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Autore: Fabio93    30/10/2013    2 recensioni
Il mondo è finito, eppure Kal, Dorian e pochi altri sopravvissuti continuano a vivere, camminando fra le rovine di una realtà popolata di creature pericolose e inquietanti. Ogni alba si porta via la notte, e la notte spesso ti porta via con sé. Eppure, in un mondo in cui ogni giorno non è altro che una lunga marcia fino al tramonto, c'è ancora chi sa vedere attorno a sé la speranza.
Genere: Avventura, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI

 

La città era uno scoglio in muratura in mezzo ad un mare di nebbia.

Cavalloni di foschia umida scivolavano sulle sue mura, trascinati da una corrente silenziosa e fredda. Il sole era appena sorto, tutto era dipinto di un grigiore perlaceo che sfumava la luce e confondeva le forme.

Appostati sulla cima della collina più vicina, Kal e gli altri riuscivano a malapena a scorgere i profili degli edifici più alti, ma da quel poco che vedevano sembrava una città piuttosto grossa. Nessuno aveva idea di che posto fosse, però: erano troppo lontani dai territori a loro familiari.

Avevano seguito le tracce dei rapitori fino ad uscire dal labirinto delle colline, fermandosi solo quando la luce diventava troppo scarsa per distinguere la via. Una perdita di tempo importante, soprattutto con le notti che andavano allungandosi, ma inevitabile. Tuttavia, ora avevano la meta davanti ai loro occhi.

I due assassini dovevano per forza avere lì il loro rifugio, non c'era altra ragione per addentrarsi in una città: da quando la piaga aveva consumato la civiltà, centri abitati come quello erano diventati tane perfette per i vampiri, ricche di posti in cui nascondersi fino al calare della notte. Evidentemente quella città era un'eccezione, oppure l'avevano ripulita dai vampiri. Il che era decisamente preoccupante.

-Quanti pensi che saranno?- chiese a Dorian, alla sua destra.

Il Falco fissava il paesaggio come a voler fendere la nebbia col proprio sguardo, cercando di cogliere ogni particolare che potesse essere utile.

-Mi piacerebbe saperlo. Abbastanza per un'accoglienza in grande stile, temo: se davvero vivono al sicuro in quella città, devono essere parecchi.-

-Parecchi...- gli fece eco Gwen, seduta poco più indietro -Non suona bene.-

Negli ultimi giorni era parsa sempre più stanca, un mucchietto d'ossa tenuto a stento insieme da muscoli indolenziti, ma nel suo sguardo non era mai mancata la determinazione. Kal sapeva che non si sarebbe fermata, e aveva avuto ragione.

-Diamine, non abbiamo mai incontrato gruppi di più di dieci persone...mi rifiuto di credere che possa esserci un'intera città ad aspettarci.- fece Kal.

La luce andava pian piano aumentando, ed i colori emergevano tenui dai vortici di nebbia.

-Dobbiamo essere comunque cauti, Kal. Sicuramente sono più di noi: non possiamo semplicemente fare irruzione e dare battaglia.-

-Questo lo so.- ammise lui, aprendo e serrando le dita delle mani. Serviva per il freddo, ma anche per tenere a bada il nervosismo.

-Ma non possiamo aspettare: ogni ora, ogni minuto che passa potrebbe essere uno di troppo. Non sappiamo cosa vogliano farne di Alessandra ed Amanda, ma dobbiamo impedirglielo. A tutti i costi.-

Fissò l'amico, che sostenne il suo sguardo senza problemi.

-Io sono con te, Kal, ti dico solo le cose come stanno.-

Kal annuì.

-Lo so. Ma non abbiamo scelta, dobbiamo muoverci. Faremo un giro di ricognizione delle mura, sperando che non siano abbastanza numerosi per presidiarle. Se saremo fortunati troveremo un punto d'accesso prima che la nebbia sia calata del tutto.-

-E poi?- domandò Gwen.

Tremava per il freddo. Le sarebbe servito un po' di riposo, ma non era possibile.

