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Autore: MadAka    02/11/2013    1 recensioni
Dopo essersi risvegliato in un letto di ospedale, Sean Darren si rende conto di non ricordare più niente di quello che gli è accaduto, né per quale motivo si trovi in quel posto.
Ma nella sua confusa situazione si rifiuterà di credere a coloro che dicono di poterlo aiutare ed inizierà ad inseguire la sua memoria da solo.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sean arrivò al pub di Nick verso le tre del pomeriggio. Si era fermato a prendere qualcosa da mangiare lungo la strada ma non aveva perso più tempo del dovuto, aveva fretta di ottenere nuove informazioni. Dopo aver parlato con Matt riguardo a Simon si era deciso come non mai a riacquistare in fretta la memoria e a sorprendere tutti tornando in campo sabato, contro gli Springboks. Gli parve assurdo come tutto fosse cambiato in brevissimo tempo.
Prima era convinto di non essere un rugbista, poiché non ne era sicuro e non se ne ricordava, poi l’incontro con Samantha gli aveva fatto capire che invece lui era proprio un giocatore degli All Blacks, ma era comunque convinto di non potere e volere giocare la partita contro i sudafricani. Ora, invece, voleva più che mai scendere in campo per partecipare a quel match e per farlo doveva ricordarsi tutto quanto il più in fretta possibile.
La saracinesca leggermente abbassata del pub non gli impedì di entrare non appena ebbe lasciato la sua bicicletta legata ad un palo lì accanto.
Appena varcò la soglia il famigliare volto di Nick si esibì in un’espressione corrucciata:
-Di’ un po’ Darren, ma tu il cartello “Siamo chiusi” non lo caghi proprio mai?-
A Sean venne da ridere a quelle parole e non ne face mistero. Si avvicinò al bancone e si sedette, in attesa che l’amico riprendesse parola.
-Allora cosa ci fai qui?-
Il rugbista alzò le mani:
-Avevi ragione tu-
Nick capì immediatamente a cosa si riferisse l’altro e lo guardò con un’espressione vincente sul viso, affermando:
-Ah, alla fine allora ti tocca ammettere la verità! Di chi è il merito? Della tua amata?-
L’altro alzò gli occhi e scosse la testa:
-Di Simon-
-Simon?-
-Sì, Barkley, hai presente?-
Nick annuì tristemente con la testa:
-Sì, ho presente quel ragazzo. Com’è possibile che lui ti abbia convinto?-
-Mi è tornato alla mente qualche sporadico momento che lo riguardava e che mi ha convinto del fatto che sono un rugbista-
-E come è successo?-
-Sono andato a parlare con un suo amico, per cercare di ricordarmi di lui-
-Come mai lo hai fatto?-
Sean non disse a Nick che aveva sentito di doverlo fare per Samantha, si limitò a rispondergli:
-Non lo so, solo sentivo di doverlo fare-
-Ho capito. Quindi ora che hai intenzione di fare?-
-Voglio parlare con Paul McBrian-
Il barista scoppiò a ridere:
-Parli sul serio? Vuoi andare direttamente nella tana del lupo, Darren?-
-Se questo significa riacquistare completamente la mia memoria, allora sì-
Nick lo guardò di traverso:
-Aspetta un secondo, mi stai dicendo che anche se ora sai di essere un rugbista, non ne sei convinto?-
-Non totalmente, in effetti-
-Ricordi almeno le regole?-
-Ovviamente no- rispose Sean senza esitazione.
-E il tuo ruolo? Quello lo sai?-
-So di essere una terza linea-
-Cosa fa una terza linea?- chiese l’uomo biondo incrociando le braccia:
-Non…non lo so, forse ha a che vedere con l’essere terzi….da qualche parte-
Nick si portò le mani in testa:
-Non posso crederci, ancora non ricordi niente!-
-Te l’ho detto, Nick, niente! Ma devo parlare con McBrian se voglio risolvere la situazione e devo farlo in fretta se sabato voglio giocare-
-Cosa vuoi fare sabato?- esclamò incredibilmente sorpreso l’altro.
-Voglio giocare-
-Devi essere impazzito-
-Probabile, ma mi serve il tuo aiuto-
-Per fare che?- chiese perplesso.
-Devo sapere dove si trova McBrian in modo che possa parlare con lui, sono sicuro che se lo incontro ricorderò tutto-
Nick fece un verso indecifrabile e guardò Sean perplesso:
-Ci credo che non ricordi niente- disse infine.
-Che intendi dire?- domandò l’altro.
Il primo sospirò ed estrasse un giornale da una massa di quotidiani abbandonata su un tavolo, la data riportata si riferiva a tre giorni prima.
-Cerchiamo di ordinare le cose- esordì.
Sean annuì e rimase in ascolto:
-Il placcaggio che McBrian ti ha fatto è avvenuto durante la partita All Blacks- Australia, mi segui?-
-Sì-
-Fai un po’ tu i conti-
-Cioè?-
Nick sospirò ancora una volta. Non avrebbe mai immaginato di trovarsi in quella situazione, di solito era Sean a correggere i suoi errori riguardanti il mondo della palla ovale:
-McBrian è australiano, Sean, vive in Australia!- esclamò infine, quasi esasperato.
Darren rimase sorpreso e confuso per un momento, poi capì a cosa si riferisse l’amico. Ora come faceva?
-Mi stai dicendo che se voglio parlare con lui devo andare fino in Australia?-
L’altro fece spallucce:
-A quanto pare-
-Cosa? No, non è possibile e io come faccio? Sento che se non parlo con lui non mi ricorderò mai niente!-
Il gestore del pub rimase a guardare l’uomo che imprecava e si agitava spettinandosi i capelli castani, poi decise di svuotare il sacco e scoppiò a ridere.
-Cosa ci trovi di divertente?- chiese Sean scorbutico.
-Su, rilassati, ti stavo solo prendendo in giro!-
-Come?-
Nick annuì con la testa, energicamente:
-Tu hai un gran culo Darren, sicuramente. McBrian è australiano, certo, ma si trova ancora ad Auckland-
-Che vuoi dire?- chiese lui, sempre più confuso.
Il gestore del locale appoggiò entrambe le mani al bancone dietro il quale si trovava e guardò Sean negli occhi:
-McBrian verrà giudicato dalla commissione di Auckland venerdì pomeriggio-
-Giudicato per cosa?-
L’altro sospirò nuovamente, sempre più infastidito dalla situazione:
-È davvero orrendo vedere che non ricordi proprio nulla!- esclamò.
Afferrò un altro giornale dalla pila e lo aprì alla pagina che più gli interessava, lesse rapidamente alcuni paragrafi fino a quello giusto, poi indicò un punto con un gesto e riprese a parlare:
-Dunque, ascoltami bene perché non lo ripeterò-
Sean annuì.
-Il placcaggio che Paul McBrian ti ha fatto gli ha regalato un bel cartellino rosso, diretto. Era un placcaggio proibito dal regolamento, oltre che molto pericoloso. Ciò significa che, come vogliono le regole, lui verrà giudicato da una commissione e sarà espulso dai giochi per un po’-
Incrociò le braccia:
-Non so per quanto verrà espulso, ma sicuramente per almeno quattro, cinque mesi-
-Per questo si trova ancora in città?- chiese Sean, che cominciava a capirci qualcosa.
Nick annuì con la testa e l’altro riprese parola:
-Quindi mi basta sapere in quale albergo alloggia, poi potrò incontrarlo- stava ritrovando gran parte dell’ottimismo che aveva perso nei minuti precedenti. Alzò gli occhi sull’amico e gli disse:
-Tu sai dove si trova?-
Questo nuovamente fece sì con la testa:
-Per tua fortuna i giornalisti hanno poco rispetto per la privacy della gente- estrasse l’ennesimo quotidiano dalla pila e lo analizzò con assoluta attenzione, infine puntò ancora una volta il dito su una sola parola. Sean si avvicinò e la lesse:
-Alloggia all’Hilton-
-Esattamente, ora ci sono solo lui e pochi altri membri dello staff australiano, rimasti in attesa della sentenza-
Sul viso di Darren si fece largo un gigantesco sorriso:
-È fatta!- esclamò.
-Fatta che cosa, Sean? Ti rendi conto di non ricordarti le regole basilari del tuo sport? Pensi sul serio che soltanto vedendo McBrian in faccia allora tutto ti torni chiaro?- domandò Nick preoccupato.
-Non ho altra scelta, non so che altro potrei fare. Fidati di me, andrà tutto come deve andare-
Non aspettò nessuna replica da parte del gestore, corse fuori dal locale ringraziando Nick con un urlo.
 
