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Autore: GhostFace    04/11/2013    3 recensioni
Riflessioni interiori, ma anche azione, istinto ed avventure, senza mai farci mancare qualche risata... Questa è una storia che coinvolgerà tutti i personaggi principali di Dragon Ball, da Goku a Jiaozi! Cercando di mantenermi fedele alle vicende narrate nel manga, vi propongo una serie di avventure da me ideate, con protagonisti Goku ma soprattutto i suoi amici. I fatti narrati si svolgono in alcuni momenti di vuoto di cui Toriyama ci ha detto poco e nulla, a cominciare da quell'anno di attesa trascorso successivamente alla sconfitta di Freezer su Namecc (ignorando o rielaborando alcuni passaggi only anime). Come dice qualcuno in questi casi, Hope You Like It! Buona Lettura!
PS: la storia è stata scritta prima dell'inizio della nuova serie DB Super, quindi alcuni dettagli non combaciano con le novità introdotte negli ultimi anni. Abbiate pazienza e godetevi la storia così com'è, potrebbe piacervi ugualmente. :)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattina del 12 maggio, i nostri beniamini si ritrovarono come ogni mattino nel ristorante dell’hotel a tre stelle presso il quale alloggiavano, per consumare insieme la loro colazione. Come era ormai abitudine, si divisero in due tavoli da sei: da una parte gli adulti, dall’altra i quattro giovani, in compagnia degli immancabili Olong e Muten; Trunks, seduto nel passeggino, poppava con goduria il latte dal biberon, mentre Pual gli stava appollaiato di fianco.
Al termine del pasto Crilin, posando il tovagliolo con cui si era pulito la bocca, emise un’allegra esclamazione soddisfatta: «Aaaah! Si mangia proprio bene, qua!» Poi si rivolse a sua moglie Soya: «Sei soddisfatta, tesoro mio??»
«Certo, caro paparino pelatino!» rimbeccò la ragazza con tono volutamente ironico. Tutte quelle attenzioni le facevano piacere: Crilin sapeva essere asfissiantemente premuroso; però Soya non lo respingeva, e si limitava a buttarla sul ridere, giusto per ricordare a sé stessa e al marito che nessuno nella vita dovrebbe mai prendersi troppo sul serio. Infatti, la sua risposta alla domanda del dolce pelatino suscitò risate da parte di tutti i presenti.
«Sii un po’ seria…» disse Crilin. «Hai mangiato a sufficienza? Ricordati che…»
«…”devi mangiare per due”!» completò Soya. «Me lo ripeti sempre, ed è la frase più banale e scontata che si possa dire ad una donna incinta nelle commedie romantiche!»
«Già…» concordò Yamcha, per poi chiedere: «Tremo all’idea di quanto diventerai assillante fra… quanti mesi mancano?»
«Più o meno sei…» rispose Soya.
«Sempre simpatico tu!» esclamò Crilin rivolto a Yamcha, per poi domandare alla giovane donna: «Soya, ma tu mi ami?»
«Certo, caro… che domande mi fai??»
«E allora lo vedi che la cosa è reciproca?!» ribatté Crilin con un largo sorriso a trentadue denti.
Nel frattempo, Trunks aveva finito di succhiare il suo latte. «Sei contento, eh? Bravo il mio piccolo principe.» gli disse amorevolmente Bulma. «Fra un po’ andremo allo stadio per la finale e ci godremo la sfida tra i due ragazzi, poi staremo un po’ in giro ed infine pranzeremo con gli altri! Poi nel pomeriggio torneremo alla nostra solita vita…» spiegò Bulma al bebè, concludendo con un sorrisetto. Per tutta risposta, Trunks lanciò un urletto felice.
«Devo ammettere che sono stati giorni piacevoli… ce li siamo vissuti come una vacanza…» osservò Soya. «Vero, Yamcha?»
«Hm?» Yamcha era sovrappensiero. Guardava Bulma; guardava quel piccolo ed innocente mezzo Saiyan, e gli era impossibile provare il rancore che per lungo tempo aveva opposto il giovane con le cicatrici all’ignobile Principe dei Saiyan. Quei pochi giorni erano stati il periodo più lungo che avesse trascorso insieme a Bulma dopo molto, molto tempo. La loro storia era il passato. Che sentimenti doveva nutrire adesso, nel presente, verso la sua ex fidanzata? Non lo sapeva… quella domanda, che egli si era posto da sé in quei giorni, lo confondeva. Era forse giunto il tempo di riconciliarsi, come due persone mature ed indulgenti avrebbero dovuto fare? Per il momento Yamcha si limitò a rispondere a Soya: «Sì… giorni di relax. Un po’ di riposo non fa mai male, eh?»
«Ma senza esagerare.» aggiunse il serio Tenshinhan, ignaro di quel che passava per la testa del suo amico. «Anche se devo ammettere che mi sono trovato molto bene.»
«Non dovremmo aspettare i tornei, per fare queste rimpatriate!» concluse Jiaozi, e tutti convennero con lui.
Al tavolo dei ragazzi, nel frattempo, Ramen – accortosi che già da un po’ Ivanovich gli lanciava delle strane occhiate - gli domandò: «Ehi… si può sapere che hai? È da quando ci siamo svegliati che mi fissi in quel modo…»
Ivanovich grugnì, e continuò a bere tenendo la bianca tazza del tè ben sollevata.
