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Autore: potters_continuous    04/11/2013    2 recensioni
Kurt e Blaine non sanno più nulla l'uno della vita dell'altro dal giorno in cui il giovane Hummel è volato in Svezia. Dopo anni una serie di sfortunati eventi li porterà a riallacciare il loro rapporto e a chiedersi se, nonostante siano cambiate un'infinità di cose, per loro ci sia ancora una possibilità.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Blaine si sedette sul bordo del suo letto, prendendosi la testa tra le mani e tentando di autoconvincersi a non piangere. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che si era sentito così offeso da una semplice frase sussurrata da qualche sconosciuto. Guardò per un attimo la radio sveglia e, anche quando vide che era ormai passata la mezzanotte, non si stupì del fatto che Kurt non fosse ancora rientrato: si era finalmente convinto a raccontare il tutto anche a Rachel e Santana. Probabilmente era ancora rannicchiato sul divano di casa Lopez-Pierce a parlare, piangere e calmare le crisi isteriche della Berry. Scosse leggermente la testa per liberarla da quelle frasi che continuavano a rimbalzare nel suo cervello con risultati a dir poco penosi e sentì la prima lacrima calda scivolargli lungo la guancia. Affondò il viso nelle mani, perfettamente consapevole di quanto la sua reazione fosse esagerata, infondo si trattava soltanto di una stupidissima frecciatina sussurrata da una perfetta sconosciuta, eppure non riusciva a calmarsi. Forse perché stava accumulando decisamente troppo stress, forse perché si trattava di sua figlia, forse perché era soltanto un po’ triste, forse perché temeva che avessero ragione.
Si passò le mani tra i ricci umidi e si lasciò cadere sul materasso alle sue spalle, cercando di regolarizzare il respiro.
Era così assorto tra i suoi pensieri che quasi si spaventò, non appena sentì la voce di Kurt: “ Posso entrare?”
Blaine non era certo di volere che l’altro lo vedesse piangere, così pensò di fingersi addormentato, prima di rendersi conto che avevano dormito insieme un numero sufficiente di volte perché sapesse che non sarebbe mai riuscito a dormire con la luce accesa; sorrise malinconicamente al ricordo delle loro bisticciate quando avevano iniziato a convivere e del modo in cui era riuscito a convincerlo a tenere le luci spente.
“…Blaine?”
“Uhm…Sì, prego.” mormorò, non riuscendo a trovare una soluzione migliore e tirandosi nuovamente a sedere.
La porta cigolò leggermente, permettendo ad un Kurt, certamente più stanco e spettinato di quello uscito di casa la mattina, di entrare nella stanza. Blaine non alzò lo sguardo dalle venature del parquet, nonostante sapesse benissimo che gli occhi chiari dell’altro lo stavano fissando con fare indagatorio.
“Hey, tutto bene…?” domandò esitante, accarezzandogli leggermente i ricci scuri.
“S-sì…” mentì “… Com’è andata con le ragazze?” continuò, fingendo disinvoltura.
“Pinocchio, vuoi dirmi cos’è successo?” insistette, sedendosi sulla sedia della scrivania completamente incurante delle pile di vestiti accumulate su di essa.
“Non ce n’è bisogno… è una sciocchezza…” tentò.
“Blaine.” lo ammonì, togliendosi i fastidiosissimi stivali che bianchi che indossava.
 
Blaine controlla l’orologio sul suo cruscotto per l’ennesima volta, poi lancia uno sguardo carico d’odio all’auto bianca davanti a lui. Arriverà in ritardo per colpa del traffico. Un traffico che non sembra minimamente intenzionato a sbloccarsi. Un quarto d’ora dopo riesce finalmente a superare quel maledetto incrocio e accelera verso la scuola di Sophie. Parcheggia in seconda fila e corre verso l’ingresso dell’edificio; in pochi secondi il suo occhio allenato individua la massa informe di capelli di sua figlia e il cuore ricomincia a battergli ad una velocità normale quando nota che sta tranquillamente ammirando l’album delle figurine di un bimbo con un cappellino degli Yenkees.
“…povera bambina, è la seconda volta questa settimana che aspetta qui da sola.” sussurra la signora davanti a lui, agitando la chioma bionda, indicando vagamente Sophie con un’unghia laccata.
“ Cosa ti aspetti da un padre così? E’ troppo giovane, fosse capitato per caso, invece…” commenta un’altra donna, con tono sdegnato. Blaine si paralizza completamente, incapace di dire o fare alcunché per difendersi, sentendosi esattamente come quando aveva quindici anni e sentiva le battutine degli altri ragazzi nello spogliatoio, esattamente come pochi secondi prima che lo picchiassero a quel dannato Sadie Hawkins, esattamente come quando Figgins lesse il nome di Kurt, eleggendolo reginetta.
“Poi sai cos’ha sentito Jane? Pare che sia anche gay…” prosegue la bruna.
A quel punto le gambe di Blaine si muovono da sole, fino ad avvicinarsi a Sophie. La bimba gli salta al collo e lui la solleva, portandola in auto e poi guidando fino a casa, cercando di non permettere alla rabbia di annebbiargli e sensi e di non piangere difronte alla sua bambina.
 
