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Autore: Cassidy_Redwyne    08/11/2013    4 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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«Fattelo dire, fai proprio schifo» commentò John, dopo che dalla chitarra uscì l’ennesimo suono sghembo.
Il ragazzo aveva deciso di insegnarle una canzone, senza però rivelarle il nome. Doveva essere una sorpresa, ma la situazione era diventata pesante, anche perché John era un pessimo insegnante: si arrabbiava subito e non le lasciava il tempo di provare con calma.
Beth sospirò. Era almeno la centesima volta che continuava a ripetere le stesse frasi sgarbate e non riusciva più a sopportare i suoi continui commenti negativi.
«Almeno cerca di fare una critica costruttiva!» protestò. «Ci credo che poi rimani sempre da solo.»
John la fissò senza parlare, limitandosi a darle un lieve colpetto sulla spalla, come un avvertimento.
«Non è quello» disse. Il suo tono era inafferrabile. «Non mi piace stare in mezzo alla gente, tutto qua.»
«Che asociale» borbottò lei.
«Falla finita, d’accordo?!» esclamò allora lui, in un improvviso scatto d’ira. Poi si dovette accorgere che lei era rimasta impietrita, perché si addolcì.
«Piuttosto, stai sbagliando la posizione delle mani.»
Indicò le dita esili di lei, che arricciò il naso.
«Allora fallo tu, visto che sei tanto bravo!» sbottò Beth, infastidita.
John le afferrò la mano sinistra, poggiandola delicatamente sulla corde e pressando con i polpastrelli. A quel punto dalla chitarra uscì quello che per lei era il suono della vittoria.
«Wow» mormorò raggiante, percependo ancora il vibrare delle corde sotto le dita.
«Poi devi metterle lì» spiegò John con pazienza, ma senza l’entusiasmo della ragazza davanti a sé.
Spostò nuovamente le mani di lei, che però si lasciò guidare, affascinata com’era dal moro. Si vedeva che per lui era una passione: cambiava atteggiamento quando si trattava della sua chitarra, della musica.
«Allora, si può sapere cosa mi stai insegnando?» domandò lei, fissando attenta le mani di John.
Si aspettava una risposta sgarbata, ma stranamente non fu così.
«Vedi Beth, se sei veramente una fanatica degli anni ‘50, ‘60 e via dicendo, come sostieni di essere,  la riconoscerai... seguimi» disse, ricominciando a guidare le sue mani sulla chitarra.
La ragazza ascoltò con più attenzione e si ritrovò a sorridere quando riconobbe l'intro della canzone: era Love Me Tender di Elvis Presley. Impossibile per lei non conoscerla e non adorarla, e il fatto che il ragazzo gliel’avesse proposta la stupì piacevolmente: forse quel look d’altri tempi non era completamente studiato a tavolino. Una vocina nella sua testa ci tenne a ricordarle che quella era praticamente la canzone più famosa di Elvis e probabilmente anche un neonato in fasce l’avrebbe conosciuta, ma lei si affrettò a farla tacere.
Per niente intimorita dalla presenza di John, iniziò a cantarla senza difficoltà. Conosceva bene le parole e cantare le sue canzoni preferite le dava sempre una certa soddisfazione.
«Così la conosci...» ridacchiò John. «Canti bene» osservò poi, sincero.
«Grazie» disse lei in un sussurro, ritornando a concentrarsi sulla canzone.
Si sentiva un po’ a disagio, perché John continuava a guardarla e non le piaceva essere fissata in quel modo.
«Be’, grazie di tutto» disse lei, una volta che la canzone fu terminata.
Quando la musica si interruppe, anche la situazione idilliaca che si era venuta a creare fra loro sembrò incrinarsi. La magia era finita e, anche se entrambi erano rimasti in silenzio da allora, Beth se ne accorse chiaramente.
«Adesso penso che dovrei proprio andare» disse quindi, voltandosi di scatto.
Si ricordò troppo tardi di essere estremamente vicina al ragazzo, che nel girarsi si ritrovò ad un passo dal volto, tanto che poteva percepirne il respiro.
John sorrise ma, forse accorgendosi anch’egli di essere pericolosamente vicino a Beth, si allontanò con uno schiarimento di voce.
La ragazza allora si alzò in piedi, lieta di avere di nuovo un po’ di spazio per muoversi e respirare normalmente. Quel contatto così ravvicinato la stava ancora facendo sudare freddo.
