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Autore: anneboleyn94    30/10/2013    6 recensioni
Quando Harry Potter scompare all'età di sette anni, l'intero mondo magico si affanna per cercarlo e portarlo in salvo, ma alla fine anche Silente è costretto ad arrendersi all'evidenza: Il Bambino che è Sopravvissuto è perduto per sempre...
O forse no?
All'insaputa di tutti, Harry arriva ad Hogwarts per il suo primo anno sicuro del suo talento e delle sue ambizioni, ma ha ancora tanto da imparare sul mondo dei maghi, e la Guerra nonostante tutto incombe.
E questa volta potrebbero non essere solo i maghi a scendere in campo.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Ehm. Lo so, lo so. Gli aggiornamenti regolari sono andati a farsi friggere. Purtroppo, anche con tutta la buona volontà del mondo, possono succedere degli imprevisti, come andare all'università e dover cambiare casa dopo una settimana per trasferirsi in un'altra senza internet. E adesso non so bene come fare... intanto approffito dei  santi per pubblicare gli ultimi capitoli del primo anno. Il prossimo aggiornamento sarà o venerdì o sabato, e poi si vedrà.  Non appena avrò nuovamente accesso a internet, riprenderò ad aggiornare. Nel caso peggiore, dovrete aspettare le vacanze di natale :( Io però continuerò a scrivere, e spero che nonostante tutto anche voi non abbandoniate la storia.  Per quanto riguarda il capitolo, è strettamente connesso con il successivo, quindi non mi sembrava giusto farvi aspettare fino a natale. Che altro posso dire? Spero vi piaccia, ma vi do un consiglio: i fan di Sua Oscurità tengano lo champagne ancora ben tappato, la strada per la Sua rinascita non è poi così in discesa ;)




Saltò fuori che era stato Malfoy a fare la spia su Zar. Harry non poté certo dirsi stupito, ma decise che la rabbia di Draco per il fatto che era riuscito a tenersi il serpente fosse una vendetta sufficiente. Evidentemente però il biondo andò a lagnarsi con Piton, perché il primo giorno di punizione questi annunciò a Henri che, considerato che gli aveva permesso di tenere Zar, era giusto che scontasse più di una settimana di detenzione. Harry non protestò, anche perché era convinto che Piton l’avesse fatto non tanto per chiudere la bocca a Malfoy, ma anche perché iniziava ad apprezzare il vantaggio di avere lui a preparare le pozioni più semplici e noiose per l’infermeria. Le ore di detenzione con il suo capocasa divennero parte integrante della sua quotidianità, e in fondo non gli dispiacevano. I suoi voti in pozioni senz’altro ne beneficiarono.

Il rapporto con il pozionista era strano. Harry lo teneva d’occhio per avere informazioni sulla pietra. Da parte sua Piton lo studiava con sospetto; più di una volta Harry si chiese il motivo di tutta questa diffidenza, del resto non aveva fatto niente di così grava da meritarsela, a meno che l’atteggiamento circospetto del professore non fosse dovuto a Zar. Possibile che il capocasa di Serpeverde avesse dei pregiudizi contro i rettilofoni? Suonava come un controsenso.

Anche le lezioni di Raptor, dopo Natale, divennero ben più interessanti. Harry le trascorreva ignorando i compiti elementari che il professore assegnava per concentrarsi invece su di lui. Grazie al suo attento studio notò che il balbettio di Raptor era troppo perfetto e regolare per essere vero, e quando credeva di essere solo la sua camminata assumeva una nuova sicurezza, la sua postura si raddrizzava e il suo sguardo si induriva. Si chiese come facessero gli altri a non notarlo, ma nemmeno lui si era accorto di niente prima che la verità gli venisse sbattuta in faccia.

Non aveva parlato a nessuno della pietra. Si era domandato per giorni se dirlo o meno a Philippe, ma alla fine aveva deciso di no. Non poteva spiegare come aveva scoperto la natura dell’oggetto misterioso senza ammettere che aveva fonti fuori dal castello, e non sapeva come l’amico avrebbe preso la notizia che Raptor lavorava per Voldemort. Senza dubbio, se l’avesse detto a Malfoy, il ragazzino sarebbe corso entusiasta a dirlo al padre, ma Harry non riusciva a immaginare quale sarebbe stata la reazione di Philippe. Non sapeva in che ambiente fosse cresciuto, né cosa pensasse di Voldemort. Magari non gliene fregava nemmeno niente, visto che era francese.