Arrivò all’Hilton impiegandoci più tempo del previsto. Sperò con tutto se stesso di incontrare McBrian senza altre complicazioni. Da quando si era deciso a giocare la partita di sabato, ossia da quella mattina, si era reso conto che non poteva assolutamente sprecare altro tempo. Tuttavia sentiva davvero che una volta incontrato il giocatore australiano tutto sarebbe stato in discesa, anche se non riusciva a spiegarsi per quale motivo avesse quella sensazione.
Entrò nella hall e si diresse a grandi passi verso la reception, dietro la quale un giovanotto impomatato e ben vestito stava lavorando a computer. Questo alzò gli occhi non appena Sean si fermò:
-Benvenuto all’Hilton, signore, posso fare qualcosa per lei?- gli chiese in tono eccessivamente educato.
-Sì, per favore, vorrei parlare con Paul McBrian-
Il giovane afferrò il ricevitore:
-Solo un momento- disse e cominciò a digitare un numero. Sollevò gli occhi su Sean e domandò:
-Lei è?-
-Sean Darren-
Il giovane annuì e prese parola, stavolta rivolto al ricevitore:
-Signor McBrian scusi il disturbo, c’è qui Sean Darren che chiede di parlare con lei-
Pochi istanti e il ragazzo fece un cenno con la testa per poi ringraziare e salutare l’uomo al telefono.
-Può salire, stanza 214, l’ascensore è da quella parte- fece, indicando un punto.
Darren lo ringraziò e si diresse in gran fretta alle scale, che salì due a due.
Più si avvicinava alla stanza più sentiva la sua ansia crescere. Non gli era ancora accaduto, da quando si era risvegliato in ospedale, di provare una tale preoccupazione, eppure sentiva che l’incontro con quell’uomo era di importanza fondamentale per avere certezze, o smentite, su quello che gli era successo.
Lesse il numero 214 impresso sulla porta e si fermò. Respirò a fondo prima di bussare e, come un flash, gli tornò alla mente un piccolo frangente passato.
 
