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Autore: Fifth P The Catcher    31/10/2013    1 recensioni
Stargate SG1, 10a stagione, 12° episodio. Line in the Sand. Sam viene ferita gravemente da un soldato Ori. Sappiamo tutti come è andata a finire. Io vi mostro come sarebbe potuta andare diversamente, con tutte le conseguenze del caso. Preparate i fazzoletti & I hope you'll enjoy the story! :)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Samantha 'Sam' Carter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La conosceva, la propria faccia, anche senza guardarsi allo specchio. Ci era già passato una volta, quando Charlie era morto, ed era stato il periodo più terrificante della sua vita. E sapeva che il suo sguardo era inespressivo, gli occhi persi e distanti, il completo vuoto. Vuoto. Ecco come si sentiva. Privo di ogni emozione o sentimento. Avrebbero potuto prenderlo a calci, tanto non l’avrebbe sentito. E, anche se l’avesse fatto, non gli sarebbe importato molto.
Dodici anni fa era stato sull’orlo del baratro, vicino a raggiungere suo figlio, dovunque fosse andata la sua anima dopo quel tragico giorno. Sinceramente, non sapeva come fosse riuscito a superare quei giorni. Forse l’aveva salvato proprio il progetto Stargate: si era buttato su quella missione suicida senza pensarci due volte, magari per trovare una pallottola vagante che sostituisse il coraggio che gli mancava per premere il grilletto, ma alla fine quella folle avventura lo aveva aiutato a superare quel momento. Poi però era finito tutto, ed il dolore si era fatto sentire ancora più forte; non aveva più nemmeno Sara. Era solo. Il suo unico compagno? L’alcool.
Ora era lo stesso.
Era ripiombato nello stesso identico incubo.
Negli anni, qualcosa era cambiato. Il progetto Stargate lo aveva veramente trasformato, aveva trovato amici, fratelli..ed una persona da amare.
Non avrebbe mai creduto di potersi innamorare di nuovo, dopo l’esperienza con Sara, che, nel profondo del cuore, continuava ad amare (Come biasimarla per averlo lasciato? Lui stesso era il primo ad incolparsi per quello che era accaduto a Charlie); il cuore del generale Jack O’Neill era stato indurito dalla guerra del Golfo, dalle brutali prigioni afghane, dai massacri inutili di buoni amici e compagni, dall’abbandono delle due persone alle quali teneva di più al mondo. Eppure due occhi celesti avevano fatto breccia su di lui sin dal primo momento. Aveva provato un brivido quando il capitano Samantha Carter era entrata nella Briefing Room, quando aveva sentito la sua voce..l’amore che provava per lei, l’aveva capito col tempo. Ed era arrivato ad un punto in cui non poteva più farne a meno. Legalmente, loro due non erano niente. Praticamente, erano due parti della stessa anima, due pezzi combacianti di un puzzle. Apparentemente opposti, lei geniale e studiosa, lui eterno dribblatore di qualsiasi studio.
Il loro, un eterno fingere. Spesso lui si era chiesto se quel loro pretendere di essere solo due persone che lavoravano insieme non sarebbe finito per diventare realtà. E, ad un certo punto, Sam aveva trovato Pete. E lui Kerry. Ma l’aveva mai amata veramente? Probabilmente era solo troppo ferito dal fatto che Sam avesse trovato un’altra anima gemella. Ma non gliene faceva una colpa, perché non poteva pretendere che lo aspettasse per anni ed anni, a tempo indeterminato, senza poter amare qualcun altro.
Era convinto che lei si meritasse qualcosa di meglio di lui, ma la verità era che non potevano fare a meno l’uno dell’altro. Che preferivano un amore a metà, celato a tutti, piuttosto che un amore aperto con qualcun altro. Che ad entrambi bastava uno sguardo o una pacca sulla schiena per avere la forza di andare avanti, giorno dopo giorno.
