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Autore: Yoan Seiyryu    10/11/2013    2 recensioni
[ Mad Wolf (Ruby Jefferson) + accenni Outlaw Queen ]
Nella Foresta Incantata Regina desidera distruggere Snow White annullando quelle amicizie che rendono la figliastra forte ed audace. Decide di servirsi di Jefferson per compiere un gesto estremo nei confronti di una giovane ragazza dal Cappuccio Rosso che vive al villaggio di Nottingham. Jefferson, per offrire un futuro migliore a sua figlia Grace, accetta il patto con Regina ed è intenzionato ad eseguire gli ordini.
A Storybrooke Jefferson ricorda perfettamente il suo passato e tenta con ogni mezzo di far riemergere la memoria perduta di Ruby con cui è stato legato prima del sortilegio, ma affronteranno entrambi diverse problematiche prima di conoscersi davvero secondo la propria natura.
**
"E' ironico che sia tu a parlare di mentire, del passato, di conoscersi per ciò che si è [...] quando sei tu il vero mostro fra noi due"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jefferson/Cappellaio Matto, Paige/Grace, Ruby/Cappuccetto Rosso, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V

Her name is Grace



 



Storybrooke, durante il sortilegio

“Sono stanca di tutte le tue raccomandazioni, non sono più una bambina!” gridò Ruby gettando lo strofinaccio sul bancone per poi guardare negli occhi sua nonna che se ne stava dall’altra parte a braccia incrociate.
Non solo si era lamentata per il fatto che avesse iniziato a frequentare il Dottor Whale, ma anche per aver lasciato indietro molte faccende e che ultimamente era così distratta da non riuscire a lavorare a dovere.
Ruby era stanca di rimanere lì e di sentirsi rimproverata per qualunque cosa facesse, era stanca di dover sopportare le lamentele di sua nonna e il non riuscire a vivere come avrebbe desiderato.
Se ne sarebbe andata a cercare un altro posto in cui stare, magari sarebbe partita per Boston, tanto per iniziare.
“Il tuo atteggiamento la dice lunga sul tuo essere ancora immatura, Ruby” aggiunse Granny, bloccando lo strofinaccio perché non volasse via in preda alla furia della nipote.
La ragazza strinse le labbra con forza, nel tentativo di reprimere un singhiozzo. Scosse velocemente la testa e si voltò dall’altra parte.
“Io mi licenzio” disse prima di sciogliere il grembiule bianco e lasciarlo su uno dei tavoli liberi del locale.
“E dove credi di andare? Non sai fare altro!” la rimproverò vedendola allontanarsi ed uscire sbattendo la porta.
Ormai aveva preso una decisione e non sarebbe tornata indietro, per dimostrare a sua nonna che se la sarebbe cavata anche da sola, anche lontana da lei.
Si sistemò il cappello rosso sulla testa, lisciandosi i capelli per appoggiarli sulla giacca di pelle e si incamminò nella prima direzione che le era venuta in mente.
Avrebbe vagato a vuoto per un po’, per poi decidere il da farsi. Una giornata libera le era concessa prima di tornare al lavoro, no? Anzi, di trovarlo.
Qualcosa però richiamò la sua attenzione, una piccola folla era accerchiata davanti all’ufficio di Graham al cui centro vi erano i genitori di Paige altamente spaventati. Ruby decise di avvicinarsi e non appena riuscì ad incontrare lo sguardo di Emma andò subito da lei per chiederle spiegazioni.
“Che succede?”
“Pare che Paige sia sparita, stamattina non era nel suo letto e nessuno sa che fine abbia fatto. Stiamo andando a cercarla” le rispose per poi indicare a Graham che era il momento per intervenire, avevano avuto tutte le informazioni che desideravano.
Ruby provò una strana sensazione e un certo affannamento, per quanto non amasse particolarmente i ragazzini, era affezionata a Paige e l’idea che le fosse accaduto qualcosa la faceva star male.
“Posso dare una mano anche io?” chiese ad Emma, convinta di poter essere d’aiuto.
Emma inclinò il capo di lato, infilando le mani nelle tasche dei jeans.
“Oggi non lavori da Granny?” le domandò stupita.
