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Autore: Rouge9    04/11/2013    3 recensioni
"Le truppe erano dimezzate, ma chi era rimasto in vita, ognuno di loro, sapeva di valere per dieci, venti o cento uomini che erano invece stramazzati al suolo poche ore dopo l'inizio della battaglia. E questo lo sapeva bene anche il generale Marcus Iunius Rubeus, che dopo 40 ore combatteva con lo stesso fervore e decisione del giorno passato[...]."
Sangue, battaglie, passioni e amori ambientate nella favolosa antica Roma. Spero vi si riveli una storia con qualcosa di nuovo e appassionante. Che dire, buona lettura!
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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''Buongiorno''
Una voce flebile e dolce si avvicinò all'orecchio di Marcus, svegliandolo di soprassalto. Una figura snella e flessuosa comparve davanti al giaciglio di fieno e foglie dove era stato coricato. 
''Non ti muovere, ricordati che hai una lacerazione molto profonda al centro del petto''
Si toccò istintivamente il pettorale sinistro, notando che effettivamente era stata applicata una garza di lino grezza, la cui al di sotto, doveva esserci sicuramente un ''empiastro'' disinfettante di argilla rossa. Il dolore cominciava a farsi sentire sempre più prepotentemente.
''Chi sei tu?'' domandò con voce roca.
''Una fanciulla del posto'' rispose secca la ragazza, che nel frattempo stava preparando un impacco per la ferita.
''Questo l'avevo intuito'' si mise seduto a gambe incrociate alla fine del pagliericcio. ''Intendevo, come ti chiami?''
''Ryana, se tanto ti interessa'' disse avvicinandosi a lui e cominciando a scoprire la parte fasciata, guardandolo prima in volto, soffermandosi sugli occhi, verdi come il trifoglio, e poi scendendo sulle guance, su cui ad un lato, era presente una grossa cicatrice, probabilmente ricordo di qualche altra battaglia; e infine osservando le labbra, carnose e rosee, di un taglio decisamente sensuale. Per un attimo le sembrò di tremare.
''Sì mi interessava, almeno posso chiamarti per nome, Ryana'' continuandola a fissare mentre lei toglieva completamente il panno. 
''Ora mi sembra scortese non chiederti il tuo, di nome'' la ragazza sorrise, mostrando una dentatura perfetta e bianca come l'avorio, cosa molto rara fra la gente del posto. 
''Marcus Iunius Rubeus, generale della prima legione romana, guidata dall'imperatore stesso, Claudio''. Si morse un labbro dal dolore quando cominciò a disinfettare: il sangue prese a scendere per tutto il busto, fino ad arrivare all'intersezione fra il bacino e la gambe. 
''Dolore?'' chiese con gentilezza. 
''A dire la verità, non molto''. Era strano anche per lui che una ferita del genere durante la medicazione fosse, sì dolorosa, ma non così tanto: aveva ricevuto tagli più superficiali ma che gli avevano dato molta più sofferenza. 

Susseguì un lungo momento di silenzio quando lei stava bendando: Marcus osservava incantato le sue dita affusolate, come quelle di una donna patrizia, ma con i segni di chi di certo doveva lavorare, contrariamente alle matrone romane. Aveva un incarnato molto chiaro, quasi diafano. Il viso tondo era contornato da lunghi capelli biondi intrecciati con fiori e fili d'erba. Gli occhi erano intensi e scuri, come la terra bagnata. Voleva rompere quel silenzio dicendole qualcosa, ma nella tenda dove si trovavano entrò con irruenza qualcuno, che non riuscì a vedere perchè rivolto di spalle rispetto all'entrata.

''Allora, come sta questo bastardo romano?''

Era la voce di un uomo, calda e potente ma beffarda allo stesso tempo.
''Bene, grazie per il bastardo'' rispose Marcus girandosi. 
Gelò.
