Salve a tutti!
Come state? Io sono ancora scossa dall’Hobbit
Fan Event di qualche giorno fa, soprattutto dalla
visione del trailer di tre minuti che sto guardando come una droga ogni dannato
giorno. *^*
(Per non parlare del mio povero cuore alla vista
di quell’uomo alto, barbuto e dalla voce baritonale di RA. Non credo che mi
riprenderò mai più.)
Ad ogni modo, vorrei prima scusarmi se non ho
ancora risposto alle recensioni, ma è stata una settimana impegnativissima – prometto che
entro la fine della giornata rispondo a tutte e per bene. <3
Inoltre vorrei mettervi in guardia da questo
capitolo, perché... beh, succede (più di) qualcosa e ho una paura tremenda. >_<
Che Eru mi sostenga!
Grazie, GRAZIE
a tutti voi che mi seguite e continuate a farlo. Siete matti, lo sapete?
E io vi amo. <3
Un abbraccio e buona lettura!
Marta.
Pietra
- sequel di Betulla -
16.
21 Settembre 3019 T. E.
Trán era da sola alla fucina, quel giorno. Gli altri Nani
erano al Grande Cancello, per iniziare a montare i primi componenti di quello
nuovo, giacché gli scultori avevano terminato di levigare le grandi lastre in
pietra, che attendevano solo di essere ricoperte da uno spesso strato
sapientemente lavorato di mithril. In
un certo senso, fu lieta del fatto che i Nani non fossero nei paraggi; in
particolare che Dwalin non lo fosse. Quando Káel le aveva raccontato di come se
l’era dovuta caricare per riportarla in camera, aveva quasi rischiato di
strozzarsi con la sua stessa saliva per la sorpresa; ed era più che sicura che
non avrebbe potuto trattenere un sorriso di pieno divertimento se avesse
incrociato il suo sguardo. D’altra parte era sollevata dal fatto che non fosse
stato Thorin a prenderla tra le braccia come il marito con la neo-sposa.
Alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo, e si diede un
pizzicotto.
Svegliati, Trán,
questa è una cosa che non si avvererà neanche nei tuoi peggiori incubi, si
disse in un sospiro.
Terminò il suo lavoro poco prima di pranzo, esausta. Ma non
si avviò subito a mangiare; voleva terminare i pugnali per i nipoti del Re e
voleva farlo quel giorno, prima che non avesse più il tempo. Così trascorse
l’ora successiva, abbastanza soddisfatta del risultato, finché il gemello, con
il fratello minore, non giunsero a cercarla per andare a pranzare. Lungo la
breve via che li separava dalla mensa, incontrarono pochissime persone. Con
l’ulteriore partenza del Re e dell’altra metà dell’esercito, Minas Tirith ora
sembrava davvero vuota e fu un pensiero impressionante. Avevano conosciuto
quelle strade ricche di persone e di musica, di colori e profumi; ora sembrava
un enorme e bianco camposanto.
«Come procede al Grande Cancello?» domandò Trán, scacciando
i brutti pensieri.
«Direi bene.» Káel si stiracchiò le braccia, intrecciando le
mani dietro la nuca. «Abbiamo finito di montare i carrelli per sollevare i
lastroni e le impalcature; dopo pranzo inizieremo il rivestimento, prima di
montarli. Dovresti passare a dare un’occhiata, sorellina.»
La Nana annuì. Si sedette al tavolo con i suoi fratelli
accanto a Balin, Fili e Kili. Il Re e Dwalin giunsero in ritardo, poiché
dovevano terminare un lavoro pesante prima di riposarsi un poco. Erano visibilmente
stanchi, ma nessuno di loro avrebbe aperto bocca per lamentarsi. L’entusiasmo
per ciò che stavano costruendo andava ben oltre qualsiasi fatica – e il loro
orgoglio non gli avrebbe permesso di lagnarsi per qualche goccia di sudore.
Balin notò di come Trán, appena arrivata, gettò una veloce
occhiata per tutta la grande sala di ristoro, cercando qualcuno che non trovò,
e ridacchiò tra sé e sé. Thorin era abbastanza testardo e cieco da non rendersi
conto che le sue paure fossero infondate. Salutò i fratelli con un cordiale sorriso
e Káel con i nipoti del Re intavolarono subito una lunga discussione sul lavoro
appena concluso e, soprattutto, su ciò che avrebbero fatto dopo essersi
riempiti lo stomaco. Erano oltremodo entusiasti dell’incarico che stavano
portando avanti.
L’anziano Nano si rivolse alla ragazza, dopo aver bevuto un
lungo sorso di idromele. «Arriverà tra poco, non temere.»
Trán divenne paonazza e fece saettare uno sguardo
imbarazzato sull’altro. Non osò far finta di niente e domandargli di chi stesse
parlando, perché quello sembrava saperne anche più di lei. Così si schiarì la
gola, sorvolando abilmente su quella frase gettata come legna da ardere. «Káel
mi ha detto che i lavori procedono bene.»
