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Autore: AntheaMalec    06/11/2013    3 recensioni
Il mondo era una scacchiera.
Le pedine erano i fenomeni naturali dell’universo in cui erano stati collocati e il gioco, come la vita, era governato da una serie di regole. Si dava sempre per scontato di avere il bianco, di poter fare la prima mossa, ma non possiamo esserne certi, perché l’avversario, chiunque sia, è perennemente nascosto. Nessuno poteva avere l’assoluta convinzione che niente sarebbe andato per il verso sbagliato o che, alla fine, non avrebbe avuto alcun verso affatto. John aveva pensato, stupidamente, che dopo aver avuto il periodo più buio che potesse immagine, dopo il ritorno a Londra come conseguenza del colpo di proiettile alla spalla, niente potesse più andare storto perché aveva trovato il suo piccolo luogo felice e, tra più di sette miliardi di persone, esso aveva scelto di stare vicino a lui e di non scappare lontano. Quanto era stato ottuso, anche solo a credere che la sua vita potesse andare tutta in discesa.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I’m coming home






I'm coming home
I'm coming home
Tell the World I'm coming home
Let the rain wash away all the pain of yesterday
I know my kingdom awaits and they've forgiven my mistakes
I'm coming home, I'm coming home
Tell the World that I'm coming

Back where I belong, yeah I never felt so strong










Il mondo era una scacchiera.

Le pedine erano i fenomeni naturali dell’universo in cui erano stati collocati e il gioco, come la vita, era governato da una serie di regole. Si dava sempre per scontato di avere il bianco, di poter fare la prima mossa, ma non possiamo esserne certi, perché l’avversario, chiunque sia, è perennemente nascosto. Nessuno poteva avere l’assoluta convinzione che niente sarebbe andato per il verso sbagliato o che, alla fine, non avrebbe avuto alcun verso affatto. John aveva pensato, stupidamente, che dopo aver avuto il periodo più buio che potesse immagine, dopo il ritorno a Londra come conseguenza del colpo di proiettile alla spalla, niente potesse più andare storto perché aveva trovato il suo piccolo luogo felice e, tra più di sette miliardi di persone, esso aveva scelto di stare vicino a lui e di non scappare lontano. Quanto era stato ottuso, anche solo a credere che la sua vita potesse andare tutta in discesa.
John si leccò le labbra aride, rafforzando la presa sulla pistola, con le mani madide di sudore, osservando dritto davanti a sé.
Erano passate due settimane dalla morte di Sherlock Holmes e sembrava che tutti, o quantomeno chi si trovava attorno a lui, avessero dimenticato di quel terremoto emotivo che aveva percosso il mondo per poi lasciarlo tristemente in silenzio. John aveva davvero provato ad andare avanti con la sua vita: non aveva abbandonato il suo lavoro, aveva affittato un bilocale in periferia e faceva compagnia alla signora Hudson, mai al 221. John aveva davvero cercato di farcela, ma si ritrovava sempre con in mano degli Iris, davanti a una tomba che diventava appena sfocata, ai suoi occhi, quando i ricordi lo inondavano senza alcuna pietà.
Serrò gli occhi, lasciando che tutti i sentimenti tacessero, facendo spazio solo alla rabbia per colui che aveva osato, che sia dannato per l’eternità!, portargli via la sua vita. Strinse le palpebre e gioì nel sentire l’adrenalina scorrergli nelle vene come acqua di sorgente. Era lì, non se n’era andata. Era lì, non se n’era andato.
Sparò. Incominciò a sparare e non si accorse nemmeno di avere gli occhi incollati al bersaglio, metri davanti a lui, mentre il suono della pistola veniva attutito dalle cuffie protettive.
La sua terapista, per una buona volta, aveva azzeccato il rimedio perfetto per il suo stress emotivo, per il suo “continuo negare la realtà, per quanto dolorosa possa sembrare”. Gli aveva consigliato di andare ad un tiro a segno per sfogare tutto ciò che, a parole, non riusciva a esprimere. John aveva gli agganci giusti, per quel genere di cose. Un suo ex commilitone era riuscito a farlo entrare senza troppi problemi e ora, davanti a una sagoma di carta a forma di uomo, John si sentiva vivo, con uno scopo.
Chiuse gli occhi nuovamente, ricaricando la pistola alla cieca. Si focalizzò su chi odiava di più, su Moriarty. Rivide il suo ghigno beffardo, le sue menzogne scavate nel profondo, rivide i mirini rossi puntati addosso a John e poi addosso a Sherlock. Rivide Sherlock che arrivava ad essere una falena, troppo vicina alla luce. Come una serie di flashback potenti, John si trovò in mezzo ad una strada, con un cellulare alla mano e una preghiera in testa. Osservò Sherlock, solo e triste sopra quel tetto, troppo lontano perché potesse toccarlo, rassicurarlo che tutto sarebbe andato per il meglio. Odiò Moriarty per avergli fatto quello. Lo odiò per avergli fatto dire cose terribili proprio prima che il suo migliore amico morisse, in un asettico laboratorio. Quel sentimento lo devastò così tanto che si ritrovò a scattare come un animale, scaricando un intero caricatore contro il cuore immaginario della sagoma. Respirò affannosamente, togliendosi gli occhiali protettivi e asciugandosi il sudore. Quindici pallottole al petto e una alla testa; la sua presa militare non era del tutto appassita, quindi. Posò la pistola sulla mensola, sentendo dentro di sé nient’altro che vuoto, come un infinito buco nero che risucchiava tutto, anche la sensazione di soddisfazione riguardante la mira lodevole.
Qualcuno aveva mai amato così tanto da dare un braccio? Non l’espressione, ma dare letteralmente un braccio per quella persona? Quando sai che una persona è il tuo cuore e lei è la tua armatura, quando sai che distruggerai chiunque che proverà anche solo a ferirla. John lo aveva provato, quel sentimento, ma era stato così sciocco da ignorarlo, fino ad essere in ritardo, inesorabilmente in ritardo; la sua felicità gli era scoppiata davanti senza alcun preavviso.
John rimase fermo immobile, beandosi del rumore degli spari delle altre persone affianco a lui, con la mano sinistra che tremava leggermente accanto alla sua coscia.
Solo due settimane, si diceva, ma passerà, potrai andare avanti. John si auto convinceva, credeva che pian piano la sua anima militare, quella che l’aveva sempre caratterizzato, sarebbe emersa, salvandolo da quel limbo infernale, dove non sentire nulla era peggior del dolore. John parlava tra sé e sé, ma non era uno sciocco.
Si sarebbe ritrovato ogni giorno con in mano degli Iris, ricordandosi del bellissimo colore degli occhi di Sherlock. Avrebbe sfiorato del marmo nero con i polpastrelli, avrebbe sorriso anche quando sarebbe stato triste, avrebbe riso anche quando dentro di sé avrebbe voluto piangere.
Appena uscito da quell’edificio avrebbe chiamato Lestrade, gli avrebbe offerto una birra. Avrebbe aspettato Mrs Hudson in fondo a Baker Street e l’avrebbe portata al parco dove Mike Stamford l’aveva fermato per parlargli di Sherlock. John avrebbe ridipinto i muri del suo monolocale di verde pastello e sarebbe andato a dormire abbracciando un teschio senza significato, ricoperto da una sciarpa blu che aveva tutti i significati del mondo.
John avrebbe mostrato la sua anima da soldato, ma tenendo segreto che era stata miseramente sconfitta da un fantasma.