Si ripulì i pantaloni dai fili d’erba, fece un cenno di saluto a John e iniziò a scendere giù dalla collina, in direzione del campetto, dove la sua classe stava finendo gli esercizi.
«Beth!» la chiamò improvvisamente John.
«Cosa c’è?» gridò lei in risposta, voltandosi.
Il ragazzo era rimasto immobile a sedere e Beth lo vide sfoggiare un mezzo sorrisetto che non le piacque per niente.
«Cerca di non montarti troppo la testa» la ammonì lui. «A cantare te la potrai anche cavare, ma sappi che con la chitarra fai proprio schifo.»
Beth aprì la bocca di scatto. «M-ma vaffanculo!» rispose poi su due piedi, incrociando le braccia al petto con espressione offesa, non sapendo se ridere o infuriarsi con quel ragazzo insopportabile.
 
****
 
Quando vidi Beth venirmi incontro, di ritorno da chissà dove, non riuscii a trattenermi dall'esplodere.
«Si può sapere dove sei stata?!» dissi, a metà fra il sollevato e l’arrabbiato.
Credevo che fosse in bagno, ma era scomparsa da più di mezz’ora e stavo iniziando davvero a preoccuparmi.
Lei fece per aprire bocca per darmi spiegazioni, ma Angie non gliene diede il tempo.
«BETH?! DOV’ERI?!» urlò, trapanandoci i timpani e facendo voltare all'unisono tutta la fila verso di noi.
Beth si fece piccola piccola ed Angie si limitò a sorridere innocentemente, mentre io mi rivolsi al resto della classe in modo disinvolto, spiegando che non era successo assolutamente niente.
Fu in quel momento che avvistammo Arianna: si stava facendo largo tra i ragazzi per raggiungerci e anche lei sembrava abbastanza preoccupata.
«Beth! La Cooper avrebbe potuto accorgersi che non c’eri» bisbigliò, quando si fu avvicinata. Sembrava nervosa ed era un autentico miracolo che facesse trasparire le sue emozioni.
«Diamine!» protestò Beth.  «So di essere stata un po’ avventata, ma...»
«Un po’?» ripeté Angie, sbuffando.
«...Ma ne avevo bisogno» proseguì lei, ignorando il suo commento. «In fin dei conti non è successo nulla. Io oltretutto ero già passata dalla Cooper e difficilmente mi avrebbe richiamata. Quindi potete anche smetterla di comportarvi così» concluse, levando gli occhi al cielo.
Notando la sua espressione corrucciata, Angie scoppiò a ridere.
«Non farci passare per quelle apprensive, Beth» intervenni, incrociando le braccia al petto. «Siamo nuove qui, non possiamo permetterci certi comportamenti.»
«Già, cerchiamo di non fare come Angie» aggiunse Arianna, sottolineando con una frecciatina il fatto che la nostra amica si fosse già fatta etichettare come una teppista, nella nuova scuola.
Angie la incenerì con lo sguardo, ottenendo l’effetto sperato dall'altra.
Mentre Beth interveniva per fermare sul nascere il loro litigio, io mi guardai intorno: anche gli ultimi ragazzi dovevano aver finito l’esercizio, perché la classe si stava preparando per rientrare.
«Mi dispiace interrompervi ragazze, ma penso sia l’ora di andare» dissi e, contemplando già il calore del termosifone della nostra camera, ci affrettammo  a raggiungere gli altri.
Mentre la Cooper apriva la porta d’ingresso, vidi con la coda dell’occhio un familiare ragazzo moro avvicinarsi a noi e d’istinto spinsi in avanti le mie amiche, cercando in qualche modo di raddoppiare la nostra distanza.
Angie stava per protestare ma, voltandosi, sembrò capire il perché del mio comportamento.
«Perché continui a evitarlo? Non avete più chiarito dalla festa?» bisbigliò, tornando a guardarmi e cercando allo stesso tempo di non perdermi di vista tra la folla.
Non dovevo essere l’unica ad agognare il calore dei termosifoni, a giudicare dalla foga con la quale i nostri compagni stavano entrando.
«No. E sai benissimo perché lo evito» risposi piuttosto seccata, mentre i ragazzi continuavano a spintonarci per entrare.
«Povero Shadow... sì, conosco la tua situazione, ma continuo a pensare che tu stia facendo un errore, Kia» si limitò a dire Angie, prima di sparire nella confusione.
