Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: 1rebeccam    04/11/2013    15 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






 
Capitolo 5


 
 
-A noi due mia cara, prometto che non indugerò più del dovuto!-
Con la mano ricoperta dal guanto di lattice, accarezza i capelli della donna sospirando.
-So che può sembrarti crudele quello che sto per fare, ma sarai proprio tu ad aiutarci a trovare l’essere che ti ha fatto questo, il tuo corpo ha tante cose da dirmi...-
La dottoressa Parish si avvicina a Geraldine Prescott e con estrema cura solleva il lenzuolo che la ricopre.
Il cadavere si trova sul tavolo d’acciaio del suo laboratorio da circa dieci minuti.
Si prende un attimo per indossare il camice, preparare la macchina fotografica e i ferri per l’autopsia e mentre sistema tutto in religioso silenzio, raccoglie i pensieri e aguzza l’attenzione, per essere pronta a non tralasciare niente che possa portare alla verità.
Ogni volta per lei è come un rito.
Nel suo obitorio arrivano ogni giorno persone diverse, di diversa razza e credo e non importa chi o cosa siano stati in vita, davanti a lei sono tutti uguali: persone strappate in modo violento alla vita, ai propri cari e perché no, anche alla propria solitudine e ognuno di loro, indistintamente, merita di trovare la pace.
Toglie del tutto il lenzuolo e lo ripiega mettendolo da parte.
Accende il registratore e procede a toglierle i vestiti. Le sbottona i pantaloni, glieli sfila con cura, li ripiega e li ripone dentro la  busta trasparente delle prove, la stessa cosa fa con la maglia, ma quando sta per toglierle la biancheria intima resta bloccata a guardare il corpo davanti a lei.
Si china sull’addome della donna e le passa le dita guantate sulla pelle. Senza fiatare, prende la macchina fotografica e scatta delle foto da diverse angolazioni. Avvicina la lente d’ingrandimento e dopo avere analizzato ogni centimetro di pelle dal reggiseno agli slip, ricopre il corpo con il lenzuolo, prende il telefono e comincia a digitare.
 
