Salve a tutti! ^^
Ecco il primo capitolo, ho fatto in fretta, ma porto cattive notizie ^^’
Non penso pubblicherò fino alla fine del mese, e per The theft, penso dovrà passare un bel po’, perché il capitolo che devo scrivere è parecchio lungo. Questa storia è nata così, di colpo, ma non so quanto sarà lunga. Come per Profumo, più scrivo e più aggiungo cose, fatti e avvenimenti non previsti nella trama di base.
In realtà, avevo in progetto un’altra fan fiction, o meglio due, ma dato che non ho completamente l’idea della trama, temevo di doverle interrompere per mancanza d’ispirazione, e non c’è cosa che odi di più >.> Penso che le comincerò cmq, finita The theft, ma non ne sono sicura! XD
Ok, finito questo poema, passiamo al capitolo, speri vi piaccia!
Roro: grazie per la fiducia, spero di esserne degna ^^
La bella
“Com’è oggi, il padrone?”,
domandò il bambino, apparentemente al nulla.
“Oh, di pessimo umore, come
sempre!”, rispose una voce gracchiante, che sembrava provenire da un piccolo
insetto. Il bimbo annuì, sedendosi sulla comoda e folta coda a palla.
“Per quanto continueremo
così?”, domandò, con le lacrime agli occhi.
“Su, su! Non è il caso di
abbattersi! Vai in cucina, e fatti dare un po’ di biscotti”, lo consolò l’insetto. Il bimbo corse via, senza farselo
ripetere due volte.
Passarono pochi secondi, e
l’ennesimo ruggito echeggiò nelle stanze buie e desolate, facendo rabbrividire
gli abitanti del castello.
“Vado a comprare il pane!”,
esordì la ragazza, alla porta.
“Vai pure, Kagome, ma fai attenzione”, disse un anziano signore, lavorando
pazientemente alla stufa rotta.
“Sicuro, non ti preoccupare”,
lo rassicurò la fanciulla, uscendo dalla piccola casa.
Sbuffò divertita. Il nonno non doveva preoccuparsi di nulla,
in quel paesino si conoscevano tutti. Era davvero un’impresa ardua
cacciarsi nei guai.
“Ciao, Kagome”, la salutò Eri, la figlia del fioraio.
“Buongiorno Eri, anche oggi a
raccogliere fiori di prima mattina?”, domandò Kagome, sorridente.
“E
tu a comprare il pane appena sfornato, giusto?”, ribatté la ragazza, prendendo
un ampio cesto di vimini, “salutami Hojo, è sempre
così gentile”.
“Oh, oh! Eri, allora le voci
che girano sono vere!”, esclamò Kagome, colma di
malizia. Eri arrossì, balbettando frasi di negazione
incoerenti.
“Non ti preoccupare, le mie
labbra sono sigillate”, la rassicurò l’amica subito, con un sorriso. Si salutarono, e presero strade diverse. Kagome, arrivata al fornaio, prese una piccola focaccia, da
mangiare subito, e un filone di pane casereccio.
“Ah, c’è Hojo?”,
chiese la fanciulla al fornaio, padre del ragazzo.
“Dovrebbe essere sul retro, a
leggere come suo solito”, sbuffò l’uomo panciuto. Kagome lo ringraziò,
trattenendo una smorfia. Che c’era di male, nel
leggere? Anche lei adorava farlo, immergersi in storie
fantastiche, ricche di streghe, maghi, draghi e demoni da sconfiggere! Era
bello pensare che potesse succedere, un giorno, di incontrare il principe
azzurro.
“Ciao Hojo!”,
lo salutò, trovandolo seduto sui sacchi di farina.
“Ciao Kagome”, rispose lui
sorridendo allegro, mettendo il segno al libro e chiudendolo, “notizie da Eri?”
“Sicuro, direi proprio che è
cotta”, confermò la ragazza, facendo l’occhiolino. Fin da bambini, lei, Hojo e Eri si erano sempre
aiutati, e per Kagome era un piacere fare da tramite tra i due innamorati.
“Non ci credo,
è bellissimo! Grazie Kagome”, disse il ragazzo allegro, prendendogli le
mani.
“Giù le mani da Kagome”,
disse una voce scorbutica. La ragazza alzò gli occhi al cielo. Bastava sentirlo
per capire chi era.
“Buongiorno anche a te, Koga”, lo salutò acida, voltandosi. Il ragazzo, seguito dal
suo gruppo di fedeli amici, la fissava possessivo, con i suoi occhi azzurro
ghiaccio. ‘Ora lo dice…’ pensò la ragazza.
“Kagome, dovresti comportarti
diversamente…”, cominciò il ragazzo. ‘Ora lo dice’.