                                                                                                                                                                                    
****
 
«Vai così, Arianna!» esclamò Beth, euforica, scattando d’istinto in piedi.
«BETH Scendi subito!» le urlai sottovoce, vedendo che le poche persone presenti si erano voltate verso di noi, esterrefatte.
Per tutta risposta la mia amica ridacchiò, per niente imbarazzata, e poi tornò seduta sulle gradinate della palestra come se nulla fosse.
In palestra, quel pomeriggio, si teneva l’ultima prova delle cheerleader prima della partita   della nostra scuola e Arianna ci aveva invitate ad assistere. Beth ed io eravamo venute volentieri, mentre Angie era rimasta in camera, dicendo di avere da fare: la sua aveva tutta l’aria di essere una scusa, ma Ari non era parsa troppo dispiaciuta.
Osservammo con attenzione il numero che le ragazze avevano progettato: era molto breve e comprendeva una complicata serie di acrobazie – che solo a vederle mi provocarono il voltastomaco – unite alla coreografia di un balletto di danza moderna e allo slogan della scuola. Tutte le studentesse erano davvero brave, ma notai con una punta di orgoglio che era Arianna quella in testa al gruppo.
Ad un tratto Beth mi indicò una delle ragazze dietro Arianna: era alta e slanciata, con lunghi boccoli rossi legati in una coda di cavallo.
Non mi ricordavo chi fosse, ma aveva l’aria vagamente familiare e Beth chiarì i miei dubbi quando disse: «È Annie, l’amica di John.»
«Ah, non l’avevo riconosciuta! È piuttosto brava, non trovi?»
«È amica di quello stronzo: la odio a prescindere» la schernì lei.
Ignorando il suo commento pungente, preferii rimanere in silenzio e continuare ad osservare l’esibizione. E rimasi a bocca aperta quando alla fine Arianna si esibì in un salto mortale, prima di essere riacciuffata al volo dalle compagne. Non avevo idea che la mia amica fosse in grado di fare cose simili!
 
Beth non sapeva proprio cosa pensare.
John non le stava particolarmente simpatico, ma molto – mooolto –  raramente era persino piacevole. Quella mattina, per esempio, era stata bene in sua compagnia, nonostante i suoi frequenti commenti sprezzanti. Eppure non riusciva a sopportare Annie, la sua amica dai ricci capelli rossi, tutta falsi sorrisi: non la trovava sincera, tantomeno simpatica, e quel modo con cui si era opposta a John in mensa, poi! Era chiaro che volesse solo farsi notare.
Dentro di sé si sentiva vagamente in colpa per quell'avversione nei confronti di una ragazza che in fin dei conti non le aveva fatto nulla di male. In fondo teneva solo compagnia a quel ragazzo solitario, eppure la infastidiva terribilmente e solo vederla le provocava un’ondata di irritazione. 
In conflitto con se stessa, Beth attese la fine dell’esibizione nel più completo silenzio.
 
«Ari, sei stata bravissima!» le dissi, una volta finito l’allenamento.
Beth ed io l’avevamo seguita insieme alle altre cheerleader negli spogliatoi femminili.
«Per non parlare di quella capriola...» aggiunse Beth, ammirata.
Mi voltai istintivamente verso di lei: era la prima volta che apriva bocca dalla fine dell’esibizione e mi rasserenai nel vedere che sembrava tornata di buonumore.
«Grazie ragazze!» sorrise lei, prendendo la sua bottiglia d'acqua dal borsone, in un angolo dello spogliatoio. «Ormai manca solo un giorno alla partita, siamo tutte in preda all’ansia.»
«Sono sicura che farete un figurone» la rassicurai.
In quel momento una ragazza entrò a passo veloce dalla porta e, voltandomi appena verso di lei, vidi che si trattava di Annie.
La ragazza si sciolse la coda di cavallo, quindi si passò una mano fra i lucenti capelli rossi e cacciò l’elastico in fondo alla sua borsa. Voltandosi verso di noi, notò Beth.
«Ciao!» esclamò, con un sorriso a trentadue tenti.
Percepii l'immane sforzo della mia amica nel ricambiare il saluto.
Il suo sguardo passò da lei a me.
«Ciao anche a te, ehm...»
Mi ricordai che lei non aveva idea di come mi chiamassi.
«Kia, piacere!» dissi in tono cordiale.
«Piacere mio» rispose lei, esibendo un altro dei suoi esagerati sorrisi. Poi si rivolse alla squadra. «Ragazze, avete per caso visto John in giro? È da stamattina che non lo vedo»  domandò, mentre afferrava la sua bottiglietta.
