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Autore: Vegeta_Sutcliffe    06/11/2013    3 recensioni
Salve a tutti. Propongo questa storia molto introspettiva e diversa dal solito, o almeno così penso.
Cit: Aveva ucciso, aveva sbagliato e per questo stava per essere punita. Avrebbe dovuto uccidere, avrebbe dovuto sbagliare e se non lo faceva rischiava di essere punita.
Esistevano criteri incorruttibili di verità? Gli uomini erano lunatici, volubili, cambiavano e con loro il mondo, ma la giustizia erano loro o la giustizia trascendeva loro?
“Perché l’hai fatto?”
“Ti avevo promesso che saresti uscita di prigione, se non sbaglio.”
“E non c’era un altro modo?”
“Anche più di uno.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Un po' tutti, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Cara Sophya, ti avevo detto che avresti vinto un premio, no?
Non so fino a che punto Justice possa essere considerata un premio, ma ecco a te. xD

 
Solo gli imbecilli non si sbagliano mai. 
Charles De Gaulle


Aveva fatto riesumare la bara di Irene e l’aveva trovata vuota.
Goku si era rivelato più intelligente di quel che la sua poco brillante carriera scolastica aveva pronosticato.
Aveva iniziato a pensare come se Irene fosse viva e, visto che il mondo la sapeva morta, aveva senza dubbio avuto bisogno di qualcuno che vivesse per lei o che le fosse complice.
Irene aveva i capelli rossi, ma con una parrucca bionda avrebbe potuto fregare tutti quei popolani.
Restava da capire però come avesse fatto a non morire, Vegeta si rifiutava di credere fosse di stirpe divina, o perlomeno come fosse uscita dalla sua maledetta bara.
Irene era agile, era discreta, ma non era una mente: svolgeva bene il suo lavoro, ma aveva bisogno di qualcuno che gli comandasse di farlo.
Di quale organismo perverso era il braccio?
Vegeta non sapeva a chi pensare: nessuno tra gli uomini di Freezer avrebbe provato un tradimento affidandosi ad Irene.
Nessuno l’aveva mai voluto contraddire…

Forse stava dormendo, forse si stava facendo intrattenere da qualche zoccola, forse picchiando in quella maniera disperata sulla porta avrebbe potuto svegliare pure Bulma, ma poco gli fregava.
Doveva parlare con Freezer, doveva chiarire con Freezer e poco gli fotteva degli altri o dei luoghi comuni che volevano che alle due del mattino non fosse bene svegliare una persona con un bussare monotono e pesante.
“Freezer, cazzo apri!”
Non riusciva a trattenersi, si sentiva colpevole e pensava che un pentimento dichiarato accompagnato da una denuncia potesse salvarlo.
“Freezer, maledetto, fammi entrare.”
Entrò nella stanza, nella stanza di un uomo incazzato fino alla morte e assonnato, quando ormai era quasi senza voce e quando le nocche erano diventate rosse per l’attrito.
“Questa notte sembra proprio male dormire. Prima le urla della troietta di tuo fratello ora tu e i tuoi isterismi. Ma che cavolo vi è preso?”
Erano soli in una stanza buia: un ragazzo deluso e spaventato dallo sbaglio e un uomo disilluso e sbagliato.
Erano soli e si guardavano, uno perché non sapeva cosa dire, l’altro perché non sapeva come dire e se dire quel che aveva da dire.
“Mi devi dire qualcosa, figliolo? O mi hai svegliato per il puro gusto di farlo?”
E pretendeva una risposta intelligente o l’avrebbe potuto strozzare con quelle mani, ancora intorpidite dal sonno.
Non era giusto!
Non era giusto che in quella stanza, la stessa stanza in cui da bambino dormiva con suo padre, quando aveva la febbre, dovesse essere il luogo delle recriminazioni dello sbaglio.
“Uccidere è sbagliato!” Urlò sottovoce, con il labbro tremante.
“Lo so.”
“Come hai potuto farmi uccidere allora? Perché mi hai fatto uccidere i genitori di Bulma?”
“Io so che uccidere è sbagliato, ma tu non lo sapevi e infatti hai accettato.”