Balin sghignazzò, annuendo. Era proprio vero che quella
ragazza amasse ignorare le persone, quando si trovava a disagio. «Sì, oserei
dire benissimo e celermente, per fortuna. Se continueremo a lavorare su questo
ritmo, finiremo in meno di due settimane, anziché un mese.»
«Il terrore di una guerra fa correre anche le lumache.»
mormorò Trán. «Avete visto i Nani provenienti da Osgiliath? Quando ci
raggiungeranno?»
«Entro la serata, immagino.» Balin sospirò. «Ma temo che i
tuoi familiari non saranno tra loro. Essi sanno combattere valorosamente e non
abbandoneranno il vostro Re in un momento simile.»
La Nana chinò il capo. «È quello che sospettavo anche io.»
«Non preoccuparti, ragazza. Sapranno come superare anche
questa battaglia.»
«Hai la pessima abitudine di preoccuparti per tutti, figlia
di Rulin.» fece una voce profonda alle sue spalle. «Quando inizierai a
preoccuparti per te stessa?»
Non ci fu bisogno di voltarsi per capire chi le avesse
spedito quei soliti brividi lungo la schiena. «Le persone di cui mi preoccupo
sono le uniche importanti nella mia vita, sire Thorin. Se dovesse succedere
qualcosa a loro, è come se anche io venissi colpita.»
Thorin si sedette accanto a Fili, poco lontano da lei, ma non
la guardò. Era ancora troppo scosso dal groviglio di pensieri che gli aveva
causato la discussione con Balin. Temeva che se l’avesse osservata, se si fosse
perso in quegli occhi azzurri e luminosi, non avrebbe trovato il coraggio di
fare quello che si era ripromesso: cacciare la sua costante immagine lontano
dalla sua mente. Aveva ben altro a cui pensare per permettersi distrazioni. Vi
aveva rimuginato per parecchie ore, trascorrendo l’ennesima notte insonne, ed
era giunto alla conclusione che non avesse intenzione di avere complicazioni di
alcun tipo; del resto, essa stessa gli aveva detto che voleva la sua amicizia,
nient’altro. Non si aspettava certo che lo facesse, ma era abbastanza realista
da capire fin dove avrebbe potuto spingere lo strano rapporto che avevano
instaurato – e aveva capito che non sarebbe andato oltre. Il solo pensare di
corteggiarla, e che Mahal lo fulminasse per averlo fatto, era ridicolo quasi
quanto l’amicizia tra Gimli e l’Elfo.
Sì, era un’idea ridicola.
Eppure talmente allettante che, nonostante i suoi buoni
propositi, non riusciva a lavarla via.
Dwalin spezzò il flusso dei suoi pensieri, sedendosi di
fronte alla Nana e ghignando. «Dormito bene, ragazza?»
Trán arrossì, ridacchiando. «Chiedo scusa, messer Dwalin...
mi è stato detto che mi hai trasportata fino a casa. Non dev’essere stato
divertente.»
«Sciocchezze.» borbottò quello. «Non è stato poi tanto
diverso dal trascinare un sacco di patate.»
«E per la barba di Durin, Trán, hai il sonno più pesante del
mio!» esclamò Fili.
«E russi.» aggiunse seriamente il fratello.
«Co–come?!» I presenti risero di fronte al suo imbarazzo.
«Io no–non russo!»
«Dici così perché non ti senti, sorellina. Il che mi
stupisce, è così forte che dovresti svegliarti da sola.»
Fili e Kili quasi si capottarono dalle sedie per le risate,
mentre lei sprofondava sulla sua per la vergogna. Il fatto che persino Thorin
stesse ridendo di lei non aiutò certo il suo morale.
Balin fu l’unico a difenderla, sorridendole bonariamente.
«Non ascoltarli, ragazza mia. Non hai emesso un suono, tanto che pensavamo
fossi morta.»
«Aye. Per questo
ti ho paragonata ad un sacco di patate. Avevi più o meno la stessa vitalità.»
Fu sollevata dalla notizia, anche se non capiva se quel
paragone fosse un complimento o meno, ma l’imbarazzo di essere stata messa nuovamente
al centro degli scherzi del fratello e degli altri due amici non svanì subito e
mangiò il suo pasto in silenzio per il resto del pranzo.
Il tempo di tornare al lavoro giunse troppo velocemente per
tutti, ma nessuno si lamentò. Trán li seguì, sotto consiglio di Káel, poiché
era altamente incuriosita e voleva vedere anche parte del suo lavoro finalmente
concluso. Così raggiunsero il cantiere, dove alcuni Nani avevano già ripreso ad
occuparsi delle proprie faccende. Le sottili ma indistruttibili lastre di
mithril, che ora venivano montate sulla pietra, erano decorate da stupendi
bassorilievi, che raccontavano la storia dell’ultima, grande battaglia della
Terza Era: dalla disperazione di Gondor nel rendersi conto di dover affrontare
il Male da solo, all’arrivo dei Rohirrim, fino alla definitiva caduta di Sauron
e al ritorno del Re.