No, non poteva parlarne a Philippe, non finché non avesse scoperto la verità sul suo conto. La sua storia, il motivo per cui si trovava in Inghilterra, il suo legame con i Leroy, e soprattutto la ragione delle sue frequenti sparizioni. Harry era certo che Philippe spariva non andasse in infermeria le volte che spariva. Si era intrufolato una notte, per avere la conferma, e aveva visto che non c’era nessuno nei letti. Non lo aveva ancora affrontato direttamente, sarebbe stato più facile scoprire la verità se l’amico non avesse avuto idea che stava indagando su di lui.

Il rapporto con gli altri suoi compagni era sempre freddo, ma almeno Draco sembrava aver trovato qualcun altro a cui dare il tormento. Doveva essere successo qualcosa tra lui e Ron Weasley durante la partita di Quidditch tra grifondoro e tassorosso, perché dal giorno il biondo aveva fatto del provocare il rosso la sua missione. Stando a quanto diceva Daphne, Malfoy, Weasley e Paciock se le erano date sulle tribune, ma quale che fosse il motivo, Harry era contento di non essere più il bersaglio principale delle infantili provocazioni del figlio di Lucius, senza contare che la nuova rivalità tra i due primini portò risultati insperati: una mattina, i serpeverde si svegliarono e scoprirono con grande gioia che la clessidra dei grifondoro si era praticamente svuotata durante la notte. Si diffuse poi la notizia che la McGranitt aveva beccato Weasley, Paciock, Thomas, Finnigan e Malfoy in giro per i corridoi di notte; Harry sentì Draco raccontare a Blaise e Theo, a colazione, di come il guardiacaccia si fosse tenuto un drago in casa per settimane, e Weasley e gli amici lo avessero aiutato a farlo sparire. I quattro grifondoro avevano perso duecento punti in un solo colpo, così nessun serpeverde se la prese con Malfoy per i cinquanta sottratti a Serpeverde, anzi, venne acclamato come un eroe per aver fatto la spia alla McGranitt. Grazie anche ai punti guadagnati per le vittorie a Quidditch, Serpeverde era in testa alla classifica e ormai aveva la vittoria in tasca. Flint era determinato a garantire alla casa verdeargento anche la coppa del Quidditch, così raddoppiò le ore di allenamento settimanale.

Nel frattempo, gli esami si avvicinavano e la biblioteca diventava ogni giorno più affollata, ma Harry era sereno. Era il migliore del suo anno e non avrebbe avuto problemi. La prossimità degli esami lo portò ad avvicinarsi agli altri serpeverde. Piton incoraggiò i primini a studiare insieme, e Harry cominciò a incontrarsi regolarmente con i suoi compagni in biblioteca o in sala comune per prepararsi assieme agli esami. Nonostante all’inizio lo facesse controvoglia, dopo un po’ cominciò a trovare piacevole le ore trascorse a studiare con gli altri, senza contare che Draco, Blaise e Theo erano abbastanza desiderosi di ricevere il suo aiuto da comportarsi civilmente anche con Philippe, almeno in sua presenza.

Lavr gli scrisse diverse volte, sempre raccomandandogli di starsene fuori dai guai, ma le sue lettere avevano l’effetto opposto: gli ricordavano della pietra, di Voldemort e delle cose che gli aveva detto Veles. Si era imposto evitare le tentazioni e stare lontano dal terzo piano, almeno fisicamente, ma nella sua testa la pietra era un chiodo fisso. Non riusciva a decidere cosa fare. C’erano giorni che si sentiva scoppiare all’idea di non far niente mentre uno squilibrato cercava di resuscitare il Lord Oscuro, altri in cui si convinceva che, davvero, non erano affari suoi - che se la sbrigasse Silente! -, infine, c’erano giorni in cui, per quanto cercasse di sopprimerlo, sentiva montare il desiderio di andare da Raptor e affrontarlo. Chiedergli perché lo stesse facendo, a che scopo servire un pazzo, cosa si aspettasse di ottenere.

Chiedergli com’era Lui.

