non è del tutto cattiva. Anche il suo personaggio è interessante, anche se, giustamente, LO ODIO xD Lena invece è un geniaccio, e con la sua mente fredda agisce senza pensarci due volte. Ecco la nostra Lena, sempre pronta ad aiutare con la sua astuzia! Beh, sui personaggi e sulla storia non ho molto da aggiungere, aspetto di sentire la vostra :D Buona lettura a tutti, e grazie per il vostro continuo sostegno (anche su twitter) :D Alla prossima! ;D E al prossimo capitolo dal titolo: 'Una canzone d'addio o un arrivederci?'! :D
  
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