“E se avessero ragione?! Insomma, è vero che sono solo e che arrivo sempre tardi e c-che non posso stare con lei tanto quanto vorrei… Lei è m-meravigliosa e… Si merita di meglio e io sono soltanto un idiota egoista…” disse tutto d’un fiato, ignorando completamente le lacrime che gli bagnavano le guance.
Kurt si alzò in piedi, si avvicinò a lui e gli portò due dita sotto il mento, costringendolo a sollevare lo sguardo. Il riccio obbedì e puntò gli occhi in quelli dell’altro, godendosi l’effetto calmante che avevano sempre avuto su di lui. In passato aveva trascorso ore a chiedersi perché lo facessero stare immediatamente meglio ed era giunto a una conclusione: non era la loro familiarità, non era l’affetto che non avevano mai smesso di trasmettergli, era semplicemente la loro immensità. Gli trasmettevano un senso di infinito al confronto del quale ogni suo problema si riduceva fino a scomparire.
“Blaine, ti ricordi cosa mi dicesti alla Dalton il giorno in cui ci siamo conosciuti?” mormorò, avvicinandosi ancora un po’ e senza distogliere minimamente lo sguardo. “Il pregiudizio nasce dall’ignoranza, Kurt.” citò. “Queste persone non sanno niente di Sophie, né, tanto meno, di te. Io vi conosco e posso dirti con assoluta certezza che l’unica cosa che ti rimprovererei è il pensare troppo poco a te stesso. Ami tua figlia e faresti più o meno qualunque cosa per farla felice, Dio, soltanto il fatto che ti piacerebbe passare più tempo con lei lo dimostra!”
“…E se non fosse abbastanza? Cioè, lei dipende da me e soltanto da me e io…” ricominciò il più piccolo, non ancora del tutto convinto.
“ E’ una bambina perfetta, non capisco cosa ti preoccupa.”
“N-non mi sento in grado…” balbettò, cercando di tornare a fissare il pavimento, ma la mano di Kurt, poggiata sulla sua mascella glielo impedì. Il castano si fece ancora più vicino, portando la bocca a meno di un centimetro di distanza dalla sua, ancora inumidita dalle lacrime. “Ti fidi di me? Di quello che penso…” sussurrò.
Blaine chiuse gli occhi e annuì impercettibilmente; l’altro premette le labbra sulle sue, per un istante, prima di ricominciare a parlare: “Credo che tu stia facendo un lavoro favoloso con Sophie, che dovresti essere soltanto fiero di lei e di te stesso e che tu sia il padre migliore che conosca.”
“E Burt?” replicò il riccio, sorridendo.
“Okay, uno dei padri.” mormorò, ricambiando il sorriso e non riuscendo a trattenersi dal baciarlo di nuovo. Blaine gli portò le mani tra i capelli, ricambiando il bacio, anche se, in cuor suo, temeva che fosse un errore: non voleva illudersi, non sapeva quale significato l’altro stesse dando a quel gesto, ma non riusciva a smettere. Gli afferrò gentilmente un fianco e lo avvicinò a sé, Kurt sospirò e si allontanò: “Vado a mettermi qualcosa di più consono per dormire e torno qui. Fa’ lo stesso.” ordinò con tono pragmatico, avviandosi verso la porta.
“N-non c’è bisogno c-che tu dorma qui… Davvero, sto già meglio… Domani ti sveglierei…” balbettò, chiaramente imbarazzato.
“Non ti lascio da solo.” sentenziò il più grande, uscendo dalla stanza.
Un quarto d’ora dopo sentì Kurt scivolare sotto le coperte, circondargli il petto con un braccio e modellarsi contro la sua schiena.
“’Notte.” mormorò il più grande, con le labbra poco lontane dalla sua nuca.
“Grazie e buonanotte.” rispose. Si godette il senso di protezione che quell’abbraccio gli stava trasmettendo e si addormentò, cullato dal battito del cuore di Kurt.