Trán diede una mano al fratello, nel fissare e unire i pezzi
mancanti, ma dovette mettersi da parte quando fu il momento di sollevare la
pesante parte di portone sulle funi. Una decina di Nani erano appostati sulla
cinta muraria, pronti a sollevare al primo ordine del Re; dopo che ebbero
assicurato il pesante fardello alle corde, Thorin gridò di iniziare a tirare e
continuò a ripetere l’ordine finché la lastra non fu posizionata verticalmente
sul livello del terreno, e leggermente fluttuante nell’aria. Il Re alzò una
mano e ordinò di fermare il sollevamento; così, lui e Dwalin, aiutati da altri tre
Nani in forze come loro, spostarono l’imponente lastra ricoperta di mithril e la piazzarono sui primi
pesanti cardini del cancello. Le esclamazioni di esultanza e gli applausi per
quel primo, grande passo risuonarono per parecchie vie, tra Nani e Uomini che
gridavano di gioia. Dwalin ghignò, spolverandosi le mani sul tessuto dei
pantaloni, mentre Thorin osservava il risultato del loro lavoro con
soddisfazione. Incontrò lo sguardo di Trán, che lo osservava a sua volta, fiera
del prodotto del suo operato, ma egli lo fuggì immediatamente, lasciandola
interdetta per qualche istante.
Trán aveva notato un lieve cambiamento in Thorin, in quelle
poche ore, già dalla cena precedente e in così poco tempo; lo aveva visto a
pranzo, quando neppure l’aveva degnata di uno sguardo, lo aveva capito dal tono
distante con cui le aveva rivolto due misere parole, lo aveva appena provato su
se stessa in quel momento. Avrebbe dovuto essersi abituata, ormai, ai suoi
sbalzi d’umore, si disse; ma era evidente una improvvisa e fastidiosa
indifferenza nei suoi confronti – perché Thorin era sempre stato tutto fuorché
indifferente. Fece un veloce esame di coscienza, chiedendosi se avesse fatto o
detto qualcosa di offensivo, ma per una volta convenne con se stessa che fosse
stata impeccabile. Certo, arrossiva troppo spesso quando era in sua compagnia,
ma non credeva che quello fosse motivo di insolenza. O almeno, lo sperava.
Così gli si avvicinò timidamente in un momento in cui Dwalin
si era allontanato per recuperare degli attrezzi. Thorin si accorse di lei solo
quando si schiarì la gola per avvisarlo della sua presenza e sentì tutte le
difese erette con tanta fatica crollare immediatamente quando lei parlò.
«C’è qualcosa che non va, vero?»
Thorin sospirò pesantemente, spostando lo sguardo da lei
alle pietre del cantiere, come se potessero aiutarlo a trovare una risposta.
«Trán...»
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» gli domandò, temendo la
sua risposta. «Oppure... oppure hai cambiato idea sulla nostra amicizia?»
Il Nano sentì il cuore farsi pesante, notando il sincero
dispiacere in quegli occhi ora tristi e perplessi, e si diede dello stupido per
averle inculcato il seme del dubbio. Così la prese per mano, allontanandosi dal
cantiere alla ricerca di un luogo più appartato in cui parlare. Non fu
un’impresa semplice, poiché incrociarono molti Nani che, sebbene indaffarati,
non si fecero sfuggire il fatto che il Re di Erebor tenesse per mano una
femmina. Trovò l’ingresso di una corte verde, nascosta alla vista della strada,
e attraversarono in silenzio il corridoio arcato; la fece sedere su una panca
in pietra e le diede le spalle, ficcandosi le mani sui fianchi e cercando di
riordinare i pensieri. Trán attese con pazienza che lui parlasse, ma nessuno
dei due osò fiatare per interminabili minuti.
«Thorin? Cosa ho fatto?»
Il Nano si voltò finalmente, ma tenne lo sguardo basso. Da
dove avrebbe dovuto cominciare? E come?
«Non hai fatto niente, Trán. In un certo senso, almeno.»
«Questo non mi aiuta a capire.» replicò lei, incrociando le
braccia al petto. «Meno enigmi e più chiarezza, per favore. Se ti ho offeso in
qualche modo, io–»
«Trán!» esclamò lui, zittendola. Inspirò nuovamente con
fatica, sedendosi accanto a lei e trovando la forza di guardarla negli occhi. «Non
c’è niente nel tuo comportamento che mi abbia offeso; lo dico sul serio.»
La Nana abbassò lo sguardo sulle loro dita, nuovamente
intrecciate. «E allora... qual è il problema?»
