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Autore: Koa__    31/10/2013    0 recensioni
Sono passati tre anni dal finto suicidio di Sherlock e da che Gregory Lestrade è stato portato a Pendleton House ed ha scoperto la verità. Tre anni durante i quali ha deciso d'allontanarsi da Londra e da John Watson. Appena fa ritorno della capitale inglese, però, Greg riceve una chiamata dal dottore, proprio prima che lui e Mycroft partano per la luna di miele. A Parigi, mentre sono immersi nell'idillio dell'amore, fanno un incontro che sarà sorprendente.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Mystrade, d'amore e d'altre sciocchezze...'
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Seconda parte

 
Greg Lestrade non aveva mai visto Parigi, era uno di quei luoghi nel mondo in cui avrebbe tanto voluto andare, ma che non aveva mai avuto modo di visitare. Le poche vacanze che aveva fatto in vita sua, non avevano mai previsto nulla di diverso da una spiaggia sul mare di Brighton assieme a colei che, all’epoca, era sua moglie. Conosceva ovviamente le più importanti attrattive come la Tour Eiffel, Notre Dame, i viali lungo la Senna… Ma avere la possibilità di visitare quelle meraviglie, era tutt’altra faccenda che guardarle da una fotografia. Ad esempio, non avrebbe mai creduto che la luna, che si specchiava nel grande fiume che divideva la città, fosse tanto splendida da ammirare. Eppure, non era poi tanto diversa da come la vedeva a Londra tutte le notti. Parigi però, era dotata di un’aura magica che gli faceva credere per davvero d’essere completamente impazzito. I vicoli acciottolati e ben poco illuminati, il profumo di pane fresco che gli arrivava alle narici la mattina presto, i ristoranti tipici, i mimi che regalavano fiori alle belle ragazze e poi la torre di ferro, che sovrastava l’area urbana e di notte s’illuminava di migliaia di luci bianche. Era tutto così splendido, quella luna di miele era stata davvero una mano santa per il suo pessimo umore. Nelle ultime settimane non aveva fatto altro che pensare a Sherlock e a John, e la cosa non lo rendeva affatto felice. Anche in quel momento mentre, in piedi di fronte alla grande finestra della camera da letto, guardava Parigi e rifletteva su quanto fosse fortunato, la sua mente volò al suo amico dottore. Mycroft era insopportabile certe volte, era vero, ma se si fosse trovato al posto di John, se avesse creduto morto l'uomo che amava, non sarebbe stato altrettanto contento. Era un discorso pieno di ovvietà e pensieri banali, il suo, se l’avesse sentito Mycroft lo avrebbe di certo rimproverato. Ma Greg non poteva non rimuginare su John Watson e su quanto lo avesse trovato cambiato. Non avrebbe dovuto perdersi via così e permettere a quei turbamenti di rovinare il suo buon umore, tuttavia non riusciva a fare altro se non domandarsi cosa sarebbe accaduto se, o per meglio dire quando, Sherlock fosse tornato. Come avrebbe reagito il dottore alla notizia che il detective era vivo? Come si sarebbe comportato? Si sarebbe sentito ingannato e imbrogliato oppure avrebbe messo da parte tutto quello e lo avrebbe semplicemente abbracciato? Chissà se poi lui e il giovane Holmes, avessero mai trovato il coraggio di dichiarare il reciproco amore. E cos’era diventato Sherlock Holmes dopo tre anni distante da Londra e da tutti, lontano da John Watson?