«Vuoi forse dirmi qualcosa?» chiese ancora il rosso.
Kaya, che era seduta accanto al biondo, schiaffò una energica pacca sulla schiena del biondo, facendogli spruzzare dal naso tutto il tè che stava inghiottendo. «Eddai, scemo!! Digli tranquillamente quello che gli vuoi dire, anche se va contro il mio interesse… è pur sempre il tuo compare! Anche Kaya ti dà la sua autorizzazione!»
«Mi pesa dirtelo» ammise Ivanovich «…ma… in bocca al lupo… Ramen…» concluse, guardando verso il pavimento. Com’era difficile per loro dirsi qualcosa di gentile! Anche se – ricordiamolo – si conoscevano da tutta una vita e si volevano bene come due fratelli; però non lo avrebbero mai ammesso.
«Grazie! Se vincerò il Torneo, dedicherò la vittoria ai maestri e a tutta la Scuola della Gru, te compreso!»
Kaya irruppe tra i due, al braccetto della fedele gemella: «Per festeggiare questo momento di amicizia, io e Ganja canteremo una canzoncina dedicata ad Ivanovich! In coro!» gridò, e le due si alzarono fulmineamente ed iniziarono a sgambettare in una sorta di can-can: «Chi vive scemo non guarisce mai,/ se resti scemo cosa troverai?/Guai, guai, guai guai guai!/Guai, guai, guai guai guai!!» Il tutto mentre Ivanovich batteva allegramente le mani a ritmo e anche Ramen dondolava con la testa e le spalle.
«Sembra il vostro inno.» disse Soya pacatamente, con gli occhi socchiusi a fessura, voltandosi all’indietro dal tavolo di fianco, da cui dava le spalle alle sue sorelle.
«E tu non hai niente da dire a tua difesa?» chiese Ramen ad Ivanovich.
«Qualunque insulto venga da Kaya, è musica per le mie orecchie…» rispose l’altro con sguardo sognante e bava alla bocca.
Il maestro Muten sospirò, e commentò: «Eeeh… beata gioventù…»
«Parla per te, io sono ancora giovane e molto attraente!» obiettò Olong. «Tu che ne pensi, Kaya?» chiese il maiale con un sorriso prettamente ebete stampato in volto.
«Non sei il mio tipo, porcello! Comunque sei invitato anche tu per il dopo-torneo! Vada come vada, non importa chi vincerà… dobbiamo andare a sfondarci di alcol!»
«Gyeaaaah, delirio!» le fece eco Ganja, battendo il pugno contro quello della gemella, nel cosiddetto “sistaz’ fist”.
«Dice il proverbio: “Beati coloro che si sbronzano fra loro” !» commentò saggiamente il maestro Muten, sorseggiando il suo thè.
«Ramen, anche tu sarai dei nostri, vero??» incalzarono in coro le gemelle, con sorprendente tempestività.
«M-ma… veramente io… preferirei un bel chinotto per festeggiare…» disse Ramen. «O una cola…»
«Noooo!» insistette Ganja. «Solo bevendo una decina di bicchierini di rum potrai apprendere il segreto del colpo dell’ubriacone!»
«Giusto!» esclamò il rosso stringendo i pugni e battendo le nocche fra loro con convinzione, animato dall’insaziabile desiderio di diventare un atleta sempre migliore. «Devo apprendere il colpo dell’ubriacone!»
Soya si voltò di nuovo, rivolgendosi stavolta al maestro Muten con il tono di un rimprovero sostenuto: «Lei non ha niente da aggiungere su questi edificanti propositi, signor maestro Muten?»
«Io preferisco il limoncello.» sentenziò il barbuto vecchietto.
 
Poco dopo, nel suo laboratorio segreto disperso fra le montagne del nord, il Dr. Gero alias Cyborg numero 20 era ormai pronto a dare avvio al suo disegno di vendetta.
«Qual è l’esito delle sue riflessioni, padrone?» chiese 19, convocato perché assistesse 20 durante le sue prossime mosse.
«Questa notte, mentre i gemelli erano ancora inattivi, ho abbassato il massimale del livello di tensione elettrica dei loro reattori. Come ben sai, i due sono alimentati da reattori interni ad energia eterna: abbassando il livello di alimentazione dei loro container, non potranno mai attingere al massimo potenziale che ciascun reattore è in grado di generare, in base alle potenzialità previste dal progetto di costruzione. Saranno comunque molto forti, più di un Super Saiyan… ma non avranno la sicurezza di essere i migliori in assoluto, e l’arroganza che ne deriva.»
«Quale esito concreto produrrà tutto ciò?» domandò allora 19. Ossia, tradotto in termini più terra-terra: “Cosa speri di ottenere?” L’automa, infatti, non vedeva come la scelta dello scienziato potesse prevenire gesti di insubordinazione dei due gemelli: se essi restavano più forti di un Super Saiyan, per forza maggiore superavano anche il Dr. Gero, che così sarebbe rimasto comunque in loro balia.
