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Autore: yeahitsmarts    06/11/2013    4 recensioni
La chiamata avviene soltanto una volta nella vita, dopo di che la tua esistenza diventa un semplice rincorrersi nel tempo e nello spazio. Lo sa bene Gabe, l'unico viaggiatore consapevole di ciò che lo aspetta nel corso delle sue innumerevoli rinascite. I suoi compagni (uno per ogni continente) non ricordano praticamente nulla o, quando lo stanno per fare, muoiono in circostanze misteriose.
Fermare il male è davvero il loro compito principale o c'è qualcosa di più potente e oscuro dietro la loro missione?
Gabe, Helga, Shani, Yurim e Connor affronteranno il viaggio più difficile di sempre, pieno di ostacoli, di partenze, di addii. Cinque ragazzi dalla vita apparentemente normale che dovranno prendere una decisione più difficile di quanto pensino. Il male e il bene sono davvero ciò che sembrano?
Dreamtime, che il viaggio abbia inizio.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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03 // Cuori spezzati.
"sono stanco di tutta questa falsità
perciò svelerò tutti i miei segreti."

«Hai un aspetto terribile» Helga, con i capelli scompigliati e due profonde occhiaie, se ne stava comodamente seduta sulle scale del cortile attendendo che la campanella suonasse mentre Aria si accingeva a far commenti sul suo aspetto poco curato «E quella sui jeans cos'è, una macchia?» abbassando lo sguardo, proprio sulla coscia, una chiazza color senape si estendeva per tre centimetri. Helga la coprì con la mano, si strinse nelle spalle e rispose con un 'mh' strascicato. Non aveva per niente voglia di parlare con nessuno, tanto meno di vedere Gabe o sentire soltanto la voce di Elke.
La notte precedente era rimasta sveglia tutto il tempo, a fissare il bianco soffitto della camera mentre un mucchio di pensieri si impadronivano della propria mente. 
«Ma che hai?» le domandò l'amica picchiettandole con l'indice sulla testa. Helga, di tutta risposta, afferrò il suo zaino e si catapultò in classe per prendere il banco più lontano e al riparo da tutti.
Una volta in aula, il suo sguardo prima incollato sui gradini e poi sulla porta blu, roteò convulsamente sulla figura seduta in fondo.
Gabe.
Helga strinse i pugni e finse di ignorarlo, non lo salutò neanche con un cenno della testa, esattamente come lui aveva fatto il giorno precedente. Eppure una voce dentro di lei le suggeriva che il suo 'ciao' o la sua indifferenza non gli avrebbero affatto cambiato nulla. La ragazza si sistemò al banco parallelo a quello del ragazzo e finse di guardare fuori dalla finestra: le foglie cadevano dolcemente a terra mentre un gruppo di ragazzi era ancora tutto intento a terminare la propria canna mattutina. Helga si diede della stupida per non essere rimasta ancora un po' fuori con Aria, a sparlare delle ragazzine più piccole convinte che le loro misere taglie di seno avrebbero potuto conquistare chiunque.
«Tutto bene, Hel?» Hel? Ah, pensava davvero che lei si sarebbe sciolta perchè la stava chiamando in quel modo? Hel, ma che razza di nomignolo stupido, dolce e... Helga si voltò dalla parte della voce, scrutò bene la figura e tentò di abbozzare un sorriso che però si spense immediatamente «Hel sembra un nome da cane».
Brava! Si disse, mantieni l'aria di quella incazzata con il mondo e vedrai che se ne andrà nell'arco di cinque secondi.
«Hai ragione» sospirò Gabe passandosi una mano nei capelli «Non ho la minima idea di come mi sia venuto in mente» ridacchiò e lei sentì le ginocchia tremare «Helga, dunque» ricominciò da capo fissandole le unghie con lo smalto nero tutto scrostato «Sei sicura di stare bene? Non hai un'ottima cera» non sapeva proprio che rispondergli. Decise quindi di mentire e sorvolò la notte insonne e la litigata con la madre (e il suo cuore rotto nel vederlo con Elke) e rispose semplicemente: «Sì, non vedo perchè vi dobbiate tutti...» di nuovo quell'orribile sensazione.
La stanza si fece più chiusa, il respiro più affannoso. Il cuore le batteva all'impazzata, sentiva Gabe scuoterla e domandarle che cosa le stesse succedendo. Ma non riusciva a rispondere, le parole le restavano impigliate tra le labbra mentre tutto intorno iniziava a vorticare pericolosamente. Helga chiuse gli occhi, respirò affannosamente ma quella sensazione proprio non voleva saperne di lasciarla in pace. 
«Me ne devo andare» riuscì a esordire qualche secondo dopo con grande fatica «Questo... Questo non è il mio corpo» balbettò. Si fissò a lungo le mani tremolanti mentre Gabe continuava a tranquillizzarla ma la sua voce risultava distante anni luce. «Gabe, io, io non capisco» involontariamente, pianse. Non riuscì a fermarsi neppure quando una seconda figura, i contorni erano troppo poco nitidi per far si che Helga la riconoscesse, comparve al fianco del ragazzo. 
«Non capisco niente» continuò a piagnucolare «E' come se non ci fossi, come se non stessi qui. Voi mi capite?» probabilmente quelli annuirono «Io no, io non ci sto con la testa, sto forse impazzendo?» e poi una nebbiolina viola le annebbiò la vista, una delle molteplici allucinazioni di cui Helga soffriva in momenti come quelli.
Tutto intorno a lei si fece grigio, la classe sparì e lei si trovò nel bel mezzo di un freddo glaciale. Era forse una strada quella davanti a sé? Abbassò lo sguardo sui suoi piedi e notò con molto dispiacere che erano nudi. Nevicava, forse era Dicembre ma non sembrava la città di Amsterdam. Dio quanto le mancava casa. Ma casa dov'era? Una luce iniziò ad avvicinarsi a lei velocemente. Helga provò ad allungare una mano davanti a sé per fermarla, ma quella continuava a diventare sempre più grande, sempre più prossima.
Finchè non la investì, completamente.

