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Autore: Chaosreborn_the_Sad    03/11/2013    2 recensioni
Sono passati secoli dalla Guerra dell'Anello e la Terra di Mezzo è cambiata drasticamente. Elfi e maghi elementali, vittime delle persecuzioni razziali di Nuova Gondor, sono costretti a vivere nascosti e al di fuori della Federazione. Un mago e un'elfa millenaria prenderanno in mano la situazione, in un lungo viaggio verso il cambiamento.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Nuovo personaggio, Radagast
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8 – Candele

Capii subito che qualcosa non andava, quando mi svegliai la mattina dopo.
Ad esempio il fatto che mi svegliai.
Mi guardai attorno, confuso, riconoscendo l'arredamento della stanza che utilizzavo quando mi fermavo all'Empire. Lo stesso letto, la stessa poltrona, lo stesso comodino, la stessa porta bianca del bagno, la stessa carta da parati verdina e la stessa elfa nel mio letto.
L'elfa.
In effetti questo era un dettaglio inaspettato.
I ricordi stavano tornando. Qualche immagine confusa, riguardante la sera precedente.
No, aspetta. Le immagini e le parole erano chiarissime. Daniel era morto.
Morto.
La parola sembrò risuonare nella mia mente, per qualche istante.
Nell'ordine, avevo confessato a Lucy di essere un mago e quella stronza ci aveva traditi tutti. Dopodiché Daniel e Romeo avevano subito un agguato alla frontiera da parte delle milizie di N.G., e Blaine, fattosi portavoce degli altri, mi aveva imputato la responsabilità della morte di Dan.
Troppo facile prendersela con i miliziani, o con Lucy. No, non c'era spazio per capri espiatori, in questo caso.
La colpa era mia.
Ricordai come avevo passato le ore successive, sprofondato in un divanetto nella sala principale, mentre attorno a me la gente ballava, si godeva la serata, inconsci di cosa significasse la mia apatia.
Per quanto riguardava lo staff ero certo che Filo avesse fatto passare di bocca in bocca l'avvertimento di prepararsi ad evacuare il giorno dopo, ma di mantenere la più assoluta calma finché c'erano clienti. Per loro il mio stato poteva essere semplicemente dovuto alla troppa responsabilità di cui mi facevo carico. Divertente come avessero ragione, da un certo punto di vista.
Nel mentre i clienti non mi prestavano attenzione, ero solo l'ennesimo ragazzo magari troppo fatto per continuare a ballare. Beata ignoranza.
E dopo?
Dopo era arrivata lei.
Era stata lei a salvarmi.
Forse era quello che speravo, invitandola a seguirmi in camera da letto. Forse volevo solo chiudere un metaforico cerchio e addormentarmi per sempre tra le braccia di un'immortale. Forse... non so.
Quello che importa è che avevo trangugiato una boccetta intera di sonniferi ed era stata lei a piantarmi due dita in gola, facendomele vomitare prima che fosse troppo tardi. Mi aveva scosso, mi aveva schiaffeggiato, mi aveva costretto a svegliarmi, per qualche confuso minuto.
Non ricordo molto, di quei momenti, ma non scorderò mai i suoi occhi: Langrhibel, l'ultima Noldo su Arda ad aver visto la luce di Laurelin e Telperion, aveva paura.
Mossi lo sguardo verso di lei, che ancora dormiva al mio fianco, con la mano poggiata sul mio petto, quasi ad assicurarsi che non smettessi di respirare una seconda volta.
Dunque ero ancora vivo.
Ripensarci in questo modo fu un colpo ancora più pesante.
Ero vivo, sì. Ma Daniel era morto. Non l'avrei mai più rivisto. La Ribellione mi aveva sollevato dall'incarico di leader, Blaine e Georgia avrebbero dato chissà cosa per potermi fare a pezzi ed io non avevo avuto neanche la decenza di crepare.
Guardai di nuovo Rhi.
L'elfa più meschina ed egoista della storia mi aveva salvato la vita, impedendomi di suicidarmi, ed io pensavo alla durezza del dover andare avanti anziché esserle grato. Qualcosa non andava.
Ora?
Ora non so. Comunque prima o poi dovrai alzarti da questo letto.
Sospirai, abbandonandomi all'abbraccio combinato delle coperte e di Rhi. L'elfa continuava a dormire profondamente, ancora rannicchiata al mio fianco.
Svuotai la mente, concentrandomi sul suo respiro regolare.
Aveva ragione, dopotutto. Non eravamo così diversi.
Mi aspettavo comunque un rimprovero anche da parte sua, non tanto per Lucy quanto per il mio tentato suicidio. Ancora però non mi era chiaro perché avesse deciso di salvarmi, perché non avesse deciso di accusarmi anche lei. In ogni caso era l'ultima persona che mi sarei aspettato di avere al mio fianco.
Forse le avevo inconsciamente chiesto di salvarmi, forse semplicemente mi aveva salvato perché con me morto non restavano maghi d'Aria con cui litigare, forse...
Basta.
Troppi forse non fanno bene al mio cervello e questa città non fa affatto bene al mio animo.
Carezzai distrattamente i capelli e l'orecchio mutilato dell'elfa al mio fianco, pensando a cosa fare. Mi tornarono in mente le sue parole, le sue minacce a Legolas re dei coglioni che non si accendono le sigarette, riguardo lo sparire nel nulla. In quel momento avevo i coglioni troppo girati per farci troppo caso, ma conoscendola quel minimo avevo la certezza che non si riferisse ad Aman.
Sparire.
Di certo dovevo andarmene, da Minas in primis. Lontano dalla Ribellione, dalla Federazione, dai deserti dell'Haradwaith, dai maghi, dagli elfi. Da tutto.