È così, profondamente indeciso, lasciò passare le settimane e i mesi senza far niente. O forse il suo atteggiamento passivo significava che aveva già scelto: scelto di lavarsene le mani, di pensare al Quidditch e alla scuola e non al destino del mondo magico. Ma non era tranquillo. Le parole di Veles tornavano a torturarlo, e la cicatrice bruciava quasi quotidianamente, accusandolo. Stava aiutando Voldemort? Il suo menefreghismo avrebbe contribuito a far cominciare una nuova guerra? Ma lui aveva solo undici anni, non era compito suo fermare il lord oscuro, non finché a Hogwarts c’era Silente. Silente, l’unico mago che Voldemort avesse mai temuto. Finché ci fosse stato lui a proteggerla, Voldemort non avrebbe osato prenderla.


Vennero infine gli esami. Come previsto, Harry non incontrò difficoltà; ciononostante, uscì dall’aula di Storia della Magia, dove aveva dato l’ultimo, con il cuore più leggero. Sentì la Granger parlare con Paciock delle risposte che aveva dato.

«Cavolo, ma come fa quella?» sussurrò Philippe, scioccato. «Io mi sono già dimenticato quali erano le domande, e meno male direi. Fra una settimana usciranno i risultati, nel frattempo possiamo goderci la riconquistata libertà».

«Hai perfettamente ragione» concordò vivacemente Harry. «Penso che dopo tante ore in biblioteca sia il caso di uscire un po’, tu che dici?».

Philippe esitò un secondo, ma poi annuì sorridendo. I due uscirono dal castello. Il parco era pieno di studenti che avevano avuto la loro stessa idea, così decisero di allontanarsi un po’ per trovare un posto tranquillo. Si spinsero fin quasi alla foresta proibita, sedendosi all’ombra di un grande salice davanti al lago nero. Non c’era nessuno, a parte loro, i gemelli Weasley e Lee Jordan che in lontananza si divertivano a stuzzicare la piovra gigante.

«Sembra impossibile che sia già passato un anno» disse Philippe.

«Già, incredibile» mormorò Harry, quasi a se stesso. Ancora poco più di una settimana, e sarebbe tornato a casa. Ma ormai anche Hogwarts era un po’ casa sua. Gli sarebbe mancata. Quasi inconsapevolmente, si strofinò la fronte, la dove si trovava, nascosta, la cicatrice. L’anno scolastico era giunto al termine e Raptor non era riuscito a mettere le mani sulla pietra. Forse, dopotutto, Silente sapeva quel che faceva, e lui aveva fatto bene a non mettersi in mezzo.

Vide un tentacolo della piovra uscire dall’acqua e afferrare Lee, e rise di cuore quando i gemelli si portarono le mani nei capelli, recitando ad alta voce un epitaffio tanto solenne quanto volgare per il loro amico scomparso, prima di buttarsi in acqua a ripescare il povero grifondoro. Dopo pochi secondi i tre riemersero dall’acqua e si diressero verso il castello, ridendo spensierati e orgogliosi della loro ultima prodezza.

Harry e Philippe invece si trattennero nel parco, giocando a gobbiglie e parlando di tutto fuorché di esami. Dopo un’oretta però, Philippe si portò una mano allo stomaco, con una smorfia dolorante.

«Non dirmelo!» esclamò Harry «stai di nuovo male».

Philippe arrossì, ma non rispose.

«Vuoi che ti accompagni in infermeria?» domandò Harry, più freddamente di quanto non volesse.

Come previsto, l’amico declinò l’offerta, evitando accuratamente di guardarlo in faccia mentre diceva «non preoccuparti, faccio da solo. Tu resta pure qui».

Harry non insistette. Lo osservò raccogliere le sue cose frettolosamente, lasciando anche cadere un libro a terra per il nervosismo, e lo seguì con lo sguardo mentre si dirigeva verso il castello, la sua sagoma che diventava sempre più piccola. Un anno, e l’unico vero amico che si fosse fatto al castello era praticamente un estraneo. Per un attimo fu tentato di rincorrerlo, scagliargli una fattura e urlargli che le sue patetiche scuse non convincevano nessuno, e che lui esigeva di sapere la verità, ma si rese conto che sarebbe stato tremendamente ipocrita da parte sua. Prese un bel respiro, e decise di approfittare della solitudine per dedicarsi agli esercizi di meditazione che aveva trovato nel libro di Occlumazia regalatogli da Lavr per natale.