C’era bisogno di macchiarsi la coscienza per avere conoscenza? C’era bisogno di provare e sperimentare per capire?
Uccidere sarebbe dovuto essere sbagliato a priori, è sbagliata la limitazione della libertà degli altri.
“Perché non mi hai detto che uccidere è sbagliato?”
Freezer roteò gli occhi al cielo. Che momenti erano quelli per parlare di certe stronzate.
“Perché davvero non è mio compito dirti quello che devi pensare.” E santo cielo, che crescesse!
Che si prendesse le responsabilità delle proprie azioni, che sapesse quello che un giorno avrebbe voluto fare o pensare.
Era passata l’età in cui quel bambino aveva cinque anni e bisognava dirgli di non mettere la mano sul fuoco perché caldo, ma nonostante tutto, quella volta, si era bruciato.
“Crederesti che uccidere è giusto se io ti dicessi che farlo è tale? Cresci, Goku. Cresci.”
Il suo genitore gli stava voltando le spalle. Lo stava abbandonando. Gli stava facendo male, proprio quando ne aveva più bisogno, proprio quando aveva ucciso due persone per ignoranza.
E fare del male era sbagliato.
“Ok allora dico che uccidere non è giusto, che quello che fai tu non è giusto e che io non voglio averci più niente a che fare. Smetto di fare del male alla gente, smetto di uccidere. D’ora in avanti farò solo la cosa giusta.”
“Ah, sì?” Era scetticismo quello di Freezer.
Complotti, strategie, affari in losco.
No, non era quella l’infelicità che voleva vivere.
Avrebbe rinunciato ai soldi, agli agi e ai lussi che la speculazione di Freezer gli aveva concesso di diritto e avrebbe fatto solo la cosa giusta.
“Sì, farò il poliziotto e tu non me lo impedirai.”
“Non te lo impedirò certo io, anzi ti aiuterò, ti pagherò l’accademia più prestigiosa e sarò fiero dei tuoi successi, ma ricorda…”
Si avvicinò con passo cadenzato a lui, solleticando l’orecchia con la punta del naso gelido.
“…ricorda che i poliziotti, gli avvocati, i giudici, gli uomini di legge in generale non è detto che siano anche uomini di giustizia. Sai? Uccidono e ingannano pure loro…”


Satan!
Aveva convocato nel suo ufficio Satan, forse avrebbe saputo qualcosa, in fondo lui era l’unico che fosse andato al funerale di Irene.
“Non so perchè ma Irene potrebbe essere viva, anzi lo è.”
Quell’ufficio era molto soleggiato e troppa luce alla bugia dava fastidio.
“Impossibile.” Il giudice sudava, quel giorno era particolarmente caldo.
Il giudice aveva un colorito molto pallido, quel giorno sarebbe stato male.
Iniziò a balbettare e a tremare sulla poltrona.
“I morti sono morti, non possono tornare in vita.”
Il giudice rideva ogni parola che diceva e si grattava la fronte spaziosa.
“E poi mi ricordo benissimo quando hanno chiuso la barra con lei dentro e l’hanno seppellita. E’ morta, è sicuramente morta.”
“Ho motivo di pensare che sia viva.” Il giovane avvocato inquisì ulteriormente.
Cos’era quel forte rumore? Forse il cuore di Satan che batteva all’impazzata?
Forse il suo respiro corto e concitato?
“No, no, impossibile. E’ dentro una bara, c’ero solo io al funerale, chi mai potrebbe sapere qualcosa meglio di me? Fidati.”
Già, c’era solo lui…
Maledetto bastardo!
Vegeta si morse il labbro e andò indietro con la schiena sulla sua poltrona di pelle, avrebbe voluto che lo schienale lo risucchiasse.
“Hai ragione tu. Probabilmente sono solo suggestionato, dopo che la mia compagna è stata aggredita.”
Pareva un uomo distrutto, ma non lo era per la saluta precaria di Bulma, come credeva Satan.
Eppure quella banale e comune dimostrazione d’affetto tranquillizzarono l’uomo che non riconobbe nulla di strano in quell’apprensione per una donna che, se ci avesse pensato bene, non aveva così influenza su Vegeta, proprio come nessuno.
