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Autore: aelfgifu    31/10/2013    6 recensioni
Come è nata la strana amicizia tra Stefan Levin e una giovane scrittrice tedesca?
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
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Ritratto estivo di ragazzo svedese

 

6. God kväll

 

Capitolo zuccherosissimo, siete avvertiti/-e!

 

***

 

 

Breathe your honesty
Breathe your innocence to me
Breathe your word and set me free
Breathe to make me breathe


 

Midge Ure, Breathe

 

Emerge dal buio come un grappolo concentrato di luce. Camicia azzurra, jeans scoloriti, e un bel paio di occhiali da vista sul naso. Accidenti, gli donano quegli occhiali, gli danno un’aria aristocratica e intellettuale. Potrebbe essere facilmente scambiato per un collega di Julia.

Deve essere letteralmente scappato dagli spogliatoi, perché ha i capelli ancora umidi, non se li è asciugati bene. “Torna dentro e asciugali, di sera l’aria è fredda”, sta per ordinargli Julia, ancor prima di pensare che lui è un uomo di trent’anni e non suo figlio.

“God kväll” dice Levin.

“God kväll” risponde lei, chinando lievemente la testa a mo’ di risposta. Poi ripete, a beneficio di Schneider: “Buonasera, bene incontrato...”

“Come vedi te l’ho portata sana e salva” s’inserisce Schneider con un ghigno mefistofelico.

“Bravo, grazie!”

“Beh, allora, Julia, il mio incarico è finito” il giovane imperatore posa una mano, leggera ma forte, sulla spalla di Julia, tanto che lei può sentire il calore delle dita di lui attraverso la stoffa “mi ha fatto piacere guardare la partita con lei... e convinca quell’orso del Nord lì a uscire un po’ più spesso”

“Ci proverò” fa Julia.

Lui le prende la destra e gliela stringe, come ha fatto prima.

“E in bocca al lupo per la finale di Champions League...”

“Tanto vinceremo noi senz’altro” risponde Schneider con l’aria di ragazzino terribile che è solito inalberare quando è assolutamente sicuro di quel che dice.

“Non è mica detto” interrompe Levin.

I due si guardano per una frazione di secondo e a Julia sembra di percepire qualcosa di più che uno scambio di battute tra vecchi compagni di squadra.

Schneider lascia la mano di Julia. Immediatamente, ora è Levin a tenderle la sua:

“Andiamo?”

Julia guarda due volte quella mano stesa. Che ci devo fare con la tua mano? pensa. A Schneider dovevo stringerla, lo stavo salutando, ma tu...? Devo prenderla...?

L’idea di un contatto così confidenziale fa quasi arrossire Julia.

“Su, andiamo” ripete Levin con un tono di voce più basso e dolce, ma ugualmente deciso, e mentre lo dice si accosta a Julia, fa scivolare il suo braccio contro quello di lei e s’impadronisce della sua mano. Nel frattempo, si gira a salutare:

“Grazie ancora, Karl”

Schneider sorride e alza leggermente le spalle, come a rispondere: “Non c’è di che”.

“Grazie, signor Schneider...” fa eco Julia. “... è stato un onore”

Schneider si porta due dita della mano sulla fronte, di piatto, esegue una specie di saluto militare.

E ora?

Ora Julia si fa portare via dal berserk gentile, senza pensare a nulla, perché tanto non conosce la strada.

“E dove andiamo di bello?...” chiede, non sa quanto tempo dopo, alzando la testa verso Levin.

“Dovunque. Dove vuoi tu” risponde lui.

 

***

 

Intermezzo:

mani, ovvero dello stringere la mano e dell’essere tenuti per mano

 

Stasera ha stretto per due volte la mano alla stessa persona, presentandosi e congedandosi.

Sostengono gli storici della cultura che la stretta di mano nella sua forma attuale derivi da una forma di saluto che tendeva a mostrare e far sentire all’interlocutore il palmo della mano destra aperta, per dimostrargli che non si brandivano armi e non si portavano anelli con punte avvelenate. Insomma, un gesto di fiducia e di apertura reciproca: non sono tuo nemico, non intendo né assalirti all’arma bianca né ammazzarti a tradimento.