“…non devi dare tanta
confidenza alle persone…”. ‘Ora lo dice’.
“…considerando che sarai la
mia sposa”. ‘Ecco, l’ha detto!’.
“Koga,
io non sarò la tua sposa! Deciderò io con chi sposarmi”,
precisò la ragazza, facendosi strada nel gruppo. Scorse gli occhi tristi
di Ayame che la fissavano. Possibile che Koga fosse così insensibile? Con la sua mancanza di tatto
era riuscito a rovinare la sua amicizia con Ayame, ed adesso erano nemiche.
“Allora, se sceglierai me,
non ci saranno problemi”, disse il ragazzo, speranzoso.
“Non ci sperare”, rispose
lei, secca. Odiava quei discorsi. Matrimonio di qua, matrimonio
di là! Si, nei piccoli paesi ci si sposa presto, e lei era in età di marito, ma
nessuno poteva obbligarla. Si sarebbe sposata solo ed unicamente per amore.
“Sono tornata”, annunciò
burbera, chiudendo con violenza la porta. Il nonno sembrò notarlo, perché
lasciò il suo lavoro per concentrarsi sulla nipote.
“Tutto bene, Kagome?”,
domandò cauto, prendendogli gentilmente la cesta con il pane. La ragazza
rispose le frasi di routine, prima di esplodere in lamentele.
“Ma
insomma, non può perseguitarmi così tutti i giorni!”, strillò, mangiando
rabbiosamente la sua focaccia. Il nonno annuiva, comprensivo, ma era decisamente troppo silenzioso. Kagome cominciò ad avere
qualche sospetto.
“Nonno… qualcosa non va?”,
domandò, fissandolo intensamente. L’uomo cominciò a sudare freddo.
“Ecco… il fatto è che…”,
cominciò, in difficoltà. Kagome inarcò un sopracciglio, sempre più sospettosa.
“Nonno, cos’hai fatto?”,
domandò con voce tutt’altro che rassicurante. Lui
cominciò a giocare nervosamente con le dita, aumentando le paure della nipote.
“Dimmi
che non hai fatto quello che sto pensando”, disse in un ringhio la ragazza.
“Oh, Kagome, capiscimi! Io
non ho nulla contro quel ragazzo”, cercò di difendersi
inutilmente il vecchio.
“Gli hai concesso di
sposarmi?”, esplose lei, sbattendo le mani sul tavolo. Il nonno sobbalzò,
terrorizzato dall’ira della nipote.
“Ma
no! Gli ho detto che se fossi stata d’accordo, io non
mi sarei opposto”, si giustificò. Kagome fece una smorfia: non andava bene, ma
meglio della sua ipotesi. Il nonno assunse un’espressione seria, e lo stesso
fece la fanciulla.
“Kagome, tu devi capire la
mia preoccupazione. Io sono vecchio, e presto o tardi morirò…”.
“Non dirlo”, lo interruppe
subito lei, tristemente. Odiava quel genere di discorsi. Ma
l’uomo le fece cenno di tacere, e continuò:
“Io voglio essere sicuro che
tu abbia qualcuno che ti possa mantenere, qualcuno di cui tu ti possa fidare”.
“Nonno, ma guardati!”,
esclamò la ragazza sorridendo, “sembri più giovane di me”.
“Mia cara, la compagna che mi
cammina al fianco è silenziosa, e non sempre annuncia il suo arrivo”, disse il
vecchio sorridendo malinconico, “e voglio che tu abbia una spalla su cui
piangere, e qualcuno che ti renda felice, facendoti tornare il sorriso”.
Kagome annuì, pensierosa: non
voleva sposarsi, non con Koga. In realtà, non voleva
sposarsi con nessuno, nel villaggio. Il fatto, è che lei non era innamorata.
“Nonno, capisco come ti
senti… ma, anche se questo vuol dire vivere in una favola, io non intendo
sposare nessuno, finché non troverò la persona a cui donare il mio cuore”,
ammise, pronta ad essere derisa per i suoi sogni fanciulleschi. Ma il vecchio, inizialmente sorpreso, mutò la sua
espressione in un dolce sorriso.
“Oh, nipote mia. Più passa il
tempo, più mi assomigli… e assomigli sempre più a tua
nonna”, disse, carezzandole il volto.
“Non ti disperi per avere una
nipote così stolta?”, domandò lei con un sorriso amaro.
“Stolta, Kagome? E perché? E se le favole fossero
realtà? Ti sei mai fermata a pensare che, sotto, ci sia un fondo di vero?”, chiese l’uomo con volto serio. Kagome rimase confusa da
quell’affermazione. Lo sguardo del vecchio non accennava a mutare in un sorriso
di burla, e questo la inquietava.
