Moonlight
Entrare nell'edificio dietro il
palasport non era stato facile, soprattutto non era stato facile
convincere i bodyguard del fatto che lei lavorava in
quel luogo, avendo scordato a casa il
tesserino. Ma ora, nonostante tutto, era lì,
nello stesso punto in cui il giorno prima aveva scontrato Jared,
le braccia incrociate sul petto, dondolando continuamente da un piede
all'altro. Si chiese cosa diavolo stesse facendo
lì, cosa diavolo l'avesse portata prima in quel negozio di dischi, poi
al concerto e infine in quel corridoio. Aveva perso Kate
tra la folla non appena Jared e gli altri della band erano scesi dal palco, altrimenti la collega l'avrebbe
seguita solo per rivedere i fratelli Leto.
«Ti devo chiedere scusa... per me è
una questione d'onore... » forse erano state queste parole a colpirla.
Strano che, una rock star come lui, formulasse parole
del genere. Non sapeva quanto di lì a poco Jared
l'avrebbe sorpresa.
All'improvviso, dall'angolo che portava verso i camerini, comparvero
nuovamente Jared e Shannon,
fianco a fianco come la sera prima. Ed
Elisabeth si sentì completamente sprofondare. Avrebbe
voluto sparire nel nulla, andarsene da quel corridoio. Ma non c’era nessuna porta nel corridoio nel punto in
cui si trovava lei, nessuna porta dietro a cui sparire. Poi Jared
la vide. Sul suo volto comparve nuovamente un sorriso che
illuminò i suoi occhi straordinariamente chiari. Shannon, che non si era nemmeno accorto della ragazza,
intento a frugare tra le tasche alla ricerca del telefono, si fermò
all'improvviso non sentendo più il fratello camminare al suo fianco.
Jared, infatti, si era fermato davanti
alla ragazza. «Sapevo saresti venuta... »
Il suo tono era completamente dolce, nessuna sfumatura di superbia o di superiorità, ma quella frase non fece altro che
involontariamente punzecchiare Elisabeth. «Sono venuta solo per ricevere
le tue scuse. Ieri per poco ho perso il lavoro per la
tua sbadataggine. »
«Ci si
scontra quando entrambi si è distratti »,
ribatté Jared. «La colpa non è
solo mia.» Vide il volto della ragazza diventare incredibilmente cupo e
quindi s'affrettò ad aggiungere. «Comunque
scusami. »
«Mi fa piacere sentirlo... » Elisabeth finse un'insofferenza
che non provava nei suoi confronti. Subito, a pelle, gli era sembrata una
persona diversa da quella che si era immaginata. Non una rock
star, né un attore famoso, ma una persona che dopo tanto tempo, gradino
dopo gradino, con molta fatica era riuscita a raggiungere i propri sogni.
Jared rivolse una strana occhiata al
fratello che, ad un paio di metri di distanza, lo guardava perplesso, con le
mani alzate verso l’alto. «Jared…?»
E toccò ripetutamente con l’indice la schermata
dell’orologio che portava.
Il cantante
tornò a guardare Elisabeth, quasi snobbando il
fratello. «Ti va di andare da qualche
parte?»
Lei rimase
paralizzata. «Che… che cosa?»
Jared guardò l'orologio che portava al polso, nascosto
sotto una lunga manica nera. «Oh, merda,
è già mezzanotte... come passano in fretta questi concerti!» S'interruppe un
attimo, riflettendo. «Abiti in questa città, vero?»
«Sì,
ma.... »
«Perfetto!
» Jared le afferrò il braccio.
«Andiamo!», esclamò, e prese a trascinarla per il corridoio.
Shannon
rimase allibito nel vedere il fratello trascinare con sé quella
sconosciuta. «Jared, dove cazzo
stai andando? Dobbiamo andare in albergo! Ci sono
alcuni giornalisti che ci stanno aspettando!», gli urlò dietro il
batterista.
Jared non si voltò, ma rispose comunque.
«Inventa qualche scusa!» E scomparve dietro la curvatura a gomito
del corridoio.
Shannon rimase pietrificato a fissare l'ambiente vuoto dove era
appena scomparso il fratello, poi abbandonò le braccia lungo i fianchi e
scosse la testa. “Non crescerà mai…”
Le strade erano tutt'altro
che deserte a quell'ora proprio per via del concerto e Jared
aveva invitato la ragazza a mostrargli vie secondarie
e meno trafficate. Ora camminavano in tranquillità lungo la via che
costeggiava il fiume, alla sola luce dei lampioni che illuminavano fiocamente
il marciapiede e della luna che dall'alto vegliava la città non ancora
addormentata. Jared camminava con le mani in tasca,
la sciarpa stretta attorno al collo: ora che non stava correndo per il palco,
che non stava cantando poteva benissimo sentire il freddo che si era levato.