Quindi, riassumendo, stasera lei e Karl-Heinz Schneider si sono dimostrati reciprocamente apertura e fiducia per ben due volte, incontrandosi e salutandosi.

E ora si avvia fuori con Stefan che la tiene per mano.

La sensazione di essere tenuti per mano è ancora più singolare.

Quando e perché veniamo tenuti per mano?

Quando siamo piccoli sono gli adulti a farlo, i nostri genitori, i nostri nonni, gli zii, i cuginetti più grandi – per guidarci, per farci sentire il loro calore, per proteggerci mentre facciamo qualcosa. Quando erano bambine, Uta la prendeva per mano tutte le volte che dovevano attraversare la strada. Sua madre la prendeva per mano quando la faceva uscire d’autorità dalla sua cameretta, dove si era attardata a leggere, per portarla in cucina a cenare. Papà la teneva per mano durante le gite, mentre s’arrampicavano su un crinale o attraversavano un ruscello.

Quando siamo adulti chi è che ci tiene per mano? Normalmente il nostro partner, e normalmente lo fa soprattutto in pubblico, come a segnalare a tutti gli altri il suo possesso “questa persona è già occupata e chi la occupa sono io”. Una persona come una fortezza. Del resto, quando parliamo di amore, non sembra che parliamo piuttosto di guerra o di schiavitù? Non diciamo forse “conquistare una persona”? Non ci istruiscono fin dall'infanzia a sviluppare "strategie" più o meno subdole per "far capitolare" chi amiamo?

Territori da occupare e fortezze da conquistare, o perlomeno per gli altri è così.

I suoi uomini non l’hanno quasi mai tenuta per mano, per lo più si sono sempre limitati a starle accanto, a portata di sguardo. E Julia, che non ha mai saputo distinguere tra comportamenti convenzionali e gesti sentiti, non ha mai capito se non le abbiano mai preso la mano perché erano tipi non convenzionali o perché non hanno mai tenuto a lei.

Per questo ora l’idea della sua mano stretta in quella decisa di Stefan Levin è veramente motivo di meraviglia.

 

***

 

“Allora, giovane dio della distruzione...”

Lui non replica, ma un sorrisetto compiaciuto gli deforma la bocca.

“... altrimenti noto come cavaliere del sole di mezzanotte...”

“...”

“... o, per non tralasciare l’ultima invenzione dei tifosi bavaresi, berserk gentile...” continua Julia “... che tra l’altro è anche un magnifico ossimoro: come vedi ho fatto i compiti”

“...”

“... controfigura del mio Lennart... o il contrario”

“...”

“... insomma, signor Stefan Levin da Stoccolma”.

“Sì”.

Julia gli tende la mano:

“È bene se ci presentiamo ancora una volta... Io sono Julia, detta Bücherwurm per ovvie ragioni”.

Levin ora sorride apertamente e stringe con convinzione la mano che gli viene data.

“Piacere di conoscerti, piccolo Bücherwurm. Hai un soprannome molto simpatico”.

Julia esita un momento, poi riprende:

“Senti... se sono venuta alla partita, non è solo perché ero curiosa... e, a proposito, grazie per avermi fatto trovare un comitato d’accoglienza veramente eccezionale... il grande Karl-Heinz Schneider in carne e ossa, quando lo racconterò a mio nipote lui scuoterà la testa pensando che ho una malattia degenerativa delle cellule cerebrali”.

Levin aspetta il seguito.

“Tra l’altro è un ragazzo molto simpatico... e credo volesse essere all’altezza del compito che gli avevi affidato. Comunque, volevo dirti... Ho fatto veramente il tuo ritratto, l’unica differenza è che Lennart non gioca a calcio e poi la somiglianza è totale. Perciò, se ti ha turbato leggere la storia, se pensi che abbia violato la tua sfera privata... posso anche toglierla dalla circolazione”.

“Sei venuta per dirmi questo?”

“Bene... anche”.

“E poi perché?” insiste Levin.