Greg scrollò il capo, stava ammattendo! E sì che quella doveva essere la settimana più bella della sua vita: era a Parigi con suo marito, non avrebbe dovuto esserci momento migliore. Eppure non riusciva a sentirsi del tutto sereno e tranquillo, era preoccupato, preoccupato per Sherlock, per John… Addirittura lo era per Mycroft, anche se non aveva realmente motivo di temere alcunché. Deciso a svuotarsi la mente, guardò l’orologio da polso che portava: erano da poco passate le sei di sera ed il sole già tramontava dietro l’orizzonte, colorando il cielo di un bell’arancione acceso. Si portò una mano allo stomaco dopo che questi ebbe gorgogliato, aveva una gran fame. In tutta la giornata non aveva mangiato poi così tanto, un panino a mezzogiorno e nient’altro. Il resto della giornata lui e Mycroft lo avevano trascorso in giro per le vie della città. Quella sera invece si sarebbero rilassati, cenando in un ristorantino tipico situato lì vicino. Mycroft aveva addirittura promesso che non avrebbe fatto troppe storie sulla scelta del locale in cui mangiare, lasciandogli piena libertà decisionale. Perché, era ovviamente tutto splendido, ma a Greg piaceva l’idea di poter decidere lui per una volta tanto. Non che il maggiore degli Holmes lo estromettesse dalle questioni importanti, ma aveva rinunciato da tempo a poter mettere bocca sulle cose di poco conto, come gli spettacoli da vedere o i ristoranti nei quali cenare. Ogni volta che sceglieva lui un locale, a suo marito non andava mai bene e finivano con il litigare. Per questo aveva rinunciato a mettere bocca, non valeva la pena di discutere per delle cose che, alla fine, gli andavano bene lo stesso. [1]

Quando Mycroft entrò in camera, poco più tardi, Lestrade si voltò verso di lui. Appena si rese conto di come si era vestito, roteò gli occhi, trattenendo uno sbuffo divertito: per fortuna che gli aveva chiesto d’essere sciolto.
«In che modo saresti informale, di grazia?» chiese, adducendo al completo chiaro che portava e alla cravatta blu che si stava annodando.
«La cravatta e la camicia non sono di seta e non indosso i gemelli d’oro, ma questi più comuni di platino. Inoltre, come ben saprai, i completi chiari si indossano di giorno e non la sera.»
«E secondo te, informale, significa questo?»
«Cos’altro?» gli chiese in risposta, mentre il nodo della cravatta prendeva forma.
«Quando dico informale» esordì il poliziotto, avvicinandosi ed afferrando la sottile striscia di stoffa, per poi sfilargliela da sopra la testa. «Intendo senza giacca, senza cravatta e soprattutto senza gemelli, che siano d’oro o di platino o di plastica.»
«Le scarpe le posso tenere o devo andare in giro in pantofole? E, comunque, non possiedo gemelli in plastica.»
«Adesso mi diventi pure ironico» ghignò. «Tirati su quelle maniche, non essere così… inglese» lo rimproverò.
«Ma io sono inglese e lo sei anche tu, Gregory.»

Lestrade ignorò la precisazione, dandogli un’ultima rapida occhiata senza nascondere d’essere soddisfatto del lavoro svolto. Avere davanti a sé un Mycroft con le maniche tirate su fino al gomito ed un pullover rosa salmone a coprirgli le spalle, era un qualcosa che non si vedeva tutti i giorni. Quella sua versione meno rigida, era del tutto atipica per un uomo che riusciva ad essere più sofisticato di lui, anche solo indossando un pigiama. Non che Greg desiderasse cambiarlo a tutti i costi, ma doveva convincerlo più spesso a vestirsi così, lo faceva apparire più giovane e alla mano. Ovvero l’esatto contrario di ciò che era, un vecchio noioso a cui piaceva avere il controllo su tutto.
«Spero che il locale non sia trasandato quanto me, Gregory o il mio stomaco ne risentirà e temo che non potrò godermi ciò che resta della nostra splendida luna di miele.»
«Non dire stupidaggini» borbottò Greg in risposta, mentre si avviava verso la porta. «Il posto è bellissimo, piccolo, raccolto e molto caratteristico.»
«Chi te ne ha parlato?» domandò Holmes all’improvviso. Lestrade si ritrovò a pensarci per un momento, ma non seppe fornirgli una risposta precisa. «So che non è stato il portiere dell’albergo,» continuò Mycroft. «Perché siamo sempre entrati e usciti insieme, quindi dev’essere stato un passante o qualcuno che distribuisce volantini per strada; in questo caso deve averti molto colpito per avergli dato retta. Era per caso una bella ragazza? O qualcuno mascherato, forse un mimo, anzi no, ti ha attirato per qualche motivo, ma non sai ben dire quale sia» gli disse Mycroft, raggiungendolo.

