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Autore: anneboleyn94    01/11/2013    10 recensioni
Quando Harry Potter scompare all'età di sette anni, l'intero mondo magico si affanna per cercarlo e portarlo in salvo, ma alla fine anche Silente è costretto ad arrendersi all'evidenza: Il Bambino che è Sopravvissuto è perduto per sempre...
O forse no?
All'insaputa di tutti, Harry arriva ad Hogwarts per il suo primo anno sicuro del suo talento e delle sue ambizioni, ma ha ancora tanto da imparare sul mondo dei maghi, e la Guerra nonostante tutto incombe.
E questa volta potrebbero non essere solo i maghi a scendere in campo.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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In fondo al capitolo troverete le note dell'autore. Vi prego, leggetele :)

Nell’istante esatto in cui Raptor alzò la pietra, quasi ad offrirgliela simbolicamente, seppe che il momento era delicatissimo, e non avrebbe potuto lasciare niente al caso. Aveva la pietra, e non avrebbe permesso a un' eventuale incompetenza del suo sciocco servo di portarlo al fallimento. Facendo appello a tutte le sue forze, prese il controllo della volontà di Raptor, s’impossessò del comando dei suoi arti e della sua magia, e senza lasciarsi inebriare dall’effimera e fuorviante sensazione di aver di nuovo un corpo, seppur debole e mortale e umano, si allontanò da Hogwarts, sollevato, per quanto non lo avrebbe ammesso nemmeno con se stesso, quando nessuno si frappose sul suo cammino. Non sarebbe stato in grado di duellare contro Silente, in quelle condizioni.

Ma presto sì pensò con selvaggia soddisfazione. Era stato furbo Silente, doveva riconoscerlo. Lo specchio l’aveva messo in difficoltà, lo aveva spinto per un lungo, angoscioso istante a credere di doversi fermare proprio quando era così vicino. Ma lui non si fermava, lui non si arrendeva. E l’ultima difesa non era nemmeno riuscita a trattenerlo il tempo sufficiente perché il vecchio si accorgesse di quello che stava accadendo e tornasse da Londra.

Lasciò il castello, addentrandosi nel riparo della foresta oscura, impaziente di superare le barriere e smaterializzarsi quanto più lontano la sua fragile condizione gli permettesse.

Riapparve in un cimitero ben noto, e la prima cosa che vide fu il profilo lontano di una casa altrettanto famigliare, che aveva visitato una sola volta ma che non aveva mai abbandonato la sua memoria. Cadde a terra, stremato, e lasciò che la coscienza di Raptort riaffiorasse e riprendesse il controllo. Poteva sentire il suo terrore, e gli provocò una sadica soddisfazione, sapere che il suo servo aveva assaggiato l’impotenza e il vuoto della non esistenza in cui lui era costretto da dieci anni.

Ancora per poco.

Ora che era lontano da Hogwarts e da Silente poteva concedersi il lusso di lasciar vagare la mente, di pensare, pianificare. Sotto sua indicazione, Raptor aveva raccolto il necessario a distillare l’elisir di lunga vita già da agosto, ma non sarebbe stato sufficiente. Il rituale a cui avrebbe dovuto sottoporsi era unico nel suo genere, mai sperimentato prima, come unica era la sua condizione. Avrebbe richiesto tempo. Aveva aspettato nove anni che uno dei suoi patetici, fedifraghi servitori andasse a cercarlo. Aveva aspettato oltre un anno per mettere le mani sulla pietra. Non avrebbe vanificato tutti i suoi sforzi affrettandosi a compiere il rituale senza prima compiere le necessarie ricerche. Poteva aspettare, la pazienza non gli era mai mancata.

Avrebbe concesso a Raptor un giorno per riprendere le forze, e avrebbero lasciato la Gran Bretagna. Non si sentiva sicuro. Ora che i suoi pensieri erano inondati dalle speranze per il futuro, era più che mai consapevole della sua attuale debolezza, e voleva mettere più miglia possibile tra lui e Albus Silente. Un’irrazionale paura lo assalì, se qualcosa fosse andato storto adesso…. Finora era stato tutto facile.

Troppo facile.

«Prendi la pietra Raptor» sibilò.

Il piagnucolare che aveva fatto da sottofondo ai suoi pensieri da quando aveva messo piede nel cimitero si interruppe. «Si mio signore» replicò il servo, con voce tremula, ancora scosso dalla sensazione della possessione.

Attese che Raptor eseguisse, sentendo sempre una sorta di ingiustificata, irrazionale trepidazione. Avvertì il servo prendere la pietra e sollevarla, e il pensiero prese forma.

Era stato davvero troppo facile.

«Distruggila»

«Come dite, mio signore?» Poteva sentire l’incredulità del suo involucro, ma non gli bado. Odiava quando i suoi ordini non venivano eseguiti all’istante. Raptor comprese il suo errore, si affrettò a poggiare la pietra su una lapida e dopo aver atteso la silenziosa conferma del suo signore, scagliò un bombarda contro la pietra.

Voldemort aspettò irrequieto che il fumo dell’erosione si diradasse. La pietra sarebbe rimasta intatta, perché era un artefatto magico dal potere incommensurabile, e un incantesimo di primo livello non avrebbe mai potuto scalfirla.