20 si inalberò al pensiero che – controller per la disattivazione a parte – le sue due creazioni sarebbero potute risultare ancora una volta scarsamente controllabili. «Devono capire che il loro padrone sono io! Io ho potere di vita e di morte su di loro, e decido io quanto devono essere forti! E ora muoviamoci!» Ancora irritato, si avvicinò ai due container verticalmente collocati a ridosso di una delle pareti della stanza. Erano contrassegnati dalle cifre 17 e 18, costruiti in materiali metallici e plastici, di colore grigio chiaro, e presentavano un’apertura sul portellone anteriore, con un oblò rotondo; erano collegati all’alimentazione centrale attraverso cavi elettrici rivestiti da spessi tubi in gomma. L’inventore, sotto gli impassibili occhi a mandorla del suo assistente, si avvicinò all’oblò del numero 17. Il cyborg dall’aspetto più giovanile, inattivo, lo fissava con i suoi occhi glaciali dal fine contorno allungato. “Spero di averli riparati bene…” pensò 20, spingendo con le dita ossute il tasto di attivazione. Sì udì lo sbuffò derivante dalla decompressione dell’aria. Con uno stridio metallico, il portellone si sollevò; dalla capsula mosse un passo in avanti il cyborg numero 17. Aveva l’aspetto di un giovane uomo dal fisico snello e dai lineamenti delicati; lo caratterizzavano dei capelli scuri e lisci che non raggiungevano le spalle, e due occhi limpidi e chiari come il ghiaccio. Vestiva casual: un paio di jeans, una maglia chiara, sopra la quale indossava una maglietta nera a maniche corte su cui era impresso il logo del vecchio Red Ribbon; calzava scarpe sportive di tela nera; dalle sue orecchie pendevano orecchini di metallo a forma di cerchietto, mentre spiccava un fazzoletto arancione annodato attorno al collo. Il nuovo entrato in scena si guardò attorno con aria circospetta; fissò il suo creatore, e notò con disappunto che quest’ultimo teneva in mano il controller per la disattivazione a distanza: era meglio agire con astuzia, e non lasciargli intendere che nutriva sentimenti ben poco affettuosi nei suoi confronti. Notò, del resto, che a quella riunione di famiglia presenziava anche una nuova figura: probabilmente il Dr. Gero si era costruito una guardia del corpo per ogni evenienza, dunque. Che potenza avrebbe potuto avere quel grassone? «Buongiorno, Dr. Gero…» lo salutò con un sorriso quanto più disteso possibile.
«Che meraviglia…» osservò con sincero stupore lo scienziato. «Mi hai salutato…»
«Certamente… nutro rispetto per mio padre.» aggiunse il giovane con naturalezza.
“Uhm… sembra che la riparazione sia andata a buon fine…”
Con tono composto, il numero 17 indicò con l’indice il numero 19, e domandò: «Lui è un nuovo fratello? Non ricordo di averlo mai visto, e gli altri uomini artificiali sono stati tutti distrutti da lei.»
«Sì. È il numero 19 della serie.» rispose il vecchio, rinfrancato dalla prova positiva che 17 aveva appena dato di sé, mentre 19 non smetteva di tenere fissi gli occhi sul nuovo arrivato.
Poi giunse il turno dell’apertura del secondo container. «La mia sorellina.» asserì 17, con tono neutro. Era l’unica per cui nutriva reale e sincero affetto in quella stanza, ma non rimarcò troppo la benevolenza che provava, per timore che il suo creatore dubitasse della sua buona fede. Dalla capsula appena aperta uscì una giovane donna bionda, la cui statura, i lineamenti delicati e il taglio degli occhi erano identici a quelli del numero 17; indossava un completo di jeans, una maglia nera con le maniche a righe, e stivaletti di cuoio marrone. Anche alle sue orecchie si notavano gli orecchini metallici a cerchietto. Numero 18, appena sveglia, incrociò lo sguardo – imperturbabile ma, per lei, carico di significato – di suo fratello; subito dopo, notò anch’ella il controller fra le mani del Dr. Gero, e intuì subito come fosse opportuno recitare una farsa.
«Buongiorno, Dr. Gero.» salutò a sua volta la donna, educatamente.
«Buongiorno, cara mia.» rispose 20. «Se devo essere sincero, vi confesso che mi sento sollevato. Quando ho operato su di voi, ho studiato troppo i reattori energetici; quindi ho trascurato di lavorare a dovere sui dispositivi di controllo: infatti, vi rifiutavate sistematicamente di eseguire i miei ordini. In tal senso, ho preso delle precauzioni: ho apportato un limite al vostro massimale. Senza il mio intervento, non potrete mai raggiungere la vostra massima energia. Considerate questo mio gesto come un monito per il vostro futuro.»
I due gemelli rimasero seccati da tali parole, ma mantennero una mimica facciale impassibile: il vecchio non doveva rizzare le antenne. Anzi, per simulare pentimento per le azioni passate, 17 soggiunse: «Credo di parlare a nome di entrambi quando dico che la sua è stata una scelta legittima, dottore. Posso comprendere i suoi dubbi su di noi.»