 
 ***
 
Kurt salì marciando le scale mobili della metropolitana e si passò una mano tra i capelli per sistemarsi il ciuffo laccato. Arrivato per strada si guardò in torno confuso cercando si decodificare i segnali stradali, poi imboccò una traversa sperando fosse quella giusta.
Dieci minuti dopo era difronte al cancello della scuola di Sophie, pronto a portare a termine il suo piano. Si alzò sulle punte e si guardò intorno, cercando tra la folla di genitori accalcata lì fuori le donne descritte da Blaine.
“Buongiorno!” esclamò, avvicinandosi a quelle che erano le sue vittime, o almeno sperava lo fossero.
“Salve…” rispose titubante una delle due, facendo scorrere gli occhi sulla sua figura e fermandosi ad ammirare i suoi mocassini intarsiati.
“Sì, sono di Alexander McQueen e sono originali…” le comunicò, prima di allungare il braccio destro e presentarsi: “Piacere, Kurt Hummel, sono il fidanzato di Blaine Anderson, il papà di Sophie!” sorrise fintamente, semplificando decisamente il suo quanto meno particolare rapporto con il riccio.
“Sharon Dobolek, la madre di Melody.” affermò la bruna, stringendogli la mano e fingendosi disinvolta.
“Patricia Weiss.”
“Bene, c’è un motivo per cui mi sono appena presentato e sono piuttosto certo che lo conosciate anche voi.” iniziò, sentendo la rabbia e la soddisfazione impadronirsi di lui, quando le due donne lo guardarono con aria sconcertata. “Dato che sta notte Blaine ha passato parte delle misere sei ore di sonno che si concede a piangere per colpa vostra, vi pregherei di prestare più attenzione a quello che dite.”
“Non gli abbiamo mai parlato…” provò ad interromperlo Patricia.
“Ha ragione, siete state decisamente più meschine. Non avete parlato con lui, ma di lui. Mi dispiace dirlo, ma non vi fa assolutamente onore. Ma tornando al nocciolo della faccenda, vorrei sapere come vi siete permesse di fare qualcosa del genere. Non lo conoscete, non conoscete sua figlia. Sapete che tutti i pomeriggi l’aiuta a fare i compiti, le prepara la cena, vede un film o fa un puzzle con lei e poi l’accompagna a letto? L’avete mai visto rinunciare a qualunque cosa pur di passare del tempo con lei? Non ho figli e quindi non posso sapere come mi comporterei con loro, ma mi auguro che voi facciate lo stesso con i vostri figli! Anche se, onestamente, ne dubito dal momento che credo ci vogliano circa sette ore dal parrucchiere per sistemare quelle extansion…” disse, indicando  la testa di Sharon. “ …e so per certo che quella borsa le è costata, oltre alcune centinaia di dollari, anche nove ore d’attesa – mi perdoni, deformazione professionale. Adesso scusatemi, ma mi avvicino al portone!” Poi si voltò e si allontanò, attraversando il capannello di persone che avevano assistito al suo sfogo, incrociando lo sguardo ammirato di una donna con una lunga gonna arancione e un paio di occhiate turbate. Si bloccò a pochi passi dall’ingresso e, mentre aspettava il suono della campanella, si godette quella sensazione di realizzazione che non provava da troppo tempo, del tutto simile a quella che l’aveva travolto al ballo del suo secondo anno quando lui e Blaine avevano ballato un lento, al centro della pista, in Ohio. Era come uno strano filtro magico: composto da orgoglio, soddisfazione, rabbia, esaltazione. Non riuscì a spiegargli perché un miscuglio di tali elementi potesse risultare tanto piacevole.
“Kurt!” urlò Sophie, abbracciandolo di slancio.
“Hey, piccola!”
“Come mai se qui?”
“Non ti fa piacere vedermi?” la provocò, abbassandosi alla sua altezza.
“Sì! Ero sono coriosa!” si difese.
“Si dice curiosa e sono qui perché voglio portarti a vedere il posto dove lavoro, ti va?”
“Oh, certo!” festeggiò, abbracciandolo di nuovo e baciandogli la guancia. Kurt pensò che quello era anche meglio del filtro magico.

