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Autore: syontai    06/11/2013    16 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 9
Una canzone d’addio, o un arrivederci?

Violetta deglutì. In quel momento l’unica speranza che le rimaneva giaceva su un ripiano in legno, completamente ignorato dal giovane principe, il cui corpo premeva sempre di più contro il suo. Una lacrima le solcò il viso, rendendosi conto di essere per la prima volta davvero impotente. E sentì montare dentro un odio mai provato per Leon. Si, quel ragazzo stava godendo della sua debolezza, della sua impossibilità di difendersi; le aveva negato la possibilità di giocare ad armi pari, e tutto questo le dava il voltastomaco. “Adesso mi odi…” mormorò con assoluta indifferenza Leon. “Non mi sembra che te ne importi qualcosa in fondo” rispose Violetta, abbassando lo sguardo, affranta. “No, hai ragione, non mi interessa. Anzi rende tutto più divertente. Percepire l’odio nei miei confronti, la paura che provi per me; non c’è niente di meglio”. “Non provi pena per nessuno? Nemmeno per gli innocenti?” chiese, ormai in preda alle lacrime. “Non esistono innocenti; non per me, almeno” rispose freddo il ragazzo, desiderando di porre fine il prima possibile a quella conversazione. Sentiva un fuoco ardergli dentro mai provato prima, un desiderio che andava ben oltre quello fisico. La bocca era secca, e più lambiva dolcemente con le sue labbra il collo di Violetta, più la sete aumentava. Si separò con gli occhi ancora socchiusi, mentre il battito del suo cuore accelerava. Era emozionato, e non riusciva a darsi una spiegazione. “Ho sete” biascicò con lo sguardo spaventato. Violetta lo guardava timidamente, sperando in cuor suo che approfittasse del calice pieno di vino, con il sonnifero. Che cosa gli stava succedendo, ancora non sapeva spiegarselo, ma doveva smetterla di sembrare un bambino impaurito. Lui era Leon Vargas, principe di Cuori, ed erede al trono del regno.
Afferrò il calice con calma e lo sollevò in aria facendolo scintillare. “Sdraiati” le ordinò con gli occhi ridotti a due fessure, evitando di incrociare il suo sguardo. “C-come vuoi” rispose, decisa a non far intuire nulla del suo piano. Leon la vide stendersi sul suo letto, e ghignò colmo di soddisfazione. Quella notte l’avrebbe ricordata per tutta la vita con estremo piacere; il momento di debolezza era passato, e di fronte a quella scena si sentì nuovamente pieno di orgoglio e forza. “Domani mattina sarà tutto passato, sempre che non mi desidererai ancora” concluse Leon, alzando un sopracciglio in modo eloquente e trangugiando in un solo sorso il vino rosso. Aveva un sapore più dolce del solito, ma non gli interessava, voleva solo placare quella sete infinita che sentiva dentro. Quella sete che, intuiva, solo Violetta avrebbe potuto fargli cessare. Avanzando lentamente osservò il corpo di Violetta, e per poco non rimase a bocca aperta. Anche attraverso i vestiti riusciva a scorgere la perfezione, l’armonia che governava ogni particolare del suo corpo. Lentamente, senza rendersene nemmeno conto, poggiò le ginocchia sul bordo del letto, sporgendosi verso la ragazza. Poteva avvertire il suo respiro frenetico, e quasi ebbe paura di sfiorarla per timore di rovinarla con la sua corruzione. Adagiò con cura il corpo su quello di lei, stando attento a non schiacciarla e le baciò la guancia con avidità, scendendo lungo il collo, e abbassando una spallina del vestito, per proseguire lungo la spalla. La testa cominciò a girargli, e la vista si fece offuscata. Strano, non pensava che quel vino avesse