“Non c’è più bisogno dei miei servigi, mia nonna se la caverà da sola. Allora, posso esservi di qualche aiuto?” cercò di insistere, voleva davvero fare qualcosa di buono e soprattutto si sentiva in dovere di cercare Paige, non poteva rimanersene con le mani in mano.
“Più siamo e più abbiamo possibilità di trovarla, io ed Emma andremo a nord-est, tu dirigiti a sud-ovest e se hai qualche notizia chiamami sul cellulare. Va bene Ruby?” dispose gli ordini Graham che aveva sentito tutto. Emma avrebbe preferito svolgere le indagini da sé ma il capo non era lei, non era ancora riuscita a fidarsi completamente degli abitanti di quella città.
Ruby rispose affermativamente e le ricerche cominciarono.
Iniziò ad incamminarsi in fretta verso la direzione da prendere, c’era qualcosa  nell’aria che la richiamava, come se concentrandosi sull’immagine di Paige riuscisse a sentirne l’odore. Era una sensazione flebile, quasi inesistente, ma il suo istinto le diceva di proseguire verso il bosco che conduceva ai confini di Storybrooke.
Una volta presa la sua decisione si incamminò, ma in quel momento una macchina si fermò proprio dietro di lei e fece risuonare il clacson più volte per richiamarla. Quando Ruby si voltò si accorse che all’interno dell’automobile si trovava Jefferson che le indicò di avvicinarsi.
“Se stai cercando Paige posso darti un passaggio, faremo più in fretta” disse affacciandosi al finestrino.
“Come sai che la sto cercando?” gli domandò piuttosto incuriosita, non aveva mai visto Jefferson guidare la macchina, era sempre abituato a raggiungere il centro della città a piedi.
“Non sono affari tuoi. Allora, vuoi salire o no?” domandò rabbiosamente e con la preoccupazione che visibilmente lo assaliva.
Ecco che di nuovo Ruby provò quella strana sensazione che non riusciva a spiegarsi. Jefferson si comportava sempre in modo strano e diverso dagli altri, ma quando si trattava di Paige notava una certa agitazione farsi strada sull’espressione del suo viso. Come quella mattina davanti alla sua scuola e proprio come in quel momento. C’era qualcosa che stava nascondendo?
Inoltre l’ultima volta aveva scoperto che abusava di farmaci per l’insonnia, probabilmente conoscendone gli effetti ma non poteva esserne del tutto certa.
Si decise ad entrare in macchina, aggirandola velocemente per potersi sedere accanto al guidatore, richiudendo lo sportello. Gettò uno sguardo verso il volante e quando si rese conto che i cavi erano scoperti ed erano stati attaccati malamente, senza traccia di chiavi infilate nella toppa, rialzò lo sguardo su di lui.
“Quest’auto è rubata!” lo accusò immediatamente.
“Ma dai?” le disse con voce sarcastica proprio nel momento in cui spinse il piede sull’acceleratore e sgommando per riprendere subito la corsa in direzione del bosco, dunque sapeva anche dove andare.
“Non guardarmi così Ruby, non l’ho rubata io. Avevo bisogno di un mezzo veloce per arrivare fin qui e Locksley mi ha prestato la sua auto” si strinse nelle spalle, come a volersi discolpare completamente.
Ruby batté più volte le ciglia, incuriosita da quel mondo di cui non conosceva nulla. Jefferson continuava a mostrarsi un uomo interessante e particolarmente strano, probabilmente doveva anche avere qualche accenno di follia, lo si vedeva negli occhi.
“Fingerò di non saperne nulla” gli disse per poi tornare a concentrarsi sullo scopo di quella giornata ed abbassò il finestrino, per cercare di nuovo quell’odore che aveva sentito poco più indietro e più si avvicinavano al bosco più si faceva intenso.
La velocità era quasi al massimo e Jefferson quando passò per il centro per poco non investì Ashley che stava attraversando la strada con una carrozzina su cui trasportava Alexandra, la figlia che aveva avuto da Sean.
“Jefferson, fai attenzione!” gridò Ruby quando si rese conto che Ashley dovette correre in avanti per evitare l’impatto, ma lui non aveva accennato a fermarsi e probabilmente non lo avrebbe nemmeno fatto. “Che accidenti ti prende?”.