La sua postazione è lontana dalle finestre e questa cosa la innervosisce parecchio.
Si chiede il perché mentre, seduta con il gomito sulla scrivania e il mento appoggiato sulla mano chiusa a pugno, continua a guardare verso una di esse, colpevole di essere tanto distante da impedirle di guardare fuori.
Nonostante sappia che la finestra non ha colpa e che non può vedere cosa succede al di là del vetro, non riesce a spostare lo sguardo da quel rettangolo chiuso ermeticamente.
Sente perfettamente il suono di una voce, ma non riesce a cogliere il senso delle parole, perché anche le orecchie sono impegnate a cercare di captare qualcosa al di fuori di quella finestra.
Sono rientrati al distretto da un paio d’ore. Per tutto il tempo che lei e Castle sono stati in giro per interrogare la commessa della gioielleria, il proprietario del bar di fronte al negozio e il personale di sorveglianza del piano del centro commerciale, non ha fatto altro che guardarsi alle spalle. La sensazione di sentirsi osservata non l’ha abbandonata nemmeno per un istante e anche adesso, seduta alla sua scrivania del distretto, continua a guardare la finestra con l’impulso di alzarsi e affacciarsi a guardare… guardare per vedere… cosa… chi!?
-Allora? Vuoi rispondere?-
Il suono della voce divenuto più acuto la riscuote, si volta a guardare l’uomo davanti alla lavagna che la osserva imbronciato  con il pennarello in mano e torna vigile sull’attenti.
-Rispondere… certo!-
Dice a tono.
Se solo avessi sentito la domanda!
Cerca di concentrarsi e fare mente locale; magari tra il suono incomprensibile delle parole pronunciate dall’uomo imbronciato davanti a lei, sarebbe riuscita a scorgere la domanda che le ha fatto. Lui di conseguenza sospira e fa segno verso la lavagna, battendoci sopra con il pennarello.
-Mi hai chiesto di improntare il caso con i pochi dati raccolti fino ad ora per studiarli man mano, ma tu sei in un altro mondo.-
La punta con il pennarello e socchiude gli occhi fino a farli diventare due fessure.
-E vorrei sapere quale mondo, visto che non contempla il caso e, soprattutto, non contempla me!-
Lei corruccia la fronte, sorridendo subito dopo per lo sguardo pseudo arrabbiato di Castle.
-Allora, ho dimenticato qualcosa?-
Continua lui, mostrandosi profondamente professionale. Lei si alza, fa il giro della scrivania e ci si siede sopra per avere una visuale migliore.
-Per ora c’è tutto, il che non è molto.-
Lui annuisce, si libera del pennarello e appoggia il braccio al bordo laterale della lavagna.
-Si può sapere che hai Kate? Sei distratta.-
Lei fa l’espressione stranita, come a dire ‘io… distratta?!’ e lui continua senza darle il tempo di rispondere.
Hai voluto che scrivessi io sulla lavagna e tu eri completamente lontano da qui.-
-Ma non dire sciocchezze. Ti ho chiesto di scrivere perché tu hai una bella calligrafia, scrivi ordinato…-
Guarda la lavagna e allunga le braccia verso di essa gesticolando con le mani.
-Si nota subito che hai una certa dimestichezza con l’impaginazione… così è tutto più chiaro!-
Lui guarda prima quello che ha scritto e poi lei.
-Mi stai prendendo in giro?-
Lei scuote la testa seria.
-Non mi permetterei mai, dico sul serio! Sembra di guardare una stampa ingrandita e non una scrittura a mano…-
Castle annuisce.
-Mi stai prendendo in giro!-
Afferma avvicinandosi a lei, ma invece di mostrarsi divertito per il tentativo di spirito della sua donna, diventa stranamente serio.
-Davvero Kate… che c’è che non va?-
Lei resta spiazzata dai suoi occhi ad un paio di centimetri di distanza e ribatte con la sua stessa espressione.
-Davvero Castle… non so che cosa intendi.-
Cerca di abbassare lo sguardo, ma lui le si siede accanto, continuando a tenerle gli occhi addosso.
-Da quando siamo arrivati non fai altro che guardare verso le finestre e anche mentre eravamo in giro, ti guardavi  indietro, come se ti aspettassi di vedere sbucare un’orda di zombie alle tue spalle… che ti succede!-
Kate apre la bocca senza riuscire a darle fiato, sentendo il vibro del suo cellulare.
‘C’è una cosa che devi assolutamente vedere di persona, fa presto!’
Salvata in corner dal medico legale. Sarebbe stato arduo cercare di spiegargli la sua sensazione, anche perché non riesce a darle un senso nemmeno lei.
-Lanie ci vuole in laboratorio.-
Dice saltando giù dalla scrivania, mentre lui sbuffa seguendola sull’ascensore.
-Il discorso non finisce qui… voglio sapere che hai… e credimi, prima o poi sputerai il rospo!-
Le dice tenendo lo sguardo fisso sulle porte chiuse dell’ascensore, facendola sorridere.
Entrati nel regno della dottoressa Parish, la trovano intenta a scrivere al computer.
-Lanie…-
La chiama Beckett e lei solleva la mano senza voltarsi come a chiedere un attimo di pazienza, pigiando un altro paio di tasti sul pc.
-Fatto!-
Esclama alzandosi dalla sua postazione per raggiungere i colleghi.
-Ti ho appena mandato delle foto del cadavere per e-mail, così le potrai usare per la tua lavagna e aggiornare il resto della squadra.-
Beckett sposta lo sguardo sul corpo di Geraldine Prescott, rendendosi conto che è ancora intatto e corruccia la fronte non riuscendo a capire.
-Non hai ancora cominciato l’autopsia? Credevo avessi già i referti preliminari… perché ci hai voluto qui!?-
La donna solleva il dito indice e si avvicina al cadavere.
-Stavo per mettermi all’opera, quando ho visto una cosa che potrebbe anche essere più importante dell’autopsia stessa e che, ad essere sincera, mi ha lasciata parecchio perplessa. Volevo che la vedessi di persona… prima di rovinare l’opera!-
Castle e Beckett si guardano e poi tornano ad osservare lei.
-Allora? Cosa può essere più importante di un referto autoptico?-
La sprona Beckett. Lanie solleva il lenzuolo dal corpo della ragazza e lo ripiega fin sotto la vita, facendo segno con la mano sull’addome.
-Questo!-
Esclama, guardando attentamente l’espressione dei suoi amici e annuendo a se stessa, quando nota il loro sguardo corrucciato e stupito.
-Si. Ho fatto anch’io quell’espressione quando le ho tolto i vestiti. E’ stata scritta a mano con un pennarello indelebile a punta grossa.-
Beckett continua a guardare l’addome della ragazza, storce le labbra e si avvicina per vedere meglio, ma è Castle che trova il coraggio di leggere a bassa voce e lentamente le parole materializzatesi davanti a loro, sulla pelle di Geraldine Prescott.