Erano passati tre mesi dalla morte di Sherlock Holmes e John si ritrovava ancora tutte le sere, finito il suo turno di lavoro, davanti alla sua tomba, a pregare. Non che fosse un uomo di chiesa, ma John pregava per Sherlock, non per se stesso. Sperava che trovasse degli ottimi casi anche in paradiso, che non sparasse tra le nuvole quando fosse annoiato e che continuasse a pensare a lui, come John faceva continuamente.
Fu un giorno di dicembre che successe, la prima volta.
Era sera inoltrata ed era appena tornato al suo appartamento, guardando svogliatamente la cucina ancora perfettamente linda e ringraziando che il suo stomaco si fosse chiuso minuti prima, visto che non aveva nessuna voglia di cucinare. Si sedette sul sofà, accendendo la televisione e scegliendo un film per ragazzi. Si strofinò il volto, sospirando: una vita peggiore non poteva esistere.
Spero tu abbia finito di commiserare te stesso, John.” Sobbalzò, ruotando la testa. Il respiro gli si bloccò in gola. Sherlock era poggiato con la schiena contro il muro, il lungo cappotto che lo contraddistingueva lasciato aperto, a mostrare il completo elegante. Lo fissava con i suoi penetranti occhi blu, un sopracciglio appena inarcato, a sottolineare il suo disprezzo. John restò paralizzato per interi minuti.
C-come…è possibile?”
Non lo è, infatti. John, ti sei già arrugginito, sono così deluso.” John strinse forte la presa contro un cuscino, schiarendosi la gola.
Sei morto.”
Perfetta deduzione.” John chiuse gli occhi, prendendosi la testa tra le mani.
Non sei reale, Dio, non lo sei.” Sussurrò, aprendo un occhio solo per accertarsi che fosse ancora lì e non scomparisse nel nulla, lasciandolo nuovamente solo.
La tua fragile mente, a quanto pare, desidera vedermi così tanto da deformare la realtà che ti sta attorno.” Pronunciò con tono saccente, incominciando a girare per la stanza, osservando qualunque cosa.
Io non ti voglio qui, non voglio diventare pazzo.” Sherlock si fermò davanti a lui, guardandolo dritto negli occhi. Gli mancava da morire, gli mancava tutto di lui. Gli mancava così tanto da non riuscire più a vivere.
E’ una tua scelta, John. La mente è la tua. Io sono qui per tuo volere, tu mi vuoi.”
Non ti voglio così.” Gemette, cercando di toccarlo. Sherlock si ritrasse immediatamente, pochi passi più indietro.
Sai cosa succederebbe se lo facessi, non essere idiota.”
Lo sono sempre stato, per te.” Sorrise appena e Sherlock fece lo stesso, facendo sì che gli occhi diventassero più lucidi.
Non tornerai da me?”
Non vedo come potrei.” John reclinò la testa all’indietro, stanco. Non voleva questo, per la sua vita. Non voleva aggrapparsi ad un’ombra pur di sopravvivere, la sua dignità non l’avrebbe accettato. La sua mente, però, sembrava pensare tutto il contrario.
Vai a letto, John.” Sherlock si sedette su una sedia, muovendo le dita sul tavolo, come se stesse suonando il pianoforte.
E tu?”
Io resterò qui, fin quando lo vorrai.” John annuì, voltandosi ed andando in camera sua. Si guardò intorno, osservando quelle pareti spoglie color verde pistacchio con sprazzi di muffa qui e là, prima di decidere a prendere una coperta e il teschio con la sciarpa, tornando in soggiorno. Si sdraiò sul piccolo divano, appoggiando la guancia contro il cuscino, non perdendo di vista Sherlock. “Dovresti davvero lasciarmi indietro, John. Io vorrei così.” John strinse forte i pugni, sentendo il sonno intorpidirgli il corpo lentamente.
Ci sto provando.” Mormorò, chiudendo gli occhi piano. L’ultima cosa che sentì, fu la risata appena accennata di Sherlock.
Menti a te stesso, John Watson, e questo non ti porterà a nulla di vero.”




Sherlock, potresti prestarmi ascolto per un secondo e smetterla con quei dannati esperimenti?” John sbuffò, pestando il piede ritmicamente sul pavimento del suo soggiorno.
E’ importante.”
Anche la mia domanda, quindi gradirei una risposta.” Camminò per la stanza, apparecchiando il tavolo per due persone.
Non so come sia il paradiso, per la semplice ragione che non ci sono mai stato. Sono solo una produzione del tuo cervello fantasioso.” John strinse i denti, bloccandosi a guardare la schiena del consulente investigativo.
Potresti smettere di dirlo?”
La verità brucia come le bugie che poni di fronte ai tuoi occhi per nascondere la verità cruda e nuda.” Prese un respiro profondo, sedendosi sulla sedia vicina a lui.
In quei due lunghi mesi in cui John aveva incominciato a vedere Sherlock, solo nell’intimità della sua casa, non si erano mai toccati o semplicemente sfiorati. John avrebbe voluto, certamente, ma sapeva che era l’unica regola che smascherava il trucco e, ogni giorno, si diceva che si sarebbe fatto forza quello successivo, senza mai provarci veramente. Stavano bene, in quel modo, nonostante Sherlock non la smettesse di essere un migliore amico acido nemmeno nella sua testa.
Voglio solo sapere se ti ha fatto male.”
Quando me ne sono andato avresti solamente dovuto andare avanti, ricordandomi come una bella esperienza finita in una tragedia di poco rilievo.” John sospirò, guardando fuori dalla finestra. Non era quello che voleva sentirsi dire.
Ma sappi che ti sto guardando da lassù e sto sorridendo. Io non ho sentito nulla quindi tu non dovresti sentire il mio dolore. Solo…sorridi anche tu.”
Si asciugò in fretta due lacrime ribelli, prima di alzarsi e andare a dormire senza cena.
Quella storia avrebbe dovuto raggiungere il termine, al più presto, o sarebbe diventato pazzo. O peggio, senza speranza per il futuro.




