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Autore: esse198    31/10/2013    1 recensioni
"Era la persona più normale che potesse esistere al mondo, quelle poche passioni che aveva, le coltivava in modo molto discreto trattandosi di musica e della lettura di qualche romanzo e di qualche fumetto. Difficile suscitare l’irritazione della gente."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- E tu hai accettato?
- Beh, sì, è un’occasione che non potevo proprio rifiutare! Pensa: poter giocare con ragazzi del loro livello. Sarà una scuola preziosissima per me!
- E l’allenamento della squadra dei ragazzini?
- Andrò una volta a settimana.
- E con il lavoro come farai?
- Ti dico che è tutto sotto controllo.
Selene era poco convinta delle promesse del fratello. Sapeva quanto lui adorasse giocare a calcio, ma temeva che si sarebbe stancato troppo. Il fratello, più grande di lei di qualche anno, era venuto a trovarla in libreria. Il ragazzo oltre ad essere un appassionato di calcio, sia vissuto che quello in tivù, aveva una grande passione per i gialli, aveva già letto quelli su Sherlock Holmes, teneva il passo con quelli di Camilleri e stava raccogliendo i gialli di Agatha Christie. Selene, che raccoglieva e assaggiava tutto quello che trovava in giro per la casa, aveva provato anche lei a leggere qualche giallo appassionandosi a quelli di Conan Doyle e di Camilleri, trovando questi ultimi ormai un po’ ripetitivi. Il ragazzo era venuto, quindi, a dare un’occhiata allo scaffale dedicato ai gialli. E raccontava le ultime novità alla sorella. Era entusiasta dell’occasione. Non sperava certo di diventare un grande calciatore, anche se per lui era sempre stato un piccolo rimpianto, ma far parte di una squadra ufficiale come quella locale era per lui una specie di trionfo e motivo di orgoglio. Era un ragazzo vivace. Un giocherellone. Selene adorava parlare con lui perché usavano spesso delle metafore, soprattutto se di mezzo c’erano delle confidenze più intime, usavano sempre un tono giocoso. Parlare seriamente sarebbe stato troppo imbarazzante, forse lo era più per lei.
Fu allora che entrò in negozio la Gattina. Era pimpante ed allegra, molto allegra. Si diresse al banco delle informazioni dove c’era Elena alle prese con il computer e la informò sulle novità. Quando Selene, dopo aver salutato il fratello, si avvicinò alle due ragazze, ancora con un po’ di discrezione, visto che con l’amica di Elena non aveva molta confidenza, Elena la stava chiamando, invitandola ad avvicinarsi per chiedere un suo parere sulla storia della Gattina.
Tutta quella faccenda aveva davvero sorpreso parecchio. Non avevano mai sentito una cosa del genere ed era difficile farsi un’idea, soprattutto un’idea positiva. Non era scorretto, ma piuttosto era una situazione misteriosa, visto che lui non aveva voluto dare spiegazioni riguardo a quella condizione. Lei pur sapendo che la cosa non era molto promettente decise di lasciarsi trasportare dagli eventi, nella speranza di farlo innamorare e cambiare le carte in tavola.
- Certo, è un bel rischio… - aveva commentato Elena.
- Lo so, ragazze, sto facendo una cazzata, ma mi piace troppo ed io ho deciso di buttarmi. Comunque vada, non potrò dire di non averci provato.
Le ragazze le fecero un sorriso che esprimeva tutto il loro sostegno, tutta la loro solidarietà.
 
Pioveva. Veniva giù che sembrava stesse precipitando il cielo. Quest’ultimo era così scuro, quasi nero. Per fortuna i tuoni e i lampi non erano frequenti.