Nessuno rispose, ma colsi un guizzo di autentico terrore negli occhi di alcune ragazze che non mi stupì affatto. John, con le sue strane compagnie e la sua fama di delinquente, era considerato un tipo pericoloso e piuttosto temuto nella scuola, avevamo avuto modo di rendercene conto anche noi.
Accanto a me, notai Beth irrigidirsi. Ma, prima che riuscissi a chiederle qualunque cosa, nello spogliatoio irruppe la Cooper.
«Ragazze, sono appena arrivate le vostre uniformi da cheerleader! Venite a dare un’occhiata? Su, vi voglio tutte nell’atrio.»
Il silenzio fu immediatamente spazzato via dall’entusiasmo generale.
Le ragazze finirono di prepararsi in fretta e furia e, dopo aver preparato alla bell’è meglio le loro sacche, uscirono dallo spogliatoio quasi correndo, pur di stare dietro alla Cooper.
«Kia, Beth, venite anche voi?» chiese Arianna, sistemandosi il proprio borsone sulla spalla, mentre faceva cenno alla professoressa di aspettarla.
Beth ed io ci scambiammo un'occhiata e annuimmo all'unisono. Perché no? Dopotutto non avevamo niente da fare ed Angie quel pomeriggio sembrava voler stare per conto suo.
Proprio a lei pensavo, mentre imboccavamo il corridoio diretto all'ingresso a passo rapido, e non potei fare a meno di chiedermi cosa stesse combinando in quel momento.
 
****
 
Qualunque malcapitato si fosse azzardato a passare lungo il corridoio del primo piano, precisamente davanti alla porta della camera numero 18, difficilmente sarebbe tornato vivo per raccontarlo. In quel preciso istante, fortunatamente, il corridoio era del tutto deserto.
Lì il malcapitato in questione avrebbe di certo notato una ragazza. Totalmente innocua, all'apparenza: non eccessivamente alta, molto formosa, dai ricci boccoli color miele e gli occhi verdi. Un serafico angelo biondo che solo uno sguardo attento avrebbe classificato come un potenziale pericolo da cui tenersi saggiamente alla larga.
Quando Angie Stevens avrebbe inchiodato il malcapitato con il suo sguardo scocciato, allora probabilmente per lui sarebbe stato troppo tardi.
Perché “scocciato” probabilmente non rendeva bene l'idea.
Era infuriata.
Incazzata nera.
Pronta ad esplodere.
Ribolliva dalla rabbia in maniera tale che, quando poggiò la mano sulla porta della camera, desiderò con tutto il cuore poterla scardinare e abbatterla senza pietà sulla fonte dei suoi problemi, fino a spezzargli l'osso del collo. Angie inspirò, chiudendo gli occhi, mentre si immaginava l'intera scena: una visione sublime.
Perché la causa di tutto ciò era ovviamente da ricercarsi in Night Harris e lo scherzetto da quattro soldi che aveva deciso di giocarle quella mattina e che probabilmente avrebbe compromesso la sua reputazione fino alla fine dei suoi giorni.
Ma l'avrebbe pagata cara, quella faccia da schiaffi poteva starne certa. Non c'erano punizioni, ramanzine e rapporti disciplinari che stavolta potessero impedirle di pestare Night a dovere.
Dopo essersi concentrata per fare un altro paio di respiri profondi, bussò con foga alla porta.
Udì un rumore di passi all'interno e, quando la porta le si aprì davanti, non riuscì più a trattenersi e partì all'attacco con tutta la voce che aveva in corpo.
«TU, TU! PEZZO D'IMBECILLE, TI FACCIO VEDERE IO! COME TI SEI PERMESSO?! NON SEI ALTRO CHE…»
Solo quando alzò gli occhi si rese conto che quello che aveva davanti non era affatto la sua nemesi, ma il povero Shadow, che la fissava interdetto. Cazzo.
«...UN RAGAZZO!» gridò la prima cosa che le venne in mente e pregò che una voragine le si aprisse improvvisamente sotto i piedi, ma il pavimento del corridoio rimase ben saldo sotto le suole delle sue scarpe.
Shadow la stava fissando sbattendo le palpebre. Tanti dovevano essere i pensieri che gli frullavano per la testa, magari perché Angie Stevens avesse appena inveito contro di lui come un’invasata ma, da cavaliere qual’era, decise di stare al gioco.