Chiuse gli occhi, e si sforzò di non pensare a niente se non al proprio respiro. All’inizio non fu facile, migliaia di pensieri affioravano nella sua mente, ma dopo qualche minuto riuscì a calmarsi e concentrarsi solo sui delicati suoni che lo circondavano. Le fronde degli alberi mossi da un alito di vento, il leggero incresparsi della superficie del lago. Attraverso le palpebre chiuse percepiva il colore caldo del tramonto, e il tronco a cui era poggiato era comodo e avvolgente come una nicchia. Si sentiva in pace, libero e senza preoccupazioni come non era stato da settimane. Gli esami erano finiti, l’estate era alle porte, e stava così bene lì accoccolato vicino al lago…


Era euforico, esaltato e trepidante come non si sentiva da anni, ma sembravano secoli. Finalmente, l’occasione perfetta gli si era offerta senza che dovesse pensarci lui. Quel babbeo di Hagrid era stato fin troppo facile da abbindolare, l’ennesima prova di quanto fosse sciocco, Silente, a fidarsi. E ora il vecchio era lontano, a Londra, e quando sarebbe tornato sarebbe stato troppo tardi. Ora che sapeva come superare il cane non avrebbe avuto problemi con le altre protezioni. Mesi di tentativi, e ora solo poche ore lo separavano dall’impadronirsi della pietra, dal proprio ritorno. Dopo undici anni di orribile, estenuante sopravvivenza, Lord Voldemort avrebbe riavuto il suo corpo, e non sarebbe più stato costretto a dipendere da animali e idioti come Raptor, non avrebbe più dovuto nascondersi da patetici auror il cui potere era niente, niente in confronto al suo. Nessun altro si era spinto in là quanto lui nel mettere alla prova la magia, nessun altro avrebbe potuto resistere alla condizione miserabile a cui era stato costretto quando qualcosa era andato storto nell’attacco ai Potter. Un errore che non si sarebbe ripetuto. Stanotte, stanotte. Interiormente urlava di gioia. Quale ironia, che il suo ritorno sarebbe avvenuto rubando la leggendaria pietra filosofale da sotto il naso di Albus Silente! Mancava poco, pochissimo…


Harry aprì gli occhi. La cicatrice a forma di saetta bruciava e il cuore gli batteva furioso nel petto. Si alzò a sedere, confuso, appoggiandosi al tronco dove si era… addormentato? Il sogno era stato tanto vivido che per un secondo si aspettò di trovarsi Voldemort davanti, di sentire urla, di vedere bagliori di incantesimi, ma tutto attorno a lui era calmo. Doveva aver dormito diverse ore: il parco era buio e poteva vedere la luna sorgere attraverso il velo delle nuvole. Si sentì assalire dal panico. Era fuori nel parco, di notte. Sicuramente il portone era chiuso da ore.  E la pietra…. Strabuzzò gli occhi. Doveva tornare al castello, subito, non importava se si sarebbe cacciato nei guai, doveva avvisare qualcuno.

«Bella nottata, eh?» disse una voce allegra alle sue spalle.

Harry trasalì e si girò con la bacchetta stretta in pugno, solo per trovarsi davanti i due gemelli Weasley. Sollevato, abbassò la bacchetta, senza tuttavia riporla in tasca. «Voi che ci fate qui?» chiese.

«Sentito Fred? Chiede cosa facciamo qui».

«Festeggiamo, mi sembra chiaro. Secondo te cosa potremo mai fare, di notte nel parco?» domandò il secondo gemello, con un sorrisetto canzonatorio.

«Ehm» fece Harry, a cui francamente non importava niente dei due grifondoro in quel momento. Forse nel mentre che lui parlava con loro, Voldemort si avvicinava alla pietra. «Sentite, io devo assolutamente tornare al castello» esordì, ma George lo interruppe.

«Si beh, odio deluderti, ma il portone è leggermente chiuso al momento».

«Mi farò aprire» tagliò corto il serpeverde, decidendo che non aveva senso perdere altro tempo e girandosi per tornare a scuola. Uno dei gemelli, Fred probabilmente, gli si parò davanti, bloccandolo.

«Sentite» esclamò Harry, spazientito «io devo tornare subito al castello. Voi fate quello che volete, non dirò di avervi visto qui».

Fred si portò una mano sul cuore. «Ma è commovente!»