una gradazione così forte. Poco male, non gli interessava più di tanto. Si avvicinò al suo orecchio ansimando, riprendendo fiato dopo quella lunga serie di baci. “Ti stai divertendo?” chiese ironico, dando un piccolo morso. Violetta chiuse gli occhi e strinse i denti, cercando di sopportare tutto quello, e involontariamente inarcò di poco la schiena. “Non puoi immaginare” rispose fredda, contando i secondi che trascorrevano con una lentezza snervante. Finalmente sentì la presa di Leon allentarsi e il suo corpo fermarsi. Voltò lentamente la testa e si ritrovò a qualche centimetro dal viso del principe, profondamente addormentato. Mentre dormiva sembrava quasi un angelo, e per qualche secondo si perse ad ammirarlo. Ma per quanto potesse essere affascinante, non poteva rimuovere quelle terribile immagini. Non poteva, né voleva, rimuovere il pensiero di quello che le sarebbe potuto accadere. “Te lo sei meritato, Leon. E ringrazia che non ci fosse il veleno là dentro” mormorò, consapevole che il principe non potesse sentirla. Sentendosi schiacciata dal corpo del giovane, portò le mani all’altezza del suo petto e fece leva per spostarlo di lì. Dopo quella che le parve un’eternità, riuscì nella sua impresa, e si alzò dal letto, con il vestito tutto spiegazzato. Si rialzò in fretta la spallina e si avviò verso la porta per uscire, lanciando prima un’ultima occhiata al principe, ancora nel mondo dei sogni. “Una notte indimenticabile, Leon, proprio come volevi tu” sibilò con un piccolo sorrisetto compiaciuto, prima di lasciare definitivamente la stanza.
Lena faceva avanti e indietro per la stanza, riflettendo. Ormai la sua compagna doveva essere già tornata, eppure di Violetta ancora nessuna notizia. Non sapeva che fare, e quell’ansia la stava logorando dentro. Decise di mettere un po’ d’ordine nella stanza, per passare il tempo. Cominciò dai vestiti di Violetta; prese la gonna piena di strappi che indossava il giorno in cui era arrivata al castello, e pensò che era forse il caso di rammendarla. Un foglio ripiegato con cura su se stesso cadde a terra, attirando la sua attenzione. Lo raccolse e subito lo dispiegò attentamente, curiosa come non mai. Cominciò a leggere: note, pentagrammi, musica, parole. Era una canzone, una canzone bellissima. Che l’avesse scritta la sua compagna di stanza? “Y vuelvo a despertar, en mi mundo…” canticchiò a bassa voce, per studiarne la melodia. “Bellissima, questa canzone arriva dritta al cuore” mormorò dolcemente la giovane ragazza, portando il foglio al petto con sguardo sognante. Prima che il padre partisse per la guerra aveva imparato a suonare il piano. Le veniva bene, ci passava intere giornate, alzandosi solo per i pasti e per dormire. Mise il foglietto in una tasca della sua gonna trasandata e mosse le dita in aria come se davanti a lei si trovasse la tastiera del pianoforte.
‘Lena sbagliò ancora una volta una nota, e incrociò le braccia mettendo il broncio. “Stupida nota!” esclamò con voce acuta, alzandosi dallo sgabello e fissando quel piccolo pianoforte adirata. “Che succede?” chiese il padre zoppicando e raggiungendo la sua amata figlia. “Non mi viene la canzone” si lamentò mentre gli occhi si facevano lentamente lucidi. “Forse non l’hai provata abbastanza” ribatté il padre, accarezzandole il capo. “Ma…ma non mi viene!”