A Ovest, nelle terre selvagge oltre i confini. Di certo c'era qualche angolo dove ancora era possibile vivere, magari ne avrei trovato uno adatto a me. Di certo avrei tentato, e di certo dubito che a qualcuno sarebbe mai venuto in mente di venirmi a cercare proprio là.
Rhi si mosse al mio fianco, per poi salutarmi sbadigliando. Mi voltai a guardarla, ascoltandola mentre mi chiedeva come stessi.
“Sto bene” le risposi, guardando nelle sue iridi d'ebano. Non mi credette e mi scostò i capelli dal viso, passando il pollice sul mio zigomo. Continuai a fissarla.
“Sei sveglio da tanto?” mi chiese, poggiando di nuovo la mano sul mio petto.
“Da un bel po'. Ma sto bene. Qui” dissi, facendo un cenno con il capo a indicare il letto.
Mi lanciò un sorrisetto dei suoi, affermando che comunque prima o poi sarei dovuto uscire dal letto, almeno per pisciare se non per affrontare gli altri.
“Lo so” le risposi, evitando di aggiungere maledettissima elfa irriverente di prima mattina. Sorrisi dentro di me e nascosi il volto nell'incavo del suo collo.
“Ancora cinque minuti” dissi, come un bambino che non vuole andare a scuola.
“Due” fece lei.
“Tre?”.
“Venduto” rispose, ridacchiando. Mi passò la mano tra i capelli, rilassandosi contro i cuscini.
Abbiamo tre minuti per entrare nell'ottica che c'è un mondo al di fuori di questa stanza Zèf, animo che possiamo farcela.
“Sai Rhi” le dissi, dopo un breve silenzio, “partirò. Oggi”.
“Come, partirai?” mi domandò.
“Semplicemente partirò. Ho commesso un errore troppo grave. Non sono un aiuto per la Ribellione, ancora meno in un momento come questo. Sai bene che la posizione di leader dei maghi è diventata ereditaria dopo la distruzione di Kalo. Ne parlammo ieri sera, della responsabilità che comporta, al peso che mi è stato posto sulle spalle da quasi dieci anni”.
L'elfa non mosse i suoi occhi dai miei, invitandomi a continuare.
“Il punto è che nonostante l'errore che ho commesso è una responsabilità che ancora sento mia. Non riuscirei a lasciarla del tutto nelle mani di qualcun altro”.
Sapevo che, per quanto il mio discorso potesse sembrare dettato da superbia, Rhi avrebbe compreso come non ci fosse traccia di orgoglio nelle mie motivazioni.
“Rain... lo sai bene che non intendevano ciò che hanno detto ieri sera... erano distrutti dalla notizia ma... hanno bisogno di te Rain, Blaine, Georgia, Felipe, Romeo, diamine, che ne sarà di lui?”. Le sorrisi.
“Non ti preoccupare per Romeo, saprà cavarsela. Sono le milizie a doversi preoccupare, i maghi d'Acqua sono sempre stati i più offensivi. Siamo composti per una buona percentuale da acqua, se ci pensi, e Rom è sempre stato ottimo nel usare i suoi poteri”.
“Dunque... dobbiamo salutarci?” mi chiese, dopo un respiro. Sembrava più dispiaciuta di quanto avessi previsto, all'idea di separarci. Comprensibile, nonostante l'abrasività che i nostri rapporti avevano in certi momenti, avevo sviluppato anch'io un certo affetto nei suoi confronti. Non faceva piacere neanche a me il fatto che le nostre strade, simili e diverse in vari modi, dovessero dividersi.
“Dipende... a meno che tu non voglia venire con me” le risposi. Le mie parole sembrarono spiazzarla. Non te l'aspettavi neanche un po'? Strano.
“Dove andrai?”.
“Non ne ho idea. Via. Lontano. Lontano da Minas Tirith, prima di tutto. In un posto abbastanza lontano per farmi una ragione di tutto ciò e potermi rialzare”.
Rhi si alzò dal letto, sottraendosi al mio abbraccio e al mio sguardo con un'elegante mossa.
“Verrai?” le chiesi. Si voltò di nuovo a guardarmi.
“Perché ci tieni così tanto?”.
Diedi voce ai miei pensieri quasi senza rendermi conto di star parlando.
“Non lo so Rhi. Perché sei l'unica che non mi ha accusato di niente. E perché mi hai salvato la vita, magari potresti salvarmela di nuovo se per sbaglio tentassi di nuovo di uccidermi”. Ecco, forse il sarcasmo che caratterizza metà dei tuoi pensieri avresti potuto tenerlo per te Rain. Scrollò le spalle, abbassando il capo, ma notai un mezzo sorriso inclinarle l'angolo della bocca per un attimo.
“Non sei affatto spiritoso” mi disse “Che poi, che cazzo ti è saltato in mente ieri sera? Volevi che ti salvassi, volevi morire tra le mie braccia, volevi... cosa? E perché me?”. Il mezzo sorriso era scomparso.
“Sei l'unica che non mi ha accusato Rhi” le ripetei.
Mi prese per i polsi, trascinandomi fuori dal letto.
“Vieni, che i tre minuti son più che passati e tu hai bisogno di una doccia per rischiararti la mente” affermò, spingendomi verso il bagno.
Sì, in effetti non hai tutti i torti. Mi appoggiai al lavandino un momento e bevvi qualche sorsata d'acqua, mentre l'elfa restava al mio fianco.
“Posso lasciarti tranquillo o c'è il rischio che tu tenti di annegarti nella doccia?” mi domandò, mentre mi toglievo la maglietta.
“Vai tranquilla, che non c'è rischio” dissi, cercando la forza per ridere. Più o meno ci riuscii, ma ciò non sembrò rincuorarla. Notai il suo sguardo restare fisso su di me mentre mi accingevo a slacciarmi i pantaloni.
“Comunque se vuoi assistere sei la benvenuta” feci, effettivamente divertito. La mia battuta la rassicurò un po', tanto che mi sorrise di nuovo prima di uscire dal bagno, chiudendo la porta dietro di sé.