«Un serpeverde che copre due grifondoro per proteggerli da una punizione!» esclamò George, con voce fintamente rotta.

«Non ho voglia di scherzare» disse Harry, con tono mortalmente serio.

I due smisero di ridere. «Ascolta Henri; posso chiamarti Henri vero? In fondo ci siamo già conosciuti…» disse Fred, alludendo al loro incontro al binario nove e tre quarti. «Non succederà niente se passi la notte qui fuori. Insomma, a meno che i tuoi compagni non facciano la spia, ma anche in quel caso…. Se ora ti metti a bussare al castello rischi ben più di una punizione, se invece rimani hai qualche possibilità di farla franca. E puoi restare con noi, se hai paura. Noi siamo nati per aiutare i primini in difficoltà, ricordi?»

Sua malgrado, nonostante il terrore che provava e l’assurdità della situazione, Harry sorrise. «Anche se il primino in questione è una serpe?»

I due gemelli si guardarono, come se non avessero considerato la cosa, ma poi si strinsero nelle spalle. «Diciamola tutta, tu sei il nostro peggiore incubo» disse Fred.

«Già» convenne George «Sei un secchione serpeverde e per giunta nostro rivale a Quidditch, ma se ora ti lasciassimo fare qualcosa di stupido…»

«Come svegliare Gazza e farti espellere…»

«Non avremmo la soddisfazione di disarcionarti con un bolide alla prossima partita. E credimi, non vediamo l’ora di farlo» concluse Gerge con un ghigno.

«Che dire, sono davvero commosso. Ma voi non capite, devo assolutamente tornare al castello. Io ho… scoperto una cosa, e devo parlare con un insegnante. Si tratta del corridoio del terzo piano».

I due lo guardarono curiosi. «Oh, parli del cane?»

«Come sapete…» cominciò Harry, ma si bloccò. «Oh, non importa! Non ho tempo di spiegare, ma c’è un ladro nel castello, e devo avvisare Piton o la McGranitt, non m’interessa se finirò nei guai».

«Molto nobile da parte tua. Ricapitoliamo. Dopo un bel sonnellino ristoratore nel parco, ti svegli e improvvisamente ti ricordi che devi assolutamente tornare al castello, per compiere un atto nobile quale avvisare gli insegnanti di un imminente furto. Ho capito bene?» fece George, sarcastico.

«Sono curioso. Se la missione della quale sei stato investito è tanto importante, perché non ci hai pensato prima di addormentarti placidamente contro un albero?»

«O magari sei un veggente. Ma certo Fred, come abbiamo fatto a non capirlo prima? Henri qui ha avuto un sogno premonitore! E noi che pensavamo dicesse baggianate!»

«Non m’interessa se sembra assurdo e non mi credete» replicò Harry, cercando di non pensare che ci fosse un fondo di verità nelle loro parole. Si stava agitando tanto per un sogno. Un sogno incredibilmente vivido e realistico, ma pur sempre un sogno. Eppure non poteva fare altrimenti; se c’era anche una minima possibilità che avesse ragione, doveva sbrigarsi. «Non vi chiedo di fidarvi di me, non mi conoscete nemmeno. Però che motivi avrei di mentire? Come avete detto voi, ho solo da perdere a tornare al castello adesso, e certamente non potete pensare che lo faccia per tirarvi qualche tiro mancino, al massimo sono io che dovrei preoccuparmi di eventuali scherzi, visto con chi sto parlando. Fate come se non mi aveste visto. Datemi almeno il beneficio del dubbio quando vi dico che è una questione di vita o di morte».

I due gemelli lo studiarono in silenzio per qualche istante, assorbendo le sue parole, poi si guardarono e sospirarono teatralmente. «Lo stiamo facendo davvero, George?»

«Temo di sì, fratello» gli rispose l’altro, rassegnato.

Prima che Harry potesse chiedere di che diavolo stessero parlando, i due lo afferrarono per un braccio ciascuno e lo condussero a forza verso la foresta. «Se vuoi entrare nel castello, ci sono vie più rapide che prendere a calci il cancello finché qualcuno non viene a espellerti» gli spiegò Fred, prima che potesse ribellarsi.

«Ti stiamo facendo un grande onore a mostrartelo» asserì George, solenne. Il trio si fermò ai margini della foresta proibita, e Fred puntò la bacchetta contro il terreno sottostante un grande sempreverde e sussurrò: «Alohomora».