“Mi dispiace per lei. Sta bene ora?”
Cambiò discorso. Sentì l’esigenza di cambiare discorso.
Vegeta odiava la gente impicciona e curiosa.
“Vattene ora, ho da fare.”
Che freddezza, che sguardo penetrante e caustico.
Satan fu contento di andarsene; si congedo con garbo e rispetto, perché quell’uomo lo terrorizzava e lo terrorizzavano anche le sue minacce non dette.
Quando Vegeta lo vide attraversare la strada e entrare in macchina, quando ebbe la conferma che non era così vicino da sentire e vedere i suoi pensieri, tirò un calcio alla scrivania, rovesciò il computer e chiamò urlando Bulma che aveva l’ufficio accanto al suo.
Quel bastardo l’aveva tradito e lui era furioso, ma  non avrebbe permesso che la vendetta fosse pianificata dall’ira, avrebbe agito con ragione.
“E’ successo qualcosa?” Era preoccupata di vedere Vegeta nervoso, con la faccia deformata da una smorfia di non sapeva quale pensiero più che emozione.
“Intercetta ogni chiamata di Satan sia sul cellulare, sia sul telefono di casa. Dì a Dodoria di farlo pedinare. Voglio conoscere ogni suo minimo movimento, ogni sua parola.”
“Vegeta tutto bene?”
Picchiettava forte sulla scrivania e non sembrava preoccupato di stare rompendo una penna stilografica, né di macchiarsi la camicia bianca immacolata con l’inchiostro blu.
“Abbiamo sbagliato. Irene a quanto pare è viva e Satan l’ha aiutata. È giusto ucciderli.”

“La legge è la giustizia e gli uomini di legge non commetterebbero mai ingiustizie.” Goku si era alterato.
“Non ucciderebbero mai, loro. Perché uccidere è sbagliato.” Goku era alterato e convinto di quel che diceva.
“Visto che sai che uccidere è sbagliato, immagino che mi saprai anche spiegare il perché.”
Al diavolo! Quella notte non avrebbe più dormito, almeno con il piacere che anche Goku avrebbe passato una notte insonne.
Perché aveva sbagliato. Sì aveva sbagliato a non pensare prima di parlare, prima di agire, prima di tutto!
“Allora tesoro, perché uccidere è sbagliato?” Freezer si sedette sul bordo del letto e non si sarebbe mosso finché suo figlio non gli avesse dato una risposta pensata.


Uccidere era davvero sbagliato, perché si privava una persona della possibilità di sbaglio.
Eppure se uccidere era sbagliato e lo sbaglio era una cosa buona e giusta anche uccidere sembrava essere buono e giusto.
Una notte fredda, una città affollata: erano i presupposti ideali per commettere un omicidio.
Alla luce della notorietà pubblica, così che, tutti abbaiati, non riuscissero a capire chi fosse l’omicida.
Era utile anche la confusione, perché permetteva di uniformarsi alla massa e di passare quindi inosservato.
Quante coppiette passeggiavano mano nella mano, lungo il corso principale, scambiandosi di tanto in tanto sorrisi sinceri?
Quanti uomini portavano jeans scuri e un cardigan di lana durante un appuntamento di non vitale importanza?
Quante donne cercavano di apparire forti, reggendo una lunga camminata sopra tacchi vertiginosi?
Tanti. Troppi. Tutti.
Il conformismo era sbagliato, ma tra la moltitudine della moda e di quei comuni principi, come si sarebbe trovato il colpevole?
Vegeta camminava, tenendo stretta la vita di Bulma e per la prima volta quella di suo figlio.
Poteva avvertirlo da poco sotto quella pancia vagamente gonfia e prominente da fare quasi ridere confrontata con la magrezza quasi scheletrica di lei.
A lungo andare il serrato spionaggio su Satan aveva dato i frutti sperati e dopo cinque mesi, Vegeta aveva la certezza di dove recarsi per poter fottere quei due stronzi.
Che la paranoia dei messaggi minatori scritti col sangue finisse.
Che finissero le chiamate dal mittente sconosciuto.
E che Bulma vivesse la gravidanza senza tutto quello stress e non per la sua salute, tanto per quella del bambino: non voleva che il bambino fosse deviato e ansioso e emotivo come sua madre.