Avevo quasi terminato di preparare il mio misero bagaglio quando sentii bussare allo stipite della porta aperta. Mi voltai velocemente, riconoscendo Malachi in piedi sulla soglia, e riportai la mia concentrazione sulla valigia un momento dopo, senza proferire parola.
Sapeva, ovviamente, tutta la storia, se non per preveggenza perché faceva parte di quella ristretta cerchia a cui era stata comunicata. Filo aveva avuto l'accortezza di non rivelare le motivazioni dell'abbandono del luogo o, almeno, non tutte. La notizia della morte di Dan era sicuramente trapelata, così come quella della prigionia di Romeo, ma il come fossero stati capaci di beccarli non era stato reso pubblico. Non ancora, perlomeno. In ogni caso l'Empire doveva sembrare un formicaio, in quel momento, seguendo i protocolli di evacuazione: i ragazzi stavano svuotando tutto, cancellando o trasferendo ogni dato utile o compromettente, ripulendo computer e stanze da oggetti personali, ed entro ora di pranzo sarebbe rimasto completamente vuoto, con solo la puzza di alcol a testimoniare la vita della notte precedente.
“Ehi Rain... mi dispiace per Daniel”. La voce di Malachi mi riportò alla realtà. Semplice e conciso, ma sapevo che non erano parole di circostanza.
Malachi aveva sempre cercato, a causa del suo Elemento, di mantenersi distaccato dalle persone che gli stavano attorno, ma a differenza di molti altri maghi di Morte, che facevano di quella freddezza il loro modo di vivere, comprendeva appieno il dolore, il cordoglio e il supporto che poteva dare. A soli ventidue anni era uno tra i più giovani di stanza a Minas -ma dopotutto lo eravamo tutti, giovani- e nonostante l'età eseguiva il suo lavoro alla perfezione e dimostrava spesso una ventina d'anni in più di quanti già ne avesse. Dopo la morte di suo fratello maggiore, la stessa notte di nove anni prima in cui il nostro popolo perse tutto in una retata delle milizie nei vari luoghi di ritrovo usati dai maghi, aveva capito come la freddezza dovesse essere solo uno strumento nelle sue mani e non qualcosa che lo dominasse.
Smisi di trafficare con i pochi vestiti che mi ero portato da Umbar, ma non riuscii a voltarmi né a ringraziarlo.
“Non tutto è perduto Rain, ricordalo. Avremmo voluto tutti far qualcosa per salvarlo” continuò lui, senza curarsi del mio silenzio.
Sentii i suoi passi allontanarsi e finii velocemente di sistemare la mia roba, per poi dirigermi verso la sala seguito da Pan.