. L’uomo si passò una mano dietro la testa, grattandola, incerto su cosa dire. Si incantò per un attimo ad osservare il colore dei capelli della figlia, così simile alla sua defunta moglie. Ogni cosa le ricordava Lena, anche la sua passione per la sua musica. E bramava vederla sorridere sempre e comunque, amava poter rivedere il sorriso della moglie attraverso quello della figlia. “Ogni nota è come un cucciolo. Deve essere accudita, coccolata, accarezzata” disse sedendosi sullo sgabello tranquillamente. Lena lo fissava con gli occhi sgranati, in attesa di una qualche magia. Perché era magia quella che produceva suo padre al piano. L’uomo premette un tasto bianco sorridendo, poi diede il via ad una melodia dolce e potente allo stesso tempo. Le dita scorrevano velocemente, quasi Lena non riusciva a stargli dietro con lo sguardo. “Un giorno capirai che la musica è amore, è armonia…”. “E magia” aggiunse la bambina con gli occhi luminosi. “E magia” confermò il padre, dandole un buffetto sulla guancia. “Papà, come si accarezzano le note?” chiese all’improvviso, ricordandosi quello che le aveva detto prima. Sentì una risata roca e profonda: “Lo capirai, figlia mia, è un’abilità che si acquisisce con il tempo”. Lena fece segno al padre di spostarsi, e si rimise al piano a provare con impegno. Voleva imparare a sentire la magia che riusciva a donarle il padre. Voleva imparare ad accarezzare le note, lasciarsi cullare da esse. Voleva volare sui pentagrammi. E l’avrebbe fatto, era un sogno che prima o poi avrebbe realizzato’
Riaprì gli occhi di scatto, leggermente rossa in viso. Un sogno che prima o poi avrebbe realizzato. Non era vero, era stato solo un'illusione. Lei non aveva più toccato un piano dal giorno della morte del padre, anche se sentiva la musica scorrere dentro di lei come fuoco bollente, che non vedeva l’ora di scatenare il suo vigore. I suoi pensieri tornarono subito alla canzone trovata e a Violetta. Un’idea balenò nella sua mente, un’idea folle che però non poteva non mette in atto. Voleva aiutare la sua amica a farla stare meglio, e quella canzone era lo strumento giusto.
Sentì la porta sbattere si voltò di scatto verso l’amica con il fiatone: doveva aver corso per i corridoi di notte. “Ha funzionato” disse molto semplicemente Violetta, buttandosi sul letto, e portando una mano al cuore. Batteva forte per la tensione e l’ansia, e per l’emozione. L’immagine di Leon profondamente addormentato albergava nella sua testa e non voleva saperne di andarsene. L’impulso di sfiorare anche solo per un secondo la guancia del giovane, di potergli accarezzare i capelli l’aveva tormentata durante tutto il tragitto. Avrebbe dovuto odiarlo, disprezzarlo, ma non ci riusciva. Arrossì al pensiero del corpo di Leon sopra il suo, dei suoi baci, e anche se sapeva benissimo che per il principe si era trattato di divertimento, lei aveva sentito qualcosa, come una scossa, e aveva paura che nonostante tutto fosse rimasta completamente affascinata da Leon. “Meno male, allora! Dovremmo festeggiare” esclamò allegramente Lena, con un sorriso compiaciuto. “Cosa intendi?” chiese Violetta, incerta, riscuotendosi di colpo e alzando il busto dal letto, mettendosi seduta. “Domani pomeriggio ho una sorpresa. Mi faccio sostituire nei miei compiti, e ti porto in un posto” rispose con fare misterioso Lena. “Dove?”. “E’ una sorpresa” disse la ragazza, fingendo di chiudersi la bocca con una cerniera invisibile. “D’accordo, come vuoi te” rispose semplicemente Violetta, ristendendosi con lo sguardo fisso sul soffitto. Non poteva essere così autolesionista da innamorarsi di colui che voleva distruggerla, della persona più terribile che avesse mai incontrato. E forse era così; forse non era innamorata. E allora perché non riusciva a togliersi dalla testa il suo profumo e quel volto addormentato che le ispirava dolcezza?