Ripercorse tutto quello che era successo durante la battaglia della notte precedente, e ricordava con chiarezza il volto dell'uomo, che non sapeva se definirlo così, con cui si era imbattuto e che poi lo aveva ferito facendolo cadere a terra.    
Era lui.
Fece un scatto, alzandosi in piedi e prendendo la spada dal fodero che gli era stato tolto e messo su un tavolo basso vicino a dove aveva dormito per tutto quel tempo.
''Stammi lontano, mostro!'' era spaventato e furioso.
''Dove sono i miei uomini, dov'è la mia legione, dove sono io?''
''Calmati'' lo guardò l'altro, con aria di sufficienza e continuò:
''Sì, sono stato io a ferirti e posso capire il tuo disappunto nel trovarti qui. Ma ascoltami attentamente: se non ti avessi preso e portato qui, a quest'ora eri a marcire sulle coste del fiume insieme ai tuoi altri compagni morti. Hai capito? Oppure, cosa molto più probabile, ti saresti risvegliato in preda al delirio, non capendo come potessi essere ancora vivo dopo che ti ho trapassato il cuore con i miei artigli, si hai capito bene artigli. Vedi che siete proprio dei bastardi voi romani?''
Lo sguardo di Marcus dopo le affermazioni di quel barbaro fu un misto fra disapprovazione e sconforto. Venir definito bastardo romano da quell' essere, che di certo non poteva essere umano, era piuttosto deprimente, ma facendo un rapido calcolo poteva dire che lui aveva ragione. La notte passata era effettivamente morto. L'aveva sentito. Ogni muscolo del suo corpo aveva avuto la certezza di essersi fermato, compreso il cuore lacerato. 
''Com'è possibile? Come avete fatto a salvarmi?'' chiese istintivamente, posando la spada in segno di arresa.
''Non ti abbiamo salvato. Il tuo corpo si è salvato da solo.'' rispose l'uomo.
''Chi sei? Cosa sei?'' continuò Marcus, senza ricevere nessuna risposta.
''Posso avere una risposta? Ho delle domande cazzo! Come fate a parlare il latino, siete barbari! Gente sconosciuta, voi non dovreste sapere nemmeno come siamo fatti noi Romani'' 
L'uomo, che stava uscendo, fece un passo indietro e si girò di scatto.
''Sono Budoc, capo di questa comunità. Il mio nome significa letteralmente il vittorioso, perchè come hai potuto vedere tu stesso, non perdo mai. Parliamo il latino perchè non siamo completamente bretoni io e mia sorella Ryana. Nostra madre proviene dalla Gallia, e come sai bene, quella è stata completamente invasa da voi. Vuoi sapere cosa sono? Lo vuoi veramente sapere?''
Si guardarono intensamente.
''Sì, lo voglio sapere''
''Anche se verrai a sapere quello che sei, da ora in poi, tu?''
''Ma cosa stai dicendo?''
''Sono un licantropo, un lupus hominarius, come dite voi bastardi''
''Esistono solo nelle leggende''
''Ma se l'hai visto tu stesso il mostro che sono diventato durante la notte di luna piena''
''E cosa dovrebbe c'entrare con me?''
''Bè, ti ha ferito, mortalmente. Tu non saresti vivo. Sei stato letteralmente trasformato da mio fratello. L'ha fatto quando ti ha forato il ventricolo destro. Saresti morto dissanguato e biasimo i tuoi compagni che ti hanno lasciato morente sul campo di battaglia, effettivamente il tuo cuore ha cessato di battere per almeno tre o quattro ore. Solo all'alba ha riniziato a pompare il sangue. Solo quando il siero contenuto negli artigli di Budoc è entrato in circolo e ha rimarginato completamente il foro. Ora sta facendo il resto, entro due o tre giorni sarai completamente guarito.'' Si intromise Ryana, che con riluttanza di Marcus, sapeva bene ciò che diceva, e le stava credendo. 