«Sono lieto che andiamo d’accordo. Oggi, infatti, è il giorno in cui daremo il via ai nostri piani di vendetta. Vi illustro i vostri compiti: vi recherete sull’isola Amenbo, dove alle ore dieci inizierà la finale del Torneo Tenkaichi, per la quale è previsto un vastissimo affollamento sull’isola. Quello che ci occorre è una strage di vastissime proporzioni, concentrata in un luogo preciso del mondo; in tal modo, Son Goku – desideroso di fare l’eroe, come suo solito – vi raggiungerà sul posto e lo combatterete. Secondo i miei calcoli, ciascuno di voi dovrebbe essere in grado di avere la meglio senza problemi. Dovreste stare attenti, però: è molto probabile che i suoi compagni siano intenzionati a mettervi i bastoni fra le ruote. Fate attenzione ad un certo Vegeta, soprattutto. Questa è una mappa per raggiungere la destinazione.» concluse il vecchio consegnando un foglio ripiegato a 17, che se lo infilò tra la cintura e l’orlo dei pantaloni. «Ci sono domande?»
«E lui chi sarebbe?» domandò 18 accennando col capo a 19, che adesso stava vicino al dottore.
«Vi presento il numero 19, una mia recente creazione. Oltre ad essere il mio assistente, è anche colui che mi ha trasformato in cyborg. Desideravo la vita eterna, così era necessaria la presenza di qualcuno che me la desse, come io l’ho data a voi…»
«Quindi anche lei è diventato un cyborg… compreso lei, siamo arrivati al numero 20, giusto? E 19 è molto potente?» domandò 17.
«Sicuramente ha una forza notevole… ma non quanto voi due, né quanto Goku.»
«I compagni di Son Goku potrebbero opporre resistenza o distrarci mentre noi tentiamo di ucciderlo.» osservò 18, mostrandosi interessata alla buona riuscita del piano. «Numero 19 potrebbe venire con noi e ripulire la piazza da quei miserabili mentre noi ci occupiamo del pezzo grosso.»
«Non è un’idea malvagia…» ribatté 20. «Goku ha una fortuna sfacciata e l’abilità di cavarsela nelle situazioni più disperate, grazie anche ai suoi amici…»
«Mi permette di mettere alla prova il numero 19, dottore?» chiese affabilmente il numero 17.
Dopo una leggera esitazione, lo scienziato acconsentì. «Vacci piano… come ti accennavo, non è forte quanto voi.»
17 invitò il robot grasso ad attaccarlo; seguì un breve scontro in cui 19 si sforzò di colpire 17 più e più volte. Il cyborg snello parò agevolmente ogni singolo pugno; infine lo colpì con una debole pedata, che sbatté a terra 19. 17 lo guardò con un sorrisetto di scherno, e allungò la mano in avanti: «Prendi questo!», e dalla sua mano partì un’onda di energia molto potente. Gero osservava lo scontro con attenzione, e 18 pensò di approfittare di quel momento di tensione per strappargli dalla mano il telecomando per la disattivazione. Proprio mentre la ragazza cyborg aveva allungato di soppiatto la mano per afferrare l’oggetto, 20 le puntò l’apparecchio addosso.
«Con chi pensi di avere a che fare, sgualdrinella??» gridò, premendo il pulsante rosso al centro del dispositivo; nello stesso momento 19 risucchiava nel palmo della propria mano l’energia emessa da 17. «Ma… che diav-» si chiese stupito il giovane cyborg maschile, mentre sua sorella cadeva sul pavimento come una bambola inanimata di dimensioni umane.
«Assorbimento energetico.» accennò il grasso androide con un sorrisetto di compiacimento.
«Sapevo che stavate recitando la commedia, idiota! Hai cercato di distruggere 19! Era quello che volevi!» gracchiò il Dr. Gero, puntando addosso al cyborg ribelle il controller, come fosse una pistola. «Tua sorella è già fuori combattimento, però la tua forza mi serve, maledizione! Vedi di muoverti e di fare come ti ho detto, idiota! Andiamo, io e 19 ti terremo sotto tiro da qua fino alla sede del Torneo… e al primo passo falso che fai, giuro che finirai fuori uso anche tu!»
17 si vide costretto alla resa; sfilò sotto gli occhi degli altri due cyborg fissandoli in cagnesco, come un carcerato braccato da due secondini. D’un tratto, quando Gero si era illuso di averlo sotto controllo, sparì a super velocità sotto gli occhi del suo creatore, ricomparendo un infinitesima frazione di secondo dopo, a pochi centimetri da lui. Gli stritolò l’avambraccio con una stretta d’acciaio, costringendo il vecchio ad aprire la mano e lasciar cadere per terra il telecomando: «Penoso e incauto, da parte del mio inventore, sottovalutare la mia agilità, o credere che mi piegassi al suo volere… Ti sei scavato la fossa!»
«Che hai intenzione di fare, 17?! Lasciami stare… ubbidisci!» strillò il vecchio in preda al panico più cupo di chi conosce fin troppo bene le potenzialità dell’avversario che ha di fronte. Sì, perché era chiaro che 17 era un nemico… non aveva mai smesso di esserlo. 19 era l’unica difesa: «Forza, 19! Attaccal-…!» gridò, ma il suo comando venne spezzato da 17 che trapassò il suo petto con la mano ben tesa, quasi fosse un’acuminata daga di ferro. «Era da un pezzo che aspettavo di metterti le mani addosso, dannato figlio di puttana!» disse con un gelido ghigno trionfale. Poi, gettò a terra il vecchio che annaspava, perdendo olio e emettendo scintille di elettricità; quindi si rivolse a 19: «Tu cosa speri di fare, bombolone ambulante? Attaccami pure a distanza, se credi: scaricherai solo le batterie e per giunta mi sgualcirai gli abiti… Avvicinati e sei un androide morto! Tanto ti ammazzerò lo stesso.» Nel frattempo, si era già chinato a raccogliere il dispositivo: premette il pulsante, noncurante dei due nemici che lo guardavano sconvolti e consapevolmente impotenti; il Dr. Gero, poi, addirittura tremava.