Leon si svegliò con un tremendo mal di testa. Si passò i polpastrelli delle dita sulle tempi, cercando di ricordare cosa fosse successo prima di crollare. Riuscì ad avere solo qualche flash confuso di lui che baciava il collo di Violetta ansimando, ma poi più nulla. Si guardò intorno nella stanza, alla ricerca di qualche indizio, ma non trovò nulla che potesse aiutarlo. La sua attenzione fu poi catturata dal calice che giaceva sul comodino vicino al letto. Gettò la testa all’indietro, sprofondando nel cuscino soffice, e si maledì cento volte. Aveva bevuto quella sera, e probabilmente aveva perso la testa a tal punto da addormentarsi. Violetta gli era scivolata dalle mani come acqua, e questo fatto lo mandava in bestia; lui non perdeva mai, non esisteva in nessun modo. Non aveva nemmeno il coraggio o la voglia di uscire da quella stanza, dopo quella sconfitta vergognosa. Leon Vargas, principe di Cuori, che si addormentava a letto come un bambino di fronte a una bella ragazza come Violetta. Si sentiva un incapace, un inetto. Sentì qualcuno bussare dall’altra parte. “Signorino Leon! Si svegli, sua madre la vuole vedere” esclamò una voce impaurita, che doveva essere quella di Thomas. Leon si alzò di malavoglia dal letto, e con la mano cercò di sistemarsi i capelli scompigliati senza curarsene più di tanto. Si stropicciò gli occhi, ancora un po’ frastornato, e si avvicinò a passo veloce alla porta con gli stessi vestiti del giorno prima. La aprì di scatto, trovandosi di fronte il povero Thomas, che sembrava quasi tremare per la paura; gli piaceva fare quest’effetto alle persone, eppure lo innervosiva il fatto che non ci fosse riuscito con una persona in particolare. Violetta al massimo avrebbe potuto ridere di lui, e questo non lo poteva sopportare. Digrignò i denti infastidito, al solo pensiero, quindi richiuse la porta dietro di sé con una forza tale da far sobbalzare il povero Bianconiglio, e si diresse alla sala del trono. Non capiva perché la madre ci tenesse tanto a vederlo a quell’ora, ma una cosa era chiara: non si trattava di una buona notizia.
Jade sbadigliò rumorosamente, lasciandosi assestare l’acconciatura da una serva. Amava i suoi capelli e il suo aspetto quasi più delle sue ricchezze, e ci teneva ad essere perfetta sempre e comunque. Era stata la sua bellezza a permettergli di sposare il re Vargas prima della sua morte, lo sapeva bene. Ma adesso c’era lei al trono e questo era quello che contava. Un altro sbadiglio accompagnò i suoi pensieri. Il portone del salone si aprì rumorosamente lasciando entrare Leon Vargas, in tutto il suo splendore. Ogni particolare di quel ragazzo le ricordava il defunto re, e questo la faceva ribollire di rabbia, perché non poteva sopportarne la vista. “Leon…figliolo” esclamò freddamente, osservando un anello dorato che portava all’indice destro con interesse. “Si, madre” la salutò con altrettanta freddezza il giovane. “Come ben sai, il tuo periodo di riposo è scaduto” osservò alzando lentamente lo sguardo e specchiandosi nel verde inespressivo degli occhi del principe. “Ne sono consapevole”. “Bene, allora capirai che è il momento di scendere sul campo di battaglia”. “Come desiderate, madre” rispose obbediente Leon. Non che gli importasse di partire in guerra, anzi non vedeva l’ora di lasciare quel castello. Amava combattere. Lanciarsi nella mischia, sentire l’adrenalina scorrere nelle vene ad ogni affondo con la propria spada, sentirsi invincibile: non c’era nulla di meglio. Sul campo di battaglia lo chiamavano ‘Cavaliere Nero’; la sua sola presenza indicava presagio di morte certa e violenta. La prima volta che era entrato in guerra aveva avuto quindici anni. Il ricordo di quella battaglia, la polvere che si alzava, il ghigno del guerriero che brandiva l’ascia. Un brivido di paura percorse il suo corpo, arrivando al suo cuore, che accelerò i battiti. “Tutto bene, Leon?” chiese Jade con gli occhi sgranati. Aveva visto un’ombra di paura negli occhi del giovane, e non se lo sapeva spiegare. Eppure pensava di aver fatto un lavoro perfetto, pensava di averlo addestrato nel giusto modo. Allucinazioni, si ripeté la donna, schioccando la lingua sul palato. La serva riconobbe quel comando e si affrettò a recuperare un vassoio posto vicino al trono. La regina prese una tartina che c’era su di esso e la mangiò con grazia e il mignolo alzato all’insù. Dopo qualche secondo fece una faccia disgustata, poi sputò tutto sul vassoio posto di fronte al suo viso, che si stava tingendo di rosso per la rabbia. “Cosa è questo schifo?!” urlò. “Signora, ma è il paté di gamberetti che lei aveva richiesto” rispose con tono flebile la giovane serva. “Gamberetti?! Gamberetti?! Io avevo chiesto gamberoni! Esigo che al cuoco venga tagliata la testa!” esclamò dimenandosi con le braccia. “E che la prossima volta impari ad obbedire a un mio ordine. Guardie!” strillò, fino a quando non accorsero due guardie dall’armatura rossa scintillante. “Decapitate il cuoco. E’ un ordine!” ordinò scuotendo il capo furiosa. Le due guardie si guardarono negli occhi confuse, quindi rivolsero un’occhiata a Leon, che alzò le spalle indifferente in tutta risposta. “Sarà fatto, maestà” esclamarono i due uomini all’unisono, prima di uscire dalla sala rumorosamente. Jade, continuò ad inspirare ed espirare con forza, ancora adirata, quindi si rivolse a suo figlio. “La tua partenza è fissata per domani all’alba. Preparati” concluse la regina, congedandolo con un gesto della mano.