La strinse a sé e le baciò la nuca; più camminava, più non riusciva a motivare la sua scelta di portarla con sé e con Goku: suo fratello, non certo il poliziotto.
Si recarono discretamente alla vecchia casupola abbandonata della periferia, a quanto pare era lì che Irene aveva vissuto senza dare nell’occhio in quel tempo, e si nascosero tra i rami secchi e le fronde lussureggianti degli alberi.
Ingoiarono il loro respiro e si rilassarono, aspettando l’arrivo di Irene e Satan.
Quella sera sarebbero morti e stavolta non si sarebbero sbagliati.
Bulma si girò verso Goku e guardò i suoi occhi neri e allegri.
Era sbagliato che fosse in quel posto, tutto di quella persona era sbagliato.
“Tu sei un poliziotto. Non dovresti fare certe cose.”

Quello che aveva visto era stato schifoso.
Mazzette, bustarelle, corruzione e un disgustoso affarismo: sebbene Goku avesse intrapreso la carriera di poliziotto, non trovava differenza tra il suo presente e il suo passato del mondo di Freezer.
C’era del marcio nella legge, così come c’era nell’illegalità.
E allora cos’era cambiato?
Semplicemente che la legge era finta e religiosa.
Dopo l’ennesimo episodio di un poliziotto che abusava della sua autorità per aver privilegi, si sentì sconsolato e sentì il bisogno di tornare a casa, non nel suo pidocchioso appartamento, voleva tornare nella villa sontuosa di Freezer.
Era proprio deluso da quel mondo di legge, mentre Chichi ne sembrava innamorata e seguitava a voler terminare i suoi studi in giurisprudenza.
Chichi era ligia al dovere, alle regole e si sentiva soddisfatta nell’osservarle, eppure Goku aveva scorto nella legge le più grandi contraddizioni, il più finto perbenismo, le più immorali volontà: non voleva insinuare fossero un male assoluto, tuttavia non diceva che fossero il bene.
Non poteva essere diversamente o non sarebbe riuscito a spiegarsi il motivo per cui Vegeta avesse tanto voluto fare l’avvocato.
Già suo fratello. Forse più dello sguardo amorevolmente deviato di suo padre, aveva bisogno di quella freddezza che lo spingesse a lottare o perlomeno chiarirsi le idee.
Guidò fino a casa sua, salì le cinque rampe di scale, bussò alla porta.
“Disturbo?” Domandò speranzoso.
“Sì.” In effetti aveva i capelli spettinati, gli occhi un po’ arrossati e uno spinello tra le dita.
Dicevano che la droga era sbagliata e faceva male, annullava le facoltà intellettive e la volontà. Ma da che pulpito veniva la predica! Da tutti quelli che si lasciavano bombardare il cervello dalla tv e dalla pubblicità!
Invece per loro era un bene sapersi regolare e avere il controllo del piacere e non farsi schiavizzare.
Che male c’era a concedersi uno spinello? Non poteva essere equiparato a un bicchiere di assenzio?
Il problema era la dipendenza, ma sia Goku che Vegeta erano liberi.
“Va bene, allora entro.”
Lo spinse dentro e si richiuse la porta alle spalle.
“Ma che problemi hai?” Chiese l’avvocato infastidito.
Sicuramente Vegeta non era interessato ai suoi pensieri, ma voleva avere un ammissione imbarazzata della sua presunta insanità mentale.
“Non sono più sicuro di volere fare il poliziotto.”
Dopo tutto il casino che aveva fatto per volerlo diventare?
“Scherzi?” Vegeta ci sperava davvero perchè non era in grado di affrontare la crisi di mezza età di suo fratello di soli ventisette anni.
“No, non è quello che mi aspettavo e Freezer aveva ragione. Io volevo difendere la giustizia, ma certe leggi non sono mica giuste e i poliziotti non sono mica tutti giusti.” Non era libero di raggiungere il suo obiettivo ecco cosa.
C’era un impedimento non irrilevante che era le istituzioni costruite dagli uomini che erano sbagliati.
L’avvocato sospirò e si decise a parlare: se voleva presto tornare ad essere solo, o non proprio, doveva soddisfare Goku e placare il suo dubbio.
