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Autore: Sneezewort    20/04/2008    2 recensioni
"Oggi mi sono rinchiusa in casa e mi sono seduta davanti alla finestra."
Tracey Davis e Theodore Nott: l'attrazione, l'amore, la distanza. La solitudine.
[SOSPESA]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Theodore Nott, Tracey Davis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Tracey Davis non era una ragazza solitaria, ma aveva sempre fatto fatica a socializzare. Per quanto non amasse la solitudine e i pensieri fastidiosi che questa comportava, non riusciva mai ad avvicinarsi spontaneamente a qualcuno.
Già alla scuola elementare Muggle che aveva frequentato non era riuscita a farsi degli amici, o meglio, per tre anni di seguito si era seduta in disparte, in fondo alla classe vicino ad una finestra. Poi un giorno una bambina si era seduta accanto a lei, senza che la maestra le avesse ordinato di farlo. Dopo qualche giorno di silenzi imbarazzati, avevano cominciato a parlare. Anche se era sempre l’altra bambina a tenere banco il più delle volte. Tracey era troppo riservata e tranquilla per sbottonarsi.
Da allora, però, erano diventate amiche e Tracey passava molto tempo con lei, a scuola, a casa, nei giardini pubblici. Sua madre a volte si ricordava di lei, tra un fidanzato e l’altro, e si chiedeva dove diavolo passava tutto il suo tempo libero quando non era in casa. Ma poi, l’ennesimo uomo attirava la sua attenzione e dimenticava la sua piccola bambina silenziosa e assente.
Anche ad Hogwarts aveva fatto fatica a inserirsi nel gruppo. Anzi, non si era mai inserita nella ristretta cerchia Slytherin. Era tornata ai suoi primi anni di scuola, seduta da sola in fondo alla classe, senza lamentarsi della sua solitudine.
Poi, sul finire del primo anno, Daphne Greengrass aveva deciso di trovarla interessante e aveva occupato il banco vuoto accanto a lei, durante Storia della Magia.
Tracey non aveva detto nulla, si era solo voltata verso quella ragazzina dai lineamenti morbidi e la pelle scura, perplessa che qualcuno si avvicinasse a lei. Poi era scattata la diffidenza, in pochi minuti, per quel sorriso che con il crescere si sarebbe trasformato nel famoso sorriso in tralice di Daphne, carico di malizia e ironia.
Daphne aveva incominciato a parlare sottovoce, come se lei e la compagna fossero amiche da sempre. Da allora erano diventate più o meno inseparabili.
Formavano una strana coppia e quasi tutta la scuola guardava con diffidenza e perplessità la loro improbabile amicizia. La tranquilla, silenziosa, apparentemente priva di qualsiasi ambizione, Halfblood di Slytherin, per quanto carina con i suoi grandi occhi castani, era troppo insipida per attirare l’attenzione e appariva ancora più scialba accanto alla figura longilinea, al sangue purissimo e alla spiccata curiosità e furbizia che caratterizzavano l’amica.
La vita sociale di Tracey, però, iniziava e finiva con Daphne. Il naso di Pansy era troppo perfetto e troppo all’insù per sprecarsi a parlare con una Halfblood. Su esempio della ragazza anche le altre compagne non si permettevano di rivolgerle la parola, se non per lo stretto necessario. Tra i ragazzi, invece, arrivava a scambiare qualche parola con Crabbe e Goyle, il più delle volte durante i pasti e quasi sempre chiedeva loro di passarle il sale, o il caffè.
Inoltre già dal primo mese della sua permanenza in quella scuola aveva capito che gli Slytherin restavano con gli Slytherin. Era una legge non scritta che mai e poi mai qualcuno si sarebbe sognato di infrangere. Se avevi bisogno di aiuto, se ti serviva qualcosa lo trovavi solo nei sotterranei. Questo era un dato di fatto, non serviva aggiungere altro.
A lei, comunque, non importava di essere considerata inferiore dalla maggior parte delle persone con cui divideva il dormitorio. Le bastava passare il proprio tempo con Daphne.

