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Autore: Hi Ban    08/11/2013    0 recensioni
«Si muore di caldo» Hayato si rotolò sull’erba, avanti e indietro, nella speranza di trovare un po’ di fresco.
«Mi sto sciogliendo» Take tentò per l’ennesima volta di raccogliere i capelli in modo da avere meno caldo, ma era impossibile.
«Possibile che anche all’ombra faccia così caldo?!» Kosuke ci aveva provato, mettendosi all’ombra dell’unico ciliegio nei paraggi, ma anche quello era stato inutile.
«Mh» fu l’apatico commento di Ryu, sdraiato e con gli occhi chiusi.
Seguì il silenzio. Erano in cinque e si erano lamentati solo in quattro.
[Gokusen II]
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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3 – Maglia (Misawa Hiro)

«Neh, Hiro, non vuoi che ti lavi la maglia, caro? Sarà sporca, è da un sacco di giorni che la metti…»
«No, non è sporca, va bene così!»
Le ultime parole famose.

Okuma lo osservava senza capire, mentre mangiava l’ultimo takoyaki sul bastoncino. Cioè, non era poi così grave, si poteva risolvere.
«Non può essere» fu il commentò monocorde di Hiro, ma se si ascoltava bene si poteva sentire quella leggera nota tremula che indicava la sua disperazione.
Le mani gli tremavano e gli occhi erano sgranati. Non poteva davvero essere.
Era una maledizione.
«Puoi sempre l-»
«Non dirlo!» lo fermò immediatamente Misawa, scandalizzato e prossimo all’isteria.
Okuma non se la prese particolarmente a male e afferrò l’altro bastoncino di takoyaki dalla confezione di plastica.
Misawa era ancora li che osservava ciò che teneva spasmodicamente tra le mani.
«È solo un po’ di vernice» gli fece presente con la bocca piena e Hiro, anche se avrebbe preferito buttarsi dalla finestra, dovette ammettere la cruda realtà. Doveva separarsene.
Lasciò andare i lembi della storica maglia verde e si lasciò cadere sulla sedia lì vicino: «Ma era la mia maglia verde… la mia preferita…»
Era tutta colpa di sua madre.


4 – Shake it! (Hyuuga Kosuke)

«Ci sono semplicemente volte in cui capisci di essere nato per fare qualcosa. Io ho capito di essere nato per fare il barman, voi per perdere il vostro tempo, ecco tutto!»
L’importante è crederlo.

«Sei sicuro che sia il lavoro che fa per te?» chiese un giorno Hayato, mentre camminavano svogliatamente per i corridoi e la pausa pranzo trascorreva lenta.
Kosuke annuì senza pensarci due volte e non prestò più attenzione a quanto gli aveva detto l’amico.
Intanto, gli altri quattro erano ben attenti a quel che il quinto membro della loro piccola combriccola stava facendo. Probabilmente non se ne accorgeva nemmeno.
«Cioè, il barman è indubbiamente interessante, ma sai almeno cosa devi fare?» si informò con un certo scetticismo Tsucchi, mentre agitava il ventaglio senza che vi fosse una reale motivazione. A febbraio, per di più.
«Ovvio! L’ho già fatto, eh! Cioè, prima che si scoprisse che era illegale, ma… beh, bisognava comunque servire e fare cocktail, no?» tentò di arrampicarsi sugli specchi in fine.
«Ah, se lo dici tu!» ribatté allegramente Take, che camminava all’indietro tenendo le mani dietro la testa e gli occhi ben puntati su Kosuke.
«E cosa bisognerebbe fare, in quel lavoro?» continuò ancora Ryu, con il solito tono poco interessato di sempre, ma era già strano che facesse una domanda del genere. O meglio, era strano che anche lui portasse avanti uno dei loro giochetti.
«In che senso?»
«Tipo… per fare un cocktail, cosa devi fare?»
A quel punto Hyuuga si fece un tantino più baldanzoso e sicuro di sé, tanto che si fermò e prese a spiegare con aria saputa: «Beh, devi mettere gli ingrediente e poi devi shakerare!»
Hayato gli fece un piccolo applauso per complimentarsi delle sue conoscenze in merito e Kosuke si godette la sua fama.
Poi aprì finalmente la lattina di coca cola che teneva in mano da quando avevano iniziato a girovagare per i corridoi e che non aveva smesso un attimo di scuotere, dal momento che l’aveva utilizzata come ‘dimostrazione sul campo’.
Era quello che stavano fissando gli altri quattro con una certa attenzione.
Il contenuto gli spruzzò tutto in faccia, tra le imprecazioni di Hyuuga e le risate degli altri tre. Beh, Ryu sorrideva scuotendo la testa, non si sbilanciava mai molto.
«Ah, beh, sicuramente shakerare è la cosa che ti viene meglio, Kosuke!»
«Divertente. Divertentissimo.»