Sotto lo sguardo stupito di Harry, il terreno davanti a loro cominciò a sprofondare, fino a creare un’apertura abbastanza grande da far entrare un uomo. Si inginocchiò, e vide che il buco non era che l’ingresso a un tunnel sotterraneo.

«Questo ti porterà dritto all’anticamera della Sala Grande, da lì dovrai arrangiarti da solo».

«E’ la verità? Non è uno dei vostri scherzi?»

«Serpeverde!» esclamò George, ferito. «Così diffidenti!»

Oh beh, pensò Harry. Il gioco vale la candela.

«Grazie» disse con un sorriso. I due annuirono con un’espressione seria che non gli si addiceva per niente. «Spero che non ce ne pentiremo» mormorò Fred. Senza aggiungere altro, si allontanarono.

Senza perdere altro tempo, Harry si infilò nel tunnel. Era basso e stretto, e all’interno faceva un freddo terribile. Illuminò la strada con la bacchetta, e camminò per diversi minuti, mentre la sua mente lavorava frenetica. Dovevano essere le undici di sera circa. Forse Raptor avrebbe aspettato che fosse più tardi per scendere sotto la botola, forse era ancora in tempo. Dopo quella che gli parve un’infinita giunse alla fine del tunnel. Usò lo stesso incantesimo di Fred per aprire la piccola porta che si trovò davanti, e fu lieto di vedere che i gemelli non lo avevano preso in giro. Era vicino alla sala grande. Non ebbe bisogno di fermarsi a riflettere, imboccò il corridoio a sinistra e cominciò a correre verso i sotterranei, pregando di non incontrare nessuno lungo il tragitto.

Piton, doveva parlare con Piton. Il pozionista si sarebbe infuriato e lo avrebbe messo in punizione fino ai diciassette anni, ma gli avrebbe creduto. Lui avrebbe saputo cosa fare. Dovette interrompere la sua corsa disperata quando sentì dei rumori. Si nascose dietro una colonna, e vide passare Pix. Il poltergeist stava canticchiando una canzone volgare e colpendo le armature, facendo un casino infernale. Harry pregò che non attirasse l’attenzione di Gazza. Aspettò diversi minuti nascosto, maledicendo Pix. Stava perdendo tempo.

Quando fu sicuro che il poltergeist si era allontanato, uscì dal nascondiglio e riprese a correre. Arrivato davanti allo studio di Piton non si concesse il lusso di esultare, ma prese a bussare furiosamente alla porta, invano. Se il pozionista non era nei suoi appartamenti sarebbe stato un disastro. Pregando che stesse solo dormendo, per la seconda volta usò l’Alohomora.

Entrò nell’ufficio del pozionista, e non fu molto sorpreso di trovarlo vuoto. Sperando che, come immaginava, Piton vivesse lì, attraversò lo studio e tentò di aprire la porta in fondo. Era chiusa. Questa volta non si prese il disturbo di bussare. Impugnò la bacchetta e recitò sicuro: «Alohomora».

Non si aprì.

Preso dal panico, Harry si chiese se seguire il consiglio di Fred e prendere a calci la porta o lasciar perdere e andare al terzo piano personalmente. Si riscosse. Ormai, visto tutto il tempo che aveva sprecato, un ultimo tentativo non avrebbe cambiato nulla. Cercando di non pensare a cosa gli avrebbe fatto Piton una volta sveglio, Harry si allontanò prudentemente e pronunciò: «Bombarda».

La porta saltò in aria con un boato tremendo, che fece tremare il pavimento, e la vista gli fu offuscata dalla polvere alzata dall’esplosione. Quando finalmente la cappa di fumo si fu diradata, Harry varcò ciò che restava della soglia, bacchetta alla mano e pensando con umorismo suicida che ora Piton era senz’altro sveglio. Ciò che vide una volta dentro però lo lasciò a bocca aperta.

Era entrato in un salotto di medie dimensioni, decorato con i colori di serpeverde, e in piedi davanti a lui, l’espressione sconvolta e spaventata, c’era Philippe.

«Che diavolo…» balbettò Harry, ma l’amico non stava ascoltando. Philippe si gettò in ginocchio, là dove, si accorse il moro, si stavano spargendo i resti di una qualche pozione.