Eccola, nuovamente la dannata gola che diventava secca. Mahal, perché era diventato così assurdamente
difficile parlare? «Il problema è che sono troppo vecchio per affrontare certi
pensieri che mi lasciano sveglio la notte.» Non ci fu bisogno di chiedergli a
voce che tipo di pensieri facesse, perché gli bastò il suo sguardo
interrogativo per farlo continuare. «Ricordi il nostro primo incontro?»
Lei ridacchiò. «E come potrei dimenticarlo? Persi parecchi
anni di vita per la sorpresa.»
«Lo ricordo bene anche io.» proseguì Thorin, in un sorriso
nostalgico. «E ricordo che provai subito una ridicola curiosità nei tuoi
confronti; è vero, ti ho ingannata nascondendoti la mia identità e per la mia
successiva ostilità nei tuoi confronti non smetterò mai di chiederti perdono. Ciò
per cui invece non riesco ad incolparmi, e so che dovrei farlo, è ciò che ho
iniziato a provare, fin dai nostri primi incontri e screzi. Mi rendo conto che
non abbia il diritto di desiderarti al mio fianco dopo le offese che ci siamo
scambiati; ma non riesco a farne a meno, soprattutto ora che ci siamo
riappacificati.» Le strinse le mani con più risolutezza, come se con quel gesto
potesse rafforzare le sue parole. «Trán, mi dispiace se ti ho recato dolore con
il mio comportamento, e se hai percepito la mia indifferenza... ma sto tentando
di fare chiarezza con me stesso, sto cercando di essere realista e di non
illudermi come un ragazzino.»
La Nana non osava neppure respirare. Non sapeva se essere
felice, emozionata, spaventata, arrabbiata; oppure era tutte quelle cose
insieme, perché solo uno come Thorin Scudodiquercia era in grado di causarle
così tante sensazioni in un solo istante. Così prese coraggio, e parlò. «Non
hai pensato che... che magari anche io potessi provare lo stesso per te? Hai
creduto che fosse bene, invece, prendere una decisione per entrambi?»
Thorin parve preso in contropiede e l’irritazione che le
stava montando dentro svanì, sostituita dallo stupore. Era davvero così ingenuo
da non essersi accorto che anche lei avesse le stesse paure e provasse le
stesse emozioni quando stavano insieme?
«Ho provato a fare lo stesso, io ci ho provato sul serio.» mormorò
la Nana, abbassando lo sguardo. «Ma ho fallito; e poiché sapevo bene che le mie
speranze fossero sciocche, allora ho accettato la tua amicizia come un dono
prezioso, l’unica cosa che avrei mai potuto avere da te. Del resto... tu sei un
Re e io sono... cosa sono io? Cosa sono io rispetto alle belle dame che
potrebbero persino uccidere, pur di diventare la tua regina?»
Lui sorrise, questa volta di sollievo, e gli parve che un
pesante fardello gli fosse stato tolto dalla schiena. «È vero, non hai sangue
nobile; ne hai di Elfico, addirittura. Solo Mahal sa cosa direbbe il Consiglio
Reale se solo osassi formulare un simile pensiero. Sei testarda e pessimista
oltre ogni modo, non hai un’educazione di corte e sei impacciata quando si
tratta di relazionarti con qualcuno. Chiunque direbbe che regina peggiore di te
non esisterebbe.» Rise di sincero divertimento quando vide la sua espressione
indignata. Così si affrettò a terminare il discorso, prima che perdesse il filo
e lei capisse il contrario di ciò che voleva dirle. «Ma io non voglio corteggiare
nessuna bella dama, Trán; non voglio la falsa perfezione di una donna priva di
spina dorsale da esporre come un gioiello. Perché nessuna di loro sarebbe te.»
Le si avvicinò, allungando una mano al suo viso ormai imporporato
dall’imbarazzo e dall’emozione, e le accarezzò una guancia, facendola
rabbrividire per quel contatto ruvido sulla sua pelle. «Io voglio te, Trán,
figlia di Rulin. È questo il mio problema.»
La Nana neppure si rese conto di piangere per la gioia.
Strinse la sua mano tra le proprie, come se volesse accertarsi che lui fosse
reale, che le avesse detto davvero quelle belle parole. E rise tra le lacrime,
incapace di rispondergli, incapace anche solo di formulare un pensiero logico.
Thorin sorrise con lei e poggiò la fronte contro la sua, i
loro occhi così vicini da poterne percepire la minima sfumatura. «So che ci
porteremo all’esasperazione più di una volta, l’uno con l’altra; ma non mi
pentirei di averti accanto neppure se fosse la mia ultima azione. Permettimi di
corteggiarti, Trán; vorrei poter conquistare il tuo cuore e dire al mondo che
mi appartiene, così come il mio appartiene a te.»
Trán ricambiò il sorriso e si portò la sua mano alle labbra,
quella dove il grande anello di Durin spiccava tra le tozze dita; baciò il
gioiello con riverenza e annuì. «Il mio cuore è tuo già da tempo, mio Re.»