Ebbe un forte capogiro. Cominciò a pensare a cosa era o cosa sarebbe diventato da lì a poco. Come la sua vita fosse cambiata nel giro di ventiquattr'ore. Un giorno sei una persona, e l'altra... sei un mostro, un' animale. Un uomo a metà. 
''Allora? Mi pare che non l'hai presa molto bene'' gridò Budoc scoppiando in una fragorosa risata. ''Bè, sappi che anche io all'inizio ero spaventato...''
''Non sono spaventato''
''Incredulo? Mettila come ti pare. Ma sappi, che prima o poi ci farai l'abitudine, comincerai a convivere con il tuo nuovo essere e sarà molto soddisfacente da alcuni punti di vista, ma da altri... sarà un inferno.''
''Un'ultima domanda''  esordì Marcus ancora sbigottito.
''Questi cambiamenti... questa trasformazione... avrà effetto subito o dovrò aspettare la luna piena per rendermi conto di cosa sono realmente?''
''No, quello che accade durante la luna piena è solo la ciliegina sulla torta. Ti senti  abbastanza forte da poter uscire? Io ti vedo abbastanza in forma, non sei più pallido come sta mattina mentre dormivi, ti vedo forte. Sei forte. Anzi mi dovrei complimentare con te, avevi quasi la mia stessa forza durante la battaglia, ed eri un semplice umano. Non oso immaginare come potrai essere ora''
Non sapeva cosa rispondere. Grazie? Perchè era un abile soldato, un generale? Era quello che aveva fatto per tutta la vita, da quando era nato fino a quelli che erano ormai i suoi 29 anni.
''Comunque, sì, sono abbastanza forte, certo la benda prude ma è relativo. Non so cosa dirti... grazie'' era raro che ringraziasse qualcuno così apertamente.
''E di cosa? Per averti ammazzato? Non ne avevo intenzione comunque, è stato istintivo. Non avrei mai voluto trasformarti. Rendere forte se non invincibile un nemico è da pazzi, giusto? Ma ora sei qui con noi, nel tuo sangue scorre anche un po' del mio ora. Quindi, seguimi, fratello bastardo.''
Rimase interdetto da quel fratello. Non se l'era mai sentito dire. Era figlio unico, cresciuto da solo, senza madre e con un padre generale anche lui. Non l'aveva mai nemmeno chiamato per nome, solo soldato, o al massimo nei momenti di tenerezza, figlio mio.
''Il grazie era per il complimento'' 
''Ho detto la verità, vuoi seguirmi o no fuori da questa tenda?'' gli disse tirandogli addosso un indumento che portava anche Budoc.
''Cosa sono?'' li guardò girandoli cercando di capire la loro funzione.
''Sono brache, pantaloni. Si infilano da sotto, metti le gambe nei due pezzi di stoffa e il gioco è fatto''
Si infilò quelle brache, che erano effettivamente comode, ma di un colore molto acceso, un azzurro che ricordava il mare nei giorni più caldi e soleggiati: risaltava benissimo con il colore dei suoi capelli; e sopra indossò un mantello bianco di cotone stretto con una grossa fibula d'oro. 
''Possiamo andare?'' lo squadrò Budoc
''Sì, direi proprio di sì''

Uscirono dalla tenda uno appresso all'altro. Il sole era al massimo del suo splendore, riscaldando e illuminando il posto rendendolo più bello di quello che già era: si notava la gente seduta fra i grossi banchi, che si cibava e discuteva in quella lingua strana che doveva essere il celtico, vestita di quei bizzarri colori che andavano dal verde smeraldo, che si mescolava con il colore dell'erba fresca, al rosa ciclamino, che invece risaltava rendendo il tutto più allegro. Un ragazzino in un angolo leggeva un libro, scritto con quei strani simboli che loro chiamavano rune. Dall'altro un uomo molto più alto degli altri suonava uno strumento a fiato, emanando una musica leggiadra che alcune ragazze del posto stavano intonando e ballando con le loro gonne a campana che a qualunque movimento, rispondevano e giravano su se stesse. Marcus chiuse un attimo gli occhi per assaporare al meglio gli odori e i suoni: riusciva a percepire qualunque cosa, anche il minimo bisbiglio, anche l'odore di quella carne lontana metri che stava arrostendo su un grosso braciere di pietra, anche i tonfi dei battiti cardiaci, anche quell'odore che lo nauseava e inebriava allo stesso tempo, che ricollegava alle trincee: sangue; nello stesso istante cominciò a provare un intenso dolore alla mandibola, all'altezza dei canini inferiori. Budoc lo vide e con fare da mentore gli disse ''Tranquillo, pian piano passerà, all'inizio l'odore del sangue fa questo effetto, imparerai a controllarti'' 
''Perchè mi succede questo?'' 