-Ci inventeremo qualcosa. Tu ti ricordi come si usa quella?- le domandò, alludendo alla lancia che stringeva forte nella mano destra.

-La punta verso il nemico, se non sbaglio...- rispose lei con un mezzo sorriso.

Kal glielo restituì.

-Allora sei pronta a tutto.-

Un paio di minuti dopo stavano scendendo dalla collina, al riparo del velo candido della bruma invernale.

 

 

Furono fortunati.

Anche se il cancello principale era ben chiuso, una sezione intera di mura era crollata su sé stessa, giaceva come calpestata da un gigante, anche se probabilmente erano state le intemperie e la mancanza di riparazioni a fare il danno. Comunque, le macerie non erano state rimosse e con un po' di attenzione le si poteva scalare e passare dall'altra parte.

Kal osservò il muro di cinta: doveva essere alto almeno venti metri, anche se i calcinacci arrivavano ad un'altezza inferiore.

-È una bella sfacchinata.- commentò Dorian, ai piedi delle macerie -Però ce la possiamo fare.-

-Possiamo farcela, certo. Quello che mi preoccupa è che saremo visibili e vulnerabili per tutto il tragitto...-

Il mare di nebbia si era ritirato, lasciandosi dietro solo un ristagno opaco sul paesaggio sempre più nitido. Una buona giornata, considerata la stagione.

-Non abbiamo visto guardie sulle mura, probabilmente non sono abbastanza per controllarle. Secondo me, se ci saranno guai, li avremo una volta dentro la città.-

-Potrebbe esserci un altro passaggio più sicuro.-

-Oh, ma smettila!-

Gwen si avvicinò a grandi passi alla catasta di pietre ed iniziò la scalata.

-L'hai detto anche tu che non c'è tempo da perdere! Non troveremo passaggi migliori di una breccia di dieci metri nelle mura, dobbiamo tentare, ora.-

Non si fermò neanche per quel breve discorso. Dorian si girò verso di Kal, alzando le spalle.

-Ha ragione.-

-Già, suppongo di sì...-

La scalata era meno difficile del previsto. Rocce squadrate e grosse come barili erano accatastate l'una sull'altra a formare una specie di scalinata sbilenca ed informe. Procedere con la cotta di maglia addosso era faticoso, ma Kal era sicuro di poter resistere senza rallentare fino in cima, la discesa sarebbe stata una passeggiata.

In breve tempo lui e Dorian superarono Gwen, il silenzio rotto dallo scricchiolio delle rocce sotto i loro piedi e dai loro respiri esalati a denti stretti.

Kal avrebbe voluto procedere più in fretta, ma senza la giusta cautela avrebbe finito solamente per azzopparsi e non avrebbe mai raggiunto Alessandra. Continuava a tenere d'occhio le mura, aspettandosi ogni volta di scorgere una sagoma umana a stagliarsi contro il cielo bianco come il latte, ma ancora nessun segno di vita, da quelle parti.

Le cose stavano andando bene, in fondo: la cima era a portata di mano e non avevano incontrato né sentinelle né trappole sul percorso.

Fece appena in tempo a formulare quest'ultimo pensiero, prima che il terreno gli mancasse sotto i piedi.

Fu un volo breve, come un tuffo nell'acqua, solo che ad accoglierlo ci fu solida pietra. Cadde sulla schiena e l'impatto gli svuotò i polmoni con un rantolo strozzato; una grossa pietra lo colpì sulla spalla: il dolore gli saettò su per il braccio, che un secondo dopo divenne completamente insensibile.

Kal gridò e scivolò verso il basso, portandosi dietro una piccola frana di sassi e polvere, verso un budello di pietra allagato dal buio. Cercò di far presa con mani e piedi sul terreno sconnesso, all'inizio non funzionò, ma dopo qualche metro la caduta rallentò fino a fermarsi.

In bilico su un pozzo di tenebra, per un attimo ci furono solo i suoi respiri affannati a riempire il silenzio.