Quando tornarono al cantiere, i loro più stretti amici li
osservarono inquisitori, poiché a nessuno era sfuggita la loro assenza. Fu Fili
il primo a parlare, nascondendo lo stupore con due fossette birichine sulle
guance.
«Bella pettinatura, melhekhinh.»
scherzò, ammiccando al fratello. «Kili, ricordami, quanto avevamo scommesso?»
Dwalin grugnì e alzò gli occhi al cielo. «Spero stiate
scherzando.»
Kili ghignò. «Assolutamente no. Paga, messer Dwalin. Un
impegno è pur sempre un impegno.»
«Fratello, se non starai più attento ti succhieranno anche
il sangue.» fece Balin, ridacchiando. Poi si rivolse ai due innamorati e gli si
avvicinò, posando le mani sulle spalle di entrambi. Avrebbe voluto dire
qualcosa, ma la gioia negli occhi del suo sovrano e in quelli della sua
compagna fu talmente grande e toccante che preferì tacere, limitandosi a
sorridere.
Trán si sfiorò i capelli che Thorin le aveva acconciato solo
pochi istanti prima: una coppia di trecce che le incorniciava la fronte come
una corona, per poi unirsi sulla nuca in una sola, fermate da una clip in oro
in cui il simbolo di Durin si mostrava in geometriche ed eleganti decorazioni.
Arrossì al pensiero di ciò che significava e al leggero e fugace bacio che il
Nano le aveva depositato sulle labbra, dopo che ebbe finito. Era stato così
innocente e dolce che credette di averlo sognato; ma la felicità che gli
rasserenava il viso serio era reale e capì che non fosse frutto della sua
fervida immaginazione.
Era davvero la Signora del Re di Erebor; e il cuore le
esplodeva di gioia.
22 Settembre 3019 T. E.
La vegetazione era bassa ma rigogliosa, in quella parte di Gondor. Non vi erano molti alberi, ma la presenza dei numerosi affluenti dell’Anduin e alcuni corsi d’acqua secondari animavano il paesaggio con riflessi di luce e, ahimè, un nutrito numero di fastidiosi insetti. Gimli era ovviamente la persona più insofferente di tutto l’esercito, sebbene la sua pelle coriacea fosse quella meno esposta a punture di qualsiasi genere, e per non sentirlo lagnare ad ogni istante, Imrahil gli aveva dato un unguento puzzolente ma efficace, che avrebbe tenuto alla larga qualsiasi essere vivente con le ali – e non; il naso sensibile di Legolas, infatti, ne risentì parecchio, purtroppo per lui.
L’umidità dell’aria fu resa ancor più pesante dalla densa
cappa di nuvole provenienti da Nord e tutti sperarono che non piovesse ancora
una volta, inzuppandoli fino alle ossa e rallentando la loro marcia. L’umore,
dopo l’eco del Corno di Gondor, era via via sempre più basso e anche la
confortante presenza del sole pareva un ricordo lontano. C’era chi aveva
azzardato un lieve accenno di conforto, rassicurando i propri commilitoni che
tra qualche anno tutti avrebbero raccontato della loro impresa, che avrebbero
scritto canzoni su come l’esercito di Gondor fosse sceso in battaglia, con
coraggio e decisione, sebbene le sorti della battaglia non promettevano un
ritorno a casa. Gimli, che aveva colto qualche parola, aveva sbottato che non
se ne sarebbero fatti niente delle poesie e dei racconti, una volta morti; e
per quanto fosse orgoglioso e come il resto dei Nani, preferiva di gran lunga
tenersi la testa sul collo ed essere dimenticato, piuttosto che il contrario.
Fu verso l’ora di pranzo che raggiunsero il primo villaggio
della zona, dopo giorni interi di sola natura, che sorgeva lungo la via verso
il Sud accanto al letto dell’Erui.
«È abitato principalmente da pescatori fluviali.» spiegò il
Principe di Dol Amroth. «Sono persone pacifiche e dei grandi lavoratori, ma un
po’ diffidenti; e conoscono molto di ciò che succede in queste terre, poiché si
trovano proprio lungo il cammino principale e molti viaggiatori si fermano a
riposare da loro.»
«Andiamo a vedere che cosa abbiano da raccontarci, allora.»
suggerì Elrohir. «Giacché, in ogni modo, il nostro percorso ci porta lì.»
L’esercito proseguì fino al villaggio, ma si fermò un po’
distante dalle abitazioni. La vista di un’armata mastodontica come quella era
di per sé allarmante, e non volevano rischiare di terrorizzare gli abitanti
senza prima aver chiesto il permesso di attraversare le loro strade. Così
Imrahil e Brethil aprirono la fila del piccolo gruppo che andò in avanscoperta,
seguiti dai figli di Elrond e Legolas con Gimli.