«Sembra che si sia finalmente ripresa» aveva sentito quella voce soltanto una volta circa due anni prima, quando era finita in infermeria  a causa di un terribile mal di pancia. A parlare quindi, doveva essere la signorina Braun, un'apatica trentenne dalle forme rotondette che cercava di prendersi cura degli alunni con i suoi primitivi strumenti da lavoro. 
«Helga riesci a sentirmi?» Aria, il suo tono era inconfondibile. Helga se la immaginò china su di lei con una faccia preoccupatissima ma contenta di aver saltato le prime ore di... Helga non aveva la minima idea di quanto tempo fosse passato e, soprattutto, del perchè si trovasse lì. Si alzò di scatto e si mise seduta sul lettino, quel posto le faceva sempre uno strano effetto e le ricordava un ospedale per le pareti bianche e asettiche. Giusto accanto alla porta, miss Braun teneva appeso un calendario di due anni prima che raffigurava un fiore per ogni mese. La ragazza spostò lo sguardo sull'amica che continuava a fissarla accigliata 
«Da quanto tempo mi trovo qui? E perchè?» la testa continuava a farle male però si sentiva leggermente meglio e più riposata. Aria sospirò e le si sedette accanto «Questa mattina hai avuto un attacco di panico orribile e sei svenuta» si guardò l'orologio da polso, era bianco con una figura rossa, più di una volta aveva ripetuto di averlo comprato al mercato e di averlo pagato davvero poco «Siamo qui da un'ora, forse un'ora e mezza» Helga socchiuse gli occhi ed espirò nervosa «Perfetto, e io non ricordo niente. Solo che una volta entrata Gabe ha iniziato a parlarmi, ma probabilmente diceva cose stupide. Torniamo in classe» non ci fu modo di ascoltare la signorina Braun che le sconsigliava di riprendere parte alle lezioni perchè Helga raccolse le sue cose e con gran fatica raggiunse l'aula con Aria al suo seguito.
Entrò in classe come se niente le fosse successo ed ignorò le occhiate sospettose che i suoi compagni le stavano lanciando, sedendosi al banco in prima fila e tirando fuori i suoi libri. Con la coda dell'occhio notò che anche Elke era presente, bella e ovviamente seduta vicino a Gabe che però nel frattempo stava fissando lei. 
Helga si irrigidì e per un attimo smise di respirare quando le mani di quei due iniziarono a sfiorarsi più e più volte. Non era un comportamento normale o, quanto meno, non avevano mai avuto così tanta confidenza davanti agli altri. Sperò che fosse soltanto la sua immaginazione e provò ad ascoltare la lezione di letteratura. 

 
***

«Sei proprio sicuro che abbia detto così?» Connor aveva aspettato almeno tre ore prima che il padre si addormentasse profondamente, poi aveva deciso di uscire di casa a fare quattro passi perchè quella situazione lo stava divorando da dentro. Il suo migliore amico, uno squattrinato ventisettenne di nome Alex, lo stava aspettando al solito bar degli appuntamenti già da quindici minuti quando il ragazzo fece il suo ingresso. «Al cento per cento?» domandò di nuovo mentre zuccherava il caffè. Connor annuì amareggiato mentre un groppo in gola iniziava a sciogliersi. 
Da sempre era il classico bambino che non si vergognava di mostrare le proprie emozioni e già al funerale del nonno aveva versato lacrime amare. Perfino quando lei se n'era andata via, piccolo com'era, non era riuscito a trattenersi. E poi il solo pensiero di dover dire addio anche a lui, presto o tardi, lo uccideva. «Sì, mi ha detto che è malato anche lui, non ho nient'altro da dirti». 
Alex, che non era particolarmente entusiasta di quelle sue risposte brevi e stizzite, provò comunque a capirlo e a stargli vicino come avrebbe fatto qualsiasi fratello maggiore acquisito «Magari lo ha detto soltanto per vedere come reagivi tu, anche se ammetto che non è esattamente il massimo degli scherzi» tentò di tirarlo su di morale facendogli sperare il meglio «Oppure sta scrivendo un articolo di giornale sulla situazione che gli adolescenti vivono in questi casi».
Connor finalmente lo guardò in faccia e prese a scuotere la testa «No Alex, purtroppo credo che sia tutto reale. Non ho neanche la minima idea di quanto vivrà ancora e da chi andrò a vivere, non mi è rimasto più nessuno» Alex non poteva fare altro, in fin dei conti Connor aveva diciassette anni, non due, provare a mascherare la verità non avrebbe portato nessun risultato. 
Si accomodò meglio sulla sedia e provò a riflettere e allungandogli una foto esordì: «Beh, c'è sempre lei, da qualche parte nel mondo, o sbaglio?».
Non sbagliava. Connor però non aveva più sue notizie da quando se n'era andata e non aveva la minima idea di dove fosse andata a sbattere «Sperando che abbia messo la testa a posto. E che sia viva, soprattutto» riuscì quasi a ridere di quel suo macabro sarcasmo. Alex gli lanciò un occhiataccia ed esclamò: «Non essere scemo, si che lo è!».
Possibile che fosse tutto vero? Alex sapeva perfettamente dove sarebbe andato a finire Connor dopo la morte del padre ma preferì tenere tutto per sé, per non allarmare l'amico, per non farlo preoccupare troppo.
Altrimenti che amico sarebbe stato?