5 – Pinzette per capelli (Takeda Keita)

«Se Ryu è il più giudizioso, Hayato il più impulsivo, Tsucchi il più alto…»
«Che razza di qualità è?»
«Riesci ad allungare meglio il collo durante le verifiche, comunque… io sono il più carismatico- e Tsucchi smettila di lamentarti su tutto! Tu cosa sei, Take?»
«Il più intelligente!»
Una dimostrazione, di tanto in tanto, rivela la verità della questione.


«Neh, Take… come fai a sapere se perdi una di quelle cosette da femmina che hai in testa?» chiese svogliatamente Tsucchi, mentre passava avanti e indietro la scopa sul pavimento, giusto per far finta di fare qualcosa. Anche a loro, disgraziatamente, toccava pulire la classe qualche volta. Poi, loro facevano un lavoro di classe, in cui in teoria tutti facevano qualcosa e in pratica quasi nessuno faceva qualcosa.
Infatti, Tsucchi non faceva altro che spostare la polvere da destra a sinistra e viceversa; il povero Suzunosuke ne risentiva parecchio, visti gli starnuti che tirava ogni sette secondi e mezzo.
«Le conto» rispose sbrigativamente Takeda, mentre invece si stava adoperando veramente per fare qualcosa; gli erano stati assegnati i vetri e lui si stava impegnando davvero per togliere quella piccola macchiolina là in alto. Se solo fosse stato un po’ più lungo…
«Non sei normale» ribatté l’altro con uno sbadiglio, mentre Hayato e Ryu si davano ad una silenziosa battaglia – molto maschia – con le spazzole per pulire i disastrati muri.
«Ah, parla quello con il ventaglio anche con la neve!» lo sbeffeggiò Keita, che non era ancora riuscito ad arrivare a quella macchietta lassù in cima. In genere non era così minuzioso, o almeno così credeva lui. Il fatto che però si contasse le pinzette che aveva in testa la diceva lunga.
Di buon cuore come di sentiva quel giorno Hikaru, ed essendo almeno quindici centimetri più alto dell’amico, decise di allungare di poco un braccio per togliere la macchia infida che aveva letteralmente ossessionato Take.
Mentre Keita si lanciava in esclamazioni di pura soddisfazione per la dipartita di quell’orrendo puntino nero – che poi alla fine era perfino più piccolo di un neo –, Tsucchi non si mosse e rimase fermo ad osservare l’amico, posto più in basso di lui.
Aveva un’espressione piuttosto compunta e concentrata, mai vista sul suo volto, tanto che perfino Takeda si inquietò un po’.
Nemmeno quando provava a fare matematica era così concentrato.
«Tsucchi?»
«Quanti affarini hai in testa adesso?» chiese di colpo, quasi come fosse una liberazione. Ah, fino a poco prima stava contando. Quello spiegava l’espressione assorta.
«Ventisei!» ribatté con un sorriso a trentadue denti e facendo il segno della vittoria.
«Ce ne sono solo venticinque» commentò lapidario e il sorriso scomparve dalla faccia del più piccolo.
Prima ancora di pensare che forse Hikaru aveva contato male – cosa più che probabile –, si fece prendere dal panico e prese a guardarsi intorno, alla disperata ricerca della forcina mancante.
Quella era una disgrazia.
«Ah, non c’è! È colpa tua che continuavi a fare avanti e indietro con la scopa senza raccogliere nulla, chissà adesso dove sarà finita!»
Tsucchi alzò gli occhi al cielo: «Tu non eri quello più intelligente di noi cinque?» chiese ironico. «Appunto! Io lo sono, tu che pulisci male e fai sparire la mia pinzetta che è caduta a terra non lo sei!» ora era inginocchiato per terra che cercava disperatamente il suo cimelio che, sì e no, gli era costato duecento yen ad una bancarella. Era perfino nera, monocromatica: cento yen, suvvia.
«Take…» lo chiamò, ma l’amico era troppo preso dalla ricerca.
«Take!» urlò alla fine e Keita si degnò di ascoltarlo.
«Tu! L’hai persa! Ti farò ingoiare il ventagli-»
«Ce l’hai in mano, intelligente san» lo interruppe con tranquillità, tornando a far ondeggiare la scopa, limitandosi a disperdere la polvere piuttosto che a toglierla. Tanto si sarebbe riaccumulata il giorno dopo.
«Oh» disse Take sorpreso, osservando il piccolo oggetto come fosse il santo graal.
«Che ne dici del più simpatico? Intelligente non ti si addice granché.»