Un uomo ben piazzato e dalla pelle bruciata dal sole li
accolse all’ingresso della cinta difensiva, eretta con grossi tronchi di
quercia lavorati, e scoprirono ben presto che si trattasse del Governatore.
«Buon giorno, miei illustri viaggiatori. Venite ed
accomodatevi nella mia casa, sarete stanchi.» li salutò con un inchino,
sbirciando l’esercito accampato alle loro spalle. «Non ci aspettavamo certo un
manipolo di guerrieri così grande. Cosa succede, se posso saperlo? Il terribile
suono de Corno del Sovrintendente ci ha svegliati tutti, qualche giorno fa.»
Lo seguirono in una modesta abitazione, una grande palafitta
sul fiume. Il salone dove li fece accomodare era caldo e accogliente, con una
grande pelliccia di orso come tappeto accanto al focolare acceso.
Fu Imrahil a parlare, poiché il Governatore si era rivolto
unicamente a lui, e non certo alla donna né agli altri quattro stranieri.
«Abbiamo ragione di credere che i nostri confini siano in pericolo, mio signore.
Stiamo andando a portare maggiori difese dall’altra parte dell’Anduin.»
«Pericolo, dici?» Il Governatore sembrò sorpreso. «Che io
sappia, niente si muove a Sud. Tranne le numerose delegazioni di Haradrim che
sono passate di qui nelle ultime settimane. Non vedevo così tanti Sudroni dalla
grande Guerra.»
Brethil si rizzò sulla sedia. «Come, prego?»
Il Governatore spostò lo sguardo su di lei, ancora incerto
se fidarsi di una donna in divisa. «Tu chi sei, mia signora?»
«Il mio nome non ha importanza.» replicò lei, secca. «Ti
basti sapere che servo il tuo stesso Re con la mia vita. Ora, hai parlato di
delegazioni di Haradrim: spiegati.»
Legolas scambiò un’occhiata con i gemelli, da una parte
divertiti per il temperamento di Brethil, che continuava a non perdere la calma
nonostante i continui affronti, ma ora anche inquietati da quella notizia.
«Ebbene.» si schiarì la voce il Governatore, arrossito
d’improvviso. Non era abituato a prendere ordini da una femmina – tranne che dalla
madre dei suoi figli, quella despota! Si fece pensieroso, mentre contava
mentalmente. «Ho conteggiato quattro grandi gruppi di Haradrim; sono giunti
quasi uno alla settimana. Non sono ancora arrivati a Minas Tirith?» Non seppe
dire perché la notizia sembrò scioccarli tanto, ma la donna in particolare
sbiancò.
«Il motivo del loro viaggio?» domandò il Principe di Dol
Amroth, il cui bel viso era ora segnato da rughe di preoccupazione.
«Sono delegazioni di pace; portano doni e vessilli della
loro terra. Mi stupisce che non ne sappiate niente.»
«Quanti per gruppo?» domandò Brethil, in un soffio. Imrahil,
al suo fianco, si mosse in agitazione.
«Quattrocento, cinquecento in tutto. Sono stati accolti nel
migliore dei modi, ovviamente. L’inviato da Minas Tirith non poteva certo
ritrovarsi i vostri ospiti senza alloggio e cibo per la notte, e rischiare che
andasse a raccontarlo al Re. Che figura ci farei, poi?»
«Inviato? Quale inviato?» chiese Imrahil, giacché Brethil
non riuscì a formulare un pensiero logico in quel frangente.
Tutto quello non aveva alcun senso. Minas Tirith attendeva
un esercito di cinquemila lance pronto ad attaccarla, non una delegazione di
Haradrim a scaglioni – che tra le altre cose non aveva mai raggiunto la
Capitale. E nessun inviato era stato mandato ad accoglierli, poiché neppure il
Re ne era a conoscenza. Cosa stava succedendo?
«Sì, passava di qua di quando in quando; a volte solo per
domandarci se fosse giunto qualcuno, altre per accoglierli di persona. Ecco,
forse ricordo anche il suo nome...» mormorò il Governatore, scavando nella sua
mente. «Era un tipo magro, dal colorito di pelle un po’ abbronzato, mi è parso.
E parlava fluidamente la loro lingua, per giunta, anche perché altrimenti non
avremmo capito una parola.» Gli occhi sgranarono e schioccò due dita,
entusiasta. «Mardil! Sì, si chiama così. Messer Mardil.»
Brethil socchiuse le labbra, mentre un brivido di paura la
immobilizzò sul posto. Le ci vollero parecchi istanti prima di trovare la forza
di alzarsi dalla sedia e ritrovarsi fuori in un istante, per cercare l’aria che
non riusciva più a raggiungerle i polmoni. I gemelli la seguirono subito dopo,
mentre il Governatore osservò stranito il comportamento confuso dei suoi
ospiti.
«Thêl.»