John, scusa se ti disturbo.” Una donna dall'aspetto esile con mossi capelli neri entrò nel suo studio, sorridendo timidamente. “Ci sarebbe un nuovo paziente per te, ma ha detto di non avere un appuntamento. Mi sembra piuttosto importante, lo faccio entrare?” John la guardò e la riconobbe come Mary Morstan, la nuova assistente che gli era stata assegnata. Era una donna attraente e più volte John si era chiesto se ci stesse provando con lui in un qualche modo.
Sì, sì, fallo pure entrare.” Lei annuì, facendo per uscire dalla porta, prima di ripensarci e tornare indietro.
Sei libero sabato prossimo?” John rimase sorpreso da quella domanda, decisamente non aspettata. Mary era di fronte a lui, fiera e con gli occhi piena di quella determinazione che poche donne ancora possedevano.
Oh...oh beh, dovrei proprio vedere se...”
Sì o no?” Chiese ancora lei, stritolandosi le mani dietro la schiena. “Sai, il paziente attende e preferirei saperlo subito.” John era in una situazione di potenziale panico. Il suo primo pensiero, nonostante fosse indubbiamente sbagliato, andò a Sherlock. Sherlock che lo aspettava a casa, ma che in realtà era morto da più di undici mesi ed era ora, o mai più. Doveva decidere.
Sì. Sì, mi farebbe davvero piacere uscire con te, Mary.” John sorrise e Mary ricambiò felice, uscendo dal suo studio.
John aveva fatto la sua scelta e aveva deciso di tenere se stesso e lasciarlo andare.




Era ora che tornassi, John. Pensavo che volessi dormire direttamente a lavoro.” Proruppe Sherlock appena John fu entrato in casa, dal divano. John prese un respiro profondo, preparandosi al discorso che avrebbe dovuto incominciare.
Dobbiamo parlare.”
Lo so.” John annuì; logicamente, visto che era tutto frutto della sua mente, il suo Sherlock era a conoscenza di ogni cosa. Si sedette sul tavolino basso di fronte al divano, guardandolo negli occhi.
Sherlock, io credo sia giunta ora, per me, di procedere con la mia e...e non posso più rimanere incollato al pensiero della mia vita con te perché non esiste più.” Sherlock rimaneva in silenzio, fissandolo, cosa che peggiorava in maniera incredibile la situazione.“Voglio davvero provare a vivere e smettere di sopravvivere. Non voglio diventare pazzo o passare il resto della mia vita da solo, inseguendo il tuo fantasma.” John ricacciò indietro il magone.
Non puoi dimenticarmi.” Mormorò basso Sherlock, cosa che fece definitivamente crollare John.
Oh, lo so, credimi.” John deglutì rumorosamente, stringendosi le mani. Era pronto ad ammetterlo, nella confidenza della sua casa, con solo se stesso come spettatore. “Io...ti amo. Ti amo tanto, Sherlock, non potrò mai smettere di farlo.” John tirò su con il naso, pregando che il suo cuore smettesse di uscire dal petto. “E so che non potrò mai avere il piacere di sentirmelo dire da te e...io non posso morire da solo, non voglio vivere così. Io volevo averti, volevo proteggerti e stare al tuo fianco per sempre. La vita è stata crudele con noi due, ma...ma è ora, per me, di dirti addio.” Sherlock si avvicinò a lui, lentamente, non battendo mai le palpebre. John si accorse, con un filo di vergogna, di avere il viso bagnato.
Avrei voluto avere la possibilità di dirtelo anche io, davvero.” Socchiuse gli occhi e Sherlock fece lo stesso e, prima che le loro labbra si scontrassero, il fantasma che tanto tempo aveva amato sparì pian piano, fino a farlo rimanere, da solo, a fissare il vuoto.
Sherlock era morto, di nuovo.




Tre mesi dopo

John era pronto o, almeno, sperava di esserlo. Si guardò intorno, scrutando tra la marea di gente in quel ristorante di lusso, prima di tirare fuori dalla tasca l'anello di fidanzamento che aveva intenzione di offrire a Mary, in cambio di un sì.
Sapeva che, molto probabilmente, chiunque gli avrebbe dato dello scellerato a fare un gesto del genere dopo così poco tempo, ma John pensava fosse giusto così. Mary era una ragazza tutto sommato simpatica, sorrideva sempre e aveva una timidezza tenera seguita da un animo battagliero che la rendeva una donna che avrebbe sicuramente apprezzato in precedenza, ma che avrebbe accantonato per qualcosa di meglio. Ora che quel qualcosa non c'era più, John era convinto che iniziare un nuovo capitolo della sua vita fosse una scelta saggia per lasciarsi alle spalle tutto il dolore passato.
Continuava a vedersi con Greg, ma non più come un tempo. I loro incontri erano sempre molto imbarazzanti, con argomenti che venivano taciuti come se contenessero il segreto per trovare il Santo Graal o chissà che altro. Mrs Hudson era l'unica persona che, puntualmente, si faceva sentire o vedere. Era come una madre per lui e, nonostante le sue insistenze continue sul voler prendere qualche vecchio oggetto dal 221B, John era felice di passare del tempo con lei. John si mosse nervosamente sulla sedia, cercando il volto ormai familiare di Mary, in femminile ritardo come sempre. “Scusi, vuole ordinare?” Chiese un cameriere mentre passava accanto al suo tavolo.

Oh, no, sto aspettando una persona.” Il ragazzo annuì cordialmente e andò via, a sparecchiare il tavolo vicino al suo.
Quando diavolo sarebbe arrivata?