 
-Quando esalerai il tuo ultimo respiro, io ti sarò vicino, talmente vicino che sentirai il mio addosso a te…-
 

-Inquietante vero?-
Chiede la dottoressa continuando ad osservare Kate intenta a leggere e rileggere la frase scritta sull’addome della ragazza.
-Più che inquietante, direi che è strano. L’ha uccisa, mi sembra logico che le fosse vicino quando è morta, perché sottolinearlo?-
Lanie ricopre il corpo con il lenzuolo e annuisce.
-Ho mandato delle foto al perito calligrafo, magari ci può dare qualche indizio in più sul killer. Gli ho chiesto la priorità, dovrebbe farmi sapere qualcosa tra un paio d’ore. Ora lasciateci sole, Geraldine ha parecchie cose da dirmi e non voglio farla aspettare oltre.-
Sistema i capelli della ragazza con dolcezza e sorride.
-Vero tesoro che hai qualche segreto importante da svelare?-
Beckett sorride scuotendo la testa.
-Perché quell’espressione detective!? Non lo sai che i miei amici parlano e ascoltano anche?-
Stavolta è Castle a sorridere.
-Ben detto dottor Mallard!-
Esclama provocando nella dottoressa una piccola risata, mentre Kate passa lo sguardo dall’uno all’altra con l’espressione confusa e Lanie schiocca le dita per attirare la sua attenzione.
-Ducky… hai presente!?-
Kate continua a non rispondere e Castle alza gli occhi al cielo, sospirando.
-Beckett, tu hai bisogno di una maratona intensiva di NCIS… al più presto.-
-Un telefilm! E’ di questo che state parlando?-
Sbuffa dirigendosi verso l’uscita.
-Sbrigati ad ascoltare quello che ha da dirti Lanie, perché siamo ad un punto morto… andiamo Castle!-
Lui solleva le spalle e saluta Lanie con un cenno della testa, rincorrendo Beckett che è già entrata dentro l’ascensore. Superato il primo piano preme il pulsante che blocca la cabina e lei lo guarda stranita.
-Che ti prende?-
-L’agente speciale Leroy Jetro Gibbs blocca l’ascensore e lo usa come ufficio personale per le riunioni segrete, quando non vuole attorno occhi e orecchie indiscreti.-
Le risponde sollevando un sopracciglio, cosa che fa anche lei.
-Ancora NCIS?!-
Lui annuisce e lei appoggia le spalle alla parete.
-E dimmi… che riunione segreta hai in programma al momento agente speciale Castle?-
Gli chiede storcendo le labbra, mentre lui si sposta di fronte a lei avvicinandosi pericolosamente. Struscia il naso contro il suo e poi devia, appoggiando le labbra al suo orecchio.
-Credo che tu abbia un impellente bisogno di una boccata di ossigeno…-
Lascia la frase in sospeso per guardarla intensamente.
-…per tranquillizzarti… anche se non ho ancora capito da cosa!-
Lei sorride e gli mette le mani sul viso.
-Mi piace l’idea della riunione segreta ogni tanto… questo Gibbs deve essere un bel tipo! -
Gli dà un bacio a fior di labbra, ma quando lui la stringe a sé, gli attorciglia le braccia al collo e si assaggiano piano, con calma, assaporando l’attimo di silenzio intorno e prendendo ossigeno dai loro respiri. Si staccano di malavoglia sorridendo e  continuando a guardarsi negli occhi.
-Riunione finita?-
Sussurra Castle sulle sue labbra e lei annuisce sistemandosi i capelli. Lui controlla di non avere sbavature di rossetto sulle labbra e preme il bottone del quarto piano sorridendo, ed è in questa manciata di secondi che lei si sofferma a guardarlo.