''Perchè noi lupi, possiamo fare a meno del sangue umano, o della carne umana, ma ci piace molto, ne siamo ghiotti, e la nostra regola naturale ci obbliga a cibarci almeno una volta al giorno di carne cruda, fresca. Ci rende più forti, moriremmo altrimenti, una specie di denutrizione se così la vogliamo intendere.''
L'affermazione che il capo clan ammise a Marcus lo rese inquieto. Sarebbe diventato un cannibale? Il pensiero di ciò gli dava allo stomaco, ma quello che aveva sentito prima  non gli aveva fatto proprio lo stesso effetto. Ricominciava il dolore ai canini. 
''Vieni, entriamo nella mia tenda, ti voglio presentare qualcuno'' gli fece cenno Burdoc di entrare insieme a lui.
La tenda era spaziosa, acconciata con pelli di cervo e orso e ben illuminata da un foro coperto da una piccola tenda arancione; una donna era china su una grossa pentola, mentre serviva in grosse ciotole  una zuppa di carne suina e verdure. 
''Glenys, vieni qui, ti voglio presentare un mio nuovo fratello''
La ragazza posò l'ultima ciotola e venne incontro ai due: era estremamente bella. Aveva dei tratti leggermente diversi dagli altri: più scura e con un taglio degli occhi più mediterrano; il colore dei capelli ricordava quello del grano maturo in agosto, e ricadevano in un criniera riccia che arrivava, per poco, sotto il seno. 
''Fratello, questa è la mia fidanzata e tra pochi mesi futura moglie'' disse abbracciandola da dietro.
''Piacere, Glenys, tu devi essere... Marcus? Per essere un romano sei veramente alto, sei quanto mio marito!''
''Sì, sono io'' disse nel modo più affascinante possibile. Quella ragazza gli aveva fatto perdere la testa. Ripeteva a se stesso che era la futura moglie del suo fratello, di quello che poteva considerare un amico.
La voce profonda del romano effettivamente aveva fatto presa su Glenys che abbassò lo sguardo e risgattaiolò davanti a quello che sarebbe stato il pranzo, disponendolo sul tavolo all'esterno in modo ordinato. Le ultime parole che sentì pronunciarle furono ''Potete venire a pranzare''.
In pochi minuti arrivarono altre persone che dovevano far parte della grande famiglia di Budoc: Sarane la sorella più piccola, Morvan il fratello gemello di Budoc, che era identico ad esso, solo con i capelli molto più lunghi sempre di quel colore biondo cenere e senza barba, con sua moglie Alexina e le sue due bambine, Blaez, il fratello di Alexina e risbucò Ryana, uscendo da un'altra tenda insieme a un'altra ragazza ferita che aveva finito di medicare. Durante il pranzo chiacchierarono parecchio, scoprendo con piacere che tutti sapevano il latino, chi più e chi meno, e approfittarono a imparargli anche qualche parola in celtico. Era un bell'ambiente: Marcus si sentiva più a casa lì che nella sua casa a Roma. Roma, casa, famiglia. Si era dimenticato anche di averne una,  o meglio, si era dimenticato di avere una moglie, sposata sotto costrizione del padre per affari economici. Avrebbe preferito essere un plebeo solo per sposarsi per amore. Continuarono a parlare e discutendo anche di affari interni al clan, raccontando le avventure e gesta eroiche in battaglia, scoprendo che Blaez e sua sorella Alexina erano due mannari proprio come lui e Budoc e tutto ciò sotto lo sguardo vigile e ipnotizzato di Ryana, che non smetteva di fissare Marcus, che sapeva di essere una bella presenza, ma non così tanto da poter esser fissato ininterrottamente per tre quarti d'ora. Era comunque lusingato da quello sguardo profondo. 