Lestrade non si prese nemmeno la briga di domandargli come avesse fatto a capirlo. Se c’era una cosa che non era scemata, come la sua glaciale personalità che si era sciolta, erano le abilità deduttive. Se possibile, quelle erano migliorate.
«Un tizio mi ha dato questo» rispose, estraendo di tasca un piccolo foglietto giallognolo, spiegazzato.
«Ah, ora è tutto più chiaro» borbottò, enigmatico, mentre premeva il pulsante dell’ascensore.
«Più chiaro, in che senso?»
«Andremo a piedi: Montparnasse non è poi così lontano e in questo modo ne approfitterò per mostrarti talune cose che, di Parigi, devono essere viste» disse, mentre le porte si chiudevano davanti a loro. [2]

Lo yarder si soffermò un istante a guardare il foglio che teneva ancora in mano. In apparenza non ci vedeva niente di atipico, era un semplice volantino con il nome del locale, un abbozzo di menù e un’immagine che doveva esserne il logo. Qualcosa che gli sfuggiva in quello strano discorso e da che erano in ascensore, Mycroft si era irrigidito. A quel punto, Greg sperava per davvero che il ristorante non fosse una bettola di pessima fama come Holmes aveva ipotizzato.


 
oOo


 
Camminarono per una decina di minuti, passeggiarono per i vicoli poco illuminati del quartiere di Montparnasse, tenendosi per mano. Di tanto in tanto si soffermavano su di un qualcosa che Mycroft voleva vedesse. Come uno scorcio della Tour Eiffel che compariva magicamente tra un edificio e l’altro, oppure un luogo nel quale lui e Sherlock erano stati quando erano piccoli. I fratelli Holmes avevano infatti trascorso molto tempo in quella città. I loro genitori ci si erano trasferiti che Sherlock aveva solo tre anni e, di tanto in tanto, i piccoli raggiungevano i genitori per le vacanze estive. Perciò, suo marito la conosceva come le proprie tasche, dimostrando addirittura di parlare un francese piuttosto fluente.

Quando entrarono alla tavola calda, Greg notò subito un cambiamento piuttosto repentino in suo marito. Il luogo era molto accogliente, anche se modesto, ma non poteva credere che fosse contrariato per un qualcosa di così stupido, doveva esserci dell’altro. Non era il solito Mycroft, l’uomo che aveva di fronte, ma qualcuno di radicalmente differente. Era distratto, poco incline alla discussione e, fatto più atipico di tutti: da quando erano entrati non aveva fatto che guardarsi attorno. Lo aveva notato immediatamente, il modo con il quale aveva allungato lo sguardo verso i tavoli; era davvero un atteggiamento insolito. Lestrade si era addirittura guardato attorno in rimando, ma non aveva riconosciuto nessuno tra i presenti. C’era qualche coppietta seduta ai tavoli, un vecchio violinista e un cameriere, che era corso loro incontro con un sorriso cordiale ben stampato in viso. Greg non aveva capito molto del breve dialogo che era seguito al loro ingresso, aveva intuito che Mycroft gli stesse domandando un tavolo, ma null’altro. Suo marito doveva però essere riuscito in qualcosa, perché erano stati fatti accomodare ed il giovane cameriere, molto gentilmente, aveva acceso la candela posta al centro, prima di sparire in cucina.

«Mi sono permesso di ordinare anche per te, Gregory» lo informò Holmes, una volta che furono seduti. Lestrade spiò il suo viso da dietro il menù che aveva da poco aperto, sospirò e subito dopo lo richiuse, riponendolo sul tavolo.
«Beh, penso vada bene, almeno ho scelto il ristorante» mormorò, un poco affranto.
«Non che io sia particolarmente incline ad assaggiare cibo francese» precisò Mycroft subito dopo. «Ma tu non puoi lasciare questa città, senza aver prima mangiato piatti tipici come la ratatouille e il cassoulet ma, soprattutto, il paté.» [3]
«Beh, se lo dici tu» mormorò, confuso. Non aveva la minima idea di cosa avesse detto, ma per quelle questioni si affidava sempre al suo buon gusto, specialmente perché fino ad allora non aveva mai sbagliato.

