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Autore: Io_me stessa    03/11/2013    0 recensioni
Questa breve saga parla dell'immaginaria sorella di Clark/Kalel, è interamente ambientato a Krypton. Ho cambiato alcune cose rispettoa alla serie: Lara è morta alla nascita di Clark e Jorel è davvero un bastardo. Mi dispiace ma io l'avevo immaginato così. Dal testo:
CAP. 3 "Digito le coordinate della terra e poi quelle che i suoi abitanti chiamano latitudine e longitudine. Mi viene chiesto un nome. Dev'essere una modifica di Lara..."
CAP. 1 "Kalel ha smesso di piangere. Tendo le orecchie ma non sento niente. Per fortuna Jorel non si è svegliato. "E va bene piccoletto, resto qui, ma tu dormi"
CAP.3 " -Perdonami- Perdonami? A me lo dici? Alla figlia che ti ha appena disconosciuto?"
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Clark Kent, Nuovo Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un anno e mezzo più tardi
Lo osservo giocare nel prato. Sta cercando di prendere un pentaplo con le mani piccole e paffute, corre e cade ogni 10 metri, ma si rialza così in fretta che non faccio in tempo a preoccuparmi. A volte mi guarda e sorride. Ha gli occhi di Lara. Dalla mia tasca risuona un bip-bip sommesso ma non per questo ignorabile. Sospiro, è il mio turno di guardia. Da quanto Zod ha cominciato i suoi attacchi tutta la popolazione utile di Kandor è tenuta a pattugliare il confine a piccoli gruppi, sia di giorno che di notte. Un problema già piuttosto ovvio mi sorge alla mente: dove porto mio fratello? In genere non mi fido a lasciarlo solo con Jorel, quando non posso tenerlo io chiedo aiuto a Kara. Adesso, però, mia cugina è partita e non tornerà prima di una settimana. Decido che mio padre è in grado di badare a un bambino per qualche ora, di solito Kalel è tranquillo, ha già mangiato e fatto il riposino, bisogna solo stare attento che non si metta nei pasticci. “Ehi” lo chiamo “ti va di rimanere un po’ da papà?”. Lui si rabbuia all’istante “E’ il mio compleanno…volevo passarlo con te”. Mi stupisco nuovamente di come sappia già formulare frasi intere: “Facciamo così” li dico sollevandolo sulle mie ginocchia “se fai il bravo con papà, questo pomeriggio torno e festeggiamo insieme”. Mi guarda con aria sospettosa come a chiedersi dove stia il trucco, poi mi tende la mano “Affare fatto” dice “Affare fatto” rispondo. Lo accompagno sino a casa e volo fino alla torre di controllo. Lun è di turno con me, non è uno di molte parole, il che mi sta benissimo, visto che neanch’io sono particolarmente loquace. Ci salutiamo e parliamo del tempo per qualche minuto, poi rinunciamo del tutto ad avere una conversazione. Non sono per nulla preoccupata, oggi è il trentesimo giorno dell’anno, un giorno sacro, è vietato sferrare attacchi armati a civili o militari. Lo so, lo so cosa state pensando: in guerra non esistono leggi, ma questa non è MAI stata infranta nel corso della storia, è davvero un tabù, i superstiziosi dicono che porti un’immensa sfortuna. E’ stato perfino stabilito che, se non ci saranno attività anomale questa mattina, possiamo tutti tornare a casa al pomeriggio. E così faccio.
 Trovo Jorel in salotto, la testa abbandonata sul tavolo, una bottiglia piena di liquido rosso al suo fianco. Corro pensando che abbia bisogno di aiuto: è addormentato, ma ho riconosciuto la sostanza. Come ho potuto dimenticarlo! Esattamente come è il compleanno di Kalel, oggi è anche l’anniversario di morte di Lara!  Scuoto mio padre , lui si sveglia e ha già un’aria feroce, ma non mi fa paura; lo prendo per il bavero della camicia e porto il mio viso a un palmo dal suo: “Dov’è Kalel? Che ne hai fatto di lui, stupido ubriacone?”  Sputacchia  cercando di ritrovare il respiro, ma io non lo mollo, alla fine pronuncia qualcosa di simile a “cantina”, lo lascio andare disgustata. Mi precipito di sotto, apro la porta della cantina e vedo mio fratello rannicchiato in un angolo, tremando per il freddo e la paura. Non appena mi vede si avvicina e mi abbraccia forte, ed è allora che noto il grosso livido sulla guancia destra, un’onda d’ira mi travolge. Lo porto in camera sua, ancora tremante ”Io ho fatto il bravo, davvero” sussurra “Ne sono certa” li dico con le lacrime agli occhi. Torno in salotto e inchiodo mio padre al muro, vorrrei avere un’aria minacciosa, ma le mie parole suonano quasi supplichevoli: “Dimmi che è scivolato sulle scale…” La sua espressione nega quest’ipotesi “Come hai osato?” ormai grido “Hai reso la mia vita un inferno fin dal primo momento e ho sempre sopportato in silenzio, ma questo è troppo! Se lo tocchi di nuovo, anche solo per sbaglio, te ne farò amaramente pentire e quando avrò finito con te bisognerà inventare una nuova parola per descriverti!” Questo è troppo per lui “Non ti permetto di parlare così a tuo padre!” urla. Speravo fin dall’inizio che avrebbe detto una cosa del genere, questa è l’occasione giusta per sferrargli il colpo di grazia: riverso nelle prossime parole i dolori di tutta una vita, i tradimenti, le umiliazioni, tutto ciò che mi ha caricato sulle spalle sin da quando sono nata: ”Essere tua figlia è per me un’insopportabile vergogna” parlo con voce calma e controllata, ma scandendo ogni sillaba, per essere certa che capisca il messaggio “ti odio come non ho mai odiato nessun altro e da questo momento io ti disconosco, da questo istante tu non sei più mio padre.” Fa un passo all’indietro come se l’avesse colpito un pugno, stiamo in silenzio per qualche secondo. E poi suonano le sirene
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