***


“Addormentata?” domandò Kurt, sfilandosi attivando la lavastoviglie non appena Blaine riapparse nella cucina.
“Sì, dev’essersi proprio stancata oggi alla redazione.” sorrise il riccio, avvicinandosi e poggiandosi al mobile della cucina.
“Sì, devo ammettere che ci siamo divertiti!” replicò il più grande. Rimasero entrambi in silenzio, nonostante sapessero entrambi di dover parlare. Dovevano parlare di quell’aria di familiarità che aleggiava, del fatto che ormai nessuno dei due riuscisse a sentirsi a casa se non in quell’appartamento con l’altro e Sophie, dei baci, delle notti passate insieme, ma nessuno dei due parve avere il coraggio di spezzare quella routine. Il telefono interruppe i pensieri di entrambi, Blaine afferrò la cornetta prima che il suono fastidioso svegliasse Sophie e uscì dalla cucina .
“Pronto?”
“Hey, Blaine! Sono Eve!” trillò la ragazza. Eve era la madre di un amichetto di Sophie, l’unica con la quale aveva realmente legato. Era andato al cinema con lei e suo marito e i bambini, un paio di volte, aveva visto la partita a casa loro o cucinato i biscotti con i piccoli, ma soprattutto nonostante fossero una famigliola perfetta non l’avevano mai giudicato.
“Eve! Salutami anche Stephen!” esclamò, sorridendo.
“Sì, ricambia. Tu piuttosto, salutami il tuo Kurt!”  lo prese in giro, cogliendolo completamente di sprovvista.
“C-come scusa?”
“Non fare il finto tonto, Blaine. Non attacca. Sto parlando di quel gran figo del tuo fidanzato!” Il riccio arrossì, ma ridacchiò quando sentì Stephen riprendere la moglie per l’apprezzamento.
“Sono soltanto sincera! E poi non parlavo soltanto dell’aspetto fisico! Dio, ha sbraitato in testa a quelle due deficienti con una classe infinita!” straparlò, facendo bloccare ulteriormente le sinapsi del moro, già provate dalla stanchezza, nel tentativo di ricostruire cosa fosse successo quel giorno mentre lui teneva le sue lezioni alla NYADA.
“Cosa ha fatto esattamente Kurt?” domandò, vedendo il Kurt vero e proprio piazzarsi difronte a lui e mimare uno scusa, non dovevo con le labbra.
“Come? Non sai nulla? Oggi, quando è venuto a prendere la tua meraviglia, con una classe, un coraggio e sì, sembrerà surreale, perché non è riuscito a trattenersi dal lanciare un paio di frecciatine,  ma un’educazione formidabile ha provato a far ragionare quelle due su… quello che hanno detto su di te…” spiegò la brunetta e Kurt abbassò la testa imbarazzato.
Blaine sentì semplicemente il bisogno di avvicinarsi a lui. Liquidò Eve con un veloce ora devo attaccare, ci risentiamo  e, dopo aver abbandonato il cordless sul tavolo, saltò letteralmente al collo dell’uomo che aveva difronte. Si fiondò sulle sue labbra, senza pensarci, e sorrise quando Kurt, dopo un attimo di totale smarrimento, ricambiò il bacio. Il castano fece scivolare la mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans, attirandolo ancora di più a sè e strappandogli un gemito soffocato. Kurt staccò le labbra dalle sue, incominciando immediatamente a baciargli e mordicchiargli la mascella, godendosi il sottilissimo strato di barba, prima di succhiargli insistemente il lobo, perfettamente conscio di quanto Blaine lo trovasse eccitante, e sussurrò:"Ti amo."