6 – Adesivi personalizzati (Sakaguchi Yusuke)

«Quella classe è un vero porcile, Yamaguchi sensei! Non hanno rispetto per gli oggetti scolastici! Ha visto l’armadio in fondo all’aula? No che non lo ha visto, perché è coperto di quelle cose, di quegli adesivi! Li faccia togliere, Yamaguchi sensei, o mi attiverò personalmente affinché nel loro futuro nemmeno lo spazzino sia possibile come ingaggio lavorativo!»
Lamentarsi è bene, stare zitti è meglio, vero, Kyoto?

Se si sentivano le urla del Kyoto Sawatari già alle otto del mattino voleva dire che c’era qualcosa che non andava. Ovviamente, i tre quarti della scuola erano solo curiosi di sapere il motivo della sua ira, solo la 3D era consapevole del fatto che loro c’entravano qualcosa.
E, in effetti, così risultò essere.
«Avevo sentito uno strano fischio nelle orecchie, stamattina» commentò assonnatamente Hayato.
«Che cosa diavolo è… questa… questa… cosa?!»
Tutti i componenti della classe si erano riuniti fuori dall’aula insegnanti, dove si poteva sentire con estrema chiarezza ogni singola parola detta dall’uomo.
«Stikers, signore, degli adesivi…» si lanciò in un’accurata spiegazione Kameyama sensei, ma non ebbe la possibilità di continuare.
«Lo so che cosa sono» disse con una calma poco normale, per poi continuare: «quello che non so è che cosa ci fanno qui, sulla mia scrivania» inspirò ed espirò.
«E sulla mia sedia. E sulle finestre. E su-»
«Abbiamo capito, Kyoto, si calmi» tentò Shiratori sensei, ma l’attenzione del vicepreside era completamente incentrata su un’altra professoressa.
«Yamaguchi sensei…» prese a camminare verso di lei e la donna non si sorprese che la colpa ricadesse sui suoi studenti. Beh, in quel caso, poi…
«Yamaguchi sensei, io le avevo detto di far togliere quelle cose dalla sua classe, non di… di…» benché fosse partito con la massima calma, la rabbia aveva preso il sopravvento.
«Non so di cosa parla, Kyoto» rispose tranquilla Yankumi, anche se sapeva nome, cognome, indirizzo e telefono della persona che aveva fatto quelle bellissime ed artistiche stampe.
«Oh, certo… lei non ne sa niente, Yamaguchi… lei, guarda caso, è sempre all’oscuro di tutto quello che fanno i suoi adorati studenti!» abbaiò furente, andandole ad un palmo di distanza dal naso.
«Io non vivo con i miei studenti, Kyoto, il mio compito è solo quello di istruirli e-»
«E li istruisce proprio bene a disegnarmi come una scimmia urlante che mangia banane!»
Alcune risatine furono prontamente mascherate con improvvisi e violenti attacchi di tosse. «Non rida, Inomata sensei, c’è anche lei, c’è anche lei

Intanto, fuori dalla classe Sakaguchi Yusuke ridacchiava di gusto, trascinando con sé tutti quelli che poi capivano cos’era successo.
«Perché ridete?» chiese Tsucchi, che ci aveva capito ben poco.
«Li ho disegnati io, quegli stickers! Così impara a voler far togliere le mie opere d’arte su Yankumi» commentò per metà divertito e per metà indignato.
«Ah! Avrei dovuto capirlo che eri stato tu!» commentò Yabuki, che provava solo grande ammirazione per Yusuke.
E in un attimo Sakaguchi gli diede un altro motivo per amarlo a vita: «Ne ho altre copie, senza contare quelle che ho attaccato nei bagni – sono rigorosamente a tema!»