Il mondo al di fuori della stanza era proprio come l'avevo lasciato: pessimo.
Presi un respiro profondo e mi avvicinai al tavolino nell'angolo vicino al bar, al quale stavano seduti Blaine, Georgia, Marco e un paio d'altri. Filo sembrava essere appena arrivato, era appoggiato al muro dietro il tavolino, sudato come non mai e visibilmente esausto. Probabilmente era tutta la mattina che sorvegliava le operazioni. Anche Langrhibel era là, in piedi e un po' in disparte rispetto agli altri.
“Chi si rivede. Dormito bene?” la voce di Blaine grondava sarcasmo. Perché quell'elfa non mi ha lasciato a letto?
“Come un sasso” risposi. Non curartene Rain, hai già preso la tua decisione.
Mi avvicinai a Georgia, che fissava le sue ginocchia senza parlare. Non sembrava avermi neanche notato. Marco mi guardava, seduto al suo fianco, ma non volli incrociare il suo sguardo.
Poggiai la chitarra elettrica accanto a Georgia e ripresi a parlare.
“Volevo lasciarla a te. Fanne quello che vuoi, tienila, spaccala contro un muro, vendila, non...”. Basta. Non ce la posso fare.
Hai deciso tu di fare quest'ultima tappa prima di andartene.
Non potevo sparire, non senza prima rivederla. E poi c'è un'elfa che ancora non mi ha dato risposte.
Come preferisci Rain, ma qua stiamo per crollare.
Senza una parola in più cominciai ad avviarmi verso l'uscita.
“Rain” fece Filo, che aveva seguito la scena in silenzio, “Lo sai che non ti stiamo cacciando, vero?”. Rosso in faccia, si stava asciugando la fronte con la manica arrotolata della camicia.
“Lo so, Filo. Ma non intendo restare. Sai quanto me che rimarrò qui solo in veste di capo” gli risposi. Filo aprì la bocca, come per voler dire qualcosa, ma la richiuse un attimo dopo, per poi annuire.
“Vedo che siete già a buon punto con l'evacuazione. Spero troviate presto un'altra base. Fate quel che volete con Lucy, a me non importa. È ora che vada”.
Ripresi a camminare, seguito da Pan che zampettava felicemente ai miei piedi. La gatta artigliò il mio polpaccio e decisi di fermarmi e prenderla in braccio. Mentre la raccoglievo da terra Rhi mi si avvicinò.
“Da che parte vai?” mi chiese.
“Ovest. Verso il mare” le risposi, con un veloce sorriso.
“Vado dalla stessa parte. Non è che mi daresti un passaggio?” domandò, ricambiando il mio sorriso.
“Vedi di essere in macchina tra cinque minuti tesoro” feci, ricominciando a muovermi.
“Dieci”.
“Sette”.
“Venduto”.
E con questa parola e ancora un sorriso agrodolce sulle labbra uscii dall'Empire, per l'ultima volta.