“Come la morale trascende le azioni dell’ uomo, pure l’uomo giusto dovrebbe poter trascendere l’umanità, non trovi?” In effetti la morale era superiore al buon senso comune e la giustizia era superiore alle leggi.
Quel mondo era totalmente sbagliato e lui non l’avrebbe mai potuto cambiare: l’unico modo per sconfiggere un nemico del calibro del luogo comune era non farsi plagiare e fottersene degli altri plagiati.
Il mondo era gli altri, era la società, era la convenzione, ma bisognava essere liberi di pensare, bisognava essere superiori.
Non bisognava essere il mondo, bisognava averlo in pugno.
“Se fai il poliziotto, nessuno ti impedirà di fare lo stesso la cosa giusta.”
Trovare la propria realizzazione in ruoli prefabbricati era difficile, se non impossibile ma non arrendersi alle pressioni era bello e felice, seppure non facile.
Goku sembrava ora persuaso e soddisfatto della risposta che probabilmente non avrebbe mai saputo trovare in giro, tra la gente.
La verità era che doveva essere superiore a tutti e a tutto.
“Alla libertà, fratellone.”
“Alla libertà.”
E entrambi si portarono lo spinello alla bocca.
Uno starnuto femminile li riportò alla realtà degli altri e non solo loro.
“Comunque chi è la fortunata che avrà l’onore di essere usata da te, stavolta?”
Vegeta sorrise innocentemente colpevole.
Solitamente agiva da figlio di puttana, ma quella volta aveva fatto una cosa buona e giusta.
“Si chiama Irene e stasera non me la scopo. E’ una che stavano cercando di violentare al porto. L’ho notata e l’ho salvata.”
Quella storia aveva del paradossale: Vegeta che si comportava da messia? Impossibile.
“E come l’avresti salvata?” Goku voleva continuare a ridere di quella storia.
“Ho atterrato il tizio con un pugno e poi gli ho sfracellato la testa al suolo. Un po’ cruento, ma la ragazza mi ha ringraziato.” Con quel pizzico di voluta violenza la storia del salvatore sembrava già più credibile.
Aveva salvato una vita, sacrificandone un’altra: la vita di un’innocente per quella di un lestofante?
La vincita era maggiore della perdita in termini utilitaristici, ma allora certe volte uccidere era giusto, anche se la società diceva no?


“No, io sono Goku e faccio il poliziotto.”
Sembrava trascorso un tempo infinito, tuttavia alla fine Irene era arrivata e con lei Satan.
Quei due erano stati puntuali con il loro appuntamento con la morte: erano encomiabili.
Bulma fremeva, Vegeta invece pareva esitare e osservava Irene e sentiva quello che diceva e la sua voce non gli era mancata mai così tanto.
Era bellissima, aggraziata e poco frivola, aveva solo un unico grande difetto: la stupidità.
Eppure quella volta, sebbene avesse agito contro i suoi interessi, Vegeta apprezzava l’iniziativa di quel piano per fotterlo.
E se non l’avesse uccisa? Non voleva ucciderla, ma per gli altri già era morta e, giusta o sbagliata la causa, era giusto che rimanesse morta e non turbasse l’ordine.
Maledetti gli altri e le loro paure, maledetta quella poca elasticità mentale.
Avrebbe ucciso Irene, anche se probabilmente l’amava.
“Aspetti che muoia di vecchiaia?” Bulma invece era insopportabile.
Chi con più chi con meno solerzia, si palesarono da dietro il cespuglio e si stagliavano imponenti in tutti i loro sbagliati fini e pensieri.
Vegeta, Bulma e Goku avrebbero ucciso
Obbligo. Vendetta. Giustizia: c’era un giustificazione valida per la morte?
Ma ogni giustificazione sembrava buona contro la casualità deterministica non intellegibile della natura all’uomo arrogante.
“Giudice Satan non è bene incontrarsi con i morti, non è bene complottare. Non è bene tradire.”
Aveva parlato Goku, sembrava essere l’unico ad aver mantenuto una certa lucidità.
“E chi lo dice?”
“La società.”