Sorride tra sé, pensando a quanto avesse davvero bisogno di quella boccata d’ossigeno, come l’ha definita lui. Anche un solo piccolo contatto l’ha fatta sentire al sicuro, lontana da quella sensazione opprimente che si porta dietro dalla mattina e che lui  ha percepito. Nonostante la sua corazza, Castle ha sempre avuto la capacità di capire ogni sua esigenza, ogni sua paura, ma adesso è lei che non riesce più a nascondersi ai suoi occhi. La corazza è caduta e ha destabilizzato il suo equilibrio.
Si accarezza ancora una volta il polso orfano dell’orologio e sussulta leggermente quando il campanello dell’ascensore le annuncia che sono arrivati a destinazione.
Seduti alle scrivanie trovano Ryan ed Esposito ad attenderli, rientrati dal loro giro d’indagini.
-Ehi Beckett… notizie da Lanie?-
-Sta iniziando adesso l’autopsia, ma ha mandato delle foto interessanti.-
Entra nella sua mail, stampa le foto della scritta e le mostra ai colleghi, mentre Castle ne attacca una  sulla lavagna.
-Allora Beckett? Aggiornamenti sul caso!?-
Chiede il capitano Gates uscendo dal suo ufficio e avvicinandosi alla squadra.
-Non molti signore. Aspetto ancora il referto dell’autopsia, l’unico indizio in più è questo.-
Le porge una copia delle foto e continua.
-Pare che il killer abbia scritto questa frase sull’addome della vittima, avremo i risultati dei test calligrafici in giornata.-
La donna legge attentamente la frase e corruccia la fronte.
-Cosa può significare?-
Beckett scuote la testa e resta a fissare la foto sulla lavagna.
-E chiaro che è un messaggio, ma il significato… non saprei, signore…-
Il capitano annuisce pensierosa.
-Che altro abbiamo?-
-Pochissimo. Dallo scontrino ritrovato sulla scena del crimine, sappiamo che la Prescott ha comprato una catenina d’oro bianco con un ciondolo a forma di edera tre giorni fa, un regalo per il compleanno della sua migliore amica, almeno questo è quello che ha detto alla commessa, che si è ricordata bene di lei. Non ha notato nulla di strano quando la ragazza è uscita dal negozio, ma questo non significa niente, visto che il centro commerciale era pieno di gente e lei era impegnata con altri clienti. Pare che il ciondolo sia l’unica cosa che manchi dall’appartamento.-
La Gates si sofferma a leggere le notizie riportate sulla lavagna.
-Non ha rubato nient’altro, quindi si è portato via il ciondolo come cimelio!-
Esclama guardando Beckett.
-E voi due cos’avete scoperto da colleghi e conoscenti?-
Chiede a Ryan.
-Niente di più signore. Non ha mai avuto alterchi con nessuno, né sul lavoro, né con i condomini e nessuno ha notato in lei comportamenti strani negli ultimi giorni.-
Il capitano torna a guardare la lavagna con espressione seria.
-In pratica non abbiamo nulla su cui lavorare. L’unica cosa evidente è che l’assassino non doveva essere nella cerchia delle sue conoscenze e che sicuramente l’ha tenuta d’occhio per un po’, visto che sapeva di potere entrare nel palazzo tranquillamente.-
-Esatto signore...-
Risponde Beckett e la Gates si volta finalmente a guardarla, si toglie gli occhiali e appoggia una delle stanghette ad un lato della bocca.
-Magari è uno stalker! L’ha seguita per un certo tempo e quando si è fatto avanti, la cosa è degenerata.-
Afferma senza troppa convinzione.
-Lei che teoria si è fatto venire in mente signor Castle?-