Sherlock era pronto o, almeno, credeva di esserlo. Quello era il giusto momento per tornare in scena, per far vedere a John che quei mesi non erano stati perduti, che potevano ritornare ad essere loro due contro il resto del mondo, finalmente. Sherlock, ovviamente, non era uno stupido. Sapeva che John non lo avrebbe accettato, non subito. Sarebbe stata tutta una questione di orgoglio e dignità e sentimenti e altre cose che, francamente, non aveva mai capito in tutta la sua vita. Ma John avrebbe compreso, lo avrebbe accettato, perché è ciò che un Watson faceva con il suo Holmes, non importava a quale costo. Sherlock spinse le porte del lussuoso ristorante dove, a detta di Mycroft, si trovava John. Ripeté mentalmente tutta la tavola periodica, per non perdere il solito controllo che lo contraddistingueva da sempre. Si lasciò togliere il cappotto e fissò dritto John, per la prima volta senza il bisogno di nascondersi. Eccolo lì, ancora integro dopo la tempesta. Il suo indistruttibile John Watson. Sherlock avrebbe sorriso se non fosse stato paralizzato dall'intera situazione. Camminò meccanicamente verso il suo tavolo, sentendo il suo cuore pulsare forte contro le tempie e dentro le orecchie. Hai superato una caduta dal tetto di un ospedale, puoi superare qualunque cosa, si disse, raddrizzando appena la schiena e fermandosi al fianco di John, in piedi. La verità era che avrebbe preferito saltare altre mille volte da un grattacielo piuttosto che subire le conseguenze di aver spezzato, per una sola volta, il cuore a John.




John.” Alzò lo sguardo, raggelandosi quando vide Sherlock, gli occhi chiari sempre fissi su di lui, ma con qualcosa di diverso all'interno. John chiuse gli occhi, li strinse ben bene, prima di riaprirli e ritornare a guardarlo.
Dio, pensavo di aver superato questa fase.” Sussurrò, mettendosi una mano nei capelli e guardandosi attorno. “Non era mai successo che capitasse fuori da casa.” Sherlock aggrottò le sopracciglia, visibilmente confuso.
Scusa, credo di non afferrare ciò che tu stia cercando di dire.” John lo guardò, visibilmente scocciato. Sherlock si sedette, quasi preoccupato per il comportamento dell'altro. Mycroft gli aveva detto che stava cercando di andare avanti, ma che fosse per caso impazzito per la sua assenza? Non lo credeva possibile.
Cosa ci fai tu qui?” John disse, abbassando ancora di più la voce, controllando che nessuno lo guardasse. Sherlock continuava a fissarlo, sorpreso.
Sono tornato, John.” John sbuffò, tamburellando le dita sulla tovaglia immacolata.
Sì, questo lo vedo. Al nostro ultimo addio sei sparito, pensavo te ne fossi andato per sempre.” Sherlock prese un respiro profondo, lisciandosi la camicia bianca. Non pensava, sinceramente, che John la prendesse in quel modo, non l'aveva programmato, ma era ora delle spiegazioni.
Lo so, John, lo capisco, ma ho dovuto farlo, per proteggervi. Ho sconfitto Moriarty.” John lo guardò, perso.
Che diamine stai blaterando?”
Non sono morto.” John quasi sentì il mondo incominciare a girare sempre più lentamente, fino ad andare a rallentatore. Vide un cameriere arrivare, nuovamente, e rivolgersi a Sherlock, chiedendo se ora potesse ordinare. Vide Sherlock rispondere di no e il cameriere andare via. Vide Mary arrivare, vestita elegantemente, e guardare stranita Sherlock, chiedendogli chi fosse. John sentì il mondo pian piano fermarsi, per poi iniziare a ruotare a tutta velocità, come una giostra senza freni. Estremamente non divertente. Provò ad aprire la bocca per dire qualcosa, ma tutto quello che riuscì a fare fu alzare un braccio e toccargli il braccio, la presa ferra da soldato che circondava il suo avambraccio e lo accertava solido, in carne ed ossa. Sherlock. Sherlock. Sherlock.
Oh mio Dio.”




Voglio una spiegazione.”
Va bene-”
Voglio una spiegazione ora, Sherlock, subito. Spiegami come diavolo è possibile, Sherlock. Sei morto, io...io ti ho visto!” John rise istericamente, guardando la strada deserta attorno a lui. Erano usciti per chiarire, a detta di Sherlock, che cosa stesse accadendo e Mary si era fatta discretamente da parte, ritornando a casa e promettendo di richiamarlo il giorno successivo. A John non importava né di quello, né delle temperature minime, né che Sherlock maledetto Holmes fosse davanti a lui, vivo. O magari di quello sì. Oh dio, sarebbe morto di crepacuore. John era in un fuoco di sensazioni che davano le vertigini.
E' stata una farsa, è stata la scelta più opportuna per far fuori la cerchia di Moriarty e salvare la vita a Lestrade, Mrs Hudson e te, John. Credimi, avrei voluto che tu lo sapessi.” John lo fissò per minuti interi, incapace di dire o pensare alcunché. Avrei voluto che tu lo sapessi. Avrei voluto.
E' un anno che sei morto, Sherlock, e io sono rimasto da solo!”
Non sono effettivamente morto o non sarei qui.” A quel punto, John caricò con tutta la rabbia che aveva trattenuto in quei mesi e gli sferrò un pugno alla cieca, sperando che gli facesse almeno un quarto del dolore che aveva provato per lui da quando aveva recitato. Aveva finto, con lui. Con lui che l'aveva amato.
Stavo diventando pazzo per colpa tua! Hai una dannata idea di cosa hai combinato? Non è una testa nel frigorifero, questa, non è minimamente paragonabile al far esplodere la casa intera! Mi hai abbandonato senza una spiegazione e ho dovuto rialzarmi e fare ogni...” John prese un profondo respiro, smettendo di alzare la voce e riassumendo un tono freddo e basso. “Ogni giorno ho dovuto cavarmela da solo. Tu sei morto, Sherlock. Per me.” Sherlock premette una mano sul labbro sanguinante, guardandolo con occhi supplichevoli.
Siamo ancora tu e io. Ho solo cercato salvato la situazione dalle mani di Moriarty.”
Avresti potuto dirmelo. Scrivermi un biglietto, un simbolo sarebbe bastato, sulla porta di casa mia. Avresti potuto, ma non hai fatto nulla. Hai preferito restare da solo perché è tutto ciò che fa di te quello che sei, ovvero un egoista.” Sherlock scosse la testa debolmente.
Ti avrei messo in pericolo.”
Ero un soldato.” Sherlock aprì la bocca per replicare, ma John lo precedette, alzando la mano per fermarlo. Si sentiva così stanco da poter crollare sul marciapiede e non rialzarsi mai più. “Quella è stata la tua scelta e sei abbastanza intelligente da sapere quali sarebbero state le conseguenze. Goditi la tua vita da solo, Sherlock Holmes.” John si girò e camminò come una furia, cercando di sbollire la rabbia, il rancore, la delusione e sopprimendo la gioia estatica che pian piano stava affiorando in lui. Non gli avrebbe dato nemmeno uno spiraglio di speranza perché non si meritava nient'altro che solitudine, ciò che aveva avuto John: nessuna possibilità di scegliere.




