Ero in camera, sul letto, sotto le coperte da più di 48 ore. Non mangiavo, non dormivo, non volevo vedere nessuno. Né parlare con nessuno. Passavo il tempo lì, ferma, chiusa in me stessa, avvolta dalle lacrime che mi contornavano il viso.
Non ci potevo ancora credere. Non poteva essere vero, dovevo trovarmi in un triste incubo. Mi rifiutavo alla realtà.
“Ellie! Ellie apri” mi disse mia madre.
Io non risposi. Non ce la facevo.
Continuava a bussare sulla maniglia, fino al momento in cui si arrese, ma pronunciò le seguenti parole dietro alla porta, che, nonostante non volessi dimostrarlo, mi sforzai di ascoltare ciò che diceva.
“Ellie, Ash ora è felice. Ora sta bene, può esprimersi in un modo totalmente diverso. Non ha limiti o barriere. Lei può vederti, ti ama allo stesso modo di prima. E riesce a vedere ciò che stai combinando in questo momento. Devi mangiare, dormire, tornare alla tua vita felice e spensierata di sempre, perchè tesoro, ricorda che i momenti cupi sono fatti per dare luce a quelli positivi; la storia della tua vita è appena iniziata, hai bisogno di essere felice. La vita va avanti.
Ah, domani alle 15 c'è il funerale.”
<
Questa frase pronunciata da mia madre mi mise un sacco di dubbi, la mia mente iniziò a porsi una grande quantità di domande. Perchè in fondo aveva ragione, dovevo continuare ad essere la solita persona che non riesce a farsi mettere i piedi in testa da nulla; è vero, tutto proseguiva. Ma non per lei. Non per la mia migliore amica. E di conseguenza, nemmeno per me.
Quella notte, presa dal sonno, mi addormentai.
Non sognai nulla, per fortuna, perchè se avessi sognato non sarebbe stato un sogno, ma un incubo. In ogni caso, la mattina, ero molto turbata.
Erano le 12 circa, tre ore dopo c'era il funerale. Non potevo andarci. Dovevo. Ma non potevo. Non ce l'avrei fatta.
Mi convinsi: ero sempre stata una ragazza forte, ci andai.
Una volta recatami in chiesa iniziò la cerimonia. Continuavo a piangere, il mascara si scioglieva tra le lacrime lungo le mie guance, il cuore mi batteva all'impazzata.
Poi arrivò il momento critico: entrò la bara funebre. Al solo pensiero che lì dentro c'era Ash, e che sarebbe stata messa sottoterra, che non avrei più potuto rivederla, abbracciarla o sfiorarla, mi trafisse il petto. Mancavo di una parte di me stessa: lei. Senza quest'ossigeno fondamentale, non avrei potuto continuare. A chi avrei potuto raccontare tutto ciò che mi succedeva a scuola? Tutte le barzellette che diceva in classe il professore di latino? Quale sorriso mi avrebbe illuminato gli occhi come il suo?
Niente e nessuno. Tutto finito.
Uscii dalla Chiesa e mi misi a correre per strada: volevo scappare da tutto e tutti, raggiungere la mia migliore amica in paradiso, qualsiasi cosa andava bene pur di riaverla.
Rientrai in casa, disperata. Non c'era nessuno; mio padre era ancora all'estero per lavoro, mia madre era a un colloquio.
Mi diressi verso la mia stanza, per cercare un taglierino.
Volevo morire.