«Lle tyava quel?*»
«No, non mi sento bene.» replicò duramente lei, comprimendosi
le tempie in vista di un potente mal di testa. Chiuse gli occhi e inspirò
profondamente. «Non mi sento bene.»
Elladan le passò una mano sulla spalla, confortandola. Il
fratello, invece, le si parò davanti. «Mardil non è uno dei consiglieri di Aragorn?»
La Guardia Reale annuì lentamente, cercando di sistemare
tutto il caos che le si era formato in testa. «Sì, è la Prima Lancia di
Ecthirion.» disse, meccanicamente.
«Vieni, sediamoci accanto al fiume e facciamo un po’ di
chiarezza con calma, giacché mi sembri confusa, e noi con te.» disse Elladan,
accompagnandola lungo un pontile e sedendosi sul bordo, lei in mezzo tra i
fratelli.
«Dunque.» continuò Elrohir. «Sappiamo che un esercito di
cinquemila Haradrim si muove per dichiarare guerra a Gondor, e ora scopriamo
che invece alcuni di loro sono diretti a Minas Tirith come messaggeri di pace.
Aragorn, ovviamente, non è a conoscenza di tutto questo e nessuno è ancora
giunto in città.»
Brethil scosse il capo, osservando senza realmente vederli i
placidi movimenti del fiume che rifletteva la luce di mezzogiorno.
«La fonte che vi ha informato dell’esercito era
attendibile?»
«Sì, era un soldato di Gondor e–» Brethil interruppe le sue
parole, ricordando quelle sconclusionate del messo. Chiuse nuovamente gli
occhi, ripescando i frammenti della discussione con l’uomo e cercando qualcosa,
qualsiasi cosa che potesse portarle chiarezza. Aveva parlato di un esercito di
cinquemila teste e aveva fatto riferimento alla famiglia in pericolo prima che
venisse ucciso. Socchiuse le labbra, iniziando a capire. «Era sotto minaccia.»
I gemelli si scambiarono un’occhiata, senza afferrare. Così
attesero che Brethil proseguisse.
«Mi disse che la sua famiglia fosse in pericolo se non... qualcosa. Non fece in tempo a dirlo, o
forse non volle dirlo perché non
poteva. Fu azzittito prima che potesse parlare oltre. E poi lo vidi... Mardil,
comparve proprio poco dopo che l’assassino fu scomparso.» Riaprì gli occhi,
ripensando allo strano comportamento dell’uomo nelle ultime settimane. Non le era
mai piaciuto, e il sentimento era palese che fosse reciproco; ma aveva notato
un cambiamento nei suoi atteggiamenti, ora più sfacciati e melliflui, al limite
del sopportabile. Persino Ecthirion era parso sorpreso ed irritato dalla condotta
del suo sottoposto.
«Quindi, credi che non ci sia nessun esercito in marcia
verso Gondor e che Mardil abbia architettato tutto questo?»
Brethil scosse il capo, insicura. «Non lo so, amici miei,
non lo so.» Si mise le mani tra i corti capelli neri, disorientata e
terrorizzata, poiché non sapeva cosa fare. Se ciò che stava pensando fosse
stato corretto, e cioè che Mardil avesse sviato metà dell’esercito di Minas
Tirith verso altri lidi, in modo da tradire il Re e far muovere gli Haradrim in
segreto, allora avrebbe dovuto dare l’ordine di fare retromarcia e procedere
nuovamente verso la Capitale; ma avrebbe potuto prendere quel rischio, non
avendo certezze? E se il grande esercito del Sud fosse esistito davvero?
Sarebbe stata la fine per Minas Tirith e non se lo sarebbe perdonata.
«Il Corno di Gondor di Boromir.» disse improvvisamente
Elrohir.
Gli occhi di Brethil saettarono verso di lui, il cuore che
perse più di un battito.
«Pensaci: quasi mille uomini sono in marcia lontano da Minas
Tirith; Osgiliath viene attaccata e Boromir richiede aiuto suonando il Corno,
sicché Aragorn non può fare altro che mandargli rinforzi.»
«Minas Tirith rimarrebbe svuotata di difese.» continuò
Elladan, afferrando il pensiero del gemello. «E Mardil avrebbe via libera per
fare... qualsiasi cosa abbia in mente. Eppure non abbiamo incontrato Haradrim
lungo il cammino. Devono essersi nascosti bene nelle montagne, durante il
nostro passaggio.»
«Esterling.» mormorò Brethil, con la gola improvvisamente
secca. «I Nani ci dissero che gli Esterling si stavano muovendo con loro, lungo
l’Anduin. Avranno attaccato Osgiliath da nord.»
Oh, Boromir...
Elrohir parve riflettere qualche secondo, ma fu Imrahil a
parlare, comparendo in quel momento con Gimli. «Giungono gli Elfi dagli Emyn
Arnen. Legolas è andato loro incontro.» Il Principe sembrò preoccupato quanto
Brethil. «Mia signora, ho capito cosa stai pensando e la tua stessa idea sembra
ronzarmi per la mente, ora.»