Sfrecciavamo sulla statale che attraversa l'Anorien, ai piedi delle cime innevate dei Monti Bianchi. Da un lato il paesaggio era costante, montagne su montagne, ma dall'altro non poteva essere più diversificato: una volta fuori la provincia di Minas Tirith era un continuo intervallarsi di boschi di conifere, campi, fattorie, colline costellate di vigne, ulteriori boschi. Una parte di questi ultimi erano compresi nella Riserva Naturale Federale dell'Halifirien, rimasta intoccata ancora oggi dall'industrializzazione selvaggia che caratterizzava gran parte di Nuova Gondor.
Langrhibel era seduta al mio fianco, i miei occhiali da sole calati sul naso, i piedi nudi sul cruscotto - gli stivali li aveva abbandonati da qualche parte sul sedile posteriore della macchina dopo dieci minuti di viaggio - e Pan in grembo, che faceva le fusa soddisfatta delle coccole dell'elfa.
Il sole stava tramontando di fronte a noi, dando una tinta d'arancio a tutto ciò che ci lasciavamo indietro.
Sembriamo di nuovo una coppietta pronta per una scampagnata, mi dissi, lanciando un'occhiata verso Langrhibel. Nonostante la pesantezza di questi ultimi giorni si facesse ancora sentire su di noi, questa repentina partenza stava facendo il suo effetto su entrambi. Non avevamo parlato molto, ma non era necessario, e ognuno dei due aveva i suoi pensieri da metabolizzare e riordinare.
L'elfa s'allungò e mosse la levetta dell'autoradio, in cerca di una stazione che non stesse mandando pubblicità di ristoranti e casinò, finché non ne trovò una che si sentisse chiaramente.
E si concludono anche per oggi le nostre due ore di programma” diceva la voce del DJ “dunque in quest'assolata ora del pomeriggio vi salutiamo con un bel pezzo d'atmosfera: una buona serata a tutti con Long as I can see the light”. Sorrisi, riconoscendo il titolo, e il mio sorriso si allargò quando notai che Rhi stava alzando il volume.

Put a candle in the window, but I feel I've got to move.
Though I'm going, going, I'll be coming home soon,
'Long as I can see the light.


“Ti piacciono i Creedence?” le domandai, tamburellando con il pollice sul volante. Langrhibel annuì, perdendosi tra le note della canzone.
“Anche a me” le dissi.

Pack my bag and let's get movin', 'cause I'm bound to drift a while.
Well I'm gone, gone, you don't have to worry no,
'Long as I can see the light.


Continuammo ad ascoltare la canzone in silenzio, finché l'elfa non mi fece la domanda più bizzarra da quando l'avevo conosciuta.
“Senti Rain...”.
“Dimmi”.
“Tu come lo definiresti questo sax?”. Come? Ho sentito bene?
“Che cosa intendi?” le domandai, aggrottando la fronte.
“Dai... un aggettivo, un qualcosa per definire questo sax” mi spiegò, mentre l'assolo continuava.
Sbuffai, divertito. Di tutte le cose che potevi domandarmi vai a soffermarti su un sax e in più me lo domandi con un entusiasmo che non ti ho mai visto avere.
“Che domanda assurda...” borbottai, tornando a guardare la strada vuota di fronte a noi.
“Eccolo, il Grande Ostacolo” fece Rhi con voce grave “la spiccata Indifferenza dei miei coglioni di Rain Greywings! Cazzo Rain, non ti costa nulla spendere un momento della tua vita a trovare un aggettivo per definire un sassofono. O è veramente così difficile per te?”. Sembrava aver preso la mia confusione per austerità, l'elfa. Mi soffermai ad ascoltare le note dell'assolo, per poi risponderle.
“Chiaro” le dissi.
“Bello” disse lei, “Ma io direi vero”.
Annuii, mentre la canzone continuava.