John era al limite dell'isteria, al baratro della sua pazienza. Da una settimana a quella parte tutto ciò che faceva, nonostante lo evitasse, accadeva davanti a Sherlock. Infatti, sembrava aver trovato un nuovo fantastico passatempo da quando era tornato dal mondo dei finti-morti. Lo seguiva. Ovunque. La mattina presto lo trovava dietro la sua porta, lo seguiva nella metro, anche se sapeva quanto la odiasse, lo aspettava fuori dalla clinica e lo riaccompagnava a casa. Sempre un paio di passi dietro di lui, sempre in silenzio, una presenza discreta perennemente con lui, quasi come un angelo custode; decisamente fuori dai suoi canoni di comportamento. John, i primi giorni, aveva anche cercato di evitarlo, prendendo scorciatoie o deviando all'ultimo minuto, ma aveva dimenticato che Sherlock sapeva ogni singolo angolo di Londra a memoria e, quindi, nessuna sua tattica riusciva davvero a seminarlo. Ora ci aveva smesso, faceva solo finta che non esistesse, che fosse un normale uomo come gli altri e non il suo uomo diverso da tutti. Se non fosse stato così arrabbiato con lui, se non avesse avuto quell'impulso animalesco di picchiarlo fino a fargli capire quale dannato idiota era, John si sarebbe intenerito a vedere con quanta ostinazione cercava di stargli accanto. Peccato che era in ritardo di un anno.
John girò il volto, guardando il tunnel della metro sfrecciare veloce dietro al finestrino sudicio. Sherlock era sul seggiolino di fianco a lui, scrivendo velocemente sul cellulare.
Mi perdonerai?” Chiese ad un certo punto, alzando il capo e guardando fisso dentro di lui, come era solito fare quando erano inseparabili. John ricambiò lo sguardo, serio in volto, senza muovere un muscolo. “Intendo, potrai mai farlo? E' solo un momento, John, o sei veramente andato avanti con la tua vita?” Il treno rallentò con uno stridore di freni, prima di fermarsi del tutto. John si alzò senza dire una parola e uscì, mischiandosi tra la folla.
Che deducesse lui, quale fosse la sua risposta.




Qualcuno aveva mai amato così tanto da dare un braccio? Non l’espressione, ma dare letteralmente un braccio per quella persona? Quando sai che una persona è il tuo cuore e lei è la tua armatura, quando sai che distruggerai chiunque che proverà anche solo a ferirle. Ma cosa succedeva quando il karma ti si rigirava contro e ti mordeva? Quando tutto quello che per cui hai sempre combattuto ti si rivoltava contro e ti disprezzava? Cosa succedeva, si chiese Sherlock, inginocchiato davanti alla sua stessa tomba, quando tu diventavi la fonte stessa del suo dolore? C'erano dei fiori appassiti, dentro un vaso viola scuro. Probabilmente degli Iris, probabilmente di John. John. Sherlock osservò le lettere dorate davanti a lui che incidevano il suo nome. L'aveva osservato, in quell'anno di separazione. Aveva visto che, certo, non era ben inserito dopo ciò che era successo, ma che cercava di andare avanti, a modo suo, e andava bene così.
Ma ciò che aveva visto era solo quello che aveva voluto vedere. Negli occhi di John aveva dedotto un uomo che faceva fatica a tenere insieme i pezzi di una vita distrutta. John che aveva imparato a guardare negli occhi le persone solo per pochi secondi, perché temeva che potessero vedere quanto fosse un giocattolo rotto con una maschera di serenità a coprirgli il volto; quanto fosse diventato insicuro e solo. Sherlock aveva pensato che fosse giusto lasciarlo da solo per proteggerlo, che John avrebbe capito, che delle stupide emozioni non si sarebbero messe di mezzo tra loro due, ma l'avevano fatto e ora avevano creato un muro indistruttibile.
Quella notte aveva deciso di rifugiarsi davanti alla sua finta tomba, cercando una soluzione razionale e logica per risolvere quella stupida situazione. C'era così tanto silenzio, in quel cimitero vuoto, che poteva quasi sentire il suo stesso cuore battere ritmicamente contro il suo petto, prova certa che, alla fine dei giochi, lui restava ancora un essere umano.
Se voleva davvero riprendersi la sua vita indietro, Sherlock doveva agire per davvero e il giorno seguente sarebbe stata la resa finale.