«Che cavolo è successo?» domandò la donna cyborg, una volta riattivata.
«Il nostro professorone ti aveva spento.» dichiarò seccato il fratello. «Ora però il coltello dalla parte del manico ce l’abbiamo noi…» aggiunse, agitando davanti a lei il controller.
«Che bastardo.» fu la secca replica di 18, pronunciata con una smorfia di disgusto.
«Non ci resta che ammazzarli. Ah, stai attenta… quell’imbecille ciccione può assorbire l’energia dalle mani! Te lo lascio, a condizione che mi permetti di sfogare la mia ira sul dr. Gero.»
«Affare fatto.» rispose la bionda, e i due fratelli si scambiarono una stretta di mano.
18 si accanì subito su 19, riempiendolo di cazzotti, mentre 17 schiacciò fra le sue mani il controller, con la stessa facilità con cui si appallottola un foglio di carta. Poi si diresse verso 20 e lo afferrò per il collo rugoso e secco, sollevandolo di peso da terra: «Sei così inutile… ormai sei alla frutta!» Con queste parole, strinse il pugno attorno alla gola del vecchio e lo strozzò; fuoriuscirono cavi elettrici e schegge metalliche. 17 gettò a terra la carcassa dell’odiato scienziato, che aveva ormai la testa piegata di lato, in modo totalmente innaturale; gli occhi erano del tutto bianchi. A quel punto, il giovane cyborg decise di farla finita: in un unico colpo, schiacciò sotto il suo piede la testa del cyborg numero 20, decretandone la fine fra mille frammenti misti, organici e metallici. Nel frattempo, anche 18 compì il suo dovere con l’assistente dello scienziato: dopo essergli saltata sul petto sfondandoglielo, con un calciò gli staccò di netto la testa.
«Ora sì che mi sento libero! Finalmente quello scienziato pazzo da film è crepato! E mi sono divertito a leggere il terrore nei suoi occhi…»
«Ci temeva maledettamente, il vecchiaccio…» replicò pacatamente la sorella, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Sì… pensa che quel grassone aveva nella mano un dispositivo che assorbiva gli attacchi di energia! Credo che il vecchio pazzo avesse accantonato l’idea dei motori ad energia eterna che ci rendono praticamente inesauribili, per evitare di creare altri androidi ribelli…!»
«E adesso che si fa?» chiese 18.
«Abbiamo un mondo intero là fuori che ci aspetta, finalmente liberi! Ahahaahah!» rise 17, e sparò un colpo di energia contro il portone di pesante lega metallica, che si piegò verso l’esterno e saltò in aria precipitando giù da un dirupo.
«Cretino, che bisogno c’era di sfondare il portone!?» domandò la ragazza con un sorrisetto malizioso. Non si può dire che la cosa le dispiacesse poi troppo…
«Che ti frega?» ribatté il fratello. «Hai paura che i cavi elettrici del laboratorio si prendano la polmonite per via della corrente d’aria?»
«Sono pur sempre una donna…» affermò 18 portandosi le mani ai fianchi, senza smettere di sorridere maliziosamente. «Mi piace tenere la casa ordinata…»
«Ah sì? Guarda come ti faccio le pulizie di casa!» Quindi, per tutta risposta, 17 fece saltare in aria la sala d’ingresso principale del laboratorio, che ospitava le varie capsule numerate, un tempo avevano ospitato i vari androidi e cyborg inattivi: 19, 18, 17, 16… e via a ritroso. Senza alcun rispetto per tutto quel vario materiale appartenuto allo scienziato, con pochi colpi di energia mise a soqquadro la congerie di tecnologia presente in quel piano del centro di ricerca, danneggiandola irrimediabilmente.
«Sei così scemo…» concluse la ragazza, ravviandosi i capelli che le si erano scompigliati per via del trambusto. «Forza, andiamocene. Voglio farmi un giro, è da tanto che non vado al bar. Ho proprio voglia di un cappuccino…»
«…e una brioche con marmellata di albicocche?» completò 17, memore dei gusti della sorella.
«Mmm… tu sì, che sai come viziarmi…»
«Andiamo… io la prendo con il ripieno al cioccolato!» esclamò il cyborg ragazzo dopo aver così travolto i resti dei corpi cibernetici di 19 e 20; prendendo una rincorsa, i due gemelli compirono un balzo, e spiccarono il volo in cerca di un centro abitato. Lo scienziato era stato distrutto senza mai sapere quale vaso di Pandora aveva appena scoperchiato; le sue egoistiche brame ignobili gli si erano ritorte contro e, come vedremo, avrebbero procurato all’umanità indicibili dolori, e sofferenze a mai finire. I due gemelli, però, ignoravano che, in una sala sotterranea semibuia del laboratorio, qualcosa bolliva ancora in pentola: un enorme calcolatore elettronico, i cui led si accendevano e spegnevano ritmicamente, stava proseguendo nelle proprie funzioni, con un continuo ronzio; con i propri calcoli, avrebbe completato gli studi avviati dal folle luminare, e realizzato un progetto che in un qualche futuro avrebbe creato non pochi problemi.