-Cazzo...-

Il braccio cominciava a pulsargli, riusciva a muoverlo, ma a fatica: per fortuna era il sinistro. Si alzò, con cautela. Dal buco che lo aveva inghiottito, qualche metro più in alto, entrava luce sufficiente a dare una vaga forma all'ambiente: doveva essere finito dentro di uno dei vecchi passaggi all'interno delle mura che evidentemente non era andato distrutto. Che fosse una trappola o un pessimo scherzo del destino poco importava: la situazione non era comunque delle migliori.

-Kal? Kal!- la voce di Gwen gli giunse distorta, dall'esterno.

-Sono...sono qua sotto!- rispose, risalendo a passi misurati verso la voce.

-Questo era chiaro!- Dorian –Stai bene?-

-Sì, solo un braccio ammaccato.-

Il buco era proprio sopra la sua testa, Dorian e Gwen si sporgevano dai bordi, sollevati di vederlo camminare sulle proprie gambe.

-Non ce la fai, vero, ad issarti?- domandò il Falco.

Kal non provò nemmeno ad allungarsi.

-È troppo alto, ho bisogno di una mano.-

-E va bene, vedi solo di non trascinarmi lì sotto con te.-

Fece per porgergli il braccio, ma Gwen lo bloccò. Stava fissando il buio alle spalle di Kal con gli occhi di chi vede il lupo cattivo uscire dalla foresta.

Kal girò su sé stesso: due occhi gialli, selvaggi, si erano accesi nella penombra. Il vampiro mosse qualche passo incerto verso di lui, era alto e magro, sembrava confuso: doveva essere da tempo che non si svegliava per un pasto. Il Falco portò la mano destra all'impugnatura della spada, ma le sue dita si strinsero sul nulla.

Era disarmato.

La paura si impadronì di lui, lo pietrificò sotto lo sguardo di quegli occhi spietati, come una preda incapace di fuggire. Il vampiro emise un ringhio gorgogliante e tese i muscoli.

-Kal! Sali!- Dorian si allungò verso di lui, alle sue spalle.

Non poteva andarsene senza la sua spada: gli serviva un'arma! Valutò le opzioni in un attimo.

Un attimo di troppo.

Il vampiro scattò in avanti, Kal si scansò appena in tempo e lo spinse di lato, il mostro rovinò a terra, sferzando l'aria coi propri artigli nel tentativo di colpirlo. I detriti smossi trascinarono Kal verso il basso, ma lui riuscì a non cadere.

Si guardò attorno: altri occhi, uno dopo l'altro, si accendevano come tante piccole fiamme brillanti. Scorse anche una forma familiare, poco più avanti: la sua spada.

Si lanciò verso di essa proprio mentre un secondo vampiro si faceva sotto a bocca spalancata, Kal afferrò la propria arma, la estrasse, e con un movimento fluido gliela ficcò in gola. Il mostro si dibatté come un pesce preso all'amo, poi crollò a terra, immobile.

Ma ce n'erano altri, troppi.

Si rese conto che se non se ne fosse andato in fretta non se ne sarebbe andato più.

-Kal, avanti, CORRI!- urlò Gwen.

Pareva distante chilometri, ma Kal seguì il consiglio e corse. Un vampiro lo afferrò, spuntato da chissà dove, le unghie rasparono sugli anelli di metallo, i denti aguzzi gli si chiusero ad un palmo dal viso.

-Levati...!- Kal lo allontanò con una gomitata sullo stomaco, per poi scoperchiargli il cervello con un rapido fendente.

Gli altri vampiri erano sempre più vicini, ad ogni passo parevano più numerosi.

-Maledizione, maledizione, maledizione...- ripeté ossessivamente, come una bizzarra preghiera, riprendendo ad arrancare verso la luce, che sembrava non avvicinarsi di un passo.

Il primo dei vampiri ad averlo attaccato si era rimesso in piedi e lo aspettava a braccia aperte. Con un urlo famelico si lanciò alla carica: Kal doveva assolutamente schivarlo, o lo avrebbe ributtato giù, verso i suoi inseguitori.