Vide nei pensieri di Raptor la visuale schiarirsi per mostrare la lapide distrutta e frammenti di rubino sparsi per terra. Urlò, strepitò, si dimenò, invaso da una rabbia folle, troppo grande per essere contenuta nel gracile corpo che lo ospitava. La sua coscienza si liberò, e di nuovo, non era che puro spirito, un’essenza, un ombra di se stesso. Non rimase a guardare il corpo di Raptor sgretolarsi al suolo, devastato per l’uscita del suo parassita. Doveva tornare al suo esilio.



Fu il dolore intenso alla cicatrice a far svegliare Harry. Aprì gli occhi, l’eco di una furia agghiacciante ai margini della coscienza, residuo di un sogno confuso. Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco il posto dove si trovava. Era nell’infermeria e seduto vicino a lui, l’espressione impenetrabile e gli occhi che dardeggiavano di rabbia e preoccupazione, c’era Piton.

«La pietra…» mormorò debolmente Harry. Aveva la bocca secca. Come intuendolo, Piton gli porse un bicchiere d’acqua e lo aiutò a mettersi a sedere e bere. Si sentiva indolenzito, ma non provava dolore. Si portò una mano alla scapola, e si accorse che la schiena era ricoperta da bende. I ricordi si agitarono confusi nella sua testa. La pietra. Voldemort aveva la pietra? E Philippe. Strabuzzò gli occhi. «Diventerò…?» domandò, spaventato.

«No» replicò con fermezza Piton «Sei stato fortunato. Non sei stato morso, solo graffiato. Non ti rimarranno nemmeno le cicatrici, considerato che ho richiuso in tempo le ferite».

Graffiato. Che bel modo per dire che era quasi stato squartato vivo pensò Harry. «Philippe sta bene?»

«Leroy aveva solo qualche livido, Madama Chips l’ha sistemato in pochi minuti. Ieri notte non aveva preso la pozione antilupo da me preparata, come immagino tu abbia compreso. Suppongo che la sua mancanza sia in qualche modo connessa al fatto che hai pensato bene di far saltare in aria i miei appartamenti» disse Piton, sarcastico. Ora che si era accertato che Harry stesse bene, sembrava pronto a fargli una sfuriata. Aprì la bocca, probabilmente per dire che era un idiota e che avrebbe passato la vita a ripagarlo per i danni che aveva causato, ma Harry fu salvato dall’ingresso nell’infermeria di Albus Silente. Come lo vide, Piton si alzò immediatamente in piedi e lo raggiunse. I due mormorarono qualcosa che il ragazzo non capì, e poi, dopo avergli lanciato un’ultima occhiata inceneritrice, Piton uscì e Silente si sedette affianco a lui.

Harry non aspettò che il preside parlasse. «Sarò espulso?» chiese, sentendo il mondo crollargli addosso.

Silente scosse vigorosamente il capo. «No, Henri, non sarai espulso» disse con tono grave «però vorrei che mi spiegassi quello che è successo la scorsa notte».

Così Harry cominciò a raccontare, omettendo le cose più importanti e pregando che Silente credesse alle sue mezze verità. Parlò dell’incontro col cane, senza approfondire le circostanze che lo avevano portato al corridoio proibito, di come avesse notato la botola e avesse fatto il collegamento con la Gringott. Disse che aveva dedotto che il ladro era a Hogwarts, e che dopo Halloween si era convinto che fosse Raptor, ma che non aveva parlato con nessuno per timore di non essere creduto, visto che non aveva prove. Raccontò di averlo visto aggirarsi per il terzo piano la notte precedente, e di essere corso da Piton per avvisarlo, ma di essere incappato in Philippe.

Silente non lo interruppe, non gli chiese che ci facesse in giro di notte vicino al terzo piano, e quindi ben lontano dai sotterranei di Serpeverde. Non gli chiese perché avesse passato l’anno a ossessionarsi con l’oggetto misterioso, né gli domandò se tra una deduzione e l’altra avesse intuito anche che era la pietra filosofale a essere protetta dal cane. Come terminò, Harry sentì lo sguardo del preside scrutargli il viso come se volesse leggergli l’anima, anche se il vecchio mago non stava tentando di usare la legimanzia. Sostenne lo sguardo, a disagio. Era consapevole che la sua versione dei fatti presentava delle lacune, e sapeva che aveva commesso un grave errore appena sveglio: aveva nominato la pietra davanti a Piton. Ma non avrebbe potuto spiegare come lo aveva scoperto senza parlare di Veles, e farla passare per una semplice intuizione sarebbe stato davvero poco credibile.

Silente gli sorrise benevolo, gli occhi azzurri che scintillavano divertiti. Harry sospettò che non avesse creduto a una sola parola del suo racconto. «Avresti dovuto confidarti con uno dei tuoi insegnanti, Henri, ma fortunatamente tutto si è risolto per il meglio. L‘ufficio del professor Piton dovrà essere sistemato e diverse pozioni sono andate distrutte, ma l’importante è che sia tu che il signor Leroy stiate bene. Le tue ferite guariranno completamente. Il professor Piton è stato molto abile nel richiuderle, e Madama Chips ha guarito i danni provocati dall’inalazione delle pozioni. Ritengo che per stasera potrai tornare dai tuoi compagni, ma dovrà essere lei a dimetterti. Ora Henri, devo chiederti di promettere che non parlerai con nessuno della condizione di Philippe. Tu capisci che, facendolo, comprometteresti la sua presenza qui».