Lui si schiarisce la voce un istante, perché non si aspettava di essere tirato in ballo. Era raro che Iron Gates chiedesse la sua opinione e ancora più raro che si fermasse ad ascoltarla.
-Beh… ad essere sincero… io non credo alla teoria dello stalker.-
La guarda in silenzio e lei gli fa cenno di continuare.
-Voglio dire, guardi la dinamica dell’omicidio. Uno stalker che decide di farsi avanti, dopo giorni e giorni di appostamenti e pedinamenti, ad un rifiuto del soggetto delle sue attenzioni reagisce con rabbia. Poteva schiaffeggiarla, colpirla d’impeto, distruggere ogni cosa dentro l’appartamento per ripicca e con l’intento di farle del male.-
Porta lo sguardo sulle foto della camera da letto e sul corpo senza vita di Geraldine Prescott.
-No… uno stalker non uccide così e soprattutto non mette in ordine.-
Riflette un momento, spostando lo sguardo sulle parole scritte sul corpo.
-E poi quella frase…-
La Gates lo sprona a continuare con un gesto della mano.
-Quella frase?-
Castle prende respiro e si posiziona davanti alla foto, additando la scritta.
-I verbi sono coniugati al futuro. E’ sicuramente un messaggio, ma non credo che l’abbia scritto per Geraldine!-
Si ferma un attimo a passare in rassegna lo sguardo corrucciato dei presenti e continua prendendo la foto in mano.
-Se il messaggio fosse stato destinato alla vittima, avrebbe scritto al presente: mentre tu muori, io ti sono vicino… o qualcosa del genere… e poi perché nasconderlo sul suo corpo? Perché non scriverlo in bella mostra da qualche altra parte?-
Scuote la testa convinto e attacca di nuovo la foto alla lavagna additandola.
-No, questo messaggio è per qualcun altro!-
Dopo un momento di silenzio, Beckett lo guarda dritto negli occhi.
-Se quello che dici fosse vero, dovremmo aspettarci un altro cadavere. Se ha scritto il messaggio per qualcun altro, è evidente che non ha ancora finito, che la Prescott non è solo la vittima casuale di un pazzo qualunque…-
-…ma la prima vittima di un serial killer!-
E’ proprio la Gates a finire la frase, portando lo sguardo su ognuno di loro.
-Non corriamo troppo però, non fomentiamo la stampa con l’idea del serial killer, meglio aspettare i referti dell’autopsia e indagare ancora sulla vita privata della ragazza, anche se qualcosa mi dice che lei non si sbaglia signor Castle!-
Lui si gira di scatto a guardarla e sgrana gli occhi.
-Sul serio? Dice davvero!?-
Il capitano lo guarda seria.
-Se le sue teorie sono legate all’esistenza terrena e non galattico/stellare, posso permettermi di concordare con lei, anche se la cosa non mi alletta per niente, vista la gravità della situazione…-
S’incammina per tornare al suo ufficio e senza voltarsi solleva la mano sventolando gli occhiali.
-Non mi piace questo caso, ha qualcosa di troppo strano e se davvero dovessimo trovarci di fronte ad un killer seriale, vediamo di trovarlo presto!-
-Come se la cosa fosse semplice, lei schiocca le dita e noi troviamo il colpevole!-
Sussurra Ryan passandosi le mani sul viso, mentre Castle torna a sedersi sulla scrivania insieme a Kate e sospira.
-E’ d’accordo con me! Devo aspettarmi una catastrofe?-
Esclama pensieroso e Beckett gli dà una spintarella con la spalla.
-26 febbraio 2013… segnalo semplicemente sul calendario Castle, senza fare il melodrammatico!-
 