Leon uscì dalla sala del trono sospirando rumorosamente. Aveva voglia di andare in biblioteca. Ridacchiò al pensiero delle ramanzine giornaliere che gli avrebbe fatto Humty Dumpty; Humpty era un suo fido amico e consigliere. Per quanto facesse finta di non apprezzare la sua compagnia, in realtà la bramava in continuazione. Lo faceva sentire meno solo, e solo alla presenza dell’anziano bibliotecario poteva ufficialmente dire di essere compreso da qualcuno. Stava per entrare quando vide la porta aprirsi, quindi si nascose appiattendosi alla parete per paura di incontrare Violetta, la ragazza che aveva deciso di evitare per non doversi sentire umiliato più di quanto non lo fosse già. “E’ una sorpresa, ti ho detto!” cantilenò Lena con un sorrisetto uscendo dalla biblioteca. “D’accordo, d’accordo, ho capito, non me lo vuoi dire” scherzò Violetta con una piccola risata. Humpty le seguiva con sguardo apparentemente assente. “Grazie di tutto, Humpty” disse la giovane bionda, saltellando per il corridoio. “Non c’è nessun problema, quella sala non è usata da anni” assentì Humpty. “Comunque sia, per evitarvi guai, mi apposterò all’entrata, quindi potete stare tranquille” le rassicurò con uno dei suoi saggi sorrisi, ricchi di significato. “Io sto ancora cercando di capire, però!” si intromise Violetta, incrociando le braccia e fingendosi offesa. “Dai, tanto ci mettiamo poco ad arrivare al posto della sorpresa” esclamò Lena, alzando le braccia esasperata dalla pressante curiosità della sua compagna di stanza. Leon vide la comitiva allontanarsi lungo il corridoio e decise di seguirli. In realtà non gli interessava particolarmente tutto quello, ma non aveva nulla da fare. Ammettilo che sei curioso, disse una vocina nella sua mente. Mai, a lui non interessava. Ammettilo che non riesci a stare lontano dalla ragazzina, insisteva prepotentemente. Leon si sentì messo in difficoltà da se stesso, ma decise comunque di vederci chiaro in quella faccenda così strana. Cercando di fare il meno rumore possibile e mantenendo una certa distanza, si avviò lungo il buio corridoio, fino a sbucare sulla scalinata che, una volta scesa, portava alla sala d’ingresso del castello. Le due ragazze avevano attraversato l’enorme portone bianco che conduceva alla sala dei ricevimenti. Stava per allungare una mano verso la maniglia, quando…
 “Leon” esclamò con semplicità Humpty sbucando da dietro e facendogli prendere un colpo. Leon si ricompose subito e lo guardò impassibile. “Humpty” lo salutò con un cenno del capo. “Ho saputo della tua imminente partenza, e non posso nasconderti il mio dolore”. “Come sei sentimentale!” esclamò il giovane, esplodendo in una risata glaciale. “Come mai stavi per entrare?” chiese l’anziano, osservandolo maliziosamente. Per la prima volta Leon si sentì colto con le mani nel sacco, e senza una via di uscita. “Io? Entrare?” rispose con indifferenza. “Si, stavi entrando. Che c’è? Sei curioso di sapere cosa vogliono combinare quelle due?” fece pressione l’anziano strizzando l’occhio e dandogli una piccola pacca sulla spalla. “A me non interessa affatto! E’ solo mio dovere controllare che tutto vada nel verso giusto in questo castello” ribatté offeso, incrociando le braccia e facendo qualche passo indietro. “Non c’è niente di male nel voler tornare bambini, nel voler cedere alla curiosità che ci permette di vedere il mondo in modo diverso, le persone in modo diverso”. “ E ora, permetti alla curiosità di innamorarti di Violetta, permetti al tuo cuore di tornare a battere per amore” concluse con un sorrisetto, poggiando la mano sulla maniglia, e aprendola di poco in modo da lasciare uno spiraglio.