In quei giorni Elena si era buscata una brutta influenza, così si assentò dal lavoro un paio di giorni. Quel giorno piovve tutto il tempo. Anche quando arrivò l’orario di chiusura e Selene doveva tornarsene a casa. Senza ombrello. Si sentì meno stupida ad aver lasciato l’ombrello a casa, quando scoprì che anche Luca, il suo bel collega, il nuovo assunto, aveva dimenticato l’ombrello. Restarono lì sotto la tettoia sulla porta del negozio ad aspettare invano che spiovesse.
- Che facciamo? – chiese lui.
- Non ne ho idea. Qui non smette di piovere.
- Se ci avviassimo? Ho il giubbotto di pelle. Tu sei piccolina forse riusciamo a ripararci tutt’e due.
Ed eccolo lì l’imbarazzo, compagno audace della timidezza, che faceva capolino nell’animo di Selene. Però non le dispiaceva affatto la situazione. Disse di sì e si incamminarono. Purtroppo la corsa sotto la pioggia non le permise di conoscere meglio il suo collega. Però scoprì in lui un ragazzo molto gentile e pieno di riguardi. Pensò che era merito del suo essere così piccina. Più volte aveva suscitato la tenerezza e il riguardo delle persone per la sua apparenza.
Si divisero a quell’incrocio molto vicino la casa di Selene, che avrebbe proseguito per altri pochi metri, lui avrebbe deviato a sinistra e avrebbe corso ancora un bel po’.
Quando arrivò a casa, Selene fece un bagno caldo e rilassante, cenò con la sua famiglia e solo dopo aver aiutato la madre a fare i piatti si ricordò del cellulare che aveva lasciato sulla scrivania della sua cameretta. Vi trovò uno squillo e un messaggio. Erano di Luca. Nel messaggio le chiedeva se era arrivata viva. Ne fu piacevolmente colpita. E l’attrazione per lui cresceva sempre più. Passò la serata a parlare con lui via sms, una lunga chiacchierata che sarebbe durata molto meno se si fossero telefonati, ma era la prima volta che si sentivano fuori dal lavoro. Luca aveva soltanto due anni in più di Selene. Era un ragazzo comune, viveva con la sua famiglia, come la maggior parte dei ragazzi in quella piccola città siciliana dove viveva Selene. Aveva una sorella più piccola che ovviamente stuzzicava e che doveva tenere d’occhio visto che era una ragazzina di 16 anni. Dopo essersi diplomato all’istituto tecnico commerciale aveva fatto qualche corso di computer, accumulato qualche punteggio, fatto diverse domandine a vari concorsi e nell’attesa che la fortuna chiamasse anche lui, si era accontentato di quel lavoro da commesso. Aveva una grande passione per l’informatica: smontava e rimontava instancabilmente ogni tipo di computer, faceva esperimenti, aggiungeva, toglieva, formattava, fondeva programmi. Combinava proprio di tutto. E anche lui, come molti ragazzi, non aveva scansato l’ipotesi di cercare lavoro fuori dalla Sicilia, considerando le città da Roma in su.
Da allora il clima divenne molto più disteso durante le ore di lavoro. S’instaurò una bellissima familiarità tra il ragazzo, Selene ed Elena e furono diverse le serate organizzate per trascorrere del tempo insieme, anche al di fuori dell’ambiente lavorativo. Come quella sera in cui decisero di andare a mangiare una pizza. Luca portò i suoi due amici, quelli che frequentava assiduamente e da cui non riusciva a dividersi, le ragazze portarono la Gattina, quest’ultima senza il suo Darkman, impegnato in qualcosa che riguardava la sua famiglia.
Così il sestetto decise di andare “Da Lello”, proprio dove lavorava il Grande Amore di Selene, vi faceva il cuoco. Non ebbe il coraggio di suggerire di cambiare posto, ma perché poi? Ormai quella era una storia che non le apparteneva più. Era il passato.
La serata scivolò leggera e piacevole molto più di quanto aveva previsto Selene. Gli amici di Luca erano due buontemponi, molto simpatici e talvolta sembravano una coppia di comici: certe loro scenette erano davvero spassose. Uno dei due comici si chiamava Cesare detto “il Ce”.