7. Manga (Tamura Masahiro)

«Le assicuro, Kyoto, che in quella classe sono tutti alunni diligenti, davvero!»
Un professore tende ad illudersi da solo per non dover ammettere davvero che la sua attività insegnativa fa pena.

«Ah, ragazzi! Non potreste almeno far finta di ascoltare la mia lezione?» un coro di urla animalesche coprirono le vane proteste di Yankumi, che abbandonò il libro di testo sulla cattedra.
«Ragazzi…» li richiamò ancora, mentre la sua pazienza volava fuori dalla finestra insieme ad ogni decoro.
Ancora schiamazzi assordanti; Hayato le dava addirittura le spalle, seduto sul banco a dialogare animatamente con Tsucchi e Take. Ryu se ne stava tranquillamente seduto a la guardava con uno sguardo di totale pietà: i suoi occhi dicevano proprio “mi fai pena”.
Yankumi ne aveva abbastanza.
«Adesso basta!» il suo urlo giunse probabilmente anche agli alunni delle classi vicine, tanto che nell’attimo seguente si creò un silenzio allucinante.
«Oh, attenzione, ora si leva anche i codini!» bisbigliò qualcuno con un certo timore nella voce: l’avevano vista tutti all’azione, se si scioglieva i capelli il massimo che potevano fare era un tentativo di evasione dalla finestra, ma qualcuno sarebbe comunque rimasto indietro. Okuma, per esempio. Non che non ci avrebbe provato, eh, ma le finestre non erano poi così larghe di per sé.
«Ah, questo silenzio è perfetto! Che ne dite di tenerlo tipo… sempre?» chiese poi con un sorriso dolce, totalmente diversa dalla Yamaguchi che poteva metterli tutti ko in un secondo. In un attimo, comunque, un mormorio riprese a diffondersi nell’aula e Yankumi non era disposta a permetterlo. Doveva spiegare quei dannati limiti, nessuno glielo avrebbe impedito. Sbatté una mano sulla cattedra e silenzio fu.
«Seriamente, ragazzi, dovreste fare attenzione! È il vostro ultimo anno, poi la matematica è interessante! Serve ad un sacco di cose nella vita!»
«Tipo?» gracchiò svogliatamente qualcuno dal fondo dell’aula.
«Ahm… beh… un sacco di cose, sì, tipo contare quante volte fate a botte con qualcuno per le pari opportunità con tutti gli altri!» si arrampicò abilmente sugli specchi, mentre la classe trovava vagamente fondata quella spiegazione e Ryu alzava gli occhi al cielo.
«Comunque, fate attenzione! Vi servirà e dovete impararla! I voti sono importanti!» ad un tratto, poi, notò con la coda dell’occhio uno dei suoi amati studenti che non le prestava minimamente attenzione. Stava leggendo qualcosa. Il libro di matematica! Stava leggendo il libro di matematica!
Sentendo il suo ruolo di insegnante vagamente ripagato da quella visione, con un rinnovato spirito, aggiunse: «Prendete esempio da Masahiro kun! Lui ha il libro di matematica, lo sta anche leggendo! Ne ha capito l’utilità e il valore!»
Mezza classe si voltò scandalizzata verso uno di loro che mostrava quel comportamento così anomalo da far credere a tutti che potesse essere malato. Era davvero il libro di matematica quello che vedevano tutti, ma… non poteva essere, suvvia. Tamura a momenti non sapeva nemmeno allacciarsi le scarpe!
Il ragazzo, comunque, non dava il minimo cenno di aver sentito anche una mezza parola di quel che si stava dicendo intorno a lui. Era davvero molto concentrato. Sfogliava le pagine con tale foga, come se quei dannati limiti lo prendessero così tanto! Ora aveva uno sguardo così corrucciato, evidentemente il non comprendere qualche passaggio lo irritava…
Yankumi era così fiera di avere uno studente del genere e di essere lei una così brava sensei da trasmettere tale passione ad uno di quei ragazzi!
Ad un tratto, Hayato si alzò in piedi, facendo lo slalom tra i banchi messi a casaccio e si avvicinò al compagno.
Lo osservò, ancora ed ancora, fino a dichiarare: «Non sta leggendo matematica, Yankumi» lo disse con un tono che stava per “non sarai così scema da credere che qualcuno si metta a leggere un libro di matematica come fosse il giornale!”
Yankumi lo guardò con sufficienza: «Quello è il libro di matematica, la copertina è quella!»
Con gesti lenti, Yabuki afferrò il libro di matematica e lo tirò via – Masahiro non dava segno di essere nella stessa classe con loro.
Il libro di matematica era solo una copertura per nascondere un manga.
«Ma non vedi che Akito ti sta viene dietro come un cane? Smetti di ballare di qua e di là, deficiente!» borbottò ad un tratto, chiudendo il libricino e prendendo il successivo.
Yankumi, il morale sotto i piedi, si avviò strisciando fuori dalla porta, lasciando che i compagni martoriassero il povero Tamura – non nascondeva il manga per non farsi beccare da Yankumi, eh.