“Non lo so... per capire, immagino”.

“Capire cosa?”

“Capire cosa può averti spinto a cercare un tipo come me”.

“... trovato una risposta?”

“Non lo so. Ci sei rimasto male perché non ti ho riconosciuto subito?”

“Chi, io?”

“Beh, mi è venuto in mente mentre ero lassù con Schneider e pensavo, cavolo, questo qui è Karl-Heinz Schneider! E il mio amico bibliofilo è nientedimeno che Stefan Levin... gente famosa...”

“Ah ah, il tuo amico bibliofilo...”

“... e non è che qualche paparazzo ci ha fotografato?”

“... è possibile”.

“Come, è possibile?”

“... è possibile, in effetti”.

“Non dirmi così”. Sulla faccia di Julia si dipinge un’espressione afflitta e desolata.

“Tranquilla, se ci provano a pubblicare una tua foto li facciamo neri” sogghigna Stefan.

“Come neri?”

“Violazione della privacy. L’avvocato di Schneider deve combattere con queste cose un giorno sì e l’altro pure. Il mio un po’ meno, però anche lui sa cosa fare, nel caso”.

“Oh Signore”.

“Vedi, stiamo parlando da cinque minuti e già la violazione della privacy è venuta fuori due volte”. Stefan ritorna serio. “Pensavi volessi farti causa per il tuo racconto?”

“Non saprei” risponde lei alzando le spalle “ma penso che se avessi voluto farmi causa non ti saresti preso la noia di venire a conoscermi... Non credere, anche a me ha fatto impressione, è una coincidenza inquietante. Perciò, se la cosa ti disturba...”

“Non mi disturba”.

Levin ha parlato scandendo per bene le parole.

“No, non mi disturba per niente”.

“Hm...”

“Io sono felice che tu abbia scritto quel racconto!”

 

***

 

Nessun segreto è veramente un segreto, ecco.

Basta avere gli occhi, basta cercare.

Mentre cercava notizie sul web, Julia è incappata nell’edizione online di un famoso settimanale di opinione. E lì ha trovato un ampio reportage della redazione sportiva, in cui si mettevano a confronto diversi sportivi, con le loro personalità e i loro stili di vita. Inaspettatamente, Levin era tra gli intervistati. E il titolo del servizio, accanto a una bella foto a figura intera, era

 

Meister mit Understatement.

Ein Tag aus Stefan Levins Leben

 

L’articolo parlava della storia sportiva di Levin, dei suoi interessi, della sua vita quotidiana. La parte più divertente era stata quella in cui erano stati intervistati alcuni suoi fan, un ragazzino di dodici anni, uno studente di ingegneria di ventidue, una parrucchiera di cinquanta e un pensionato di settanta. Alla domanda “perché amate Stefan Levin?” avevano risposto: “Perché è uno dei più forti, ma non gli importa di fare la star” (incredibilmente, il ragazzino); “Perché è deciso, determinato, coraggioso, lotta per i suoi obiettivi, non ha paura di sbagliare, e se sbaglia non ha paura di chiedere scusa” (lo studente); “E me lo chiedete? Perché non è il solito pallonaro fanatico che pensa solo alle discoteche e alle donne! Poi è gentile e parla bene il tedesco, non come certi sbruffoni che dicono che la nostra lingua è difficile e anche se si beccano bei soldi dalle loro società e stanno qui da anni non si prendono il disturbo di imparare neanche una parola per scambiare un saluto coi tifosi” (la parrucchiera); “Perché mio nipote gioca a calcio e mentre gli altri ragazzini dicono che vogliono diventare professionisti per i soldi e la fama, lui dice che vuol essere come Levin” (il nonno). Il nonno a questo punto si era meritato una domanda supplementare: “Ma i bambini sono più attratti dalle superstar, secondo lei perché il suo nipotino è attirato da un ragazzo riservato come Levin?” Risposta piccata del nonno: “Evidentemente perché mio nipote sa già distinguere tra apparenza e sostanza!”