“Lena, ma che ci facciamo qui?” chiese con voce tremante Violetta, avanzando timorosa fino al centro della stanza circolare. Quell’enorme salone le dava un senso di perdizione. Un lampadario di cristallo splendeva lucente sul soffitto, mentre la pareti dorate e di marmo bianco mettevano in risalto lo sfarzo e l’eleganza del luogo. Lena però procedeva sul fondo della sala dove si trovava un enorme vetrata trasparente che dava sulla parte posteriore del giardino che circondava il castello. A fianco, sulla destra, un pianoforte nero giaceva inutilizzato. La ragazza si voltò con un sorriso quindi le fece cenno di proseguire. “Si può sapere cosa hai intenzione di fare?” la interrogò nuovamente, sempre più confusa. Lena si sedette al piano e tirò fuori un foglietto di carta ripiegato, che suscitò un’esclamazione stupita dell’amica. “C-Come l’hai…dove…non capisco” balbettò Violetta, arrossendo violentemente. “Dovresti imparare a nascondere meglio le tue canzoni” disse Lena ammiccando, per poi cominciare a suonare incerta le prime note. Non appena sbagliò ritirò la mano affranta e si incupì di botto. “Che ti succede?” chiese la ragazza, vicina, sedendosi sullo spazioso sgabello. “Io…è tanto che non suono. Non sono molto brava, ma ci tenevo tanto a farti una sorpresa”. Violetta sorrise, quindi prese la mano di Lena e la riavvicinò alla tastiera. “Riprova” la incoraggiò. “Solo se tu canterai questa bellissima canzone” propose la giovane, recuperando il suo sorriso contagioso. “Affare fatto” disse Violetta, stringendo la mano della sua amica, e alzandosi in piedi. La musica partì e il ricordo di quando aveva composto quella canzone riemerse come se la stesse riscrivendo in quel momento esatto. Incomprensione, riscoprire se stessi, il desiderio di riprendere in mano le sorti della propria vita, di vivere nel vero senso della parola, tutti sentimenti che riempivano quelle note, che riecheggiavano su ogni pentagramma, su ogni parola. La voce le implorava di uscire per accompagnare la melodia riprodotta con tanto impegno da Lena. E uscì, in modo inaspettato, ma uscì.
Leon non se l’aspettava. Non si aspettava di avere quella reazione. Non per Violetta. Non appena la ebbe sentita intonare le prime parole, il suo cuore si fermò all’istante; i suoi occhi non potevano smettere di rimanere ammaliati, le sue orecchie lo imploravano di entrare nella stanza per bearsi ancora di più di quella voce melodiosa, unica, al di là di ogni sua più grande aspettativa. Il piede destro si mosse leggermente in avanti, attratto come una calamita.