Il giudice tremava e Vegeta, Bulma e Irene erano i protagonisti di un mortale triangolo amoroso e si guardavano fissamente con pari intensità di diverse sensazioni.
Sembravano diventati estranei a tutto, sembravano voler conoscere solo loro stessi e i profondi rapporti che legavano i loro sentimenti.
Il poliziotto avanzò con passo tranquillo, verso la sua vittima.
Lo uccideva perché aveva sbagliato, perché aveva tradito i suoi ideali ancora prima di aver tradito gli altri, perché Goku non si capacitava di come un giudice potesse usare metodi ingiusti, perché non voleva che Bulma fosse condannata alla forca.
Non avrebbe potuto avere indietro i suoi genitori, ma perlomeno non sarebbe morta solo perché cercava di farsi giustizia, seppure sommariamente e ingiustamente.
Aveva sbagliato Goku e non era giusto che Bulma pagasse le condanne degli altri.
“No, no, non farmi del male.” Cadde a terra col sedere e cercò di indietreggiare, strofinandosi sul terriccio umido dalla notte.
Era paralizzato, era terrorizzato perché sapeva di aver sbagliato e non semplicemente quando aiutò Irene, ma quando si sottomise a Freezer rinnegandosi come persona.
Quello che Goku stava facendo era sbagliato e non sapeva, ma era proprio quello che gli uomini volevano: sbagliare e lui chi era per privare l’umanità dalla possibilità dello sbaglio?
Eppure era giusto anche punire lo sbaglio, così il suo gesto avrebbe assunto anche un connotazione divina.
Prese la pistola che aveva in tasca e la puntò contro Satan. Non puntò al cuore, né agli altri organi vitali: sparò nelle braccia e nelle gambe e ad ogni proiettile conficcato nella carne, corrispondeva un urlo virile e agghiacciante.
Ci furono cinque colpi di pistola, cinque strazianti fonti di dolore nel corpo del giudice.
La morte sembrava tanto bella in mezzo a tutto quello strazio.
“Io non ti ucciso, ti ho solo ferito. Sta a te riuscire a non morire.”
E Satan urlava e piangeva, si strappava i capelli a ciocche.
Non scherzavano quelli, no gli uomini erano sempre stramaledettissimamente convinti della giustizia delle loro azioni.
Irene si allarmò e indietreggio alle parole dell’altra donna.
“Mi dispiace è arrivata la morte.”

Anche quella sera era arrivata puntuale.
Era entrata in punta di piedi dalla porta semi aperta e l’aveva raggiunto in bagno.
Lui coperto da acqua, sdraiato nella vasca, con la testa appoggiata al bordo;
Lei alzata e vestita di tutto punto, con l’impaziente voglia di abbracciarlo.
Si spogliò in fretta, mantenendo una dignità sensuale, quando fece scendere le mutande in pizzo giù per gambe.
Entrò anche lei nella vasca, senza saggiare prima la temperatura dell’acqua, non le importava di certo di scottarsi o congelarsi.
Come sempre, si fece spazio tra le sue gambe e si coricò sul suo pube, senza salutarlo, senza rivolgergli parola, e, come sempre, lui le inserì una mano tra i capelli, cominciando a carezzarle distrattamente la nuca.
Vegeta era insofferente per le troppe parole e Irene parlava poco.
Vegeta era svogliato per fare sdolcinatezze e Irene si accontentava di quel contatto frettoloso e superficiale.
Irene era perfetta: riusciva a tollerare e a farsi piacere tutte le manie infantili di Vegeta, ma quella volta l’esperienza gli diceva che non avrebbe accettato di buon grado ciò che le stava per dire.
Vegeta amava Irene, ma certe volte era così infantilmente gelosa che l’avrebbe voluta uccidere con quelle stesse mani che si stavano facendo baciare dalle sue labbra.
“Domani sera devo andare con Freezer ad una cena d’affari.”
“Ti aspetto sveglia, se vuoi.”
Si girò su un fianco e si strinse alla sua gamba, come fosse stato un koala, e non gli spiacque per niente, quando Irene leccò l’inguine, ma farla incazzare, quando era così pericolosamente vicina con i denti ai suoi testicoli, non sembrava una buona idea, ma era giusto che sapesse e soprattutto era giusto che non si abbandonasse a quell’isterismo tipico della fallita.