''State per andare a caccia?'' esordì Sarane, con il suo fare ancora acerbo, da ragazzina di soli 16 anni.
''Sì, io ho fame di carne fresca''
''Vorrei venire''
''No, te lo scordi Sarane! Non puoi venire con noi, è pericoloso, lo sai bene''
''Quando ti deciderai a trasformarmi Budoc? Io voglio essere come voi'' 
''Smettila di fare l'idiota, Sarane!'' esclamò Morvan ''Quando capirai che la loro è una maledizione?''
''Dici così solo perchè tu non sei come loro, e non li capisci'' 
''Smettetela immediatamente'' la voce tagliente e decisa di Ryana si fece largo. 
''Ognuno di noi ha scelto, tu...'' indicando Sarane ''...rispetta tuo fratello perchè è più grande, e tu...'' indicando Morvan ''...rispettala per le sue decisioni, che per te siano sbagliate o meno''
Entrambi abbassarono lo sguardo, zittiti dalla sorella di mezzo. 
''Andiamo dai, puoi correre fratello?'' chiese Blaez a Marcus, che fin dal primo momento avevano stretto un buon legame. 
''Sì, certamente!'' 
''E allora comincia a correre, vedrai di cosa sei capace''
I quattro mannari cominciarono a correre, più veloci del vento se non della luce. La spinta che Marcus riceveva dalle gambe non riusciva nemmeno bene a direzionarla,pensò che era un problema nello stesso momento in cui si sarebbe dovuto fermare, ma per quei pochi attimi continuò a godersi quel momento con il vento in pieno volto, così caldo che sembrava lo cullasse. 
Si fermarono al centro del bosco, e in preda alla foga Marcus, per rallentare, si buttò direttamente a terra, non sapendosi controllare. Si guardarono tutti negli occhi e capirono che dovevano rimanere in silenzio. Cercavano la prossima vittima. Carne fresca, sangue che scorreva nelle vene, massacro. Udirono il  rumore degli zoccoli di un cavallo, doveva essere di grossa taglia per il gran fragore che creava: passò correndo proprio davanti ai loro occhi, e Blaez, più veloce di tutti, gli saltò addosso e lo atterrò con un solo calcio. L'animale si accasciò sul terreno provocando un enorme tonfo che riecheggiò per tutta la foresta; il ragazzo guardò prima gli altri e poi  la sua preda: il suo viso diventò simile a quello di un lupo con fattezze umane, e spuntarono dietro al suo labbro inferiore due enormi canini che affondò in prossimità della giugulare dell'animale, cominciandolo a squarciare come un pupazzo di pezza e spolpando la carne dalle ossa in pochi bocconi. Per chi era umano quella scena doveva risultare vomitevole se non macabra, ma per Marcus fu l'input per cominciare a cercare una preda: voleva fare la stessa cosa, lo voleva senza indugi: il suo istinto glielo suggeriva. Chiuse gli occhi e cominciò a cacciare insieme agli altri, doveva concentrarsi sull'udito per capire da che direzione arrivasse. Riprese a correre e sentì il calore dell'animale. Non passò nemmeno un secondo da quella sensazione al momento del salto su di essa: sentì i canini riaffiorare e squarciò allo stesso modo di come aveva visto fare. Riaprì solo alla fine gli occhi. Per sua sfortuna, si maledisse di non averlo fatto prima. Quello di cui si era cibato non era un predatore della foresta.

Era un uomo. 
  
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