Jack non riusciva veramente a capire perché non aveva fatto tempo fa quello che sarebbe stato giusto fare: ritirarsi, e, al diavolo i regolamenti, sarebbe potuto diventare marito di Sam! Era stata proprio Kerry a dirgli che sarebbe stato un enorme errore rinunciare a Sam solo per degli stupidi regolamenti. Ripensandoci, non sopportava affatto come avesse reagito alle parole della donna, lasciandosele scorrere via. Aveva ragione pienamente, Kerry. E lui non aveva fatto niente. Perché quel “ritirati” gli era sembrato tanto assurdo quel giorno? Era ovvio come la luce del giorno, era quella la via più semplice, eppure lui aveva scelto per sé e per Sam la via più difficile, quella che vedeva intrecciarsi i loro due percorsi solo quando quelli degli altri erano con occhi ed orecchie ben lontane.
Ma ormai.
 Jack stappò l’ennesima birra. Bevve un sorso. E poi scagliò la bottiglia contro il muro. Fu investito da gocce dorate di birra, schegge verdi di bottiglia e pezzi di intonaco.
Era a casa sua, per terra, appoggiato al muro. Non aveva nemmeno acceso le luci.
Aveva ancora la divisa blu, con tanto di medaglie.
Quella divisa che si era messo qualche ora addietro, prima di prendere l’aereo che da Washington lo aveva portato a Cheyenne Mountain per assistere alla cerimonia (ma in realtà era solo una scusa per respirare ancora l’aria della base e rivedere i suoi vecchi compagni).
Quella cerimonia dalla quale era scappato, per rifugiarsi nel suo chalet, dove tante volte era andato a pesca. Certe volte anche con lei.
Aveva da poco finito di leggere la lettera di Sam. Ed era in lacrime. Sì, lui, il generale e soldato esperto, proprio lui, stava piangendo.
Aveva fissato per un tempo che gli sembrò infinito quel sangue sul portatile.
Non riusciva a pensare a come potesse essere accaduto. Forse si aggrappava al sogno vano che tutto questo fosse falso, che si sarebbe svegliato tra poco nel suo letto.
Ma no, il dolore era troppo forte.
Visse fuori dal tempo per un tempo imprecisato.
Ricordava che, ad un certo punto, era squillato il telefono di casa e la segreteria gli aveva fatto sentire la voce di Daniel. Una voce preoccupata e malinconica che gli chiedeva come stesse, se avesse bisogno di parlare, che loro c’erano in qualsiasi momento. E poi, quasi con paura, la voce concludeva così: “Infine volevo solo farti sapere che la commemorazione..per Sam..l’hanno fissata per domani. Ti..ti aspettiamo e..ovviamente, se vuoi dire due parole, domani intendo, beh, hai tutto il diritto di farlo..ok Jack..a domani, ciao.” La voce concludeva timorosa, quasi scoraggiata.
Non gliela faceva ad alzarsi, i muscoli erano indolenziti per la posizione e si ribellarono con fitte di dolore quando tentò di rimettersi in piedi. Il mondo girava, era tutto confuso. Si chiese chi fosse e dove si trovasse. Non sapeva perché, poco dopo, si trovava in macchina a guidare verso non-sapeva-dove.
Arrivò a Cheyenne Mountain. Gli bastò mostrare un cartellino pescato nella tasca della giacca per poter entrare nella base, non senza uno sguardo incerto dell’aviere all’ingresso.
Meccanicamente si fece guidare da un altro aviere fin dentro all’ascensore e poi giù, nella terra, per 28 piani. Barcollò lungo i corridoi, senza sapere dove andare. Il mondo girava.
- Jack!! - una voce familiare chiamò il suo nome. - temevamo che non saresti venuto, ci stavamo..preoccupando..Jack? Ma..che ti è successo?
- Cosa? - balbettò O’neill, in preda alla confusione più totale.
- Perché sei ridotto così, Jack? Lo sapevi che c’eravamo se ti volevi sfogare..
Daniel. Ecco di chi era la voce, pensò Jack, che la collegò alla figura sfocata davanti a sé.
Un lampo.
Sam.
Dove si trovava.
- Devo trovarla! Dov’è? DOV’È?! - Il suo fu più un lamento che altro. Poi si mise a camminare, barcollando qua e là sul corridoio.
- Jack, non ti reggi in piedi, non puoi andare lì così.. - fu la preghiera di Jackson, alla quale Teal’c si aggiunse dicendo “Daniel Jackson ha ragione, O’neill.”
- DOVE?!? DOVE?!! dove?!
- Oddio..ok, Jack, calmati. Ora andiamo a schiarirci un po’ le idee, ok?
Jack annuì, lo sguardo perso nel vuoto.