«Beh, dopo tutto questo, direi che il minimo
è presentarci, che ne dici? », esordì all'improvviso,
rivolgendo alla ragazza che le camminava a fianco l'ennesimo sorriso.
Elisabeth questa volta non riusì a non farsi contagiare: sorrise anche lei ed allungò
una mano verso il cantante. «Mi chiamo Elisabeth, Elisabeth Swank. »
«Bel nome... »,
commentò lui, stringendole la mano. «Io mi chiamo Jared, Jared Leto... anche se
purtroppo credo che tu mi conosca già
abbastanza.»
«Perché
“purtroppo”?», chiese lei, perplessa.
«Perché non posso
presentarmi come si deve... » Jared
era davvero dispiaciuto e il tono della sua voce lo confermò. Rivolse lo
sguardo verso l'alto: la luna, quella notte piena in cielo, era oscurata dalla
fredda e artificiale luce dei lampioni. «Starai
pensando “come? Non ti piace essere riconosciuto? Non ti piace essere
famoso?” E, per essere sincerto, ti devo
rispondere che essere una star non è così semplice come si pensa,
come ogni cosa ha il suo lato positivo e quello
negativo.» Fece una pausa e abbassò lo sguardo verso il
marciapiede. «Devi sempre dare il massimo, anche quando sei in un periodo
della tua vita in cui vorresti buttarti dall'undicesimo piano, devi sempre
stare attento che la tua vita privata non ti venga
rubata. E appena commetti uno sbaglio, uno solo che compiuto da una persona
qualsiasi apparirebbe insignificante, ecco che diventi un mostro, ti gettano
fango addosso, ti rovinano la vita.»
Elisabeth lo guardò. Era sincero, poteva percepirlo nelle sue parole. «Non
ti piace il tuo lavoro? », chiese.
«No, no, non è questo
», s'affrettò a rispondere Jared.
«Io amo recitare, amo cantare con la mia band,
amo cambiare continuamente, solo che i giornali ricamano su di me tante di
quelle stronzate, ovviamente false, che mi fanno maledire
me stesso. E ti assicuro che vivere così
è un inferno. Non hai nemmeno idea di quante voci siano
girate sul mio conto, interi settimanali che dedicano pagine e pagine sulla
domanda: “Ma Jared Leto è gay?”,
quasi senza sapere che l'oggetto della questione esiste sul serio ed è
una persona reale che potrebbe offendersi. Ma alla
fine i veri mostri siamo noi che ci stiamo male e non i giornalisti.
Giornalisti.... Il più delle volte cerco di non
dar loro retta, altre prendo in giro chi mi accusa, ma mi sento profondamente
ferito.» Rimase in silenzio, riflettendo, quindi si
voltò verso la ragazza. «Ma
piantiamola di parlare di me: raccontami un po' della tua vita... ovviamente se
ne hai voglia e se ti fidi di me, non ti costringe nessuno. E' solo che... mi fa
piacere parlare con qualcuno che non siano i giornalisti.»
E mentre diceva questo, lei incrociò i suoi
occhi: sembravano addirittura trasparenti alla luce di quei lampioni.
Sì, erano sinceri: in fondo, Jared non era
altro che una persona normale, senza dubbio di incredibile
talento e bellezza, ma pur sempre una persona.... una persona che con quelle
parole conquistò la sua fiducia.
Elisabeth cercò
di formulare l'inizio del discorso nella sua mente, poi parlò. «Abito con un'amica in un quartiere piuttosto e stranamente
tranquillo di questa città, in un piccolo appartamento. Ogni
giorno lavoro con lei negli uffici dietro al palasport, portando avanti e
indietro le scartoffie del mio capo: l'unico posto di lavoro che sono riuscita ad ottenere dopo anni e anni dedicati allo
studio e con una laurea in diritto. Non ho né fratelli né sorelle
e i miei hanno divorziato quando io ero piccola. Ho vissuto per un periodo con mia madre, poi lei è
morta. Mio padre? Probabilmente risposato. Non mi è mai venuto a cercare
ed io non ho mai voluto cercarlo.»
Jared, che aveva
ascoltato con interesse, intervenne quasi leggendole nel pensiero. «Non siamo poi così diversi... -, disse, infatti.
«Io sono cresciuto con mia madre e con mio
fratello maggiore, Shannon. Beh, Shan
è stato ed è un grande fratello
maggiore, ma tende ancora a preoccuparsi troppo: ha sempre tentato d'essere una
sorta di padre con me. Gli voglio un bene dell'anima, anche se forse non
può sembrare, ma vorrei che lui smettesse di preoccuparsi per me...
ormai non sono più un bambino.»
All'improvviso, si sentirono un paio
di trilli provenire dalla tasca del cantante. Jared
sbuffò, roteando gli occhi. «Dannato telefono!-, borbottò,
frugando nel cappotto alla ricerca dell'apparecchio. Una
volta trovato, lesse il display.