 
***

All'uscita di scuola Helga era riuscita finalmente a convincere Aria a farsi dare un passaggio con la macchina. Una volta salita sull'auto la mamma dell'amica la salutò con un amichevole sorriso chiedendole quando sarebbe andata a pranzo da loro. La ragazza si strinse solamente nelle spalle e non potè fare a meno di osservare Elke e Gabe tenersi per mano davanti alla vettura del ragazzo. 
Dopo il suo svenimento, Helga aveva passato tutto il tempo ad osservare Gabe che l'aveva fastidiosamente ignorata senza un motivo per il resto della giornata. Non si era minimamente preoccupato di chiederle come stesse quando poco prima invece la stava soccorrendo. Quei suoi sbalzi d'umore iniziavano a non avere senso ed Helga si sentiva profondamente irritata da tutto ciò. Poco dopo, come se non bastasse, le era arrivata la fantastica notizie che Elke e Gabe fossero ufficialmente una coppia. 
Ed Helga in quel momento li stava spiando da oltre il finestrino invidiando con tutta se stessa la ragazza. Non c'era da rimanere sorpresi, in fin dei conti sapeva perfettamente in cuor suo che sarebbe accaduta una cosa simile prima o poi, eppure continuava a sperare di riuscire a conquistare Gabe.
A casa la madre ed Anton non c'erano e nel salone sembrava che fosse appena scoppiata una bomba. Non un solo biglietto, non una chiamata. Quella giornata era davvero troppo strana e la ragazza sperò che si concludesse il prima possibile. Si scaldò la minestra lasciatale dalla donna e si posizionò in salone a guardare la tv finalmente libera. 
Non aveva voglia di fare gli esercizi di matematica e nemmeno di studiare storia: voleva soltanto dormire e aspettare l'indomani. Nel frattempo fuori iniziò a piovere ed Amsterdam sembrava il paesaggio di un bellissimo quadro. Quel tempo però la metteva sempre di cattivo umore e cos'altro poteva andare storto in una giornata come quella?

 
***

Elke dormiva beatamente nel letto disfatto di Gabe. Si accese una sigaretta sporgendosi con il busto fuori dalla finestra. Il sole iniziava lentamente a calare mentre una pioggiarellina si abbatteva sulla città e, a petto nudo, cominciava ad accusare il freddo.
Gabe pensò che Elke sarebbe stata un'ottima moglie, perennemente con il sorriso stampato sulla faccia e forse un'amorevole mamma. Eppure quella ragazza dall'aria gentile e disponibile nascondeva qualcosa di lugubre e malvagio o almeno quella era l'impressione che Gabe aveva. Troppa felicità, troppo affetto rendeva quella persona inverosimile.  
Quasi come richiamata da quei pensieri, Elke si svegliò e indossò soltanto il lenzuolo azzurro. Si avvicinò a lui silenziosamente e, allo stesso modo, gli scoccò un bacio sulla spalla nuda. 
«Dormito bene?» Elke annuì soltanto stropicciando gli occhi e Gabe osservandola notò che somigliava ad una bambina piccola e innocente. 
«Tanti bei sogni» rispose lievemente lei avvicinandosi ancora un po' alle sue labbra. E mentre lui la baciava con passione facendole scoprire la pelle nuda, sapeva perfettamente che a pochi kilometri di distanza qualcuno da lì a poco, invece, non sarebbe riuscito a prendere sonno.


Angolo dell'autrice:  capisco che questi capitoli non
siano il massimo e che siano anche un po' noiosi
ma contengono tutti dettagli importantissimi!
Presto arriveremo proprio nel centro della storia
dove tutti i personaggi faranno la loro comparsa
e allora potrete dire di esservi affezionati a
qualcuno!
Sempre a te, Gabe.
  
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