«Non lo farei mai!» esclamò Harry con forza. «Philippe è mio amico».

«Molto bene allora» disse Silente, il volto ora completamente rischiarato. «Naturalmente i tuoi compagni non sanno il perché sei stato ricoverato in infermeria, ma la tua assenza non dovrebbe causare molte domande. Un’ultima cosa. Preferirei che tu non facessi menzione nemmeno di Raptor, con i tuoi compagni. Ora ti lascio, c’è qualcuno qui fuori che aspetta impazientemente di parlare con te».

Silente si alzò, ma Harry lo fermò. «Aspetti professore. Cosa è successo a Raptor e all’oggetto custodito dal cane?»

«Oh, io non me ne preoccuperei» fece allegramente Silente, facendogli l’occhiolino. Uscì dalla stanza, lasciando Harry a chiedersi che diamine intendesse. Appena la veste scintillante del preside sparì, nell’infermeria entrò Philippe. Il ragazzo esitò un secondo all’ingresso, poi parve farsi coraggio e andò a sedersi affianco a Harry, evitando accuratamente di guardarlo in faccia. Era molto pallido, e aveva l’aria di uno che sta per vomitare.

Prima che Harry potesse dire qualcosa, mormorò, pianissimo «Avevo cinque anni». Ci fu una pausa, e Harry decise di aspettare che riprendesse, di lasciarlo parlare.

«Avevo cinque anni, quasi in sei in realtà, e mio fratello, Marc, solo tre. Nostro padre, ne avrai senza dubbio sentito parlare dai nostri compagni, è Nicolas Leroy, il sottosegretario francese. Un uomo potente, con molti nemici… non ho mai saputo se fosse stato per causa sua, o solo un incidente. Per le vacanze di natale eravamo andati nella nostra casa di campagna. Solitamente gli elfi domestici ci controllavano tutto il tempo, ma la sera della Vigilia i nostri genitori avevano organizzato una festa per i loro amici dell’alta società, e tutti i domestici erano impegnati. Credevano che fossimo a letto, ma io e Marc non avevamo sonno. Non potevamo partecipare al party, così siamo sgattaiolati nel parco. Stavamo giocando quando è arrivato il lupo; non capii che era un mannaro. Non ricordo molto di quello che successe dopo. So solo che mi svegliai nel mio letto, ma ero debole e non riuscivo a parlare o aprire gli occhi. Alternai momenti di incoscienza a momenti di veglia per giorni. Attorno a me avvertivo delle presenze, degli estranei. Solo una volta sentì la voce di mio padre vicino al mio capezzale. Ricordò perfettamente quello che disse. “Non li voglio, portate questi mostri fuori dalla mia casa”. Provai a parlare, a chiamarlo, ma ero troppo debole. Non so quanto altro tempo passò, ma finalmente mi ripresi. Aprii gli occhi. Ero ancora nella mia stanza, e mio fratello era in piedi davanti a me; con lui c’era un uomo che conoscevo di sfuggita, uno dei dipendenti di mio padre. Mi lanciò dei vestiti, mi disse di metterli, di sbrigarmi. Io lo feci, anche se ero confuso. Chiesi dove fossero i miei genitori, e lui rispose che non ne avevo. Marc iniziò a piangere; chiamava mamma e papà. L’uomo gli ordinò di tacere e, spazientito, mi vestì con un incantesimo. Poi afferrò me e Marc per la collottola e ci smaterializzò in una strada della Parigi magica. Senza dire una parola, si rismaterializzò, lasciandoci lì da soli. Vagabondammo per qualche giorno, e saremmo morti se un uomo, un vampiro, non ci avesse trovati. Era un trafficante, voleva rivenderci. Rimanemmo con lui per un anno. In un certo senso ci ha salvato la vita, ma all’epoca sarei anche morto volentieri pur di allontanarmi da lui. Eravamo già con lui la prima volta che ci trasformammo. Solitamente ci teneva assieme, ma quando c’era la luna piena ci chiudeva in due gabbie separate. Questo rendeva le cose peggiori: un lupo mannaro che si trasforma da solo si fa del male, mentre stare in gruppo rende la trasformazione più facile e sopportabile. Credo che lui lo sapesse questo, che lo facesse apposta. Aveva paura di noi, quando c’era la luna piena. I giorni che la precedevano li passavamo senza mangiare, e questo ci rendeva ancora più aggressivi. Quando ci svegliavamo eravamo di nuovo insieme, e io mi prendevo cura delle ferite mie e di Marc. Come passavano i mesi e nessuno ci comprava, il vampiro diventava sempre più nervoso. Diceva che eravamo inutili, e non avrebbe tenuto due bestie inutili nel suo negozio. E poi una mattina mi risvegliai dopo la trasformazione, e mi accorsi che Marc era ricoperto di sangue, e il vampiro stava trafficando con qualcosa, e solo dopo capì che era il cadavere di un uomo. Il vampiro mi concesse di portare mio fratello in bagno e lavarlo; era decisamente di buon umore, disse che aveva trovato un utilità per noi. Ero disperato, e come misi Marc sotto la doccia vidi che stava solo dormendo, e quel sangue non era suo» la voce di Philippe si strozzò, e un singhiozzo senza lacrime gli scappò dalle labbra.