- Come il grande Che Guevara, ma senza l’acca da Ce-sare. – spiegò Luca.
Il motivo del soprannome stava nel suo look, nel suo fazzoletto rosso legato al polso sinistro, nei suoi principi tipicamente comunisti, nella sua avversione per Berlusconi. Lui era davvero alto, troppo alto, e con la sua faccia faceva mille smorfie diverse e buffissime, sembrava un orsacchiotto e suscitava sprazzi di tenerezza. L’altro invece, il Casanova, si professava un romanticone e ci provava spudoratamente con tutte. Del resto se lo poteva permettere: era proprio un bel ragazzo, la bellezza di un attore, con un portamento da fighetto e curato nei minimi particolari. E, infine, importante: il suo profumo era afrodisiaco (Selene dava molta importanza ai profumi maschili, avevano un forte impatto sensuale).
Passato l’imbarazzo dell’incontro con il suo Grande Amore per Selene fu una bella serata. A Luca però non sfuggì il patos che aveva circondato il momento in cui era venuto quel ragazzo a salutare Selene, per questo all’uscita del locale, facendola da parte le chiese qualche spiegazione.
- Non vedo perché debba spiegarti le mie amicizie.
- No, infatti, non devi. Era semplice curiosità. – si dimise immediatamente dalle precedenti intenzioni. Si era reso conto di aver peccato di indelicatezza.
- Comunque, è una storia complicata. È stata una persona importante, adesso quando ci vediamo ci salutiamo. Tutto qua. – lo ripagò di questa piccola spiegazione, solo perché ingenuamente, le aveva fatto piacere il suo interessamento, e anche perché lui aveva intuito qualcosa sul suo Grande Amore.
- Si vede che tra maschi si capiscono. – aveva in seguito commentato Elena.
 
“Dintra alle pagine di un romanzo a un certo punto si perdeva come tra gli arboli di un bosco, la testa gli partiva per un altro verso, se la sentiva a un tempo leggera come un palloncino e pesante come una petra, allura nel mezzo di una liggiuta doveva fermarsi pirchì i righi diventavano tutti torti e ‘ntricciati e l’occhi s’annigavano a taliari ‘u nenti.”
A.Camilleri – “La pensione Eva”
 
Nessuno prima di lui aveva saputo esprimere meglio quello che Selene provava quando leggeva. Era un piacere, ma allo stesso tempo una fatica. Selene leggeva e scriveva. Seguendo un movimento semi-circolare, come quel movimento idrico delle fontane: l’acqua scorre nella fontana, questa per evitare che trabocchi deve far scorrere l’acqua via per un altro condotto, andando a riempire un’altra vasca. Ecco: Selene leggeva, e quando leggeva sentiva la testa pesante e strapiena di idee, pensieri e riflessioni. Sentiva la necessità di liberarsene e l’unico modo per farlo era scrivere. E scrivere era per lei una catarsi, un modo per mettere ordine nei pensieri, e un piacere intenso. Quando finiva di scrivere anche una sola pagina si sentiva tutta soddisfatta anche se poi trovava un mucchio di difetti qua e là. Non scriveva mai con l’intenzione di far leggere a qualcuno le sue creature, scriveva per se stessa. E sentiva che non poteva farne a meno. Non avrebbe potuto mai più farne a meno.
Così le capitava nelle piccole pause dal lavoro di appartarsi nello stanzino, che poteva somigliare a qualcosa come un antico retrobottega, ad annotare qualcosa sul suo diario. Una volta la sorprese Luca e curioso, come aveva dimostrato di essere, aveva cominciato a farle una serie di domande e finirono per parlare dell’università.
- Come mai non frequenti e ti limiti a studiare qui e dare gli esami?
- Perché lavoro qui. – aveva risposto lei con tono scontato.