Una freccia tagliò l'aria con un sibilo sottile, conficcandosi nella spalla del mostro; quello incespicò e rallentò il passo. Kal si spostò di lato e si abbassò, passando sotto al braccio della creatura mentre quella proseguiva la sua folle corsa. Girandosi appena, il Falco ebbe una fugace visione di quello che c'era alle sue spalle: denti e occhi indemoniati ovunque posasse lo sguardo.

Fece in volata gli ultimi metri, rinfoderò la spada e si lanciò verso Dorian, che lo afferrò al volo. Per un attimo temette che sarebbero caduti entrambi, poi l'amico iniziò a sollevarlo.

Qualcosa gli afferrò il piede, stringendolo in una presa di ferro.

Il volto di Dorian si fece paonazzo, i muscoli del collo gli si tesero come corde d'arpa nello sforzo di strapparlo alle grinfie del mostro.

-Lasciami, lasciami andare, stronzo!-

Kal scalciò come un cavallo imbizzarrito; colpì qualcosa col tacco dello stivale, la presa si sciolse e il secondo dopo fu libero. Dorian lo trascinò con un unico slancio fuori dalla tana e si ritrovarono entrambi stesi a terra: ansimanti, esausti, salvi. Dal pozzo di pietra giungevano grida disumane e ringhi inferociti, ma nessuno di quei mostri poteva raggiungerli: c'era troppa luce per loro, là fuori.

Fece appena in tempo a mettersi seduto, prima che Gwen lo cingesse in un abbraccio fin troppo simile ad una morsa letale.

-Grazie al cielo stai bene...- sussurrò, fissandolo in volto con occhi un po' lucidi.

Lui sorrise, ma poi la allontanò da sé con delicatezza. Le braccia gli tremavano, il respiro gli si era come incastrato in gola. Guardò verso il basso, verso la gamba che uno dei vampiri gli aveva afferrato e che gli bruciava come fosse poggiata su una pietra rovente.

Non fu una sorpresa vedere il sangue.

Kal osservò la ferita dapprima con un certo distacco, come se non si fosse aspettato nulla di diverso che quello squarcio nel polpaccio. Sapeva che lo avrebbe trovato lì, che prima o poi sarebbe finita in quel modo.

-Oh merda...!-

Dorian aveva visto. Gwen seguì il suo sguardo e si portò le mani alla bocca.

Arrivò la paura, come una corrente d'acqua fredda a stringergli il petto. Il mondo vacillò davanti agli occhi del Falco come una candela al vento, per un secondo i colori sbiadirono nel grigio e dalle ombre del giorno si fece avanti quell'oscurità, quel nulla che conosceva bene, ma che aveva pensato di essersi lasciato alle spalle.

Puoi far finta di non vedermi, di dimenticarmi, ma alla resa dei conti siamo sempre, solo io e te, giusto? sembrava sussurrargli.

Fu il tempo di un secondo, poi Kal riprese il controllo; gli altri due erano rimasti immobili, ad aspettare una sua reazione, spostando gli sguardi dalla ferita sanguinante al suo viso inespressivo.

-È tutto a posto.- si sorprese a dire.

Con gesto meccanico strappò un lembo di stoffa dai pantaloni e lo avvolse alla meglio sul graffio, per tamponare l'emorragia. Si alzò in piedi: la gamba gli faceva un male cane, ma poteva reggere.

-Ce la fai a...-

-Ce la faccio benissimo.- rispose -Andiamo avanti.-

Non c'era altro da fare. Riprese la scalata, ormai erano quasi in cima: fermarsi a piangersi addosso non sarebbe stato di alcun aiuto. Avrebbe continuato finché poteva, mettendo un piede davanti all'altro come la vita gli aveva insegnato a fare. Si disse che non era cambiato nulla: doveva trovare Alessandra, non c'era tempo per pensare al resto.

Gwen e Dorian rimasero fermi il tempo di scambiarsi uno sguardo, colmo di una tristezza troppo grande e profonda per le parole, poi lo seguirono. Una manciata di passi e furono dentro la città.

 

   
 
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