Questo almeno fino al quinto anno.

Accadde quasi per sbaglio, mentre la campanella del pranzo suonava al termine di due interminabili ore di Storia della Magia. Daphne non era arrivata in aula, mimando un forte mal di stomaco nei corridoi, ma il banco vicino stranamente non era vuoto.
Per tutta la lezione, però, non si era neanche accorta di avere compagnia. Per questo quando posò lo sguardo sul compagno accanto a lei alla fine dell’ora, arrotolando con calma la pergamena di sporadici appunti, le sembrò di aprire gli occhi per la prima volta su Theodore Nott.
La frangia scura che adombrava il viso pallido celando malamente gli occhi, il naso un po’ troppo lungo e un po’ troppo appuntito, la forma regolare e dura della mascella, le labbra fini piegate in una smorfia d’insofferenza per il baccano attorno a loro, quei piccoli particolari del suo volto le lasciarono un’impressione piacevole e una sensazione che non riuscì a definire, ma tanto forte da lasciarla paralizzata ad ammirare il profilo concentrato del ragazzo.
Il desiderio di sentire il suo peso gravarle addosso, il petto gracile premerle contro il seno ancora acerbo, le dita sottili e nervose del ragazzo scoprirle la pelle, di averlo sopra di sé, dentro di sé la colpì tanto acuto e tanto inaspettatamente da farla traballare.
Si aggrappò al banco per non scivolare a terra confusa e incerta delle proprie emozioni e in quel momento Theodore si accorse che lo stava fissando. Non si era mai fermato a guardarla o a rivolgerle la parola. Ora, invece, sollevò un sopraciglio, dedicandole uno sguardo freddo.
“Che vuoi, Davis?” Chiese seccato, squadrandola da capo a piedi. Minuta, quasi piatta, il viso armonioso circondato da un caschetto disordinato benché la spazzola provasse in ogni modo di tenerlo fermo, gli occhi castani anonimi, se non troppo grandi. Non aveva mai attirato la sua attenzione ma, dopotutto, nessuna attirava mai la sua attenzione.
“Nulla.” Mormorò Tracey, senza riuscire a sostenere lo sguardo e con le guancie leggermente arrossate; non sapeva se per l’imbarazzo o il calore pulsante che percepiva chiaramente tra le gambe. Forse entrambe le cose. Tornò a prestare attenzione alla propria borsa, con gesti veloci, per chiuderla e scappare il più velocemente possibile da quella stanza.
Il ragazzo scoccò un occhiataccia a quella figuretta che schizzava fuori dalla porta e tornò ad ordinare gli appunti con meticolosa cura.