- Teal’c, puoi andare da Landry a dirgli che Jack arriverà in ritardo? E poi..dovresti cercare o Hammond..o Jacob..a Jack serve aiuto, serve qualcuno che lo scuota. Io intanto lo porto a cambiarsi. Ci vediamo agli spogliatoi, ok?
Il jaffa annuì e se ne andò a passo spedito. Daniel, con estrema pazienza, guidò Jack verso gli spogliatoi, dove, con l’aiuto di un aviere, trovo una divisa pulita per Jack e lo convinse a cambiarsi ed a lavarsi il viso. Ma nemmeno il miglior truccatore di Hollywood sarebbe riuscito a coprire il rossore degli occhi di Jack, le occhiaie, il dolore scolpito su tutto il suo viso.
Daniel quella mattina credeva di non poter sentire più dolore di quanto non ne provasse già; ma si sbagliava: vedere Jack in questo stato, ecco, questo era insopportabile. Era come vedere morire lentamente una persona, senza poter fare niente per lei; un po’ come era successo, a parti invertite, quando Daniel era morto, cinque anni addietro.
Alla fine i due sedettero, in silenzio. Poi si sentirono dei passi, e dalla porta comparirono Hammond e Jacob, entrambi in divisa nera, e Teal’c.
Gli sguardi furono eloquenti: i due generali capirono subito quale era il punto, e gli bastò un’altra occhiata per decidere che la persona con cui Jack doveva parlare era Jacob.
Hammond avrebbe saputo dire a Jack come andare avanti di fronte alla perdita di un compagno, ma Jack, da navigato combattente quale era, sapeva già come gestire questo aspetto. Qui si trattava di perdere la persona amata, era tutta un’altra cosa.
Così Hammond, Daniel e Teal’c se ne andarono, lasciando i due uomini da soli.
Ci fu silenzio, lungo silenzio. E gli occhi vuoti di Jack si scontrarono con quelli tristi di Jacob. Jack invidiava l’autocontrollo del tok’ra. Gli occhi. Quelli di Jacob assomigliavano così tanto a quelli della figlia, nonostante fossero marroni come il caffè. Gli occhi di Sam. Dolore. Quegli occhi che “avrebbero fermato una rivoluzione”, che sarebbero bastati quelli per farti cadere ai suoi piedi. ed ora doveva dire addio ai suoi occhi celesti e puri, ai suoi capelli biondi, corti e morbidi, alla sua bocca delicata, che amava tanto vedersi aprire in un sorriso..
I due si abbracciarono, lasciarono scendere le lacrime. Non servivano parole, bastavano gli sguardi. Entrambi sapevano l’impossibilità della vita senza di lei, entrambi sapevano che il mondo continuava a girare, incurante del loro dolore.
Ma alla fine Jacob parlò. Doveva sapere.
- Vi amavate quindi?
- Sì. - Pausa - Sì..lei..lei era tutto, lei mi ha dato un motivo per andare avanti. Sono stato uno stupido a non ritirarmi dal servizio..sarebbe stato tutto più semplice se l’avessi fatto.
Jacob annuì. Altro silenzio. Poi parò, con la voce rotta:
- Non meritava tutto questo. Darei cento volte la mia vita per la sua..lei aveva TUTTA LA SUA VITA DAVANTI! Non aveva quarant’anni! Non so se riuscirò a..superare questa cosa..quale padre riuscirebbe a superare la morte della propria figlia? E poi lo dovrò dire a Mark, suo fratello. Con quale coraggio lo guarderò negli occhi e gli mentirò, gli dirò che sua sorella è morta in un banale incidente mentre lavorava in un laboratorio? Quanto vorrei poterli dire che lei era un eroe, che è riuscita a salvare milioni di persone, che anche il suo ultimo atto è stato utile a salvare delle vite.. Scusa dello sfogo Jack; la verità è che anche io ho bisogno di qualcuno con cui potermi liberare, qualcuno a cui non debba mentire.
Lo capiva, eccome se lo capiva. Non poté evitare di pensare a Charlie. “Nessuno dovrebbe sopravvivere ai propri figli” aveva pensato in quel periodo... Ed invece il destino si divertiva a sovvertire le regole. Ed ancora una volta, un padre era stato costretto a vedersi portato via tutto quello che di più prezioso aveva.
  
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