“Non è questo il punto. Freezer è interessato a una persona e io la devo avvicinare, facendo qualche moina, illudendola un po’.”
Era stato innaturale quel repentino cambiamento: aveva sbarrato gli occhi che teneva socchiusi e serrato la mascella che aveva licenziosamente aperto.
Sperava che non desse di matto, ma gli occhi d’Irene erano verdi di gelosia.
“Perché non mi dici chiaramente che non vuoi stare con me?”
Aveva iniziato ad urlare e Vegeta odiava le sue grida.
“Non fare la melodrammatica. Ho detto che devo fare il carino con una ragazzina, non ho mai insinuato che non voglio stare con te.”
Si alzò in piedi e, con l’aria gelida dell’inverno, la pelle bagnata delle spalle si sentiva a disagio.
“Non lo dici, ma poi alla fine della storia sono sempre io la cornuta.”
Irene aveva un corpo minuto eppure perfetto, Vegeta adorava guardarlo e toccarlo, ma certe volte gli veniva a noia.
Era successo già troppe volte che lei lo trovava a letto o in ufficio a intrattenersi con un’altra donna e il copione era sempre uguale e usualmente triste.
Lui sbagliava, lei faceva una scenata, lui si innervosiva e, paradossalmente, era lei che si scusava con lui per il suo carattere puerile e troppo impulsivo.
Certo, sennò perché l’avrebbe mai tradita?
Vegeta sbagliava, ma Irene era sbagliata, totalmente sbagliata.
“Questa volta no invece. Non ti tradirò con lei.” Pareva sincero.
“Chi me l’assicura?”
“Io. Non ti fidi del tuo amore?” Era bastardo e le piaceva.
Tornò a stendersi su di lui, facendo sbattere i loro sessi.
“Chi sarebbe quest’ultima troietta?” Almeno avrebbe potuto ucciderla.
“Bulma Brief.” Disse con un sorriso allegro.


“Tu dovresti essere morta.”
Irene non si sarebbe fatta sopraffare da una ragazzina boriosa e infantile.
“Senti chi parla.” Bulma si portò le mani sui fianchi; non riusciva a crederci: era paradossale chi rinfacciasse le cose a chi!
“Una che non sembra si sia ingoiata un fischietto.”
Non erano due assassine pericolose in quel momento, solo due donne incazzate e isteriche e presumibilmente gelose, la situazione sarebbe sfociata in una zuffa con tirata di capelli e non in un omicidio, se non ci fosse stata la calcolata freddezza maschile.
“Smettetela di dire stronzate.” Vegeta era alterato, Goku ridacchiava, seduto su una roccia poco distante, pronto ad intervenire se ce ne fosse stato bisogno.
“Piuttosto come hai fatto a non morire?” Sapevano che l’aveva aiutata Satan, ma Vegeta non riusciva a capire come.
“Pensa. Non sei stupido…” Quella frase interrotta era sembrata proprio un insulto.
“Dimmelo.” Minaccioso il suo tono, ma forse lo era di più il sangue che colava dalle mani: inquietava vedere quel dinamismo su una persona apparentemente apatica.
“Sappi che hai appena ammesso di essere stupido.” Irene sperava di non morire, ma contro Vegeta, sola contro tre persone armate, aveva poche possibilità, lo sapeva, tanto valeva prendersi quelle piccole rivincite.
La morte non la spaventata: l’aveva quasi provata una volta.
“Parla.”
“Semplice, abbiamo sostituito l’iniezione letale, solamente con del curaro. Quando tu te ne sei andato, Satan mi ha fatto rianimare.”
Ingegnoso, ma semplice, perché non c’era arrivato?
Forse aveva fatto quei due troppo codardi o giustamente apprensivi per se stessi.
“Saresti potuta morire veramente.”
“Dovevo farlo lo stesso no? In fondo per un rischio minimo e inevitabile non sono morta come avresti voluto.”
Voluto? Non era più sicuro che il suo desiderio era quello di vederla morta.
Perché l’aveva sacrificata? Per gli affari, per il profitto, per ribadire la sua totale libertà dagli altri?