Il respiro gli si condensava ogniqualvolta usciva dalla sua bocca, in quelle terre per lui così fredde del nord Europa.
 
Scosse la testa sentendosi sotto pressione come non mai, come si sentiva solo prima di scendere in campo o, almeno, così credeva.
Si decise a bussare alla porta per evitare di sprecare tempo inutilmente. Passò qualche secondo prima che la porta si aprì. Sean si trovò davanti ad uomo poco più basso di lui, massiccio e dalle spalle larghe; i capelli neri erano freschi di rasatura e gli occhi scuri sembravano non provare alcuna emozione.
Darren fece per dire qualcosa ma vedendo quell’uomo la sua mente lo riportò indietro.
 
Aveva il fiato corto e le gambe stanche, ma ancora tanta voglia di giocare. La palla era stretta fra le sue mani, come se fosse stata la cosa più preziosa che avesse; doveva difenderla, a qualunque costo. Poi fra le maglie giallo-verdi era sbucato lui, Paul McBrian, a tutta velocità. Il contatto era stato tremendo, la palla era sfuggita alla sua presa mentre veniva portato in alto dal pilone avversario. Il cielo si era poi allontanato di colpo, fra le urla della gente e dei suoi compagni di squadra. La sua schiena aveva colpito con forza il prato rovinato dalle mischie precedenti, i suoi occhi avevano guardato fissi in quelli di McBrian. Infine la sua testa aveva colpito l’erba, il calore delle prime gocce di sangue aveva cominciato ad affiorare e tutto era diventato nero. 
  
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