- Vabbè, ma non mi sembra che tu lo faccia per necessità… - lei sospirò e poi spiegò:
- Ho passato un anno burrascoso con le mie coinquiline e ho deciso di staccare un po’. Magari l’anno prossimo torno a cercare casa e magari mi trasferisco.
L’università che frequentava Selene era a due ore di pullman dalla sua città, così era preferibile trasferirsi nella capitale per frequentare meglio le lezioni.
Sì, Luca era un tipo molto curioso, faceva un mucchio di domande, ma era molto simpatico e quello che gli raccontavi non lo diceva in giro. Anche lui chiacchierava molto e le sue cose non se le teneva sempre per sé. Ma aveva un modo di porsi, di fare che non ti riusciva di pensare a un fastidioso impiccione, ma a qualcuno che aveva un mucchio di esperienze alle spalle e voleva condividerle con chi aveva intorno, e, per certi versi, con l’intento di insegnare qualcosa, se possibile. Selene lo trovava molto affascinante e le piaceva sempre più. Quello che più la colpiva era la sua capacità di metterti totalmente a tuo agio. E lei aveva un gran bisogno di gente come lui.
Ma aveva trascurato una cosa molto importante: era un rappresentante dell’altro sesso: un maschio.
Un giorno lo sorprese con Elena nello stanzino del negozio: ci stava provando con lei. E fin qui niente di strano. Certo, c’era rimasta male vedere che lui era interessato ad un’altra. Ma fu quello che disse in seguito che fece perdere ogni stima di Selene per lui.
- Ehm… stai prendendo un abbaglio, Luca… lo sai che sono già impegnata sentimentalmente.
- E allora?
- Come “E allora?” ?
- Vabbè, ci si diverte una volta e finisce lì.
- Scusa, ti sembro quel tipo di ragazza? – lui non rispose.
- Non ti facevo così stronzo, sai?
È vero, c’era nel tono del ragazzo una voglia di scherzare, ma difficile credere che stesse solo scherzando.
Nonostante le piccole delusioni, Selene non aveva smesso di credere alle persone. Aveva il brutto vizio di idealizzarle, di farne delle persone quasi perfette, con piccoli difetti che li potevano rendere soltanto più interessanti. E stentava a credere a quello che aveva visto, a ciò che aveva sentito.
Rimase scossa per tutta la giornata. Elena notò che la sua collega era un po’ strana, quel giorno. Quando chiusero il negozio si offrì di accompagnarla a casa.
- Che hai? È tutto il giorno che hai il muso… - disse Elena.
- Ho visto quello che è successo tra te e Luca, nello stanzino.
- Cioè… hai visto che non è successo niente. – Selene la guardò strana. Poi disse:
- Il suo comportamento è niente per te?
- Ah, ti riferisci a quello. Pensavo ti riferissi a me.
- Che c’entri tu?
- Non so, sembravi ce l’avessi con me.
- A volte non ti capisco proprio, pure tu!
- Comunque mi dispiace.
- Mi stai chiedendo scusa?
- No, mi dispiace che anche lui si sia rivelato un cretino. – Elena sapeva della cotta della sua collega.
- Pazienza. Prima o poi ci farò l’abitudine.
 
Un giorno, quel pomeriggio, Darkman prese la macchina e andò a prendere la sua ragazza, la Gattina. Questa fu colta di sorpresa, non era stato programmato.
- Dai, metti un jeans, una maglietta e un paio di scarpe da ginnastica. – aveva detto lui.
- Così va bene? – chiese lei, dopo un po’, salendo in macchina.
- Sì. Riesci ad essere sexy anche così…
- Uhm… è strano…
- Cosa?
- È sempre strano ricevere un complimento da te.
- Perché? Stiamo insieme. Dovrebbe essere normale.
- Infatti, eppure mi suona sempre strano, sarà perché fra un po’ mi mollerai.
- Ma c’è un solo momento in cui riesci a non pensarci?