Harry chiuse gli occhi, pieno di disgusto, compassione e rabbia.

«Non credo che Marc si ricordi niente. Non ne parliamo mai, comunque, di quel periodo. Fortunatamente, quello fu l’ultimo plenilunio che passammo lì. Pochi giorni dopo, un uomo venne nel negozio. Un ragazzo. Ci comprò e ci portò via da quel posto. Non ci tenne con sé, ma ci affidò al nostro attuale tutore, Remus».

«Un ragazzo?» chiese Harry, ricordando una conversazione avuta con Lavr anni prima. «Ho tirato fuori due bambini, due mannari, da un brutto pasticcio con un trafficante» gli aveva raccontato il demone, durante un surreale discorso sulle buone azioni.

«Si, un giovane molto strano. Me lo ricordo molto bene. Non credo fosse un umano. Non aveva odore» disse Philippe, guardandolo in viso per la prima volta da quando era entrato nella stanza.

«In che senso?»

«Sai, tutte le persone hanno un odore particolare, caratteristico. I mannari lo sentono, abbiamo un olfatto molto più sviluppato di quello umano. Ma lui niente. Non aveva odore. Non ho mai incontrato nessun altro così».

Harry non disse niente, e Philippe distolse lo sguardo. Non doveva essere stato facile, rievocare quei ricordi. Poteva capirlo, lui non parlava mai dei Dursley, anzi, aveva praticamente rimosso il periodo passato con loro dalla testa, e quello che aveva passato lui non era niente confronto a quello che aveva dovuto affrontare l’amico. Odiava vederlo così tormentato. Fece per abbracciarlo, ma si trattenne. Non sapeva bene come comportarsi. Voleva parlargli, dirgli che era tutto passato, che era al sicuro e non gli sarebbe più capitato niente del genere, ma gli sembravano parole vuote e banali, così non disse niente. Si limitò a dargli una veloce, imbarazzata pacca sulla spalla. Philippe alzò lo sguardo e gli rivolse un sorriso stiracchiato, e Harry seppe che aveva capito.

«Remus, il mio tutore, è inglese» riprese Philippe. «In quel periodo si trovava in Francia per cercare lavoro, ma la casa dove abitava era troppo piccola per starci in tre, così decise di portarci in Inghilterra. Trovò un lavoro e si prese cura di noi, ma dovevamo spostarci in continuazione. Tre lupi mannari attirano inevitabilmente l’attenzione. Alla fine decidemmo di andare a vivere con gli altri della nostra… insomma, altri mannari. Non è stato facile per Remus, lui è sempre vissuto con i maghi, ma l’ha fatto per noi. È l’uomo più buono e gentile che conosca. Marc lo chiama papà, e forse a lui farebbe piacere se lo facessi anche io, ma non posso. Mio padre è l’uomo che non ci ha pensato due volte a buttarmi in mezzo a una strada quando non gli andavo più a genio, condannandomi a morte o peggio. Remus è quello che mi ha accolto nonostante non fosse obbligato, nonostante non ci fosse nessun legame sanguigno tra di noi, è quello che ha passato gli ultimi quattro anni della sua vita a sacrificarsi per dare a me e Marc una casa, del cibo, e tutto l’affetto del mondo. Non posso chiamarlo padre, lui non ha niente a che fare con Nicolas, e usare lo stesso appellativo per entrambi sarebbe come metterli sullo stesso piano». Lo disse con rabbia, ma poi aggiunse, più debolmente «Non so se lo sa, però. Vorrei spiegarglielo, vorrei dirgli quanto lo apprezzi e quanto tengo a lui, ma non ci riesco. Per Marc è diverso, lui non ricorda molto del prima, ma io…» scosse il capo.

«Sono sicuro che lo sa» lo rassicurò Harry, dolcemente.