Il giorno successivo Tracey si recò in biblioteca, senza un fine preciso da raggiungere. Le sensazioni provate il giorno prima non accennavano a diminuire ma, anzi, il cuore iniziava stupidamente ad accelerare il proprio battito ogni volta che sbirciava verso Nott, ben contenta che lui la ignorasse come al solito.
Anche se aveva saltato il pranzo dopo Storia della Magia per evitare di averlo troppo vicino e a lezione si era seduta, come di consueto, accanto a Daphne, a cena lui si era seduto solo due posti più in là e Tracey aveva perso l’appetito. Oltre a ogni facoltà di pensiero coerente.
Ma, per quanto durante la notte si era ripromessa di evitarlo con cura, ora entrava in biblioteca senza aver alcun libro da prendere in prestito o restituire.
Continuava a ripetersi la patetica scusa del tema di Pozioni, mentre procedeva lentamente tra gli scaffali, peccato per il suo sguardo che non faceva altro che cercare le spalle del ragazzo curve su qualche libro, le scapole sporgenti che si potevano intravedere nonostante la camicia della divisa, le sue labbra che mormoravano assorte una frase che non funzionava…
Ebbe la vivida sensazione di quelle labbra sulla pelle, immaginò il loro percorso sul collo, lungo le clavicole e poi contro il seno, mentre lambivano il capezzolo…
Il cuore iniziò a battere più veloce, pompando più sangue che fluì verso il cervello e sul viso. Sentì caldo, molto, molto caldo, un calore che partiva dall’inguine e si spandeva per tutto il corpo. Si sentiva stordita, eccitata, confusa. Voleva che lui la prendesse ora. Voleva abbandonarsi contro di lui e placare quel desiderio assurdo.
Non si accorse di essere andata a sbattere contro qualcuno, finché la voce della bibliotecaria non sovrastò il rumore del battere del cuore. Sollevò lo sguardo sulla donna, il volto arrossato dal calore ma spento, indifferente a qualsiasi cosa le stesse dicendo. Biascicò delle scuse poco convinte, che stava pensando a un libro in particolare che le serviva e non si era accorta di aver davanti qualcuno. Per cercare di rendere più plausibili quelle scuse si allungò a prendere un libro qualsiasi e la precedette verso la cattedra per i prestiti. Mentre la donna scriveva il suo nome nel registro si guardò intorno, fino ad incontrare Theodore seduto solo ad un tavolo vicino alla finestra. Non studiava, anche se attorno a lui il tavolo era ricoperto di libri e pergamene, ma guardava fuori dalla finestra. Non poteva vedere il suo volto, da quella posizione, ma il cuore ricominciò a battere impazzito.
“Miss Davis?”
Il richiamo la strappò dal sogno ad occhi aperti con brutale tempismo. Scosse il capo, abbozzando un pessimo sorriso di scuse mentre riponeva il libro nella tracolla.
Non si permise una seconda occhiata in direzione del ragazzo mentre lasciava in fretta la biblioteca.

I tre giorni successivi passarono con: Tracey di pessimo umore, assolutamente confusa, che non metteva più piede fuori dalla Sala Comune e saltava tutte le lezioni e i pasti, Daphne di ottimo umore che non perdeva mai l’occasione di tampinare l’amica e Blaise Zabini che tutto a un tratto si era interessato alle letture di Tracey. Senza dimenticare che, ormai, di lì a due giorni sarebbero iniziati gli O.W.L.s.
Ma andiamo con ordine.
Dalla famosa lezione di Storia della Magia, Tracey non riusciva più a guardare verso Nott e mantenere il contegno. Il cuore iniziava la sua folle corsa e il cervello lo seguiva a ruota in vividi sogni erotici ad occhi aperti. Non serviva a nulla ripetersi di essere una stupida o una maniaca.
Dormiva poco e male, non aveva più appetito e si sentiva la testa pesante. Continuava a ripetere a Daphne che non aveva voglia di fare nulla, che non non avrebbe fatto nulla di quello che lei voleva e che non sarebbe andata da nessuna parte se non nel suo letto. Passava il tempo per lo più a ripassare in vista degli esami, intrattabile e scontrosa.
Daphne, dal canto suo, non riusciva a capire da cosa derivasse quel comportamento e, ovviamente, ne era incuriosita, se non proprio elettrizzata da quel piacevole cambiamento. Piacevole, dal suo punto di vista, che adorava qualsiasi tipo di novità, positiva o negativa, finchè non toccava lei in prima persona senza chiedere il suo consenso.
L’improvviso malumore di Tracey fu come un fulmine a ciel sereno e spazzò via l’apatia in cui si trastullava dopo il primo entusiasmo per la sua partecipazione alla Squadra d’Inquisizione. In un paio di settimane dalla formazione della Squadra si era divertita a infierire su chiunque. Ma il potere che le dava la spilla le venne a noia in fretta e perse tutto il suo entusiasmo. Anche civettare con Draco sotto gli occhi di Pansy non le dava più alcuna soddisfazione. Anche perché la compagna tendeva a ignorare i suoi tentativi di farla innervosire e così non c’era gusto.
Così ora si concentrò totalmente sul misterioso problema di Tracey.