La cena scivolò via piuttosto tranquillamente. I piatti erano ottimi e la cucina veloce e precisa. A fine pasto, Gregory Lestrade non poteva dire di non essere soddisfatto della scelta fatta. Nonostante per tutto il tempo, Mycroft fosse stato piuttosto distante e decisamente silenzioso, l’atmosfera romantica colmava di molto le lacune di suo marito, facendolo sentire a suo agio. Se era poco collaborativo doveva esserci un motivo specifico, non faceva mai nulla per caso e, soprattutto, non si comportava mai così. Gli toccava solo aspettare che si decidesse a dirgli qualcosa e sapeva che prima o poi lo avrebbe fatto.

Lo yarder ripose il tovagliolo e mise da un lato il piatto del dolce, ormai vuoto. Mycroft non dava ancora segni di vita, pertanto si guardò attorno con fare annoiato. Trattene uno sbadiglio mentre osservava distrattamente la sala: non era particolarmente affollata e, forse complice la musica suonata da quel violinista, l’atmosfera era ancora più suggestiva. C’era però una cosa strana: perché con tutte le coppie eterosessuali che affollavano il locale, quel vecchio suonatore ronzava loro intorno da più di mezz’ora? Greg portò lo sguardo proprio su di lui, la capigliatura folta e spettinata, gli ricordava un po’ quelle immagini di pianisti ottocenteschi che aveva visto tempo addietro sui sussidiari di scuola. Ma non era quello a rendere quel tizio decisamente particolare, quanto piuttosto la strana espressione che aveva in viso: sembrava divertito. Nonostante fosse rimasto a guadarlo per qualche istante, decise di non perderci troppo tempo, specie perché la voce di suo marito Mycroft interruppe la sua osservazione.
«Hai intenzione di andare avanti per molto?» domandò, alzando di poco il tono di voce, mentre ripiegava il tovagliolo e lo riponeva sulla tovaglia bianca.
«Con chi accidenti stai parlando?» chiese lui, ora confuso. Aveva infatti notato che Holmes non lo stava guardando negli occhi, ma fissava, con più o meno intensità, qualcuno alle sue spalle. Fece per voltarsi, ma una voce profonda lo fermò prima che potesse anche solo pensare di muoversi.
«Tu guardi, ma non osservi, Lestrade.» Greg si voltò di scatto, qualcuno aveva sussurrato al suo orecchio. Si girò, ma alla sua destra con c’era nessuno e, solo quando portò lo sguardo alla sua sinistra, lo vide. Quell’uomo vestito da viandante e con quella folta chioma di capelli grigi, sedeva al loro tavolo con un violino che teneva appoggiato sulle ginocchia.
«Che diavolo vuole?» chiese, ma il suo tono che voleva essere autoritario, non risultò altro che confuso e stupefatto. Non poteva credere che uno sconosciuto si fosse seduto al loro tavolo; che razza di persone erano quei francesi? Ma, più che altro, non poteva pensare che un uomo riservato come lo era suo marito Mycroft, non battesse ciglio all’idea che un nomade suonatore di violino, fosse seduto al suo stesso tavolo.
«Tu guardi, ma non osservi, Lestrade» ripeté quel tizio.
«Come fa a…» Le parole gli morirono sulle labbra, non appena quel tizio rise di puro divertimento. Conosceva quell’espressione strafottente, stava sul volto sbagliato, ma era la sua, era quella di…

Fu allora che se ne accorse, quando gli si avvicinò maggiormente, spiandone gli occhi azzurri. Occhi vivi di uno sfacciato divertimento, che il poliziotto di Scotland Yard aveva già visto in passato. Quello sguardo, quella voce roca e profonda, erano impressi nella sua memoria in maniera indelebile e potevano appartenere ad una sola persona.