A quelle parole la parte razionale del moro, ancora non del tutto soffocata dall'eccitazione, fece scattare un centinaio di sistemi di auto-difesa, riducendolo ad un essere confuso e balbettante: "Kurt, io-tu... Noi... Sophie... È complicato..."cercò di dire, spingendolo lievemente via. Il più grande si allontanò quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi e spostò le mani dal suo sedere ai suoi fianchi, poggiando la fronte contro la sua e sorridendogli, come se si aspettasse una reazione del genere.
"Hey... Possiamo parlarne con calma?" Mormorò, fissandolo negli occhi, senza stupirsi affatto quando vi lesse un'infinità di sentimenti diversi. Il riccio annuì lievemente e si rilassò giusto un pò. "Non sono un ragazzino, Blaine, so quello che dico... Conosco la situazione, so che siamo cambiati tutti e due e so che hai una figlia. Ma ciò non significa che io non voglia provarci... So che sembra complicato, che forse sulla carta abbiamo davvero poche possibilità e che io non ho neppure risolto tutta la faccenda di... Stoccolma... Non pretendo nulla. Non pretendo che tu mi ricambi, nè che tu voglia che io resti a vivere qui, nè che ti senta pronto a intraprendere questa follia, nè di essere un padre per Sophie. Anche se, onestamente, nessuna di queste cose mi dispiacerebbe... E magari con Sophie potrei anche solo darti una mano... Non che tu non sia capace, ma s-" il suo discorso pieno di amore, emozione e ansia fu interrotto dalle dita di Blaine che si posarono sulle sue labbra con delicatezza, zittendolo mentre tentava di ragionare il più razionalmente possibile.
"Sei sicuro di tutto quello che stai dicendo? Io vorrei esattamente le stesse cose, ma... Tu sei sicuro di non avere bisogno di un po' di tempo da solo? Dopo quello che è successo?" Domandò, afferrandogli la mano e baciandogli le nocche.
"Mai stato più sicuro. Blainey, mi fido di te, forse più che di me stesso." gli rispose, fissandolo negli occhi con un intensità tale da rendere la sua posizione assolutamente inconfutabile. "Altro da dire oppure posso baciarti?" proseguì il castano prendendolo in giro, avvicinandosi ancora un po'. L'altro ridacchiò e fece scontrare le loro labbra arpionandosi ai capelli ancora quasi perfetti dell'uomo. Del suo uomo.
Lo trascinò lentamente fino alla sua camera, baciandogli il collo, facendo attenzione a non lasciare nessun tipo di segno su quella pelle diafana, seppure sapesse che sarebbero stati decisamente diversi, non poteva sopportare di vederla di nuovo costellata di macchie scure. 
Quando si ritrovò sdraiato sul letto, con il corpo dell’altro perfettamente pressato contro il suo e la sua lingua intenta a stuzzicargli un capezzolo, si chiese come avesse fatto a privarsi di tutto quello per così tanto tempo. Pochi minuti dopo però, quando Kurt gli scostò i riccioli sudati dalla fronte e strofinò il naso contro il suo, in un gesto infantile quanto adorabile, si trovò costretto a correggersi, dandosi del folle per aver rinunciato a Kurt per tutto quell tempo.