 
Mancava meno di un’ora all’inizio della finale, e il gruppo composto da Bulma, Muten, Olong, Soya, Pual e Trunks aveva appena preso posto con un certo anticipo, data la gran massa di persone confluite per l’occasione allo stadio del Tenkaichi, in numero ancora superiore rispetto ai precedenti incontri. All’improvviso, inspiegabilmente, Trunks scoppiò in lacrime.
«E adesso che succede, Trunks??» chiese Bulma preoccupata, cominciando a dondolarlo per calmarlo.
«Forse ha fatto la pupù? Eppure non sento cattivo odore…» provò ad ipotizzare Soya.
Bulma lo annusò: «No, non è quello… forse hai fame?» Trunks tacque per pochi secondi fissando la mamma con due occhioni lucidi e le lacrime ai lati degli occhi; poi, quando vide passare un venditore ambulante che vendeva pacchetti di crackers, biscotti e dolciumi vari, si mise a piangere ancor più forte di prima. «Possibile che tu abbia ancora fame?? Ti sei scolato i tuoi soliti tre litri di latte, come al solito!» esclamò con una punta d’indignazione. Il bimbetto guardò la mamma con due occhioni dolci e tristi.
Bulma sbuffò costernata: «Uff… Trunks, brutte notizie… ti sei fatto fuori tutte le provviste di giorni e giorni che avevo portato dietro, accidenti… hai messo KO l’organizzazione ferrea della tua mamma!»
Trunks, che dovette percepire il disappunto della mamma, scoppiò a piangere.
«No, no…» disse la donna con dolcezza, stringendolo al seno, cercando di calmarlo. «C’è ancora un po’ di tempo prima dell’inizio del match! La mitica Bulma procurerà la pappa al suo dolce principino!» Poi, rivolgendosi al vecchio Muten, stabilì: «Ehi, nonno Tartaruga… tu verrai con me e Trunks!»
«Ehm… veramente vorrei seguire la finale… quei due giovani mi incuriosiscono…»
«Eddai, non farti pregare! Tu sei l’unico forte che possa accompagnarci e proteggerci in caso di bisogno… Soya è molto forte, ma di certo non può correre rischi! Una signora e un bambino hanno bisogno di protezione in una città sconosciuta! E poi ci vorranno pochi minuti: non sarà troppo difficile trovare un negozio di alimentari, in una città così piccola!»
A malincuore, l’anziano maestro acconsentì. Una volta fuori dallo stadio, saltarono a bordo della flying car di Bulma e si misero a girare per le strade dell’isola Amenbo; Bulma guidava, mentre Muten stava seduto nel posto del passeggero e Trunks, sul seggiolino, mugugnava – mentre il suo stomaco brontolava. Ciò che videro fu sconfortante: «Tutti i negozi… chiusi! Che città di lazzaroni! A quest’ora, nella Città dell’Ovest lavorano tutti!» si lagnò Bulma con tono isterico.
«Dev’essere perché sono tutti a seguire la finale… chiunque si trovi in questa città proprio oggi, non vorrebbe mai perdersela…» suppose Muten.
«Hai qualcosa da ridire??» domandò Bulma con tono irritato, leggendo in quella frase una sorta di rimprovero verso di lei.
«Nonononono! Ma… dove stiamo andando?» domandò il vecchietto notando che Bulma si accingeva ad uscire dal territorio dell’isola; pochi secondi dopo sorvolavano il pelo del mare, in direzione della terraferma, sollevando al loro passaggio due creste d’acqua parallele.
«Alla Città del Sud! Quella è una grande città, troveremo sicuramente un negozio di alimentari aperto! E torneremo in tempo allo stadio, fidati!»
Muten abbassò la testa fra le spalle, mentre sulle tempie comparivano goccioline di sudore. Contraddire quella donna isterica non era solo inutile e superfluo: più che altro, era un suicidio.
 
17 e 18 avevano trovato un villaggio di montagna che sorgeva nell’incavo di una delle tante vallate che costellavano la regione delle montagne del Nord. Il luogo era pittoresco: praticamente, un paesaggio da cartolina. Chissà… in futuro avrebbero potuto evitare di distruggerlo e usarlo come un luogo di villeggiatura per le loro vacanze. Nel presente, comunque, quel sito stava già offrendo loro l’indimenticabile goduria di una cioccolata calda e una brioche con crema al cioccolato per lui, e un cappuccino con brioche alla marmellata per lei. Seduti al tavolino di una sorta di bar-taverna-osteria del villaggio, la cui clientela era composta principalmente da vecchietti alticci già al mattino che giocavano a carte, i due cyborg gemelli assaporavano dopo tanto tempo il piacere di un buon dolcetto. Non che ne avessero bisogno, da un punto di vista fisiologico; tuttavia, essendo stati creati su base umana, erano ancora dotati di buona parte degli organi biologici tipici di ogni essere umano, per cui potevano ancora concedersi i piaceri della gola.