«Sherlock» mormorò a mezza voce, mentre un inevitabile sorriso gli deformava le espressioni del viso.

Ed era davvero lui: il vecchio violinista vestito di stracci che aveva davanti, era sul serio il sociopatico, atipico, geniale ed insopportabile Sherlock Holmes.

E Gregory Lestrade non seppe davvero più che pensare.

 

 
oOo



Ciò che gli fu subito chiaro, era il fatto che non sarebbero potuti rimanere lì a discutere, specie perché Lestrade aveva un paio di cose da ridire circa la situazione nella quale si trovavano. Appena pronunciato il nome di Sherlock, infatti, Mycroft era balzato all’impiedi e lo aveva invitato ad uscire da lì. Non si erano parlati, i due fratelli, ma lui aveva comunque avuto la sensazione che si fossero guardati per un istante. Ma d’altronde non poteva affermarlo con certezza, perché erano usciti così precipitosamente, che a malapena si era resto conto del fatto che avessero lasciato una banconota da cento euro, tra le mani di uno stupefatto cameriere. Una volta fuori, il maggiore degli Holmes lo aveva spintonato in una via laterale piuttosto stretta e lì avevano atteso in silenzio.

«Cosa stiamo aspettando?» aveva sbottato Greg ad un certo punto, innervosito da quel non voler spiegare. Mycroft non gli aveva risposto, tuttavia aveva intravisto perfettamente un suo sopracciglio arcuarsi e conferire a quel viso allampanato, illuminato dalla luce fioca in un lampione, un’aria decisamente accigliata.
«Ma allora bisogna dirti proprio tutto?» L’ironia nel tono di voce, la sfrontatezza delle parole utilizzate, era stato Sherlock a rispondergli con un marcato accento francese, evidentemente finto. E Lestrade avrebbe tanto voluto dirgli che, sì, non ci stava capendo un accidente; tuttavia la sola cosa che fece, fu starsene zitto a guardarlo. Era rimasto interdetto dalla trasformazione che Sherlock aveva attuato su sé stesso, era tanto sorprendente infatti, che Greg si era soffermato ad osservarlo per una manciata di secondi. Giusto il tempo che il consulente investigativo aveva impiegato per raggiungerli. Portava una parrucca bionda e riccia, i capelli gli ricadevano morbidi sulle spalle, sul suo viso invece, erano spuntati un paio di nei ed il suo naso si era decisamente ingrossato. [4] Ora era più lungo e appuntito. Ma era l’abbigliamento che più di tutto il resto lo aveva lasciato allibito: era vestito con una camicia bianca aperta sul davanti che gli permetteva d’intravedere il petto, ed un paio di pantaloni chiari che lo fasciavano perfettamente. Il collo era stato ornato da una croce argentata e sui lobi delle orecchie vi erano dei brillantini. Di sicuro così acconciato non sarebbe passato di certo inosservato. A Lestrade non piacevano gli uomini, al di fuori di suo marito, ma doveva ammettere che vedere Sherlock così vestito gli faceva un certo effetto; attraente lo era di sicuro.
«Prima regola, Lestrade, mi chiamo Jean Luc. Secondo: niente domande stupide.»
«Domande stupide?» ripeté.
«Tipo questa. E ora, vogliamo andare?» chiese, quindi.
«Presumo che Jean Luc intenda nella nostra camera in albergo, Gregory caro» intervenne Mycroft, probabilmente intenzionato a placare la confusione che aveva notato sul suo viso e che lo aveva ammutolito. Lestrade confuso lo era di certo, ma c’era un cosa che voleva assolutamente sapere prima che si muovessero da lì.
«Tu lo sapevi, non è vero? Che lui era qui; è per questo che siamo venuti in luna di miele a Parigi, per lui?»
«Ciò che ti ho detto la scorsa settimana corrispondeva al vero: non avevo idea di dove si trovasse. Avevo la speranza di poterlo incontrare qui, sapevo che se io e te ci fossimo fatti vedere per le vie della città, lui lo avrebbe saputo e ci avrebbe trovato. Ma solo quando mi hai fatto vedere quel volantino, ho capito.»