Il servizio era accompagnato da alcune foto. Una ritraeva Levin a quindici anni con la maglia del suo vecchio club; una mostrava l’ormai leggendaria azione con cui, qualche anno prima, arrivato da pochi mesi a Colonia, aveva portato la sua squadra a una stupefacente vittoria fuori casa contro l’HSV, fracassando la mano al portiere avversario; infine, nell’ultima compariva in borghese, ovvero con la solita felpa e i soliti jeans, insieme agli studenti di una scuola dove era stato invitato a confrontarsi coi ragazzi sui temi del sacrificio, del lavoro di squadra e della motivazione.

Julia non ricorda se è lì, tra le righe di quell’articolo, o altrove, che ha letto una manciata di parole che raccontavano, sinteticamente, che Levin, a diciotto anni, ha perso la sua fidanzata per un incidente d’auto.

La fidanzata dei diciotto anni, figurati: il primo amore.

Forse sarà per questo che i suoi occhi ogni tanto sembrano perdere di vista il mondo e diventano così vitrei?

A diciotto anni si è troppo piccoli per un dolore del genere. Forse si rimane sempre troppo piccoli per il dolore che si prova a perdere qualcuno, ma quando sei più grande hai tante cose che ti distraggono, non ultimo il fatto che devi sopravvivere, guadagnarti il pane, badare ai tuoi figli, non lasciar scappare il tuo partner, cercare di non morire tu stesso. Hai tante distrazioni che ti dimentichi di soffrire. Ma quando si è così giovani...

Una ex compagna di scuola di Julia, Sarah – che tra l’altro non le è mai stata troppo simpatica – ha perso anche lei il suo ragazzo per colpa di un incidente durante l’ultimo anno di liceo. Le ci sono voluti quasi dieci anni per riprendersi dallo shock, ricominciare a vedere gli amici, decidere di frequentare un altro uomo.

Mentre guarda dentro al suo bicchiere, che tiene con entrambe le mani, Levin chiede a Julia:

“Sai di Katarina, vero?”

Julia annuisce.

Si guardano negli occhi per un lunghissimo secondo. Poi Levin s'informa:

“E... ti è piaciuto guardare la partita dalla tribuna?”

“Se non ci fosse stato Schneider, sarebbe stata una tortura” confessa Julia “odio i posti dove stanno i politici, le ragazze di lusso e i dirigenti. La prossima volta me ne vado tra i tifosi”.

“Karl si è comportato bene?”

“Oh, certo, è stato gentile, mi ha spiegato un sacco di cose. Magari avrebbe dovuto fare un po’ più attenzione alla partita, invece ha perso tempo a chiacchierare con me”.

“Non ti ha dato fastidio?”

“Schneider? In che senso?”

“Nel senso di provarci con te, piccolo Bücherwurm” spiega Stefan con un tono di voce incredibilmente carezzevole.

“Con me?” chiede Julia stupita.

Figurati, la prima cosa che gli ho detto di me è che sono vecchia, riflette. E il resto lo ha visto coi suoi occhi.

 

***

 

Sono usciti dal pub e ora passeggiano tranquillamente, affiancati, senza parlare. È incredibile come non abbiano bisogno di buttarsi fiumi di parole addosso, per capirsi. Fatto sta che parlano solo a tratti, e solo per dirsi delle banalità, come “fa ancora fresco, eh, la sera”, “eh sì, non è ancora estate” oppure “che ore sono?”, “l’una e un quarto”.

E tra una chiacchiera e l’altra, e tra i molti silenzi, si fanno le sei del mattino.

Finiscono anche per vedere l’alba. È di buon auspicio, pensa Julia, guardando di sottecchi questo enigmatico giovane con cui ha trascorso la serata e l’intera notte, e con cui ha parlato molto più di quanto non abbia davvero fatto.

“Spero di non averti tenuto in piedi quando avresti potuto riposare” dice.

“Non dovevo riposare, e tu?”

“Oggi è domenica...”

Si guardano con aria complice e ridono silenziosamente.

“E dunque che cosa posso fare per te, Stefan Levin da Stoccolma?” prosegue Julia.

Lui respira profondamente.