«Vivere col branco è strano. Ci hanno accolti come fossimo figli loro. Per loro è normale, è tradizione che i bambini vengano allevati da tutta la collettività. Con Remus invece erano più diffidenti all’inizio, perché si comporta come un mago, ma l’hanno accettato lo stesso alla fine. È come una grande famiglia, anche se ci sono alcune tensioni. Stare con loro ha reso anche le trasformazioni più facili, meno dolorose. Ma poi l’anno scorso, Remus ci ha lasciato per qualche settimana, e quando è tornato, era raggiante. Ci prese da parte e ci chiese se volessimo fare un viaggio con lui. Noi andammo, anche se gli altri non ne erano molto entusiasti. Quando ci fummo allontanati dal branco, Remus iniziò a parlarmi di Hogwarts. Mi parlò della sua trasformazione, dei suoi genitori, e di come, quando nessuno pensava fosse possibile, il preside lo avesse contattato e gli avesse offerto di studiare con i maghi. Mi raccontò dei suoi anni di scuola, dei suoi amici. Io lo ascoltavo, e la speranza mi cresceva nel petto, mi chiedevo se stesse dicendo quello che credevo. Perché fin da piccolo mi avevano raccontato storie su Beauxbatons, e io avevo sempre desiderato andarci, ma avevo creduto che quella possibilità fosse svanita per sempre. E invece Remus mi portò a Diagon Alley, e lì ci raggiunse Silente. Mi offrì un posto qui, mi disse che non avrei avuto gli stessi problemi che aveva avuto Remus, perché ora c’è la pozione antilupo, e il Potion Master della scuola me l’avrebbe preparata ogni mese. Io lo ascoltavo, troppo felice per credergli. Mi disse che aveva preso tutte le misure necessarie perché il mio segreto restasse tale; la pozione mi avrebbe lasciato il controllo sulla bestia, e avrei passato le notti da licantropo al sicuro nell’ufficio del mio capocasa. Certo» aggiunse divertito «chiaramente non credeva che sarei stato smistato a Serpeverde. Questo ha un po’ complicato le cose, perché tra Piton e Remus non scorre buon sangue, ma alla fine Piton si è abituato a sopportare la mia presenza, credo».

«Piton e Remus si conoscono?»

Philippe annuì. «Andavano a scuola assieme. Remus era un grifondoro, sai, e hanno avuto qualche dissapore».

«Remus Lupin!» realizzò Harry, stupefatto. Certo, aveva letto il suo nome nel fascicolo di Piton.

«Come lo sai?» chiese Philippe.

«Oh, ho trovato il suo nome nel registro dei vecchi prefetti» replicò noncurante. Non era una vera bugia, l’aveva effettivamente visto mentre cercava quello di suo padre, all’inizio dell’anno. Ma James Potter non era mai stato prefetto, e dopo aver letto le note di Piton, non ne era certo sorpreso.

«Se ci penso ora, mi sembra ancora incredibile. Silente mi ha offerto quello che credevo di aver perso per sempre. Avere una bacchetta, studiare la magia, non sono cose scontate per uno come me. Quasi tutti i membri del mio branco hanno sempre vissuto tra i licantropi e non sanno usare i loro poteri, ma io nonostante tutto non riesco a pensare a me come un mannaro. Io sono un mago, e questo è il mio posto. Gli altri non lo capiscono però. Erano decisamente contrariati quando l’hanno scoperto. L’hanno preso come un tradimento, erano infuriati con Remus. Ci hanno accolto quando non avevamo niente; per loro “andare a fare gli animaletti da compagnia dei maghi” è come sputare sulla loro generosità. Abborriscono l’idea di prendere una pozione per controllare la bestia. C’è stato uno scontro. Remus voleva portarci via, lui e la Luna hanno litigato violentemente».

«Come scusa?» fece Harry, senza capire.

«La Luna. La capobranco. E’ lei che comanda, e la sua autorità è assoluta, le sue decisioni indiscutibili. Quello che ha fatto Remus, iscrivermi a Hogwarts senza consultarla, è un gesto gravissimo. È stato punito per quello. Ma alla fine la Luna ha acconsentito a mandarmi qua a studiare, perciò non abbiamo dovuto lasciare il branco. Marc era quanto mai contrariato. Ha tenuto il broncio a me e Remus per una settimana. Lui la pensa come gli altri licantropi» spiegò, vedendo la faccia perplessa di Harry «Non approva il fatto che sia venuto qui, allontanandomi dalla mia razza». Fece un sorriso amareggiato. «E’ arrabbiato con Remus per aver disobbedito alla Luna. E quando non sono tornato per Natale ha smesso di scrivermi. Ma gli passerà, non mi preoccupo. Sono sicuro che come mi vedrà gli sarà già passato tutto. E probabilmente vorrà venire anche lui, quando avrà undici anni. Almeno, questo è quello che spera Remus».

«Non riesco a immaginare che esista qualcuno che non vuole studiare a Hogwarts» disse Harry.

«Nemmeno io» sorrise Philippe. «Sono in debito con Silente. Si è battuto molto perché potessi venire qui. Quando mio padre l’ha scoperto, non ne era molto felice. Ha scomodato tutte le sue conoscenze altolocate per impedirlo».

«Sembrano tutti convinti che tu sia un figlio illegittimo» asserì Harry «Com’è possibile che nessuno sappia di voi? Intendo, come ha fatto a nascondere di avere due figli?»

«Oh, scommetto che non è stato difficile» rispose Philippe, amaro. «Vedi, è tradizione fra le famiglie purosangue che i figli debuttino in società solo dopo aver compiuto sei anni. Così è più facile nascondere eventuali maghino, perché la magia si manifesta entro i sei anni. Solo pochi amici intimi sapevano della nostra esistenza, e senza dubbio li avrà messi a tacere».

Harry aprì la bocca, ma poi la richiuse. Non avrebbe saputo esprimere la rabbia che provava, a meno di lanciare un’imprecazione tale da far arrivare il ministro della magia in persona per espellerlo.

«Lo so» disse Philippe, solidale.

«Se la gente lo sapesse…»

«Starebbero dalla sua parte. Non capisci? I maghi odiano i lupi mannari. Per questo il gesto di Silente è tanto incredibile. Mi ha dato molta fiducia, e non ne ha ricavato che guai».