Guess I've got that old trav'lin' bone,
'cause this feelin' won't leave me alone.
But I won't, won't be losin' my way, no, no
'Long as I can see the light.


Continuavo ad avere in mente l'immagine di un sassofono che suonava da solo, ondeggiando nell'aria tra le dune dell'Harad. La luce del tramonto che ci accompagnava facevano brillare sia il sax che la sabbia, in un tripudio di sfumature d'oro.
“Giallo” esclamai. Langrhibel scoppiò a ridere.
“Diamine Rain, che fantasia!” disse, continuando a ridacchiare. Sbuffai.
“Però hai ragione, se il suono di questo sax dovesse avere un colore sarebbe di certo giallo” continuò, sorridendomi velocemente per poi concentrarsi di nuovo.
“Che ne dici di innamorato?” domandò poco dopo.
Fu il turno mio di sorridere, ripensando al nostro discorso della sera prima.
“No, non può essere innamorato” affermai, “perché è troppo sincero”.
Rhi sembrò illuminarsi.
“Bravo Rain!” esclamò “Hai trovato decisamente il termine giusto, sincero sincero sincero!”.
Quest'allegria mi stava disorientando, dov'era l'elfa sarcastica, cinica e irriverente con cui avevo passato le ultime settimane? Non ero ancora abituato a questo nuovo lato che Rhi aveva lentamente cominciato a mostrarmi negli ultimi giorni, ma avevo la certezza che mi piacesse, anche se non l'avrei ammesso neanche sotto tortura.

Put a candle in the window, 'cause I feel I've got to move.
Though I'm going, going, I'll be coming home soon,
Long as I can see the light.
Long as I can see the light...


“Sembri una bambina” le dissi. Lei colse la palla al balzo.
“È un complimento per gli anni che ho”. Ridacchiai, per poi indicarle il cruscotto mentre la canzone finiva.
“Fruga la dentro, dovresti trovare qualcosa d'interessante” le dissi.
Rhi cercò e trovò le musicassette che avevo riposto nel portaoggetti quella mattina, mentre aspettavo che arrivasse con i suoi bagagli.
“Quella verde” feci, notando che stava guardando una ad una le etichette sbiadite.
“Valar Rain, deve avere quindici anni!” disse, dopo aver trovato la cassetta dei Creedence in questione. Non perse tempo e la infilò nel mangianastri dell'autoradio.
“Ehi Rhi, posso farti una domanda?” le chiesi dopo che il nastro fu partito.
“Tu che fai una domanda a me? Tesoro, non me lo perderei per nulla al mondo!” rispose, ritirando fuori la vena sardonica. Però non ha tutti i torti, neanche io sono stato un'icona di espansività.
Decisi di accantonare i pensieri e le abbozzai un sorriso, porgendole la mia domanda:
“Dov'è la tua finestra, la tua candela?”.
L'elfa sospirò, abbassando lo sguardo. Sembrava amareggiata più che infastidita.
“Non c'è, Rain. È da molto che non c'è più una candela per me” mormorò.
“Non... scusa, non volevo” le risposi, allungando la mano per darle una leggera stretta sulla spalla.
“Non ti preoccupare Rain, non fa niente. Approfitterò per domandarti la stessa cosa, però” disse, alzando la testa e voltandosi verso di me. Sospirai anch'io.
“Daniel era la mia candela” risposi. Laconico. Conciso. Dentro di me il tumulto di emozioni e di sentimenti lottava per uscire, ma ancora lo tenevo bloccato. Non ora.
Rhi si accasciò di nuovo contro lo schienale del sedile, voltandosi a guardare i campi che scorrevano alla nostra sinistra.
“Dici che serva?” mormorò, “Serve proprio una candela?”.
“Non lo so” le risposi. O, meglio, le rispose quella parte di me che stava guidando e tenendo a bada il relitto che ero, che stava tenendo ancora incollati i vari pezzi.
“Magari a volte basta un accendino” fece lei, estraendone uno dalla mia tasca e accendendo due sigarette. Me ne porse una e ripose l'accendino nella tasca della mia camicia.
Inspirai una boccata e gettai fuori la voluta di fumo.
“Magari sì” dissi, più a me stesso che a lei.
Magari sì.