John si svegliò nel suo letto, osservando il soffitto sopra di lui. Quel giorno avrebbe avuto il turno di mattina alla clinica e avrebbe dovuto rivedere Mary. Si sentiva male per non averle nemmeno scritto un messaggio o risposto alle sue chiamate e per essere totalmente scomparso dal lavoro, dichiarando di avere la febbre oltre i trentanove gradi. L'unica cosa a cui riusciva a pensare, però, era Sherlock.
Dopo tutti quei giorni di furia, la concretezza della realtà gli stava piombando addosso ad alta velocità, lasciandolo attonito dal sollievo. Sherlock era vivo e vegeto e parlava e respirava e aveva ancora il suo carattere da sociopatico, incapace nei sentimenti, ma era esattamente come lo aveva sempre voluto e John, semplicemente, era felice. Si ritrovò a sorridere come un adolescente al muro davanti a lui. Non gli avrebbe permesso con facilità di riconquistarsi la sua fiducia, provando a ritornare come prima, ma John non era più sicuro che la sua risposta sarebbe stata un assolutamente mai. Si alzò e andò a prepararsi un caffè, accendendo una vecchia radio e ascoltando un po' di fresca musica giovanile.
Non sapeva perché, ma si sentiva rinato, come improvvisamente cosciente di qualcosa che prima ignorava. Si vestì in fretta e prese le chiavi di casa, sentendosi orgoglioso di essere perfettamente in orario. Aprì la porta e, stranamente non trovò Sherlock sul pianerottolo ad aspettarlo. Si guardò attorno per un paio di minuti, prima di richiudersi la porta dietro di sé e dirigersi verso l'ascensore. John capì che quella giornata sarebbe stata diversa dalle altre quando trovò Sherlock dentro l'ascensore, un caffè nero in una mano e un sorriso appena accennato sul volto. “Per te, senza zucchero.” John alzò un sopracciglio, andandogli vicino e schiacciando il pulsante per il piano terra.
Grazie, ho già fatto colazione.” Disse, con voce incolore. Sherlock insistette, mettendogli il bicchiere sotto il naso.
L'ho fatto io.”
Quindi sarà sicuramente drogato. Qualche esperimento in corso che ti scaccia la noia, magari. Immagino ti sia annoiato a morte, quest'anno.” Proruppe sarcasticamente, osservando con odio le porte metalliche davanti a lui.
Voglio chiarire con te, John. Smettila di fare così.” John rise, incrociando le braccia al petto.
E' molto lontano il tempo in cui ascoltavo tutto ciò che mi dicevi, Sherlock.”
E' lontano anche il tempo in cui era onesto con me.” Sherlock sapeva che così facendo avrebbe innescato la bomba ad orologeria che risiedeva dentro al petto di John e sperava che, quando fosse andata distrutta, avrebbero potuto incominciare a ricostruire la loro vita dalle fondamenta.
John si voltò verso di lui, allibito.
Onesto? Tu parli di onestà? Io...non ci posso credere! Sei pazzo, Sherlock Holmes, anche solo a pensare di puntare il dito contro di me per qualunque cosa dopo quello che hai fatto!”
Ho fatto ciò che andava fatto, non chiederò scusa per questo!”
Beh, allora puoi andare all'inferno!” L'ascensore si fermò all'improvviso, traballando, mentre loro si scambiavano guardi di fuoco, uno di fronte all'altro.
Ma che diavolo...?” John guardò l'abitacolo, ancora più arrabbiato. “Si è fermato. Ditemi che tutto questo è un incubo, per favore.” Mormorò, bussando alle porte metalliche.
Ovviamente nessuno può sentirti. Calmati, verranno a tirarci fuori.”
No! Non ho nessuna intenzione di stare qui dentro insieme a te un minuto di più!” John batté con forza le nocche contro le porte. “Qualcuno ci sente? Siamo bloccati!” Urlò, incominciando a schiacciare tutti i tasti. Sherlock si appoggiò ad una parete, incrociando le braccia.
Calmati.”
Non prendo ordini da un morto.” Ribatté, cercando una via di fuga e trovando solo una dannatissima telecamera ad angolo, apparentemente spenta.
Per nostra fortuna, nessuno dei due lo è.” John si girò verso di lui, fulminandolo.
Lo eri.”
Stavi fingendo.”
Perché?”
Perché Moriarty ti avrebbe ucciso se non l'avessi fatto.” John rimase in silenzio, semplicemente guardandolo.
Potevi dirmelo.” Disse calmo, non avvicinandosi nemmeno di un centimetro.
Oh, certo. Tu l'avresti fatto, John? Se qualcuno fosse stato ancora un pericolo per la mia vita, avresti rischiato tutto per una semplice rassicurazione?” Sherlock gli puntò il dito contro, infastidito. “Non ti ho abbandonato, John, come continui ad illuderti. Stavo solo aspettando il momento opportuno per tornare indietro. Credi sia stato bello rinunciare a tutto? Diventare l'ombra di un signor nessuno? Eliminare persone per riavere la mia vecchia vita mentre tu cercavi di andare avanti.”
Già, infatti io mi stavo proprio divertendo!” Rispose sprezzante, puntandogli anche lui il dito contro. “Non cercare di girare la situazione a tuo favore, Sherlock, da bravo bugiardo quale sei. Ti conosco da molto tempo, anche se sembrerebbe il contrario. Tu mi hai fatto assistere alla tua morte, era tua la tomba a cui mi rivolgevo ogni giorno, tuo era il fantasma di una vita che sembrava andare per il meglio! Non mi sarei mai disintegrato per te, Sherlock. Ho solo cercato di rimanere a galla. Tu non puoi tornare e far finta che niente sia accaduto, non dovevi tornare, ecco. Dovevi restare lontano da me, fin dall'inizio. E' stato tutto un fatale, inutile errore da parte di entrambi.” Per un istante infinito, calò il silenzio tra i due, poi l'ascensore ritornò a funzionare. Sherlock cambiò la direzione del suo sguardo, spostandola sulle porte e John ritornò affianco a lui, guardando dritto davanti a sé. Ecco cos'erano diventati, due perfetti estranei. Tutta la sensazione di benessere che John aveva sentito quella mattina, appena sveglio, sembrava essere scomparsa o addirittura mai esistita.
Credo che...andrò a stare al 221B. E' stato un piacere conoscerti, John.” Disse senza emozioni, prima di uscire dall'ascensore e sparire in un turbinio di nero dalla porta del condominio. John rimase in piedi a fissare la sua sagoma sparire dalla sua vista mentre le porte, inesorabilmente, si richiudevano davanti a lui.
La parola fine, nella sua testa, riecheggiava come un grido mai nato.




Fissava il suo riflesso allo specchio, aggiustandosi la sciarpa. Lestrade era dietro di lui, alla porta, intento a parlare al telefono con i suoi agenti. Sherlock non era mai stato un tipo avvezzo alle emozioni e mai, mai lo sarebbe stato. Odiava quel tipo di persone tutte smancerie da far vomitare e aveva giurato fin da piccolo di non diventare mai come una di quelle. Ma ora, guardando la sua immagine riflessa, si chiedeva quanto bene avesse fatto a non aver permesso a nessuno di vedere il suo cuore, se non a fievoli sprazzi. Sherlock fissava i suoi stessi occhi chiari senza espressione, chiedendosi cosa diavolo volesse dire sentire una strana morsa allo stomaco quando si voltava verso la poltrona rossa accanto alla sua, cosa volesse dire quel vuoto al petto che gridava mancanza di casa, delle urla per i suoi esperimenti, della televisione su canali scadenti, del non dormire per giorni e poi crollare insieme sul divano, felici. Sherlock non si era mai fatto domande a riguardo perchè semplicemente non gli interessava, ma John non aveva chiamato e questo era un pensiero che lo stava facendo impazzire. Ovviamente nessuno pensava anche minimamente che qualcosa lo avesse potuto scalfire, visto la faccia senza alcuna espressione che si portava in giro ogni giorno. Lestrade l'aveva quasi sbranato, quando si era rifatto vivo, ma poi aveva capito, si era calmato. Sherlock si era chiesto perchè con John non avesse funzionato così bene. Erano passati nove giorni dal loro ultimo incontro e sembrava che l'altro avesse dato un taglio alla loro relazione. Non che a Sherlock interessasse, infatti. Ne avrebbe trovato un altro, sicuramente non con un IQ uguale ad Anderson. “Sherlock, sei pronto? Dobbiamo andare, la scena del crimine è abbastanza lontana.” Sherlock annuì, smettendo di osservarsi allo specchio e passando con passo veloce vicino a Lestrade.
Sbrighiamoci, allora.” Si schiarì la voce, scendendo le scale in fretta. Le parole di Lestrade lo inchiodarono davanti alla porta.
Ancora nessuna notizia da parte di John?”
No.” Rispose semplicemente, rimanendo immobile mentre Lestrade lo guardava torvo dall'altro.
Dovresti parlarci, smettila di fare il testardo.”
Potrei sbagliarmi, ma credo proprio che non siano affari tuoi.” Disse con sprezzo, lanciandogli un'occhiata minacciosa.
Ti manca. Vi mancate a vicenda.” Sherlock aprì la porta con rabbia e uscì, non aspettando l'ispettore.
E che andassero tutti al diavolo, Sherlock Holmes non aveva mai avuto bisogno di nessuno.