«Se ti riferisci a ieri sera, è stata solo colpa mia. Merlino, non so cosa mi sia preso. Ho fatto saltare in aria l’ufficio di Piton! Dovevo essere impazzito».

Philippe ridacchiò. «Sicuramente la fortuna ci odia. Se fosse successo qualsiasi altro plenilunio, non sarebbe accaduto niente».

«In che senso?»

«Generalmente prendo la pozione anti lupo dal giorno prima. In piccole dosi, sai. Ma questa volta non potevo, perché mi lascia debilitato, e questa settimana avevo gli esami. Così Piton mi ha preparato una versione più forte della pozione, da prendere poco prima della trasformazione».

«Merlino che sfiga» convenne Harry, ridendo.

Risero per un bel po’. Entrambi ne avevano disperatamente bisogno. Quando si calmarono, Philippe chiese, esitante: «Quindi… siamo apposto?»

«Sì» sorrise Harry «siamo apposto».


«Un falso?» chiese Severus, sicuro di aver capito male. Aveva passato la notte a rimediare ai disastri combinati da Montblanc, e solo ora che il marmocchio si era svegliato e stava bene – non per molto, sul quello non c’erano dubbi – era riuscito a salire nell’ufficio di Albus. Aveva domandato, con il cuore in gola e le mani fredde, cosa ne era stato della pietra. La risposta non avrebbe potuto essere più sorprendente.

«Un falso» confermò Silente, trionfante.

«Io non capisco» ammise Severus.

«Siediti Severus, siediti. Ti spiegherò tutto. Da un anno ormai avevo il sospetto che Voldemort fosse tornato in Inghilterra e che fosse sulle tracce della pietra filosofale, all’epoca custodita alla Gringott. E avevo ragione. Parlai con Nicolas e Petronella, e li convinsi a farmi spostare la pietra. Giusto in tempo, aggiungerei. Poche ore dopo che la camera era stata svuotata, Voldemort fece la sua mossa. Comprendevo il pericolo in cui ci trovavamo. Voldemort avrebbe fatto di tutto pur di prendere la pietra. Così io e Nicolas parlammo a lungo e convenimmo che il pericolo costituito dalla pietra era troppo grande. Decidemmo di distruggerla. Ma la pietra filosofale è forse l’artefatto magico più potente mai creato, per niente facile da danneggiare. Nicolas e Petronella dipendono dall’elisir, e perciò l’hanno costruita in maniera tale che possa essere distrutta solo da un lungo e complicato rituale. Sarebbero serviti mesi, e nel frattempo dovevamo impedire che Voldemort capisse quello che volevamo fare e agisse. Così pensammo a un’esca per tenerlo occupato. Prendemmo due piccioni con una fava: fargli credere che la pietra fosse qui a Hogwarts era la cosa migliore, perché era il primo posto in cui avrebbe cercato in ogni caso; inoltre avevo dei sospetti su Raptor, e in questo modo avrei potuto tenerlo d’occhio da vicino. E tutto è andato come previsto. Ieri notte, mentre Voldemort dedicava le sue energie a impadronirsi di un falso, io e Nicolas abbiamo completato il rituale. La pietra non esiste più».

«E dove l’avete tenuta, per tutto questo tempo?»

«A casa di Nicolas».

«E non avete pensato… se il Signore Oscuro avesse scoperto il vostro bluff, non avrebbe avuto difficoltà a prenderla da lì» disse Severus, irato.

«Ah, ma ero certo che Voldemort non avrebbe mai scoperto la verità. Vedi, lui sa che Nicolas e Petronella hanno bisogno dell’elisir per vivere. Ho sfruttato la sua più grande debolezza, la sua incapacità di comprendere che ci sono cose peggiori della morte, e che esistono uomini e donne infinitamente più saggi di lui che non la temono affatto».

«Potevi dirmelo» disse il pozionista, non senza astio. «Ho passato l’anno a correre dietro a Raptor…»

«E hai fatto un ottimo lavoro, Severus» replicò Silente con dolcezza. «Avevo bisogno di qualcuno che controllasse Raptor, che si assicurasse che non ci fossero incidenti. Mi dispiace solo che quello che è accaduto nei sotterranei abbia contribuito a facilitarne la fuga, ma qualcosa mi dice che Raptor non sarà più un problema. Quando Voldemort scoprirà della pietra – sempre che non lo sappia già – sarà troppo furioso per ricordarsi che Raptor gli serve, temo».

Severus sbuffò. Se il preside aveva ragione, lui non avrebbe speso nemmeno una lacrima per l’ex professore di difesa. Non poté però fare a meno di chiedersi se non ci fosse dell’altro, nelle azioni del preside. Se non avesse progettato quella messinscena anche per accertarsi della sua lealtà, ora che Potter era morto.

«Henri Montblanc è un giovanotto molto interessante, non è vero?» cambiò argomento Silente, distogliendolo dai suoi pensieri.

«E’ un vero piantagrane, anche se incredibilmente dotato» disse Piton, sforzandosi di non pensare a quanto esattamente fosse talentuoso Henri. Rettilofono.