Vediamo, che potresti fare? Starmi vicino, per esempio? Abbracciarmi, qui e ora? Oppure, volendo andare sul complicato: concedermi lonore di essere tuo amico?

E così, come sempre accade quando prova forti emozioni, Stefan non riesce più ad articolare neanche una parola in tedesco, figuriamoci poi in inglese: attacca a parlare nella sua lingua e parla ininterrottamente per un paio di minuti, acceso, con Julia che gli guarda dentro agli occhi come se guardasse nell’acqua di un pozzo per scoprire dove è il fondo.

Quando Levin s’interrompe, lei fa cenno ripetutamente di sì con la testa e alla fine esclama:

“Ho capito!”

“Hai capito?!?”

“Ho capito che quando sei emozionato riesci a parlare solo svedese... poi ho capito anche qualche parola”.

“Ah sì?”

“Veramente, a essere onesti, ho capito solo una parola... hai ripetuto spesso vän...”

Senza sapere da dove gli è venuta quell’ispirazione, Stefan afferra la mano della giovane donna con entrambe le sue e la bacia con trasporto.

Oh cavolo.

“Come devo interpretare questo, Stefan Levin?” domanda Julia.

Lui risponde, sinceramente:

“Non riesco a dirlo a parole”.

“Beh, spiegamelo in altro modo, se puoi...”

“Sì, forse posso” e mentre dice così l’abbraccia, prima blandamente, con dolcezza, poi stringendo fino al punto che Julia non ha più spazio di manovra e deve per forza appoggiarsi contro di lui. Riesce a sentire il suo respiro, riesce a sentire i battiti del suo cuore. Ognuno come un grosso peso che cade, ognuno un tonfo acquatico e convulso, come il battito del cuore di Robert. Oh mamma mia, sa di sapone di Marsiglia... le braccia di Levin, il suo collo, profumano di sapone di Marsiglia! È lo stesso sapone che usa sua madre, il profumo delle braccia di sua madre, un ricordo che precede anche i suoi ricordi più antichi.

“Questo nella mia lingua significa ‘Ti voglio bene’, e nella tua?”

“Anche nella mia” risponde a bassa voce lui soffocando un sorriso.

È a questo punto che Julia ricambia la stretta, con una forza inaspettata in una donna così piccina.

“E questo? Vuol dire ‘anche io’?” rilancia il giovane.

“La mia lingua è la tua lingua, Stefan Levin”.

È questo che ha capito, da subito... ed è questo che ha cercato di far capire a me fin dalla volta della presentazione?

Parliamo la stessa lingua, io e lui.

 

***

 

E se l'amore che avevo non sa più il mio nome

se l'amore che avevo non sa più il mio nome

come i treni a vapore, come i treni a vapore

di stazione in stazione e di porta in porta

e di pioggia in pioggia e di dolore in dolore

il dolore passerà

 

***

 

Note al testo. 1) God kväll è buona sera in svedese. Levin ha una caratteristica: quando è emozionato non riesce a parlare se non nella sua lingua... 2) L’epigrafe riprende alcuni versi della canzone Breathe di Midge Ure, alias il cantante scozzese James Ure, pubblicata nel 1996. Il respiro è il primo e più importante segno di vita: quando si smette di respirare si è definitivamente morti. 3) “Berserk gentile” è un ossimoro perché il berserk, nel Medioevo scandinavo, era un guerriero caratteristicamente violento e feroce; un berserk, dunque, non può essere gentile per definizione. Stefan, però, nel cuore dei tifosi lo è... amore <3. 4) Meister mit Understatement. Ein Tag aus Stefan Levins Leben: campione con understatement. Un giorno della vita di SL, in tedesco. 5) vän significa amico in svedese. 6) I versi conclusivi vengono diritti diritti dalla meravigliosa "I treni a vapore" di Ivano Fossati, che Levin non conosce, ma che Julia conosce senz'altro.

 

Disclaimer. Karl-Heinz Schneider e Stefan Levin appartengono al maestro Yoichi Takahashi. Julia Gutenbrunner detta il Bücherwurm appartiene a me.

 
  
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