«Sembra proprio di sì. Ma, se mai deciderò di cambiare sponda, sarai la prima a cui lo dirò, lo giuro.» Ammiccò verso di lei in modo volutamente effeminato, scoppiando a ridere.
Angie sentì le guance tornare del proprio colore naturale, mentre l’imbarazzo affievoliva e si univa alle risate del ragazzo.
«Sei venuta qui solo per minacciarmi o hai bisogno di qualcosa?» domandò poi lui, con un sorriso divertito.
«Temo ci sia stato un equivoco... ma sì, in effetti stavo cercando Night.»
Il sorriso di Shadow si fece ancora più largo e Angie colse nei suoi occhi un lampo di malizia. «Ah, il tuo ragazzo.»
La precaria quiete appena raggiunta dalla ragazza fu sul punto di vacillare, ma si impose di rimanere calma. Ancora un poco e avrebbe avuto la sua vendetta.
«Si sta facendo la doccia e, conoscendo i suoi tempi, ci vorrà ancora un bel po’. Vuoi entrare comunque?»
«Va bene» mormorò lei, borbottando qualcosa a proposito del suo pessimo tempismo.
Shadow si fece di lato per farla passare e Angie varcò trepidante la soglia della fantomatica camera numero 18, davanti alla quale si immobilizzò, a bocca spalancata.
Là dentro, ne era certa, doveva essere esplosa una bomba.
La camera sua e delle ragazze certo non era il ritratto dell'ordine – anche se Arianna lo avrebbe desiderato – ma non era minimamente paragonabile al caos presente in quella stanza: lì la confusione regnava indiscutibilmente sovrana.
Fece qualche esitante passo in avanti, camminando sulle punte per non calpestare i vestiti e le scarpe che ricoprivano ogni centimetro quadrato del pavimento, che non era nemmeno visibile ad occhio nudo. L’impressione era quella di attraversare un campo minato.
«Scusa il disordine» mormorò Shadow, notando la sua espressione allibita. Attraversò la stanza in un modo che rese le fatiche di Angie per non calpestare nulla vane e anche piuttosto ridicole: sollevava ad ogni passo mucchi di vestiti e chissà cos’altro sepolto lì sotto, senza curarsi di ciò che finiva sotto le sue scarpe. Si bloccò solo quando i due udirono chiaramente un sonoro crac.
«Mmn, credo di aver appena pestato un cellulare. Spero fosse quello di Night.»
«Lo spero anche io» commentò Angie, continuando a guardarsi intorno. «La cosa sconcertante è che la dividete in due!»
«Chi c’è con te, Sha?»
Una familiare, odiosa e profonda voce maschile s’inserì nella conversazione. Proveniva dal bagno, la cui porta era situata in un angolo della stanza, ed Angie non ebbe difficoltà a riconoscere a chi appartenesse. Serrò istintivamente i pugni.
«La tua ragazza!» rispose lui, di nuovo con quella scintilla maliziosa nello sguardo. «Vuole parlarti.»
Night mugugnò qualcosa di incomprensibile dal bagno, poi ci fu il silenzio.
«Mi sa che dovrai aspettare un po’» mormorò Shadow in tono di scuse.
Angie si morse un labbro. «Tranquillo, aspetter… EHI!» esclamò, fissando a bocca aperta un poster a parete in fondo alla stanza, che lì per lì non aveva notato, visto che la sua attenzione era stata attirata dalla confusione sul pavimento.
Imitando la tecnica di Shadow, si fece largo con noncuranza tra i mucchi di vestiti e di dischi e si avvicinò alle familiari sagome del suo gruppo preferito, con i poster dei quali aveva completamente tappezzato la sua stanza, a Dublino.
«Piacciono anche a te i Guns ‘N Roses?» chiese Shadow, sedendosi sull’unico letto in ordine tra i due presenti nella stanza.
«Se mi piacciono? Dire che li amo è riduttivo!» disse Angie, euforica, osservando il poster con curiosità: quello in effetti mancava alla sua collezione.
«È di Night» spiegò Shadow, notando il suo interesse.
Angie si voltò di scatto, non del tutto sicura di aver sentito bene. «Sul serio?»
«Giuro! I Guns  non sono decisamente il mio genere» rispose lui, scrollando le spalle.