La Sala Comune era praticamente vuota. Con la data degli esami fissata per il giorno dopo e il sole che splendeva sul parco, tutti erano da qualche parte a ripassare e pochi avevano voglia di restare nei sotterranei. Tra questi pochi c’era Tracey con una copia sgualcita dell’edizione economica dei Fiori del male dietro cui nascondersi. L’aveva letta, riletta, sfogliata talmente tante volte che praticamente cadeva a pezzi. Non aveva più la copertina. Le pagine arricciate avevano sopportato di tutto, dalla pioggia londinese al caffè matuttino. Ogni volta in cui cadeva nel malumore si immergeva nella lettura di quelle poesie. Poteva continuare a leggere per ore, se indisturbata.
“Ancora rintanata, Tracey?” Daphne si appollaiò sul bracciolo della poltrona, in bilico ma perfettamente a suo agio. La sua voce sembrava ancora più squillante e divertita del solito, se era possibile. “Possibile che non sai far altro che nasconderti per un qualche motivo? Snape inizia a lamentarsi perché tutti i professori si sono accorti che non vieni a nessuna lezione. E ovviamente, chi deve sorbirsi Snape? Io.” Fece una pausa con un sospiro teatrale. La sua attenzione fu catturata dal libro e il libro fu catturato dalle sue mani. “Che leggi? Baudelaire? Mai sentito.”
“E’ un poeta francese, Daphne.” La informò Zabini, fermo dietro alla poltrona. Appoggiò entrambe le braccia sul bordo dello schienale, con una luce d’interesse nello sguardo.
Tracey agrottò la fronte seccata dall’interruzione. Non solo non si era accorta del loro arrivo, ma Daphne l’aveva riempita di lamentele inutili e l’aveva interrotta nel suo crogiolarsi. “Posso riavere il libro, grazie?” Daphne la ignorò e tornò alla pagina a cui aveva interrotto la lettura dell’amica. Si appoggiò allo schienale e iniziò a declamare la poesia in lingua originale. La pronuncia era perfetta, benchè l’accento inglese non rendeva giustizia alla lettura. Zabini storse le labbra in una smorfia ma non la interruppe.
“O fins d’automne, hivers, printemps tempés de boue, Endormeuses saisons! je vous aime et vous loue, D’envelopper ainsi…
[i]
“Hai qualche altro autore?” Chiese il ragazzo, chinadosi verso Tracey. Daphne arricciò il naso irritata dall’interruzione. Tracey si strinse nelle spalle, come sempre.
“Qualcuno. Molti libri li ho lasciati a casa.”
“Potresti prestarmeli? Non è molto semplice trovare degli autori Muggle.” Continuò Blaise, rivolgendo alla ragazza un sorriso, per la prima volta in cinque anni. In realtà, era la prima volta che le prestava attenzione. Tracey si infastidì nel notare che aveva i denti ancora più smaglianti di quelli di Daphne. Doveva essere una questione di carnagione. “Ok.” Mugugnò senza entusiasmo.
“Blaise, Blaise, cos’è questo interesse per il mondo Muggle?” Lo canzonò Daphne piegando la testa, con il sorriso in tralice.
“L’arte è arte. A Maman non dispiace se qualche autore non è pureblood o mago.” Rispose il ragazzo, senza scomporsi. “Non è certo un buzzurro inglese come tuo padre.”
Mentre Daphne riempiva la Sala Comune con la sua risata cristallina, Tracey le strappò di mano il libro e, insofferente, tornò a immergersi nella lettura.
“Potrei essere lasciata in pace, ora?” Borbottò cupa, rivolta in particolare all’amica. Si sentiva circondata su ogni lato.
Lei ammiccò divertita e non si mosse di un centimetro. Aveva un interrogatorio da portare avanti, non sarebbero certo stati i modi bruschi di Tracey a farla desistere, tutt’altro.

Credo che sia mia madre che Daphne hanno istinti suicidi.
Devo fare in modo che non si incontrino mai più.
Ne va della mia tranquillità.

Dal diario di Tracey Davis, 26 Dicembre 2002

[i] “O tardi autunni, inverni, primavere fangose. Io vi amo e vi lodo, stagioni obliviose, d’avviluppar così…”
Pioggie e Brume, Baudelaire
  
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