‘Y vuelvo a despertar en mi mundo
Siendo lo que soy
Y no vai a parar ni un segundo
Mi destino es hoy’
Humpty lo stava guardando in modo strano. Lo sapeva, lo aveva capito sin da subito che Leon era diverso da quel che voleva far credere. Quelle pupille dilatate per lo stupore, quell’espressione completamente rapita, non potevano più mentirgli. “Ti piace la canzone?” sussurrò all’orecchio del principe. “Non…non è niente di che” rispose con un fil di voce Leon, mentre il suo corpo la pensava in modo diverso. I brividi che attraversavano il suo corpo, si trasferirono velocemente alle sue mani. “E’ molto bella invece” lo corresse l’anziano con una risatina. “Se lo pensi perché hai chiesto il mio parere?” ribatté infastidito il principe. Humpty fece finta di non aver sentito: “E che ne pensi di Violetta?”. “Non vedo cosa c’entri Violetta” ribatté con durezza, scostandosi di poco per guardare negli occhi il suo interlocutore. Il bibliotecario sorrise beffardo “Leon, ti piace, te lo leggo negli occhi”. “Sei un pazzo se lo pensi!” esclamò Leon, questa volta adirato. La canzone cessò e con essa le emozioni che aveva provato. Era tornato il vecchio Leon, ma in quei cinque minuti si era sentito strano, diverso. Non capiva perché la musica fosse finita, lui voleva ancora sentire, non riusciva a farne a meno. Voleva sentire la sua voce, la sua meravigliosa voce, che aveva risvegliato qualcosa nel suo animo. Deglutì leggermente, e si rivoltò per dare un’occhiata dalla porta, ormai completamente aperta. E si rese conto che era stata proprio la sua presenza ad aver interrotto l’oggetto del suo desiderio. Violetta l’aveva visto ed aveva intimato alla compagna di smettere di suonare, facendo piombare tutto nel più grigio e cupo silenzio. Il terrore dipinto sul suo viso gli riportò alla mente ciò che gli aveva fatto. Non se ne era pentito: la temeva, la odiava. E quello non poteva essere scambiato per amore; lui non provava amore. Violetta e Lena lo raggiunsero all’entrata, sconvolte. Non sapevano in che modo e perché le avrebbe potuto punire, ma sapevano che avrebbero corso dei brutti guai. “Io devo andare. Lena puoi aiutarmi con alcuni libri pesanti?” chiese Humpty, prendendo il braccio della serva, senza attendere una risposta, e trascinandola via per il corridoio che portava alla biblioteca.
Erano rimasti solo loro due, in un silenzio reverenziale. Violetta teneva gli occhi bassi, arrossendo per l’imbarazzo e la vergogna. Non riusciva a guardarlo, senza pensare a quello che era successo tra di loro, e senza odiarlo di conseguenza. E invece non voleva odiarlo, voleva solo capire cosa nascondesse quel ragazzo, voleva capirci qualcosa di più sul suo passato e sul suo presente. “Non ho intenzioni di punirvi. Per conto mio, non avete fatto nulla di grave” esordì Leon, dopo aver tossicchiato. “A cosa dobbiamo questa sua grazia?” chiese ironicamente Violetta, suscitando in lui un fastidio mai provato. Non si era mai sentito parlare in quel modo, e voleva fargliela pagare, ma aveva preso la decisione di non infastidirla più, per non dover subire ancora una volta un’onta come quella della notte passata. “Nessun motivo in particolare. Volevo solo…”. Si bloccò all’improvviso; ghignò momentaneamente e poi riprese a parlare. Aveva bisogno di sentire l’odio che quella ragazza provava per lui, voleva sentirglielo dire, e non sapeva per quale motivo ma già gioiva al pensiero. “Domani parto per una campagna militare” esclamò, suscitando la preoccupazione di Violetta. “Io…non lo sapevo, mi dispiace. Spero solo che voi possiate…”. “Morire? Lo puoi dire, non sai quante persone si augurano la mia morte; penso sicuramente tutti gli abitanti del regno. Uno più, uno meno non fa alcuna differenza” asserì, scoppiando a ridere. Violetta non seppe come riuscì a farlo, non sapeva cosa gli fosse successo, ma istintivamente allungò la mano, verso il suo viso, come se volesse accarezzarlo, ma la mano rimase in aria, fermata dallo sguardo di disapprovazione del principe. “Spero solo che possiate tornare sano e salvo. Non provo odio per voi, Leon, solo compassione”. Come previsto, Leon si adirò come non mai, e i suoi occhi si infiammarono: “Compassione?! Te la puoi tenere per te, la tua compassione. Se morirò, lo farò da guerriero. Se vivrò, spero solo di non dover più tollerare la tua presenza e la tua insolenza!”. Con queste ultime parole, il giovane girò i tacchi, evitando lo sguardo seriamente preoccupato di Violetta; preoccupato per lui. Mentre percorreva il corridoio che portava alla sue stanze, le parole di Violetta non gli lasciavano tregua. “E’ preoccupata per me…” mormorò tra sé e sé. “Anche dopo tutto quello che le ho fatto”. Come poteva quella ragazza perdonargli tutto? Come poteva augurargli la vita, quando lui aveva cercato di rovinargliela? Soffriva. Soffriva come mai aveva sofferto da tanto tempo. La odiava con tutto il suo cuore, perché stava riportando alla luce un Leon che aveva cercato di seppellire. “Spero di morire, Violetta. Spero di non dover più sostenere il tuo sguardo” sussurrò davanti alla sua stanza, aprendola con furia e rifugiandosi al suo interno. Per riflettere…e prepararsi per l’imminente partenza.