«Hai qualche programma per la giornata, fratellino?» chiese la ragazza, rigirando il cappuccino e facendo tintinnare il cucchiaino sull’orlo della tazza che aveva davanti.
«Beh… andiamo al Torneo, no?» rispose 17 quasi si trattasse di un’ovvietà.
«Scherzi?! Non vorrai mica eseguire le ultime volontà del dr. Gero!?»
«Certo che no… ad ogni modo sarà molto divertente fare un po’ di casino e sperare che salti fuori qualche stronzo in grado di farci divertire! Mi riferisco a Son Goku e ai sui compari… DOBBIAMO andarci!»
«Sei sempre il solito bambino… ma quando cresci?»
«Dai… poi domani ti accompagno a fare spese…» Come resistere a tale lusinga? «Il vecchiaccio ha detto che l’incontro iniziava alle dieci…» disse 17, guardando l’orologio appeso alla parete del bar. «Prendiamocela con calma… con la nostra super velocità, non sarà un problema arrivare all’altro capo del pianeta!» E qui bevve con desiderio un sorso della sua ottima cioccolata calda. Era deciso: per quel giorno, quel bar non sarebbe stato distrutto.
 
Quella mattina, Chichi – come molti altri telespettatori del pianeta - accese la televisione e si sintonizzò sul canale che trasmetteva la finale del Torneo Tenkaichi. Seduti sul divano in soggiorno, lei e Gohan avevano seguito con interesse i vari combattimenti. Il bambino non aveva rimpianti per non aver partecipato alla manifestazione, visto che sarebbe stato fuori scala; la donna, invece, ricordava con nostalgia i tempi in cui, giovanissima, praticava le arti marziali, fino al giorno in cui Goku aveva accettato di sposarla proprio durante la penultima edizione del Torneo, sotto gli occhi di migliaia di estranei. Com’era cambiata la sua vita, da allora!
«Secondo te chi vincerà, Gohan?» lo interrogò la madre.
«Io propendo per Ramen, l’allievo di Tenshinhan e Jiaozi…» rispose il ragazzino. «Oltre ad essere molto forte per la sua età, è anche determinato, ma soprattutto ha un’intelligenza tecnica non comune… anche se è un comune essere umano. Si vede che ha molta passione!»
«E della ragazza, cosa ne pensi? Tu li conosci tutti di persona, vero?» chiese ancora la mamma.
«Sì, certo… beh, conoscendo lei e sua sorella, dico che Crilin e Yamcha possono ritenersi soddisfatti. Non deve essere stato facile portare a quel livello quelle due teste calde…»
Chichi sorrise. Gohan parlava come un esperto, ed in effetti alla sua tenera età aveva un’esperienza di lotta straordinaria, che molti uomini “normali” non avrebbero accumulato nemmeno in tutta la loro vita. Naturalmente, desiderava sempre che egli proseguisse i suoi studi e diventasse uno studioso di fama internazionale, e anche Gohan desiderava riuscirci… ma perché nascondere a sé stessa quanto le facesse piacere che in Gohan sopravvivesse l’eredità di Goku?
«Guarda, mamma! Finalmente comincia!» esclamò Gohan. Lo schermo trasmetteva infatti le immagini dell’ingresso dei due atleti sul ring.
 
Ramen aveva un viso disteso, sereno e determinato, perfetto specchio del suo stato d’animo; Kaya indossava la sua solita bandana col simbolo dei pirati: che portasse veramente fortuna o meno, quel brandello di tessuto nero l’aiutava a tenere in ordine i capelli durante il duello.
«Che emozione! Mia sorella in finale!» commentò Soya seduta fra il pubblico. «Ma Bulma e il maestro Muten che fine hanno fatto? Ci stanno mettendo un sacco… Se non arrivano subito, si perderanno l’inizio dell’incontro…»
«Forse hanno avuto qualche intoppo… se devo essere sincero, comincio a preoccuparmi anche io…» rispose Olong.
«Signore e signori, bentrovati alla finale del ventiquattresimo Tenkaichi!» disse il biondo cronista. «Siamo arrivati alla sfida tanto attesa! I due candidati al titolo di campione del mondo di arti marziali, ormai, li conosciamo bene: da una parte Kaya, della Scuola della Tartaruga; dall’altra Ramen, della Scuola della Gru! Sappiamo anche che non dobbiamo lasciarci ingannare dalle apparenze perché, a dispetto della giovane età, sono molto ben preparati! Non è assolutamente un caso che siano arrivati fin qui! Ma ora basta con gli elogi…prima di dare il via al match, vorrei ricordare alla signorina Kaya che ieri lei e sua sorella ci hanno lasciato con un interrogativo in sospeso…»
«E chi se lo scorda? È il motivo per cui sono arrivata fin qui!» disse la ragazza dai lunghi capelli verdi.
«Appunto… è la domanda che ha suscitato la curiosità collettiva: per quale motivo Kaya e Ganja aspirano alla vittoria del Tenkaichi? Avevate promesso che ce lo avrebbe rivelato quella di voi due che fosse giunta in finale… dunque, a te la parola.» dichiarò il cronista, avvicinandole il microfono alle labbra.