«Prova ad ascoltare l’assolo di chitarra di Sweet Child O’ Mine e vedrai che cambierai idea» disse Angie con fare da esperta, accarezzando il volto di Axl Rose che sembrava sorriderle attraverso il poster. Nel farlo, si stupì di sentire una superficie sagomata sotto di esso, come se la gigantesca foto del gruppo fosse stata posta a coprire qualcos’altro. Ma cosa?
Con la coda dell’occhio, notò che Shadow era impegnato con il suo cellulare e le stava dando  le spalle. Vinta dalla curiosità, Angie decise di approfittarne.
Alzandosi sulle punte, afferrò un lembo del poster dei Guns che sembrava leggermente scollato e lo sollevò, scoprendo parte dell’immagine che vi era dietro.
La ragazza non capiva le ragioni che avevano portato un’idiota come Night a coprire un poster con un altro poster, se non per non nascondere qualcosa di particolarmente imbarazzante, e nella sua testa stavano già prendendo forma diverse ipotesi, per cui, in seguito, avrebbe potuto ricattare il ragazzo a vita. Ma, qualsiasi cosa le fosse venuta in mente, di certo non era psicologicamente pronta allo spettacolo che le si palesò davanti.
Dietro il poster dei Guns ‘N Roses c’era l’immagine di un unicorno.
Un unicorno rosa, dalla criniera luccicante di glitter e dagli occhi grandi e acquosi, in stile manga, che galleggiava in uno sfondo rosa.
Un unicorno. Rosa. Nella camera di due ragazzi. Coi glitter!
«Tutto bene?»
La voce perplessa di Shadow la riscosse, ed Angie si affrettò a re-incollare in fretta e furia il lembo del poster che aveva sollevato, per poi voltarsi di scatto verso il ragazzo con un sorriso serafico. «Certo!»
Io non ho visto nulla, disse tra sé e sé, allontanandosi dal poster incriminato per andare a sedersi sul letto, accanto a Shadow, che continuava ad osservarla con stupore, forse per via dell’espressione scioccata che non riusciva a mascherare.
Per evitare di tradirsi, Angie si affrettò a portare l’attenzione su altro. «Allora… che mi dici di Kia?»
Nell’udire il nome della ragazza, Shadow si rabbuiò ed Angie si sentì vagamente in colpa per averlo costretto a rimuginare sopra qualcosa a cui stava chiaramente evitando di pensare. Se non altro, però, aveva smesso di fissare lei.
«Io… non so cosa pensare» ammise lui, evitando il suo sguardo. «Ma dopotutto non mi era mai accaduta una cosa simile, prima.»
Angie sgranò gli occhi. «Non dirmi che non eri mai stato rifiutato!»
La ragazza lo vide arrossire visibilmente e si trattenne a stento dal ridere, perché sapeva che lo avrebbe ferito. Preferì poggiargli una mano sulla spalla.
Shadow le piaceva molto, ma era un ragazzo piuttosto prevedibile ed a Edimburgo, nella sua vecchia scuola, di tipi come lui ne aveva conosciuti a frotte. Bellissimi ragazzi con un ego smisurato, a cui non era mai stato detto di no, né dal paparino né dallo stuolo di ragazze che avevano ai loro piedi.
Ma, vista l’attuale situazione sentimentale di Kia, Angie avrebbe preferito mille volte vederla al fianco di Shadow, un po’ troppo sicuro di sé ma dal cuore d’oro, che al fianco di un idiota. Ed Angie si sentiva terribilmente in colpa per il ruolo che aveva avuto nella vicenda di Kia e di un certo idiota. Ah, se solo avesse potuto far accendere la scintilla tra lei e Shadow!
«Lasciarsi corteggiare per poi darmi il benservito» stava bofonchiando il ragazzo. «È come se l’avesse fatto per ferirmi!»
Angie sospirò. «Kia non aveva alcuna intenzione di ferirti, Shadow.»
Lui la guardò mestamente. «Lo pensi davvero?»
Lei sorrise. «Ne sono sicura! Kia è fatta così, è fin troppo gentile con tutti. Per questo è probabile che tu abbia frainteso le sue intenzioni. Vedi…»
«Io però non ho alcuna intenzione di arrendermi. Vedrai» esclamò, lanciandole uno sguardo penetrante, di fronte al quale persino lei si sentì vacillare, «riuscirò a conquistarla!»
A quelle parole, la ragazza abbassò lo sguardo e si maledì.
«Non puoi, Shadow, mi dispiace. Kia è già fidanzata.»
  
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