«Davvero. Non essere troppo severo con lui, la curiosità non è un peccato in un ragazzo così giovane».

«Ha messo in pericolo la sua vita e quella di Leroy, distrutto il mio laboratorio e indirettamente agevolato la fuga di Raptor. Direi che una punizione sia il minimo».

«Ne ha avuto molte di punizioni con te, se non sbaglio» commentò il preside, gli occhi che scintillavano divertiti. «Forse togliergli qualche punto sarebbe più efficace. Cinquanta punti in meno a Serpeverde per il suo comportamento irresponsabile della scorsa notte. Mi sembra equo, non credi?»

Piton si alzò in piedi, pronto a congedarsi. «Vinceremo comunque la coppa» disse con malevola soddisfazione.

«Ah Severus, non devi mica dirlo a me. Io sono imparziale» replicò Silente, divertito.


Il banchetto di fine anno fu stupendo. La Sala Grande era arredata con stendardi verde e argento, in onore della casa vincitrice. Serpeverde si era assicurata la coppa per il settimo anno di fila, e le serpi non avrebbero potuto esserne più felici. Harry e Philippe presero posto vicino agli altri del primo anno. Nessuno aveva voglia di litigare l’ultimo giorno, e il clima da festa, che a onor del vero non toccava le altre case, li rese tutti amici, almeno per quella sera. Harry sentiva la mente sgombra come non gli capitava da settimane. Si era ricordato del sogno, infine. La pietra era un falso, e Raptor era morto. Voldemort era inoffensivo, almeno per il momento. Appena uscito dall’infermeria si era precipitato a mandare un messaggio a Lavr, memore della promessa di tenere aggiornato Veles in tempo reale, e poi aveva lasciato che il pensiero di Voldemort scivolasse dalla sua mente, lasciandolo libero di godersi la festa e i suoi ultimi giorni a Hogwarts. L’indomani sarebbero usciti i risultati degli esami, e fra due giorni sarebbe salito sul treno per fare ritorno a casa. Era stato un anno complicato, e l’ultima settimana gli aveva riservato fin troppe sorprese.

Lo sguardo gli cadde sul tavolo degli insegnanti. Piton ghignava soddisfatto, gli occhi scuri puntati sugli stendardi. La McGranitt chiacchierava con Vitious, voltandosi però di tanto in tanto a fulminare con lo sguardo il collega di pozioni. Silente era immerso in una fitta conversazione con la Sprite, ma parve sentirsi osservato, così si girò verso Harry. Gli sorrise, e alzò lievemente il calice nella sua direzione. Anche Harry sorrise. Sapeva che aveva catturato l’interesse del preside, e questo non poteva che portargli grane, ma al momento non gli importava. Nonostante quel che pensava del vecchio mago, era grazie a lui se Philippe ora stava seduto con loro. Forse aveva ragione Veles, forse Silente era colpevole quanto gli altri maghi per le discriminazioni subite dai non umani, forse avrebbe potuto fare di più; ma si era esposto, aveva lottato affinché Philippe avesse la possibilità di frequentare Hogwarts. Aveva accolto Philippe, e aveva accolto Remus Lupin, quando nessun altro l’avrebbe fatto, e questo Harry non poteva ignorarlo.

Harry distolse lo sguardo dalla tavola degli insegnanti, per osservare divertito la tristezza e la delusione delle altre case. Ricordava come se fosse trascorso solo un giorno il discorso di Piton alle matricole. State uniti, perché vi troverete a fronteggiare tutta la scuola. Non era giusto, ma era la realtà delle cose, e nonostante tutto Harry non avrebbe voluto essere in nessun altra casa. Gli sarebbe mancata Serpeverde. Gli sarebbe mancato il dormitorio, sinistro ma regale, gli sarebbero mancate le ore passate a giocare con Philippe in Sala Comune, le partite a Quidditch, persino le frecciatine scambiate con Draco.

E parlando di Malfoy…

La notte trascorsa in infermeria non era affatto passata inosservata. Come era tornato al dormitorio, Draco lo aveva sottoposto al terzo grado. Dov’era stato, cosa aveva avuto, se ora stava meglio. Se avrebbe cominciato a sparire regolarmente come Leroy.

Draco poteva essere immaturo e viziato, ma non era stupido, e il tono con cui aveva posto l’ultima domanda non gli era piaciuto per niente. Cominciava ad avere dei sospetti, e Harry sapeva che Malfoy era l’ultima persona al mondo che avrebbe mai dovuto scoprire il segreto di Philippe.

Il tavolo di grifondoro era il più silenzioso di tutti; i grifoni sembravano essere in lutto, e a ragione. Erano addirittura finiti ultimi in classifica. Harry notò che Weasley e i suoi amici, i colpevoli della situazione, sembravano cercare di passare il più inosservati possibile, senza molto successo. Ghignò divertito, scorrendo le facce mogie dei grifondoro, finché non si accorse che uno dei gemelli, impossibile dire quale, stava guardando dritto nella sua direzione. Fred, o forse era George, si portò lentamente due dita vicino agli occhi, per poi puntarle verso di lui, nel gesto universalmente noto come: “ti tengo d’occhio”. Harry distolse lo sguardo, sempre sorridendo. Decisamente, il prossimo anno si preannunciava interessante.