Quella sera ci fermammo in una pensione ai piedi dei Monti Bianchi che prendeva il nome dai fuochi di segnalazione sulle cime degli stessi.
Cenammo con una tranquillità che mi era sconosciuta e brindammo sommessamente alla memoria di Daniel con la grappa della casa, un liquore che, nonostante l'etichetta assicurasse che fosse un un distillato alle ciliegie, pareva fuoco liquido.
Accolsi il bruciore che m'infiammava la gola e il calore dell'alcol, mentre Rhi versava altri due bicchierini. Era stata lei a proporre il brindisi, senza aggiungere fronzoli alla cosa.
“A Daniel” aveva semplicemente detto.
Dopo il secondo bicchiere riuscii a ringraziarla, nonostante la voce rotta. Stavo cercando in tutti i modi di trattenere i pezzi assieme, dopo l'altra notte, ma cominciava ad essere sempre più difficile.
L'elfa sembrò notarlo e mi invitò a salire per andare nelle camere che avevamo affittato. Aveva deciso lei anche questo dettaglio, probabilmente per lasciarmi lo spazio per crollare in pace, ma inizialmente mi aveva stupito: dopo aver dormito stretti assieme nei fossi di Rohan pagare per due stanze mi era sembrato strano.
“Rhi” la chiamai, giunti di fronte alle porte, “vai subito a dormire?”.
Lei negò con la testa e mi seguì nella stanza, dove venne subito accolta dal miagolio di Pan che, molto pazientemente, aveva atteso il mio ritorno.
Mi sedetti sul letto e accarezzai la gatta, per poi frugare nel comodino in cerca di un posacenere che non trovai.
Trovai però una candela.
Sorrisi, pensando ai Creedence e al pomeriggio, e sistemai la candela nel supporto coperto di cera. L'accesi e mi accesi una sigaretta, benedicendo l'assenza di norme antincendio, per poi passare il pacchetto all'elfa e andare a prendere la chitarra.
Fumammo senza dire nulla, mentre pizzicavo distrattamente le corde in qualche accordo. Bastava la semplice presenza.
Gli accordi presero a formare un giro conosciuto e prima che me ne rendessi conto stavo cantando, per Rhi, per Pan, per me, per tutto ciò che ci eravamo lasciati dietro e per ciò a cui andavamo incontro. E per Dan, che sembrava essere anche lui in quella stanza, in quel momento.
Finii la canzone con una nota tremolante e la voce strozzata. Erano arrivate anche le lacrime, ma non me n'ero accorto finché non alzai lo sguardo verso Rhi e la vidi completamente sfocata. Mi asciugai gli occhi con il dorso della mano e notai la pelle d'oca sulle braccia dell'elfa.
“Hai freddo?” le chiesi, poggiando la chitarra di lato.
“Sono un'elfa Rain, non sento il freddo” mi ricordò lei, accennando un sorriso.
Annuii, per poi stendermi sul letto. Rhi rimase al mio fianco, seduta a gambe incrociate sul materasso.
“Eravate molto vicini” asserì.
“Te lo dissi, siamo cresciuti assieme” le risposi, accarezzando Pan che era venuta a strusciarsi contro il mio fianco.
“Siamo sempre stati come fratelli, Dan ed io. Dopo quella notte, poi, siamo andati a vivere assieme, lui, Gio ed io”.
Le raccontai di come dopo le retate ci fossimo trovati a condividere un appartamento a Minas, di come avessimo convinto Blaine a suonare con noi mettendogli un basso in mano e dicendogli che era il bassista e di come avessimo fatto lo stesso con Romeo e una batteria, le raccontai degli inizi della Ribellione e di come Daniel -di come Eric- fosse sempre stato al mio fianco, a darmi una mano con tutto, di come ci fossimo picchiati quando aveva saputo della mia relazione con Georgia -nonostante glielo avessi già detto Rhi non batté ciglio-, di come fosse convinto che la musica andava oltre qualunque razza e che un musicista è un musicista, non un mago, un elfo o un umano, le raccontai di tutto e di come Daniel fosse effettivamente la mia candela, finché non ce la feci più.
Rhi mi venne incontro, cambiando discorso.
“Sai... anche Zèfiro suonava la chitarra. Valar, chiamarla chitarra è un po' esagerato, ma era uno strumento a corde che ci assomigliava” mi disse.
Ridacchiai stupidamente all'immagine del mio antenato che saltellava con il figlio bastardo di uno liuto e di un mandolino tra le mani -rendendomi poi conto che gli avevo dato un volto abbastanza simile a quello di quella iena di Zaal- e mi poggiai sui gomiti, alzando la testa.
“Non mi hai mai parlato di lui” dissi.
Rhi deglutì e mi rispose, anticipando la mia domanda.
“Non stasera, Rain, che non ne ho voglia”.
“Non c'è problema” affermai. Ognuno è libero di tenere per sé i propri fantasmi, questo è un diritto che non voglio negarti.