Fissava il suo riflesso allo specchio, radendosi. Nove giorni passati dall'ultimo incontro tra lui e Sherlock. Non che li avesse contati ogni mattina, appena sveglio; quello era solo un pensiero casuale. John si sentiva come un automa, più che altro. Si alzava, si vestiva, lavorava, tornava a casa, mangiava, dormiva. Ogni cosa sembrava aver perso quel senso di perfezione che caratterizzava la sua vita precedente. Quel cordone che li aveva tenuti legati anche dopo la non-morte di Sherlock si era reciso proprio ora che serviva più che mai.
John si tagliò lievemente ed emise un mugugno sommesso, toccandosi la ferita. Si tastò lentamente la guancia, per poi risalire verso gli occhi. Spenti. Malinconici. Tutto di lui sembrava star appassendo. Sospirò, prendendosi la testa tra le mani, lasciando la lametta dentro al lavandino. Cosa stavano facendo? Perchè aveva reagito in quel modo, quando tutto ciò che avrebbe voluto fare, quel giorno in ascensore, era abbracciarlo e dirgli che era tutto finito, che la loro vita era sì in macerie, ma che loro erano forti e grandi e indistruttibili.
John accendeva la televisione, alla sera, per controllare i notiziari e per vedere lui. Compariva sempre, in un modo o nell'altro. L'eroe immortale di Reichenbach con la mente ancora sveglia e pulsante, sempre pronto a risolvere casi intricati. John osservava le veloci riprese fatte sulla scena del crimine e si vedeva proprio lì, accanto al muro a parlare insieme a Sherlock, come avevano sempre fatto. Avrebbero riso e si sarebbero ammoniti, per poi ridere ancora di più. Sarebbero andati a mangiare in qualche ristorante intimo e John l'avrebbe solamente guardato e pensato a quanto era fortunato ad averlo con sé e Dio, sì, quanto lo amava, nonostante ogni cosa fosse avversa.
Fantasie. Per quanto John fosse stolto, capiva quando qualcosa era perduto o lo era quasi completamente, ma più provava a dimenticarlo e meno funzionava.
In quella guerra nessuno dei due era riuscito a tenere il proprio cuore in vita.




00:56
Sì, emh, ciao Mary, sono io, John. Lo so che...ecco, lo so che avrei dovuto chiamarti settimane fa e mi dispiace tanto, ma la mia vita è più o meno...un disastro, ora come ora. Non sono più sicuro su nulla. E...ecco...quando sentirai questo messaggio, spero che non mi odierai così tanto come credo. Spero tu sarai felice come meriti e...e io non posso proprio essere l'uomo per te, mi dispiace. Mary io...no, non c'è nulla da dire, mi dispiace tanto. Perdonami, se puoi.”




01:10
Lo amo, ecco. Io...pensavo che non potessi perdonarlo, ma lo posso fare, io lo so. Scusa...scusa, dovevo dirlo a qualcuno ma, ecco, io non posso stare insieme a te perchè sono innamorato di un idiota! Un vero, gigantesco idiota!” Risata. “E non potrei far finta che questo sentimento non ci sia perchè c'è sempre stato. Scusa se...se mi sono confidato con te ma è così. John Watson non può far nient'altro se non dare il suo cuore a Sherlock Holmes. Scusami.”