“Tsk,
dire queste cose alla tua età, dovresti vergognarti”, disse la ragazza,
allontanandosi dall’uomo con un movimento fluido, e mettendosi a rassettare la
stanza, “piuttosto, hai aggiustato la stufa per il signor Houshi?”.
“Si, ho finito poco fa. Puoi
prendere la carrozza e portargliela tu? Sai, ho parecchio lavoro da sbrigare, e
il signor Houshi non si sposta più da casa, dopo la
scomparsa del figlio”, disse il nonno, con espressione
preoccupata. Anche Kagome si fece scura in volto,
ripensando al ragazzo. Conosceva Miroku da molti
anni, era lei che aveva consolato Sango quando il ragazzo allungava le mani su qualcun’altra. Ma,
da diversi mesi, l’amica non si faceva sentire, e non usciva più di casa: già, da quando era sparito Miroku.
“Come sta Sango?”,
chiese, conoscendo bene la risposta.
“Non esce di
casa, come sempre. Poverina, e pensare che quei due ragazzi
stavano per sposarsi”.
Kagome annuì tristemente, e
andò a preparare la carrozza. Più che una carrozza, era un carretto di legno,
solitamente tirato da un solo cavallo. Kagome lo salutò con qualche carezza, e
lo legò al carretto. Poi aiutò il nonno a caricare e a legare la stufa, andò ad
indossare un abito per il viaggio, prese il mantello e partì. Il villaggio dove
abitava il signor Houshi era molto vicino, e si impiegava qualche ora per arrivarci. Kagome salutò
qualche conoscenza, e fermò il carretto davanti a casa Houshi.
“Buongiorno, sono Kagome, la
nipote di Higurashi”, salutò la fanciulla,
che subito venne accolta nell’accogliente abitazione. Era tutto in un ordine
innaturale, e nonostante i colori fossero accesi, si respirava un’aria pesante.
Kagome si intrattenne con la signora Houshi: non poté evitare di notare quanto fosse invecchiata
in quei mesi.
“Vorrei andare a trovare Sango”, ammise Kagome, guardando fuori
dalla finestra. Doveva sbrigarsi, se non voleva tornare con il buio.
“Ma
come, Kagome, non hai saputo?”, domandò la donna, scura in viso. Quella
reazione spaventò la ragazza.
“C… cosa?”, balbettò,
preoccupata. La donna singhiozzò, prendendo un fazzoletto.
“Anche…
anche Sango è scomparsa, la settimana scorsa”, spiegò
la donna, scoppiando in lacrime. Kagome si sentì gelare: Sango,
l’amica più cara che avesse mai avuto… Strinse i pugni, cercando di trattenere
le lacrime.
“Oh, Kagome! È scappata di casa per cercare Miroku, e non
è più tornata. Ha lasciato solo una breve lettera, ma non abbiamo sue notizie”,
singhiozzò la signora Houshi,
ripensando al figlio scomparso. Kagome si trattenne, per consolare la donna, ma
il suo animo era turbato. Sango… Miroku…
perché stava succedendo tutto questo?
Quando i singhiozzi della
padrona di casa si fecero più radi, Kagome guardò fuori dalla
finestra: era il crepuscolo.
“E’ meglio che vada”,
annunciò, alzandosi in piedi.
“Kagome, è
tardi! Trattieniti da noi per stanotte”, la invitò
la donna, preoccupata.
“Non si preoccupi,
non vorrei disturbare. E poi, il nonno si preoccuperà se non torno. Non vorrei dargli troppi grattacapi, alla sua età”,
disse la fanciulla, sforzandosi di sorridere. Si
congedò educatamente, e riprese il suo carretto, libero del peso della stufa. Ma la sua mente era altrove. Continuava a pensare a Sango, e a Miroku… cosa poteva
essergli successo? Non si accorse che il crepuscolo diventava tramonto, e poi
notte. Non si accorse che il cavallo aveva perso la strada di casa. Si ritrovò
troppo tardi nella foresta buia, al freddo. Sapeva che non conveniva proseguire
di notte, ma aveva paura di fermarsi in quel luogo desolato. Proseguì, nella
notte, impaurendosi per ogni suono, ogni rumore, ogni
soffio del vento gelido. E il sonno stava avendo la meglio.
Fermò il carro, nella speranza di riprendersi. Davanti ai suoi occhi vedeva
scorrere le immagini dei suoi amici scomparsi, in un sogno ad occhi aperti. Ma
poi, queste immagini vennero sostituite da un’altra:
un ragazzo dai capelli lunghi e neri, con gli occhi color della notte, che
sfumavano in un viola scuro e pesto. Era una sua sensazione, o si stava
avvicinando? La sua domanda, non ebbe risposta: Morfeo ebbe
la meglio, e lei sprofondo nel suo gelido mondo degli incubi.