Lavr prese a giocherellare con il bicchiere vuoto davanti a sé, attendendo che Veles si ricomponesse. Non appena gli era arrivata la lettera di Harry, era andato a far visita al vampiro alla corte. Gli aveva mostrato la lettera. Veles l’aveva letta d’un fiato, e poi si era accasciato sulla sedia e aveva iniziato a sganasciarsi senza ritegno.

Il demone attese pazientemente, con solo un sopracciglio alzato a indicare quanto trovasse poco fine la reazione dell’amico. Finalmente, Veles parve calmarsi. Tornò a sedersi in una posizione più composta, ancora scosso da qualche risata, e asciugò con la manica le lacrime causategli dal troppo ridere.

«Oh, è fottutamente magnifico. Un falso. Un falso! Dio, pagherei per vedere la faccia di Voldemort. A parte il fatto che non ha una faccia».

«Sono lieto che tu la prenda così bene» commentò Lavr.

«Perché, come dovrei prenderla? È incredibilmente divertente, pensare che il grande Lord Oscuro abbia passato un anno a dar la caccia a un falso» celiò allegramente Veles, prendendo il calice dalle mani di Lavr e facendo cenno a uno dei servi presenti nella stanza di avvicinarsi per riempirlo.

«Come te» replicò Lavr «Non hai forse speso tempo e risorse dietro alla pietra? Non hai forse passato un anno a ossessionarti, arrivando a implorare un undicenne umano di tenerti informato sulle mosse di Raptor?».

L’espressione di Veles non cambiò, ma Lavr lo conosceva abbastanza bene da notare il leggero tremito della sua mascella. Il servo si chinò per versare del sangue nel calice. Con un gesto fulmineo, troppo veloce per l’occhio umano, Veles estrasse un paletto dalla veste, lo ficcò nel cuore dell’altro vampiro, si sollevò in piedi e in un impeto di rabbia diede un calcio alla sedia, mandandola a frantumarsi dall’altra parte della stanza, per poi rovesciare il tavolino e ogni altro costoso oggetto che gli capitasse a tiro, accompagnando ogni tonfo con un’imprecazione. Con un sorriso divertito, Lavr decise di lasciare l’amico alla sua distruzione catartica, e si smaterializzò al Palazzo.

 Note dell'autore: okay, vi chiedo un minuto del vostro tempo per leggere le note. Ci sono due punti di cui vorrei parlarvi relativi a questo capitolo :)

Punto primo: la pietra. Credo che nessuno di voi si aspettasse questo, e quindi vorrei spiegarvi il motivo per cui  l'ho fatto. La storia della pietra non mi ha mai convinta. Perchè offrire a Voldemort la possibilità di tornare e scatenare un'altra guerra su un piatto d'argento? A parte Fuffy e lo specchio, le altre protezioni erano un po' una barzelletta diciamocelo... non hanno fermato nemmeno tre undicenni, figuriamoci un mago geniale come Voldemort. E dopo che il signor oscuro per poco non è risorto, Silente si sveglia e pensa: toh! Forse dovremmo distruggere la pietra! Secondo me non regge... infatti sono portata a pensare che Silente avesse intenzione di far affrontare Harry e Voldemort. Altrimenti perchè dargli il mantello e fargli vedere lo specchio? Ma visto che in questa storia Harry non c'è, o almeno così crede Silente, dovevo trovare un altro motivo per far mettere la pietra a Hogwarts. Questa soluzione mi sembra sensata, e francamente anche divertente: non ho potuto fare a meno di flasharmi Voldemort che se ne va bello soddisfatto con una pietra made in china. Ehm. Spero che il tutto sia risultato credibile :)

Secondo punto: Questo capitolo e molto importante per me, e non vedevo l'ora di pubblicarlo. Il motivo è che finalmente viene svelata la storia di Philippe. Perchè Veles è fuori di testa, e Lavr è inutile, ma Philippe e Marc sono i miei bambini, e per questo non posso essere molto obiettiva nel giudicare quello che ho scritto. Per questo vi chiedo di dirmi voi cosa ne pensate, se sono riuscita a trasmettervi un po' dell'amore che provo per questo lupacchiotto o se invece non sono riuscita per niente a caratterizzarlo. E sempre a questo proposio: ieri sera, mentre mi apprestavo a coricarmi tutta felice perché l'indomani avrei pubblicato, è arrivata, inaspettata e non richiesta, l'ispirazione. E quando l'ispirazione arriva, non si può scacciarla per motivi futili come il fatto che sia mezzanotte passata e l'indomani bisogna svegliarsi presto per studiare. Così mi son messa di buona lena e ho scritto una spin off introspettiva: i pensieri di Remus sulla sua vita e sui lupacchiotti che si è dovuto accollare. E ora non so se aspettare a pubblicarla a quando entreranno in scena Remus e Marc (ossia al terzo anno) o se farlo adesso. Lascio la scelta a voi. Se questo capitolo vi è piaciuto e siete impazienti di saperne di più sul rapporto tra Remus e i suoi protetti fatemi un fisc

hio ;)

Alla prossima, sperando sia presto. Baci.

 

  
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