Lestrade sollevò lo sguardo su di lui, confuso, si portò la mano in tasca cercando quel foglietto stropicciato che aveva conservato. Lo aprì, indirizzandolo verso la luce del lampione poco distante e prendendosi qualche istante per poterlo guardare con attenzione. Vi diede una rapida occhiata, ma nemmeno sapendo che c’era qualcosa di insolito, notò nulla.
«Non vedo niente, da cosa lo hai capito?»
«C’è una chiave di violino disegnata sul retro. Me ne sono accorto quando lo hai estratto di tasca e lo hai spiegato davanti a me.»
«Sì, ma come facevi a sapere che era un messaggio per te?» insistette Greg.
«Hai detto che ti è stato dato da un tizio che distribuiva volantini, ma quando ti ho domandato chi fosse, non sei stato in grado di rispondermi. Ragion per cui, la persona che hai incontrato, ti aveva colpito per qualche particolare, nonostante fosse vestita in modo anonimo. Se fosse stata una donna in bikini o un clown, te ne saresti ricordato, no, non era l’abbigliamento il dettaglio importante. Ciò che ti ha colpito è che, inconsciamente, ti ha ricordato qualcuno. Era lui» disse indicando Sherlock.
«Ca-capisco…» balbettò, incredulo. Era abituato alla loro intelligenza, al loro incredibile genio, ma tutte le volte rimaneva allibito e non poteva farci proprio niente. «Perché Parigi?» domandò poi, morso da quella prima curiosità.
«Mi pare ovvio: qui c’è mamma. Suppongo sia stata un valido aiuto per Jean Luc, non è vero?» chiese il maggiore degli Holmes, ammiccando ad un annoiato fratellino. «Ma non discutiamone in questo vicolo, andiamo in albergo, saremo più comodi.»

Lestrade sorrise quando suo marito gli posò una mano sulla spalla, invitandolo ad incamminarsi verso l’hotel nel quale alloggiavano. Pareva avesse colto perfettamente il suo desiderio di sedersi e cercare di capirci qualcosa. Gli sorrise in rimando, facendolo sinceramente, prima di incamminarsi tra i vicoli bui di Montparnasse.


 
oOo


 
C’era qualcosa che non andava in quella situazione. Prima di tutto nello sguardo del portiere notturno, che ammiccava al biondo Jean Luc in un modo sfrontatamente esplicito. Ma soprattutto, nella maniera con cui, quell’uomo in divisa, aveva più volte picchiettato sulla spalla di Lestrade, complimentandosi per l’ottima scelta. Non solo, ma Greg lo aveva visto perfettamente pizzicare il sedere di Sherlock, non appena avevano oltrepassato le porte dell’ascensore.
«Facciamo da soli» lo aveva fermato Mycroft, premendo il pulsante a lato della porta e bloccandolo sulla soglia. Il portiere aveva annuito, prima di fare l’occhiolino a Jean Luc, dopodiché aveva fatto dietro front proprio mentre le porte si stavano chiudendo.
«Non avrà pensato che…» mormorò Lestrade, guardando i due Holmes con uno stupore misto ad orrore.
«Che lo abbiamo portato in camera per un triangolo amoroso? Sì, lo ha pensato» aveva risposto Mycroft, senza scomporsi. «In effetti, ammetterai che la situazione è piuttosto equivoca» concluse poi il maggiore degli Holmes.
«Idioti, tutti» commentò Sherlock, laconico.
«A te non dà fastidio che la gente pensi che tu e tuo fratello…»
«La gente crede solo a quello che vuole, e vede soltanto ciò che vuole vedere. Quell’uomo riteneva che la sola cosa che una coppia evidentemente sposata potesse fare, fosse portarsi in camera d’albergo un gigolò. La sua mente idiota non ha vagliato altre ipotesi molto più plausibili di questa. Il che mi porta a pensare che l’astinenza sessuale alla quale non si è volontariamente sottoposto, e che è data dall’aspetto orribile e dal fisico grassoccio che tiene alla larga ogni essere vivente che incontra, sia diventata frustrazione e quindi lui non veda altro che sesso in ogni cosa che respira. Pertanto, no, non mi interessa minimamente se uno sconosciuto crede che io sia un gigolò o che faccia i triangoli amorosi. La sola cosa di cui mi importa per davvero non è né qui a Parigi, né tantomeno ha a che vedere con il sesso. Pertanto, smetterla con questi discorsi vuoti, sarebbe piuttosto proficuo.»