8. Starnuti (Maeda Kei)

«Devi sapere, nipote, che uno starnuto vuol dire che qualcuno sta parlando bene di te, tre è un semplice raffreddore, ma due vuol dire che qualcuno dice bruttissime cose su di te.»
Le lezioni di vita sono quelle che non ti scorderai mai.

«Etchù!» poi un altro e un altro ancora.
Il silenzio miracoloso che regnava nell’aula della 3D – test di matematica, Yankumi era pur sempre una sensei – era rotto da una serie di starnuti che si susseguivano gli uni dagli altri a distanza di pochi minuti.
«Il raffreddore ha beccato anche voi, eh?» chiese Yankumi con una voce tremendamente malaticcia, visto che erano giorni che andava avanti a medicine e fazzoletti appallottolati in ogni angolo possibile. Se quel giorno si sentiva un po’ meglio era solo grazie alle speciali tisane del nonno, anche se non aveva mai ben capito cosa ci mettesse dentro.
Un mormorio poco convinto si produsse, mentre erano veramente poche le penne che stavano scrivendo; quei pochi che lo facevano probabilmente stavano solo mettendo il nome o scrivendo cose a caso. Quasi nessuno, lì dentro, tolto Ryu, ci capiva veramente qualcosa di quella roba.
Limite? Cos’era un limite? L’unico limite unanimemente riconosciuto nella 3D era quello relativo alle loro capacità matematiche ed era fermo alle addizioni e alle sottrazioni; la moltiplicazione nel migliore dei casi.
«Etchù!» Ne seguirono altri due.
Maeda Kei, da cui provenivano gli starnuti, era accucciato in un angolo, parzialmente nascosto nell’enorme sciarpa che si era avvolta al collo.
«Etchù!» e etchù e etchù.
«Kei kun, cosa stai facendo?» chiese Yankumi, tirando su con il naso, tentando di allungare il collo per vedere il suo studente che era piegato in due sul banco.
Un borbottio sconnesso giunse dall’alunno e poi seguirono tre starnuti.
Yankumi decise di alzarsi ed andare a controllare, benché la schiena fosse del tutto contraria a quell’azione; in fondo era uno suo studente, se stava male era compito suo occuparsene. Cioè, mandarlo in infermeria, il resto lo avrebbe fatto il dottore.
«Kei kun…» Maeda alzò la testa di colpo.
Cosa diavolo aveva in mano?
Una piuma. Aveva una piuma in mano.
«Cosa stai-» non ebbe tempo di aggiungere altro visto il ragazzo starnutì. Una volta. Poi di nuovo. Due volte. E si sfregò la piuma sotto il naso per aggiungerne un terzo, che arrivò un attimo dopo.
Svelato il mistero della piuma, cosa che lasciò Yankumi e la classe piuttosto perplessi.
«L’ha detto la nonna… due portano male.»
Inutile fargli presente che il suo era davvero solo un semplice raffreddore, il potere della parola delle nonne spesso era qualcosa di spaventosamente potente.



Ho deciso di postare i capitoli rimanenti tutti insieme, perché conoscendomi avrei potuto finire di caricarli anche tra sei anni e no, la cosa non entusiasma nessuno XD Non ho scritto una shot per tutti i membri della 3D, alcuni perché proprio non sapevo dove trovarli XD Per Ryu ho scritto qualcosa, ma dovrei riprenderla e rivederla... in caso un giorno trovassi tempo, voglia e ispirazione la aggiungerò (:
  
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