“Shannon
calling”
Elisabeth, che lo stava guardando,
fece un passo verso di lui. «Non rispondi?»
Jared
ricambiò lo sguardo, poi premette un tasto e la suoneria s'interruppe.
Come se niente fosse successo, spense il cellulare e se lo mise in tasca.
«No... voglio essere libero, per un po'....
»
I due ripresero a camminare fianco a fianco. In lontananza, si sentiva dalla strada
principale un'enorme confusione di auto e macchine e
gente che urlava, probabilmente ubriaca, dirigendosi verso qualche bar. Ma loro
sembravano non sentire niente, continuavano a parlare alla luce di quei
lampioni, passo dopo passo. Jared era una persona
strana: nonostante tutti i discorsi che le aveva fatto
prima, ora rideva e faceva battute in continuazione, mimava situazioni imbarazzanti
e comiche che gli erano capitate, quasi non avesse detto niente, quasi che gli
aspetti negativi della sua vita non esistessero affatto.
Elisabeth avrebbe tanto voluto che
quella notte non finisse mai, ma poco dopo tempo – per quello che era
sembrato a lei poco tempo: erano infatti passate due
ore -, vide l'angolo di strada che ospitava il suo appartamento. Si
fermò davanti alla porta comune di quest'ultimo e guardò Jared con
aria triste.
«Temo che siamo
arrivati... »
«Di
già?» Jared guardò
l'orologio. «Oh, santo iddio... le due di notte?
Shannon mi ucciderà!» Poi, si mise a
ridere. «Chissà come saranno le facce dei
giornalisti!» La sua risata pian piano si spense e tra i due
calò di nuovo il silenzio.
Elisabeth tirò fuori dalla tasca le chiavi e le infilò nella
serratura. «Non ci rivedremo più, non è
così?»
«E' probabile...» rispose Jared.
Lei si morse il labbro inferiore. Jared ebbe l'impressione che lei volesse
dirgli qualcosa, ma Elisabeth si limitò ad aprire la porta e voltarsi
verso di lui. «E' stato davvero un piacere conoscerti... Jared.»
«Anche
per me, Elisabeth... »
«Grazie per avermi
accompagnato fin qui.»
«Figurati... »
La porta si chiuse e lei scomparve
dietro di essa. Jared perse
il conto di quanto tempo rimase a fissare quella porta chiusa, ma non avrebbe mai
dimenticato i sentimenti che provava in quel momento. Per una sera, dopo tanto
tempo, si era sentito davvero felice.
Tirò fuori
dalla tasca il cellulare, guardando ancora l'apparatamento
dove abitava Elisabeth, poi lo accese e chiamò un taxi.
«Era ora che tornassi, razza di idiota, ci hai fatto stare tutti in pensiero!»
L'accoglienza
all'albergo fu proprio quella che si aspettava. Shannon
era furibondo, ma come aveva detto Jared solo per
mascherare la sua preoccupazione, ed ora lo guardava a braccia incrociate, i
piedi ben saldi a terra nella hall a quell'ora
deserta.
Il cantante si guardò
attorno. «Oh, meno male i giornalisti se ne sono andati... »,
commentò.
«E' tutto quello che hai da
dire?» Shannon lo afferrò per la maglia.
«Mi aspettavo almeno un “oh, scusa, Shannon,
per averti fatto stare in pensiero.” »
Jared sorrise,
puntandogli un dito contro. «Ah, ma allora lo ammetti!»
Shannon
lasciò la presa, colto in pieno dalle parole del fratello. Finse un'aria
indispettita e incrociò nuovamente le braccia. «Non ammetto
assolutamente niente, è solo che ci hai fatto fare una figura del cavolo
con tutti i giornalisti... alcuni di loro sono partiti alla tua ricerca e
probabilmente sono ancora là che vagano...»
«E
lasciali vagare!» Jared scrollò le
spalle, sorridendo.
«La pianti di sorridere come
un'idiota? Cosa diavolo hai combinato?», chiese Shannon e, vedendo che il fratello non diceva una parola,
aggiunse, «Mi vuoi dire almeno il motivo di una
figuraccia collettiva della band? Sai benissimo che i giornalisti aspettavano
solo che te!»
Il cantante lo superò e
cominciò a salire le scale. «Buonanoteeee...»,
canticchiò, salutandolo con una mano, ma senza mai voltarsi.
Shannon rimase
impietrito: non l'aveva mai visto così. Certo, era sempre stato un po'
strano, amava fare versi e battute in continuazione, ma ora sembrava... sembrava felice. Veramente felice. Cominciò a
chiedersi se non c'entrasse la sconosciuta che aveva visto uscire con Jared, poi scosse la testa.
“Jared
innamorato? Oh, ma dai!” E lo seguì per
le scale.
Mi raccomando, recensite!! E' molto importante!