La donna si alzò, seguita dai gemelli, e guardò in direzione
dell’esercito, scorgendo il cavallo bianco di Legolas galoppare a tutta
velocità verso gli Elfi. «Cosa dovrei ordinare ai nostri Uomini? Cosa dovrei
fare, mio signore?» gli domandò in una supplica, perché mai come allora si era
sentita impotente e indecisa.
Imrahil le mise entrambe le mani sulle spalle, per darle
conforto. «Brethil.» le disse, con affetto. «Anche io al tuo posto sarei
spaventato, poiché la scelta da compiere è ardua. E se Aragorn avesse saputo in
che posizione ti avrebbe messo, ci avrebbe pensato due volte prima di affidarti
tale fardello. Ma né lui, né io, ci pentiremmo della tua decisione. Io e i miei
uomini ti seguiremo, ovunque tu ci dica di andare; e dico questo perché confido
nel tuo buonsenso, amica mia, poiché hai dato prova più volte di possederlo.»
Brethil avrebbe avuto da ridire in proposito, ma prese un
profondo respiro, sentendo i polmoni farsi pesanti. Annuì, ancora incerta. «Ora
andiamo a vedere se gli Elfi hanno notizie per noi.»
Salutarono il Governatore, ringraziandolo per le
informazioni e l’ospitalità, e quello, ancora un po’ confuso, rispose loro che
avrebbero potuto passare il guado del fiume in qualsiasi momento. Quando
raggiunsero Legolas e il centinaio di Elfi provenienti dall’Ithilien, il figlio
di Thranduil aveva già scoperto ciò che c’era da sapere.
«Hanno intercettato Aragorn sulla via di Osgiliath, che è
stata attaccata dagli Esterling all’alba di due giorni fa.» disse
sbrigativamente. «Tutte le difese sono sulla città in rovina, ora.»
Brethil chiuse gli occhi, cercando la forza per parlare,
mentre Elladan chiedeva se sapessero come fosse la situazione lungo gli
ingressi del Rammas Echor. Non vi erano passaggi attraverso il Mindolluin per
far entrare gli Haradrim a Minas Tirith, sicché la cinta muraria che difendeva
il Pelennor era l’unica difesa che Mardil avrebbe incontrato prima di
raggiungere la capitale – e temeva che potesse facilmente superarla grazie alla
sua posizione nella Cittadella.
Fu solo in quel momento che la voce seria di Brethil
interruppe ogni dialogo. «Voglio cento Uomini pronti a galoppare verso i
confini con l’Harad, che controllino la situazione e mi facciano rapporto il
prima possibile.» ordinò Brethil, ritrovando la sua freddezza ora che sapeva
cosa fare. «Il resto dell’esercito mi seguirà a Minas Tirith. Dovremo essere
veloci: poche e brevi soste, per riposare i nostri corpi e quelli dei cavalli; cerchiamo
un numeroso gruppo di Haradrim lungo la via. Qualcuno ha da obiettare?»
Nessuno, ovviamente, osò dire una parola in contrario.
Imrahil si offrì di andare con i suoi soldati a Sud e controllare di persona la
situazione; e poiché Brethil si fidava ciecamente di lui, più che di qualsiasi
altro soldato, accettò senza ulteriori discussioni.
«Dunque, le nostre strade si dividono qui, ancora una
volta.» le disse il Principe di Dol Amroth, abbracciandola fraternamente.
«Spero di rivederti presto e in circostanze migliori di queste, amica mia. E
con mio nipote al tuo fianco.»
Brethil ricambiò l’abbraccio. «Lo spero anche io, mio
signore. Io e Boromir attenderemo il tuo ritorno con ansia.»
Non indugiarono oltre nei saluti e negli auguri di buona
fortuna. Il tempo stringeva e non erano neppure sicuri che il poco che avessero
a disposizione sarebbe bastato. I gemelli e Legolas si misero a capo degli
Elfi, non prima di aver rassicurato Brethil che stesse facendo la cosa
migliore. Lei, d’altro canto, sperò vivamente che così fosse. Spronò Nerian
verso i suoi uomini e si rese conto di essere formalmente sola, ora che Imrahil
l’aveva lasciata; eppure, negli sguardi dei suoi soldati, non vide dubbi ed
esitazioni nei suoi confronti, ma solo la grande determinazione di difendere il
proprio popolo e farla pagare al traditore.
Brethil si ritrovò a stringere i denti con forza.
Mardil sarebbe morto.
E il piacere di ucciderlo sarebbe stato tutto suo.
*
*Lle tyava quel? –
ti senti bene?
Bene.
È successo, alla fine.
Tutti i nodi sono giunti al pettine.
E io tremo. D:
Che ve ne pare?
*scappa*
Alla settimana prossima!
Con affetto,
Marta.