Aveva sbagliato ad usarla, aveva sbagliato a sacrificarla per un’altra.
Se avesse potuto tornare indietro nel tempo!...
Avrebbe rifatto le stesse identiche cose: avrebbe sbagliato per diventare quel che era.
“E ora? Se non vi avessimo scoperto, se foste riusciti ad ucciderci, cosa avreste fatto? Che speravate di fare?” Bulma si rifiutava di credere che avessero fatto tutto quello per stupida vendetta, per combattere contro i mulini a vento, contro la società.
Già: la vendetta era stupida, peccato che l’avesse capito solo toccata la morte con un dito.
“Sarei tornata alla mia vita.” Ma cosa si poteva pretendere da Irene se non una cosa stupida?
“E come? Satan ti ha condannato e per tutti sei morta, riapparire da viva avrebbe destabilizzato i più. Lui avrebbe perso il lavoro e tu saresti stata condannata di nuovo e saresti morta. Che senso avrebbe avuto tutto questo?”
Bulma aveva ragione e Vegeta fu sorpreso di quell’acume, si era scordato che potesse essere intelligente quella donna.
La guardava e poi guardava Irene e le trovava ambedue bellissime, ma quella notte aveva scelto: la uccise con un solo proiettile dritto al cuore. Prese la mira e non esitò, non si impegnò nemmeno di ucciderla in un modo più dignitoso che non l’accomunasse ad altre numerose sue vittime.
Quel corpo cadde a terra, facendo crollare anche tutto il passato che avevano edificato assieme.
Aveva amato Irene, davvero, ma doveva morire: la sua vita ora era con Bulma.



……Sono tornataaaaa!
Non sembrava vero, ma invece ho aggiornato e fidatevi sono più sorpresa io di voi!
Ho tante, tantissime cose da dire.
Voglio dire che ho creato un mostro che non sono in grado di controllare, nel senso che questa storia è diventata davvero tanto più complessa rispetto a quello che la mia mente inizialmente aveva elaborato e davvero mi sono venuti i complessi: riuscirò a portarla a termine dignitosamente?
Quanti fili ho fatto intrecciare, quanti colpi di scena ho usato per catturare il lettore?
Tanti, troppi, eppure mancano gli ultimi tre capitoli, forse anche due, e questa storia finirà. Sono la prima a non crederci e la prima a non capire come mi sento: da una parte sollevata e liberata, dall’altra delusa da me stessa: forse avrei potuto fare meglio? Sicuramente e allora perché non l’ho fatto?
Non lo so, so solo che ormai è così e spero vivamente di concluderla prima dell’anno nuovo: sarà il mio buon proposito. xD
Concentrandoci sul capitolo…
Spero che abbiate capito il significato intrinseco di Goku che è molto più vicino al Goku del manga di quel che si possa pensare a primo impatto, spero almeno di esserci riuscita: l’uomo giusto che non segue la giustizia del mondo ma quella personale, influenzata anche da un umano senso di colpa.
Giusto? Sbagliato?
Chi lo sa in fondo cosa sia veramente lo sbaglio…
Irene è morta in maniera più plateale quando non è morta che ora che è morta veramente: non volevo tirare il capitolo ancora per le lunghe, è già abbastanza corposo e strano, e poi non era più così importante.
Ma come aveva fatto Irene a non morire? Chi studia medicina sarà che la mia teoria è veritiera seppur abbastanza improbabile, ma fatemela passare perché sennò non sapevo proprio come fare. xD
Angolo superquark: il curaro è un estratto vegetale di piante esotiche, il cui derivato, il pancuronio serve per preparare la vera iniezione letale.
Il semplice curaro però causa solo un arresto respiratorio e se si rianima in tempo la persona non dovrebbe causare la morte, altrimenti si muore per asfissia.
Bello fantasioso eh? xD
Ho impiegato una settimana di ossessione per questo capitolo, spero che qualcuno lo apprezzi!
Ad ogni modo io vi ringrazio sempre moltissimo per il supporto che mi date: grazie a chi legge, a chi segue, a chi ricorda, a chi preferisce e a chi recensisce! <3
Alla prossima ragazzuole! ^^
  
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