 
Era passata una settimana da quando il Professore aveva messo a punto l’ultima versione della formula.
Dopo avere dosato la quantità delle sostanze sintetizzate e averle mescolate con altre, aveva ottenuto un liquido di colore azzurro.
Aveva chiesto ad Abraham di portargli un’altra cavia, lui ne aveva scelto una a caso ad occhi chiusi, per non fare torto a nessuna di esse e, a malincuore, gliel’aveva consegnata.
Era rimasto a guardarlo mentre la pungeva con la punta di un ago che aveva intinto appena nella pozione mortale; strinse la mascella mentre il topino si dimenava e dopo qualche minuto lo mise in una gabbietta da solo.
Il Professore si sedette e con la sua cartellina alla mano, cominciò lo studio del piccolo animale, pronto ad annotare ogni reazione e cambiamento.
Dopo un giorno il topino aveva cominciato a camminare in modo strano, ma solo per poco tempo. Dopo qualche sbandamento momentaneo riusciva a ritrovare l’equilibrio, camminare e correre in maniera normale.
Il giorno dopo i momenti di sbandamento si fecero più frequenti, mentre il giorno dopo ancora, cominciò a dare segni di stanchezza. Si muoveva poco, il minimo necessario per potere raggiungere la vaschetta con il cibo e l’acqua.
Dopo tre giorni era ancora vivo.
Il Professore si premurò allora di prelevare un campione di sangue per studiarlo.
Le cellule dell’apparato neurovegetativo avevano cambiato composizione e della tossina principale, che avrebbe dovuto portare alla morte, non c’era più traccia. Si era completamente dissolta nel sangue e, senza conoscerne la composizione iniziale, non si poteva capire immediatamente, senza uno studio approfondito, come fosse esattamente strutturata. Sospirò, cominciando a nutrire la speranza di essere riuscito nell’intento.
Il quarto giorno il topino cominciò ad emettere degli strani suoni, si rigirava nella gabbia, sbandava, a volte batteva perfino la testa tra le sbarre e questo era segno di dolore e sofferenza.
Abraham non riusciva a guardarlo, non riusciva ad accettare che il Professore potesse stare fermo lì, seduto a studiare quella povera bestiola, annotando ogni minuto del suo calvario.
Il quinto giorno il topino smise di mangiare e verso sera non si avvicinò più neanche all’acqua.
Per tutto il sesto giorno l’unico suo movimento si era limitato ad un respiro affannato e a qualche piccolo verso stridulo, segno di sofferenza atroce e all’alba del settimo giorno di studio, la piccola bestiola finì la sua agonia, smettendo di respirare.
Il Professore passò il resto del giorno a praticare l’autopsia sulla bestiola, studiando organi interni, muscoli e nervi. Il resto della notte era rimasto a rivedere le annotazioni che aveva preso durante l’osservazione attenta e continua della cavia e la mattina dopo chiamò Abraham con il sorriso sulle labbra.
-Ce l’ho fatta… amico mio ce l’ho fatta!-
Lui continuava a parlare eccitato, mentre Abraham s’imponeva di ascoltarlo senza giudicare l’atrocità che stava per portare a termine.
-La cavia è morta in sette giorni. Ho fatto dei calcoli precisi rapportando il suo peso e le sue funzioni vitali a quelle di un essere umano e sono giunto alla conclusione che ho esattamente quello che vuole Stephan.-
Abraham strinse i pugni sospirando.
-Professore… lei si rende conto che non sarà un topo a morire?! Lo capisce che saremo complici nella morte di una persona?-
Il sorriso pieno di eccitazione dell’ometto con gli occhiali si spense di colpo, come se le parole del suo fidato amico lo avessero riportato improvvisamente alla realtà. Aveva lavorato tanto freneticamente per quella formula che aveva accantonato il vero problema: Stephan e la sua follia.