Erano passate ore e la candela era da tempo spenta quando mi rialzai dal letto. Rhi era uscita poco dopo l'intermezzo su Zèfiro, dopo l'ultima-stavolta-per-davvero-sigaretta.
Parlare con lei era stato oltremodo liberatorio, ma il sonno non sembrava avere intenzione di arrivare. Erano passate ore, ed io le avevo passate girandomi e rigirandomi nel letto, senza riuscire a dormire o a pensare.
Sospirando mi alzai, dirigendomi verso il bagno. Bevvi dell'acqua e mi guardai allo specchio: ero ridotto alquanto male. Sospirai di nuovo e ritornai in camera.
Presi in braccio Pan ed uscii dalla stanza. Avevo pensato di scendere al bar, qualche ora prima, magari altri due bicchierini di quella grappa mi avrebbero steso e avrei dormito come un bambino, ma avevo deciso testardamente di non ubriacarmi. Invece mi diressi qualche metro oltre la porta della mia camera, trovandomi di fronte a quella di Rhi.
“In che casini mi vado a mettere...” mormorai.
Abbassai la maniglia, convinto di trovare la porta chiusa e di dover tornare nella solitudine della mia stanza, ma invece la porta si aprì.
Rhi era ancora sveglia, stesa sul letto a fissare il soffitto. Voltò la testa verso di me quando entrai.
“Ciao... anche tu insonne?” domandai. Lei annuì, per poi farmi spazio sul letto.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi stesi al suo fianco, affondando il volto nei suoi capelli. Restammo a lungo in silenzio, ascoltando il respiro l'uno dell'altra, finché non parlai.
“Rhi?”.
“Sì?”.
“Perché hai deciso di venire con me?” le chiesi, dopo un po'.
“Perché sì” mi disse.
“Non è una risposta” le feci, infilando la mano tra le ciocche dei suoi capelli e accarezzandola.
“Perché vuoi una risposta?”.
“Perché sì” le feci eco. Ridacchiammo entrambi, per poi tornare a godere del silenzio e della presenza reciproca.
C'era qualcosa di quell'elfa che non avrei mai capito, ne ero certo, ma soprattutto ero certo che quello fosse decisamente il mio posto: su quel letto con Langrhibel la rinnegata tra le braccia.
Servivano poche parole, ce n'erano sempre servite poche. In quel preciso istante non ero più certo di chi stesse facendo le fusa, per quanto stranamente e bizzarramente bene stessimo, se lei, Pan o io.
“Io e te, Rhi, io e te un giorno faremo l'amore” mormorai, prima di addormentarmi. Anche quella era ormai una delle mie certezze, una delle poche che avevo.






E rieccoci. Veramente poche note, che questo capitolo non ne ha bisogno, solo un aggiornamento soundtrack per questo e il 7, ovvero l'entrata in scena dei Creedence con Long as I can see the light in parte riportata in questo e Have you ever seen the rain che da il titolo al precedente.
Spero che vi sia piaciuto e di non tardare troppo con la pubblicazione del prossimo, un grazie per le recensioni e alla carissima Elena per il suo continuo beta.




  
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