John spostò il peso da un piede all'altro, suonando nuovamente il campanello del 221 di Baker Street. Mrs Hudson venne ad aprirgli, sorridendo calorosamente quando lo riconobbe. “Oh caro, sapevo saresti tornato!” Lo abbracciò forte, accompagnandolo dentro. “Il nostro Sherlock era così preoccupato. Sai, lo mostrava in un modo tutto suo, ma tutti abbiamo capito che è così.” John sorrise, stritolandosi le mani.
E' su?” Chiese speranzoso, guardando i ventitrè scalini che portavano al loro vecchio appartamento.
Oh no, ma dovrebbe tornare presto. Mi ha chiamato pochi minuti fa chiedendomi un po' dei miei biscotti e del thè. Gli ho detto che non sono la sua governante.” John annuì, sorridendo.
Lo aspetterò di sopra.” La signora Hudson ritornò ai fornelli, canticchiando una melodia a bocca chiusa. John salì velocemente gli scalini, aprendo lentamente la porta.
Fu come non essersene mai andati. L'appartamento era pieno di scartoffie, il muro pieno di buchi, la testa di cervo con le cuffie, la cucina un vero disastro. John sentì gli occhi pizzicare dalla gioia di poter ritornare a casa.
Aprì la busta che aveva portato con sé e prese il teschio che aveva conservato diligentemente, riappoggiandolo al suo posto d'onore.
Notò con piacere che la sua amata poltrona era sgombra e ci si sedette sopra, stringendo il cuscino con la bandiera inglese al petto.
Casa. Finalmente il mondo rincominciò a ruotare in un senso conosciuto e familiare. Bello.
John fu distratto dal suo sogno ad occhi aperti da una sagoma alta e longilinea accanto allo stipite della porta. Sherlock stava cercando con tutte le sue forze di non sembrare sorpreso o far scaturire qualunque altra emozione, ma John lo conosceva come le sue tasche e sorrise un po' di più. “Ciao, Sherlock.”
Cosa ci fai qui?” Chiese, sulla difensiva, togliendosi la sciarpa nuova, del medesimo colore della precedente. Dio, se possibile era ancora più bello dell'anno precedente, pensò John, osservando come la camicia color papavero gli rivestisse bene il busto.
Voglio parlare con te, da persone civili.” John lo guardò, sperando che non incominciasse a far rifornimento di battutine acide da lanciargli. Per sua fortuna, Sherlock si sedette sulla sua poltrona, di fronte a lui.
D'accordo, parliamo.”
Io...ho riflettuto bene in questi giorni.”
Sì, non ho avuto nessuna tua notizia, ho notato che tu fossi impegnato in altro.” John prese un bel respiro profondo, cercando di non farsi saltare i nervi.
Il punto è che ho capito di non voler stare da solo.” Gli disse, guardandolo fisso negli occhi. Sherlock si inumidì le labbra, prima di parlare nuovamente.
Pensavo ci pensasse Mary a quello.”
Lo sai anche tu che questa è una bugia.” Sherlock sorrise appena, puntando i gomiti sulle ginocchia.
Vuoi tornare qui, con me?”
Sì, ma non sarà tutto come prima, Sherlock. Non è così che andranno le cose.” Sherlock si immobilizzò, diventando di ghiaccio.
Che cosa vorrebbe dire?”
Se ritornerò qui, a fare questa vita insieme a te, ci saranno delle condizioni da rispettare.” Sherlock congiunse le mani sotto al mento come era solito fare.
Ti ascolto.” John si schiarì la voce, cercando di non andare in iperventilazione.
Non dovrai mai più andartene senza dirmi nulla, mai più dire bugie, mai più fronteggiare un nemico così grande da rischiare così tanto. Io dovrò sapere tutti i casi che ti sono affidati.” Rimase pochi secondi in silenzio, prima di replicare.
Ho una controproposta.” Decretò. John sorrise nel vedere che, per quanto la situazione non fosse stata delle più felici negli ultimi tempi, Sherlock era sempre rimasto se stesso.
Sentiamo.”
Non farò più finta di essere morto e ti dirò se dovrò partire da solo, non ti racconterò più bugie riguardanti cose gravi, come della droga nel caffè, a meno che non si tratti di un esperimento, in quel caso è per la scienza, John! Non fronteggerò più un nemico senza renderti partecipe degli elementi essenziali, così come nei casi. Mi fiderò di te, come ho sempre fatto.” Ammise alla fine, sporgendosi con il busto verso John.
Accetto.” John sorrise e Sherlock con lui, fin quando tutto finì con risate incontrollate e senza senso.
Perfetto, avrei un caso a cui lavorare, ora.” Asserì Sherlock, alzandosi dalla poltrona, una volta calmate le risa. John si alzò a sua volta.
No, aspetta, non ho finito le mie condizioni.” Ora veniva la parte più difficile e John sperò con tutto il cuore di non rovinare tutto con quel suo gesto avventato. Sherlock aggrottò le sopracciglia, confuso.
John prese una grande boccata d'aria prima di sputare fuori la frase a denti stretti. “Non voglio più essere solo tuo amico.” Disse, alzando appena la testa per fissarlo negli occhi cristallini.
Va bene, lo sai che sei anche il mio collega.” Rispose ingenuamente Sherlock, dandogli un'amichevole pacca sul braccio e andando in cucina. No. No, assolutamente no. Dannatamente sbagliato, cervello ottuso. John tirò a riva tutto il suo coraggio di soldato prima di girarsi e parlare alla schiena di Sherlock.
Io credo tanto di amarti.” Sherlock si raggelò sul posto. John sperò che qualcuno lo tirasse fuori da quella situazione orripilante. “In realtà...lo credo davvero, davvero tanto, Sherlock.” Disse con voce chiara, ringraziando il cielo che non suonasse spezzata o emozionata. Sherlock si voltò verso di lui, guardandolo con occhi persi.
E' una reazione molto comune, mh, fraintendere i sentimenti quando...ecco, quando...” Per la seconda volta nella sua vita, Sherlock Holmes si ritrovò senza parole in presenza di John Watson.
Ti amo, non ci sono fraintendimenti.” Sherlock si guardò attorno, visibilmente in panico.
Oh, ecco, okay. Okay, grazie.” John non si offese per quella frase solamente perchè vedeva quanto Sherlock fosse in imbarazzo, faccia a faccia con quei sentimenti così reali. Trattenne un sorriso, intenerito. Andò verso di lui e gli strinse leggermente la mano, piano per non spaventarlo. Gli occhi di Sherlock si persero nei suoi. Calore. Casa. Vita. Amore.
John decise che aveva aspettato anche troppo tempo per fare ciò che andava fatto dal primo giorno che si erano conosciuti, così si alzò piano in punta di piedi e gli baciò le labbra, passionalmente ma con lentezza, sentendolo frantumarsi contro la sua mano, posata sulla guancia.
Nonostante fosse il loro bacio, fu il miglior bacio che John ebbe mai dato in tutta la sua vita.
Sherlock si allontanò piano, facendo schioccare le loro labbra. “Devo...l'esperimento, ecco. La scienza mi aspetta. Sì, mh.” Sherlock annuì e andò a sedersi in cucina, tastando il suo microscopio per vedere se fosse reale. John sorrise enormemente, come non faceva da moltissimo tempo. “John, prendimi un chicco di caffè.” Mormorò, osservando un vetrino attentamente. John fece quanto richiesto, porgendogli un chicco di caffè, non domandandosi quale sfortunata sorte gli aspettasse, ormai abituato a quel tipo di bizzarre richieste.
Sherlock alzò la testa, sorridendo appena e prendendo l'oggetto in un palmo. Si alzò appena per stampargli un casto bacio a stampo sulle labbra. “Grazie.” Disse, prima di smettere di considerarlo per perdersi nel suo mondo.
Grazie a te, Sherlock.” Sussurrò, sedendosi sulla sua poltrona, accendendo la sua televisione e riprendendosi la sua, mai più triste, vita.




Si erano scelti. Si amavano. Vissero insieme fino alla fine. Qualcuno disse che “amarsi” è sinonimo di “è bello che tu esista come sei e se non esistessi io ti creerei esattamente come sei, difetti compresi”. Il loro amore c'entrava con le emozioni fino ad un certo punto. Il loro era fatto di scelta, di volontà e per questo deve essere ruvido, difficile per essere vero. Loro combattevano per l'altro, erano lì per l'altro. Erano l'anima dei loro dubbi, delle loro paure. Sherlock portava John nelle sue battaglie, gliele fece sentire, vedere: John era con lui e aveva di dirgli sempre quello che aveva bisogno di sentirsi dire. Non erano uno il nemico dell'altro, ma la sua forza.
Insieme avevano insegnato alla loro felicità a vivere.










Iris: L'Iris è simbolo di fede e speranza ma anche di desiderio di trasmettere un messaggio dove si danno buone o cattive notizie.
   
 
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