***
 
Blaine si tascinò in cucina, sorridendo come un idiota non appena vide il suo fidanzato, già vestito di tutto punto, nonostante l’orario improponibile, litigare con la macchina del caffè.
“Buongiorno…” mormorò avvicinandosi a lui e togliendogli una cialda dalle mani.
“Hey! Cosa ci fai sveglio?” domandò il più grande baciandogli affettuosamente una guancia. Erano passati soltanto un paio di giorni da quella notte meravigliosa e c’erano ancora un’infinità di questioni da risolvere, eppure tutti e due continuavano a sorridere ininterrottamente con aria davvero poco sveglia.
“Non mi andava che uscissi senza salutarmi…” sbadigliò il riccio, facendo partire il maledetto elettrodomenstico.  
“Ma è sabato e puoi dormire, non preoccuparti la prossima volta passerò a darti un bacio, ok?” sorrise, prima di poggiare le labbra sulle sue con estrema dolcezza. L’insistente bip della macchinetta li interruppe, Kurt andò a versare il caffè e Blaine si sedette al tavolo della cucina, pensando a quello che avrebbe dovuto fare quel giorno.
“Blaine, quanto paghi d’affitto?” domandò il castano sedendosi difronte a lui.
“Perchè vuoi saperlo?”
“Rispondimi.”
“1200 dollari al mese.” rispose, cercando ancora di capire cosa avesse scatenato quella curiosità. Senza dire una parola Kurt si alzò, facendogli segno di rimanere esattamente dov’era, e sparì nella stanza accanto. Quando riemerse gli passò un assegno da seicento dollari.
“Cosa? Cos’è questo?” disse esaminando il pezzo di carta.
“Sto pagando metà dell’affitto.” rispose con tranquillità, lavando la sua tazza e rimettendola nel mobile.
“Non li accetto. Non ne ho assolutamente bisogno!” gli fece presente, tentando di restituirgli l’assegno.
“Non credo che ti siano indispensabili ma voglio che tu li prenda.” insistette il più grande, alzandosi e avvicinandosi al fidanzato non appena notò l’espressione indecisa dipinta sul suo volto.
“Ascoltami, è soltanto un modo per ufficializzare il fatto che stiamo convivendo e non sono soltanto io che cerco rifugio, ok?” gli spiegò, posando la fronte contro la sua e sorridendogli. Blaine esitò ancora un secondo, prima di infilarsi l’assegno in tasca e lanciarsi sulle sue labbra.
“Io devo andare a lavoro…” disse Kurt, staccondosi dalle sue labbra con uno schiocco e allontandosi ridacchiando quando lo sentì sbuffare.
“Ci vediamo più tardi!” esclamò prima di voltarsi e inciampare nella piccola Sophie mentre tentava di ragiungere la porta.
“Ciao, Kurt!” lo salutò, agitando la manina. L’uomo fuggi fuori il più infretta possibile piuttosto certo che la bambina avesse assistito alle loro effusioni e che, per questo motivo, necessitasse di un po’ di tempo da sola con il suo papà.
“Hey, piccola…” mormorò Blaine, terrorizzato all’idea di dover affrontare quel discorso. Non che non avesse intenzione di parlargliene, semplicemente sperava che il tutto sarebbe potuto accadere in maniera un po’ più graduale e non pochi secondi dopo essere stato beccato a baciare appassionatamente Kurt.
“Perchè tu e Kurt vi stavate baciando?” domandò seria la piccola senza neppure dargli il buongiorno. “… I fidanzati si baciano.” considerò Sophie, come se stesse tentando di suggerire una risposta logica a suo padre, che continuava a sussurrare insensatezze di vario genere.
“Brava Fungo! E’ esattamente per questo!” disse con tono fin troppo entusiasta.
“Oh, quindi rimarrà qui per sempre?” insistettè.
“Si spera…” commentò, grattandosi la testa. “Tu n-non vuoi?”
“Mi va bene.” rispose la bimba, continuando a fissare il padre.
“Fungo, sai che, anche se adesso io e Kurt stiamo insieme, tu puoi stare con me – con noi- quando vuoi?” aggiunse, preoccupato dall’espressione seria dipinta sul viso della sua bambina.
“Certo che sì! Però tu ti devi ricordare di essere un bravo fidanzato!” esclamò.
“C-cosa intendi?” chiese Blaine.
“Devi comprargli i fiori, dargli i baci, andare al cimena o a Broafway, fargli le coccole… Altrimenti poi scappa e si trova un altro fidanzato più bravo e bello di te!” spiegò, gesticolando senza un reale motivo.
“E tu queste cose come le sai?” domandò stupito, rendendosi però conto di quanto la bambina avesse ragione. Si trattava di trovare un equilibrio. Stava davvero accettando consigli sulla sua vita sentimentale dalla sua bambina di quattro anni?
“ Zia Britt dice che lei e zia San le fanno… E’ la stessa cosa, no?” domandò.
“Sì.” sorrise, poi prese in braccio la bimba e la strinse, ridacchiando quando lei cominciò a riempirgli la guancia di baci.
“Papà, facciamo i biscotti al cioccolato!” propose, saltando giù dalle sue ginocchia.
“Non abbiamo in casa quello che serve e…” incominciò Blaine, piuttosto spaventato all’idea di dover pulire il cioccolato anche dal soffitto come tutte le volte in cui aveva deciso di cimentarsi in quell’attività con la piccola peste.
“E andiamo a comprarle! Dai, così quando Kurt torna li mangia pure lui!” piagnucolò e Blaine non riuscì a non accontentarla.
Quella sera videro Pinocchio tutti insieme, mangiando biscotti al cioccolato completamente storti e mezzi bruciacchiati e nessuno di loro riuscì a non sorridere con aria ebete. 

Note:
Buonasera! Spero che il modo in cui ho deciso di concludere questa storia vi sia piaciuto ;) 
Purtoppo però ho delle cattive notizie: scrissi l'epilogo (che a differenza del finale sarà al quanto originale) due settimane fa, con l'unico problema che oggi mi sono resa conto che è completamente da riscrivere. Spero di riuscire a pubblicare entro il prossimo week-end, ma non ne sono affatto certa (maledetta scuola!).
Ringrazio tutti coloro che mi hanno inserita nelle seguite/preferite/ricordate oppure hanno perso qualche minuto per lasciarmi una recensione! 
Baci, Potters.

 
   
 
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