Violetta non capiva. Leon era stato freddo con lei, ma non l’aveva provocata, non l’aveva ferita come invece aveva fatto altre volte. Non sapeva spiegarselo, ma sembrava che qualcosa in quel ragazzo stesse cambiando e forse era merito suo. Era in camera sua, stesa sul letto e fissava il soffitto. Ripensò a quando aveva cantato con Lena, e ricordò l’espressione sorpresa di Leon, sperduta. Sembrava quasi un bambino sorpreso mentre mangiava della marmellata di nascosto. “In fondo sembra così dolce, quasi un bambino” le scappò a bassa voce mentre ci ripensava. Scosse la testa vigorosamente: Leon aveva cercato di essere il suo carnefice, non aveva cuore, era un mostro. O forse questo era quello di cui si voleva convincere. Perché giudicare era più facile di conoscere, come condannare era più facile che perdonare. Ma la curiosità ancora una volta prevalse: e se lei non avesse mai conosciuto il vero Leon fino a quel giorno, fino a quando non aveva letto il profondo dolore nei suoi occhi mentre la ascoltava cantare? 










NOTA AUTORE: Scusate, sto attraverando un po' di problemi in questo periodo, infatti, non mi tratterrò nella nota autore. Purtroppo è un brutto periodo dal punto di vista psicologico. Sto soffrendo di attacchi di depressione, e mi trovo in difficoltà per molte ragioni, ma ok, non voglio attaccarvi un pippone sulla mia vita (da schifo). Parliamo del capitolo, perchè nonostante tutto amo troppo scrivere ed è l'unica cosa che mi mette di buonumore. Parlando del capitolo, è uno dei miei preferiti. Sarà perchè si vede un piccolo cambiamento in Leon, sarà perché i due si stanno lentamente avvicinando, per quanto ne siano inconsapevoli, insomma, non so, mi piace davvero tanto. La storia di Lena poi mi fa impazzire, quel flash l'ho trovato dolcissimo, proprio come lei in questo capitolo :3 Insomma, amo poco il personaggio di Lena xD Per quanto riguarda Leon, finalmente il giovane principe avverte la crisi! Per un momento era il vero Leon, per la durata di quella canzone. E ormai è evidente che si sta innamorando di lei. Ho sempre gli occhi lucidi quando leggo di quella scena, quella in cui la sente cantare. Boh, mi commuovo facile, lo so, ma è così dolce come scena :3 Vabbè, passando avanti i due hanno un piccolo diverbio, che però li turba. Leon si sente in difficoltà ed avverte una cosa mai provata prima, il senso di colpa. Violetta è sempre più sicura che Leon si nasconda dietro una maschera, e vorrebbe saperne di più. Ma adesso Leon deve partire per una campagna militare...che succederà? Chiedo perdono per non aver risposto alle ultime recensioni, ma appunto, non sto messo bene in questo periodo, e non ce l'ho fatta. Mi dispiace, volevo comunque dire che ho letto le recensioni e sono bellissime, grazie davvero *O* Beh, non aggiungo altro, buona lettura a tutti, e alla prossima ;D 
  
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