In quel momento, l’ascensore si fermò al piano attico e le porte si aprirono in fruscio. Lestrade sospirò pesantemente mentre osservava gli Holmes, incamminarsi verso il soggiorno. Avrebbe dovuto immaginarsi che, quella luna di miele, non sarebbe rimasta tanto a lungo un sereno e perfetto idillio d’amore. La sua vita con Holmes era sempre stata così: movimentata. Non che se ne lamentasse, ma si sentiva stupido ad aver anche solo pensato che, per una volta, le cose sarebbero andate in modo diverso. Ed ora si trovava lì, nell’hotel più costoso al mondo, con i due fratelli Holmes finalmente riuniti e una morbosa curiosità di sapere cos’avesse fatto Sherlock per tutto quel tempo. Tuttavia, non fu solo a quello a cui pensò in quegli istanti in cui li raggiunse e li vide seduti sul piccolo divanetto l’uno a fianco dell’altro. Il suo sguardo si fermò su Mycroft e non ne volle sapere di proseguire oltre. Era diverso, da che avevano incontrato Sherlock, pareva più rilassato. Sapeva quanto amasse suo fratello, quanto avesse patito la sua lontananza e il non poter fare niente per proteggerlo durante quei tre anni. Di tanto in tanto si sentivano, o vedevano, ma doveva esser trascorso molto tempo dall’ultima volta in cui si erano trovati tranquilli nella stessa stanza. C’era una strana luce dello sguardo di Mycroft, e nel modo in cui posava i suoi occhi sul giovane Holmes. Quelle iridi lo scrutavano, lo guardavano, spiavano e cercavano di comprendere se stesse bene o cosa avesse fatto per tutto quel tempo. In quegli attimi, suo marito cercò di comprendere tutto ciò che gli era successo, e quando poco dopo gli parlò, sembrò già sapere quello di cui aveva bisogno.

Ora era solo lui ad ignorare tutto quanto.
 


Continua…



[1] Io ho una filosofia in merito: “non questionare con tuo marito per la più piccola cazzata e vivrete felici”. Mycroft è un uomo esigente e, perché no, viziato. Greg invece non gliene sbatte proprio niente di certe cose, come la scelta delle tendine della cucina o di dove mangiare la sera. Per tanto, ha deciso (per amore della pace) di non star lì a far “troppo rumore per nulla” (tanto per perdermi in citazioni colte).
[2] Montparnasse: quartiere parigino situato non molto distante dall’One by the Five. (fonte: google map)
[3] Piatti tipici della cucina francese. La ratatouille (diventata famosa grazie al film della Disney) è un piatto di verdure. Mentre il cassoulet è uno stufato di cosce d’oca, cotte a bassa temperatura con salsicce e fagioli bianchi. Infine piccola nota sul paté: mia nonna è nata in Francia (voi direte: e chissene, no?) sì, però essendo nata là, la sua cucina era molto francesizzata e faceva molte cose tipiche, specie a base di carne, come il paté. La cosa che so con certezza, perché mi è stata tramandata direttamente da lei, è che il paté è differente dal nostro, e viene preparato in un modo speciale, di cui, accidenti, accidentaccio, ho perso la ricetta!!! Ma comunque, questo per dire che il paté in Francia è un'altra cosa. Un po’ come la pasta da noi… XD
[4] L’immagine di Sherlock biondo, non è ispirata a Fifth Estate. Non chiedetemi il perché, ma ho creduto che uno biondo desse più l’idea di un gigolò. Sono miei schemi mentali idioti, non ci badate…
 
   
 
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