La ragazza scippò ancora una volta il microfono dalla mano del cronista e iniziò a parlare con disinvoltura passeggiando per il ring: «Well! Come sapete, ho una sorella gemella e una sorella maggiore. Si dà il caso che mia sorella maggiore sia in dolce attesa… dunque, ci ha promesso che se una di noi due vincerà il torneo, acquisiremo il diritto di decidere noi il nome del nostro futuro nipotino! Ecco svelato il mistero!»
«Era questo?» replicò il biondo cronista inarcando un sopracciglio e avvicinandosi a Kaya: adesso era lui che doveva tirarle il braccio per aver modo di parlare al microfono. «Ma signori e signori, allegria! È una cosa tenerissima! Il Torneo Tenkaichi unisce le famiglie!» A Soya quelle parole accesero di rosso le guance: ricordava ancora quando da piccola, col suo defunto padre, seguiva le edizioni del Tenkaichi… ricordava pure quel concorrente di diversi anni prima, un piccolo nanerottolo pelato che adesso, per uno strano capriccio del Destino, era diventato suo maestro prima, e suo marito poi. Insieme, stavano anche per mettere al mondo un figlio… Era proprio vero che il Tenkaichi univa le famiglie!
«Ora vi svelo pure un’altra cosa, così domani finiamo tutti insieme appassionatamente sulle stupide riviste di gossip» disse la ragazza con tono cospiratorio, strizzando l’occhio alla telecamera: «… rizzate le antenne! Il padre del bambino, ossia il marito di mia sorella, ossia mio cognato, è… Crilin!»
«Crilin?» ripeté l’arbitro. «Intendi il tuo insegnante di arti marziali?»
«Yessa!»
Soya, dalla sua postazione, con gli occhi a fessura commentò: «Questa rivelazione poteva risparmiarsela… E dire che sembrava un momento tenero…»
«Ma questo è uno scoop! Beh… ormai che ci siamo, completiamo l’argomento, così domani le riviste di gossip sapranno bene cosa scrivere. Avete già in mente qualche idea… qualche nome per il nascituro?»
«Beh, io e Ganja ci siamo consultate a lungo: dipende dalla somiglianza. Se somiglia al papà Crilin ed è un maschio, lo chiameremo Castagnaccio; se è femmina, Marronglassè.»
Soya, dal sedile da cui seguiva il torneo, gridò con la sua solita doppia fila di denti da pescecane: «Mio figlio non si chiamerà mai Castagnaccio!!!»
Pual le diede un’amichevole pacca sulla spalla e, con un’espressione imbarazzata, cercò di calmarla: «Dai, non agitarti, Soya…»
Olong aggiunse: «Beh, non è che Marronglassè sia tanto meglio! Ma poi, perché l’arbitro si presta a questi discorsi?»
Nel frattempo, Crilin – in disparte nel solito angolo coi suoi tre compagni di avventure – era assorto nella riflessione su quei nomi: «Marronglassè… se ne può discutere…»
«E se assomiglia alla madre, che nome vorreste dare al neonato?»
«Boh… non ci abbiamo pensato, anche perché speriamo che non somigli alla madre…» poi aggiunse in un bisbiglio (che, amplificato dal microfono, poté essere udito da tutto lo stadio): «Sapete… è tanto antipatica… ha un brutto carattere…» Esplosero l’ilarità del pubblico, e ovviamente l’ira di Soya.
A quel punto, l’arbitro proclamò: «Benissimo! Senza esitare oltre, cominci la finale!»
 
In quel momento, dopo aver sfrecciato ad alta quota nei cieli che sovrastavano l’intero continente, seguendo le indicazioni della mappa fornita loro dal Dr. Gero, i cyborg 17 e 18 si erano appena lasciati alle spalle la costa della Città del Sud. «Guarda, 18!» gridò alla sorella il giovane, col vento che gli scompigliava i lunghi capelli scuri. «La prima isola a partire dal continente… deve essere quella, l’isola Amenbo!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
In questo capitolo ho risposto ad alcune domande che un po’ tutti ci poniamo:
  • Perché nell’universo di Trunks del futuro sono usciti allo scoperto subito i numeri 17 e 18, e non 19 e 20?
  • Che fine ha fatto C16? Perché non lo hanno riattivato anche se era a portata di mano?
  • Perché nel futuro di Trunks i due gemelli erano più deboli pur essendo più scatenati, al punto che Gohan e il figlio di Vegeta hanno resistito per tanti anni contro di loro?
  • Altra curiosità. I nomi proposti da Kaya per il figlio di Crilin e Soya sono pietanze basate sulle castagne: sono giochi di parole col nome di Crilin che – in giapponese – contiene la parola “kuri” (=castagna). Stessa cosa vale anche per il nome Marron che nel vero Dragon Ball è la figlia di Crilin e 18.
Citazioni:
  • Il titolo cita il motto del mitico Team Rocket, dei Pokèmon;
  • La battuta di Crilin “e allora lo vedi che la cosa è reciproca?” è presa da un film di Carlo Verdone (“Bianco Rosso e Verdone);
  • “Beati coloro che si sbronzano tra loro” è tratta dal film Disney Gli Aristogatti;
  • Alcune battute del risveglio di 17 e 18 sono prese dal manga.
  
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