Si tolse gli occhiali e con un gesto ormai divenuto consuetudine, si asciugò il sudore, al momento inesistente, sulla fronte. Inforcò di nuovo gli occhiali e sospirò.
-Abraham… tu non capisci…-
-Cosa non capisco Professore!?-
L’uomo ricurvo, strinse i pugni ancora più forte e fece una smorfia.
-Quell’uomo è il diavolo… vedere morire quelle povere bestiole è un dolore terribile. Capisco che per un uomo di scienza sia una cosa normale fare esperimenti, ma proprio perché è uno scienziato non può e non deve accettare di mettere il suo cervello al servizio del male!-
Abraham parlava con disperazione e il Professore si lasciò cadere sulla sedia, accanto al bancone su cui aveva lavorato fino a quel momento.
-Abraham… Stephan non ha anima! Lui uccide per gioco, per sfida… vive dei suoi omicidi, si nutre delle sue idee malsane. Gli anni di carcere lo hanno costretto a vegetare ed è rimasto in vita con un solo scopo: uscire e mettere in atto la sua vendetta.-
-Che se la sbrighi da solo allora e lasci in pace noi!-
Abraham aveva quasi le lacrime agli occhi e il Professore scosse la testa violentemente.
-Non ci lascerà mai in pace… ci ammazzerebbe Abraham. Noi non stiamo uccidendo nessuno, noi stiamo solo agendo per legittima difesa. Se non gli do quello che ha ordinato, tu ed io saremo le sue prossime vittime.-
Abraham chinò il capo e rilassò i pugni.
-Vuole uccidere la donna che ha definito ‘l’eroina del suo libro’! Vuole davvero far soffrire così un essere umano… una donna?-
Il Professore si alzò di scatto, lo prese per il braccio e lo costrinse a guardarlo.
-A noi non interessa cosa vuole fare, a noi interessa solo restare vivi… per quanto misera possa essere la mia vita, io voglio continuare a viverla, insieme a te amico mio… sono stato chiaro?-
Abraham lo guardò con dolore e riconoscenza insieme e annuì.
-Chiaro Professore. Qualunque cosa decida, sa che io sarò sempre il suo umile servo.-
-No Abraham! Tu sei il mio buon amico… non dimenticarlo mai!-
Annuirono entrambi come sconfitti dalle loro stesse vite.
Abraham prese a sistemare i fogli su cui il Professore aveva studiato fino a quel momento. Si chiedeva come avrebbe funzionato quella diavoleria su un essere umano, quale sofferenza avrebbe provocato, a quale terribile morte avrebbe portato.
Il Professore lasciò l’amico da solo a sistemare il laboratorio e si rintanò nella sua camera.
Il capitolo che lo vedeva protagonista era ancora sul letto, aperto alla pagina che aveva letto e riletto più volte.
Si lasciò andare pesantemente e le frasi che conosceva ormai a memoria, gli passarono ancora una volta nella mente…
 

‘Il Professore aveva trovato la formula giusta, aveva avuto bisogno di qualche settimana, ma alla fine aveva fatto un ottimo lavoro. La pozione magica che aveva formulato per lui avrebbe ucciso nell’arco di 72 ore. La vittima avrebbe sofferto atroci dolori, nella consapevolezza che sarebbe morta senza possibilità di salvezza…’
 

Chiuse gli occhi e sospirò per l’ennesima volta, consapevole che nemmeno lui avrebbe avuto possibilità di salvezza, perché Abraham aveva ragione: sarebbero diventati complici di un terribile omicidio… senza speranza di espiazione.




Angolo di Rebecca:

Il Professore ce l'ha fatta, la "pozione magica" è pronta e Geraldine Prescott ha svelato il suo messaggio...
Ma la cosa inquietante non è questa... la cosa davvero inquietante è che la Gates, non solo ha ascoltato una teoria di Castle, ma gli ha anche detto che "potrebbe" avere ragione!!!

Baci *-* e grazie per la vostra attenzione :)


 
  
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: 1rebeccam