- Sì, quando sto con te.
La Gattina era ormai cotta. Stare con lui per lei era sempre una sorpresa, erano momenti bellissimi. E per davvero riusciva a dimenticare il loro contratto a termine. Riusciva ad immaginare che sarebbe stato per sempre e ogni sforzo perché lui non diventasse troppo importante era andato a farsi benedire. Ogni tanto pensava che avrebbe dovuto prepararsi al trauma della separazione. Per di più nel patto c’era anche la promessa di non chiedere spiegazioni. Era una situazione pazzesca: lui si era mostrato un ragazzo gentilissimo, brillante, simpatico, con certi piccoli difetti da sopportare, ma che lo rendevano solo più adorabile. Il suo maggior difetto era la sua cocciutaggine e questo non lo rendeva adorabile, tutt’altro. Si doveva fare quello che diceva lui, doveva avere ragione sempre lui, per questo certe liti erano davvero pesanti.
- Senti, ma se ci lasciassimo prima dei tre mesi previsti e poi ci rimettessimo insieme, sarebbe per altri tre mesi?
- Ehm… no.
- Scusa, ma non ha senso. Il contratto non è sempre per tre mesi?
- Ma non è una cosa usuale per me.
- A no? E allora perché lo stai facendo proprio con me? Davvero non riesco a spiegarmela ‘sta cosa.
- Eravamo d’accordo: niente spiegazioni.
Non si stancava mai di riprendere quel discorso. Almeno una volta al giorno trovava il modo per provocarlo e cercare di capire. Invano. Era impenetrabile come una roccia.
- Sai, a volte ci penso. Come diavolo faccio a fidarmi di te?
- Ti fidi di me?
- Certo, altrimenti non sarei su questa macchina a seguirti mentre mi porti fuori città! Dove mi stai portando?! – lui sorrise divertito (uno di quei sorrisi splendidi). Poi rispose:
- Questo non è un segreto: ti porto in campagna. Dov’è nata e cresciuta la mia famiglia.
Per Darkman le origini della sua famiglia avevano un fascino particolare, un’atmosfera mitica, nel vero senso del termine. Il mito delle origini della sua famiglia risiedeva negli anni della seconda guerra mondiale fino agli anni ’80. Da lì in poi appariva tutto più credibile, più palpabile. I ricordi, i racconti dei suoi nonni, degli zii, del padre erano dei documenti preziosissimi per il ragazzo. Ripercorrere i luoghi dove quei personaggi avevano vissuto e avevano fatto parte di un pezzo di storia italiana era sempre stato per lui un’emozione fortissima. E quel pezzo di storia, cui la famiglia di Darkman aveva preso parte, era una storia diversa e lontana dalle lotte sindacali e dalle manifestazioni di protesta delle grandi città del nord. Quegli anni avevano visto ancora la vita dei campi, la povertà, l’arretratezza, ma lo spirito con cui tutto questo era stato accolto era quello di chi non si rendeva conto, quasi l’espressione del fatalismo siciliano: forse è così che doveva andare. Perciò c’erano le feste, i balli organizzati nelle buie campagne, a percorrere stradine infangate e insidiose per raggiungere la casa di turno che ospitava una festa. Ed era lì che nascevano gli aneddoti e gli episodi mitici che Darkman adorava tanto.
Così Darkman mostrò alla sua ragazza la vecchia casa, adesso proprietà di uno dei sei zii, dove suo padre era cresciuto con i suoi fratelli. Poi le mostrò i campi che una volta erano stati del nonno e che adesso erano stati divisi tra i fratelli. Suo padre coltivava un pezzo di terreno dove si dice ci sia stato un accampamento militare ai tempi della grande guerra, forse addirittura vi atterravano gli aerei militari. Il ragazzo raccontava quel che sapeva con passione. Ed era questa un’altra caratteristica affascinante di Darkman.

 
  
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