«No, no, no» balbettò Philippe, atterrito, cercando di raccogliere i frammenti di una fiala, contenendo con la mani la pozza di liquido fumante che si stava creando. «No, mi è caduta, mi è caduta!» urlò, alzando lo sguardo carico di paura, incredulità e rancore. «Che cazzo pensavi di fare?» gridò.

Harry non rispose. Si sentiva come pietrificato. Rimase li, a guardare il suo migliore amico, mentre la sua mente sembrava indecisa su cosa fosse più urgente capire: il perché Philippe si trovasse là, nello studio di Piton, con in mano chissà quale pozione, o come fare a fermare Raptor prima che fosse troppo tardi. Si riscosse. «Philippe ascoltami, adesso non ha importanza il perché sei qui. Devo trovare Piton, Raptor…»

Ma Philippe non stava prestando attenzione. Il francese si portò una mano al petto, come se provasse dolore, e gettò uno sguardo al grande orologio posto al lato della stanza. «Devi andartene, adesso» disse, il volto privo di colore. «Piton sta facendo la ronda, vallo a chiamare. Esci da qui!»

«Philippe che ti sta succedendo?» chiese Harry, avvicinandosi e porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.

«Ti ho detto di andartene!» urlò il ragazzo, allontanandogli il braccio con un colpo. Sorpreso, Harry lo guardò bene. Era sconvolto, e il suo viso era contratto dal dolore. C’era qualcosa di bestiale in lui.

Oh, fu tutto quello che riuscì a pensare, mentre finalmente tutto acquistava un senso. Le sparizioni. L’agenda. La pozione.

Oddio, la pozione.

«Philippe, tu ne hai bevuta almeno un po’?» L’amico capì di cosa stava parlando, ma non ci fu bisogno di rispondere. Lanciò un urlo straziante, e si accasciò a terra.

Harry rimase a terra, dimentico della pietra, di Voldemort e di Raptor, a guardare il suo migliore amico contorcersi per quelle che parvero delle ore. Nella stanza risuonavano le urla di Philippe, e il nauseante rumore di ossa che si spezzano, mentre il corpo del ragazzo si allungava e si riempiva di peli, e lui, Harry, non sapeva che fare. Voleva aiutarlo, ma sapeva che era troppo tardi, che avrebbe fatto meglio a scappare…

E poi cadde il silenzio. Davanti a lui, ora c’era un lupo mannaro completamente trasformato. Si guardarono per un secondo, il ragazzo e il lupo. La bestia scoprì le fauci, emettendo un basso ringhio. Di scatto, Harry si precipitò verso l’uscita, ma non fu abbastanza veloce. Con un balzo, il lupo gli fu addosso. Rotolarono fino all’ufficio di Piton, colpendo alcuni scaffali e rovesciando a terra diverse pozioni. L’aria divenne irrespirabile. Il mannaro era sopra di lui, pronto a morderlo. Disperato, Harry gli chiuse la bocca con le mani, consapevole che la sua forza non era paragonabile a quella dell’animale, ma approfittò dei pochi secondi così guadagnati per richiamare in superficie la sua magia e scagliarla contro la bestia, scaraventandola lontano.

Si rialzò, ansante, e recuperò la bacchetta. Non poteva fare del male al lupo, era Philippe dopotutto, ma non sarebbe nemmeno rimasto lì a farsi ammazzare. Si precipitò verso la porta, ma ancora una volta non fu abbastanza veloce. Sentì gli artigli della bestia conficcarsi nella sua schiena. Cadde a pancia in giù, urlando di dolore. Il lupo era di nuovo sopra di lui, poteva sentirne il fiato caldo sul collo, mentre gli artigli della bestia gli si conficcavano sempre più a fondo nella schiena, lacerandogli la carne. Realizzò in quell’istante che sarebbe morto, lì nell’ufficio di Piton, ucciso dal suo migliore amico la stessa notte che Voldemort riotteneva il suo corpo. Oh, che peccato che solo Lavr e Veles avrebbero potuto apprezzare l’ironia della cosa.

Ci fu un lampo di luce rossa, e il peso sopra di lui scomparve. La vista gli si appannò, sentiva le forze che lo lasciavano. Una gioia selvaggia, feroce, lo invase, e sprofondò nell’incoscienza.

  
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