Serrò le mani sul volante e aggrottò le sopracciglia.
“Devo trovarla” sussurrò a voce bassa, ma non abbastanza poiché Ruby riuscì a sentire quelle parole.
Dunque i suoi dubbi non erano solo una stranezza, lui nascondeva qualcosa e pareva che avesse un qualche tipo di rapporto con Paige, poiché sembrava che vi fosse affezionato.
In fondo a lui che cosa cambiava? Non era quello però il momento di porsi così tante domande.
“Aspetta, fermati qui. Riesco a sentire qualcosa” disse Ruby sporgendosi dal finestrino ed annusando l’aria, si ritrovarono davanti all’ingresso del bosco.
Jefferson fermò la macchina senza nemmeno tirare il freno a mano e vi discese insieme a Ruby che si guardò intorno con fare piuttosto circospetto.  Poi si spostò in avanti per poter entrare nella macchia verde e iniziare a muoversi tra gli alberi come se sapesse esattamente dove andare. Jefferson la seguì di rimando, come se conoscesse perfettamente le sue qualità e vi si sarebbe potuto affidare senza alcun problema.  Quando raggiunsero un pozzo abbandonato, si avvidero che proprio lì giaceva addormentata Paige chiusa in se stessa come se si stesse proteggendo da qualcosa.
“Paige!” urlò Jefferson prima di raggiungere la bambina che all’udire del suo nome poco a poco iniziò a svegliarsi, non riuscendo a capire il motivo secondo cui si trovasse in un luogo simile.
Si portò una mano alla fronte, cercando di ricordare ma avvertì una forte emicrania che le fece chiudere gli occhi di scatto.
Ruby si affrettò a raggiungere entrambi e si inginocchiò davanti a lei, indossava ancora il pigiama e aveva i piedi nudi sporchi di fango.
“Paige, che cosa è accaduto?” le domandò spostandole i capelli dietro le orecchie per poterle liberare il viso.
Jefferson la fece mettere a sedere, inginocchiandosi anche lui per potersi accertare del suo stato. La bambina passò lo sguardo sui due senza riuscire a far breccia nella sua memoria. Quando provò un brivido di freddo Jefferson sciolse la giacca che gli copriva le spalle e gliela passò intorno per poterla riscaldare.
“Io non ricordo nulla” continuò a guardarsi intorno con stupore “non so come sono finita qui ma ho fatto uno strano sogno”.
Ruby cercò di rassicurarla, domandandole che tipo di sogno avesse fatto e se non riuscisse proprio a ricordare come aveva fatto a finire nel bosco. Paige le rivelò di essere sonnambula, di solito non usciva mai oltre il giardino di casa ma evidentemente per quella notte doveva averlo oltrepassato.
“C’erano tante cose strane nel mio sogno, sono inciampata ed improvvisamente ho iniziato a cadere in profondità in un abisso senza fine, non riuscivo a fermarmi. Era tutto diverso, un luogo che aveva la terra al posto del cielo ed il cielo al posto della terra a seconda delle strade che sceglievo di percorrere. Fiori parlanti, conigli bianchi che andavano di fretta, una lepre che prendeva il tè…”.
Il racconto fu interrotto dall’esclamazione totalmente stupita di Jefferson e ricolma di una paura quasi nauseabonda che per poco non lo fece impazzire del tutto.
“Il paese delle meraviglie” uscì come un suono strozzato.
Paige sgranò gli occhi e fece di sì con la testa.
“Lo ha chiamato in quel modo un bruco blu ma non mi ha voluto dire altro. Continuava a dire che io non ero quella Alice e che se stavo cercando qualcosa di importante, mi sarei dovuta svegliare perché lo avrei trovato nel mondo reale” spiegò brevemente ma subito dopo aggiunse “tu come fai a conoscerlo?”.
Anche Ruby si era posta quella stessa domanda, ma Jefferson parve oscurarsi in viso e si morse l’interno della guancia, aveva osato troppo e si era esposto in maniera irrimediabile, o quasi.
“Nessuna di voi due conosce la storia di Carroll? Dovreste leggerla, oggigiorno le fiabe non si vivono ma vengono raccontate nei libri” e così facendo si rialzò in piedi, incrociando le braccia e volgendo lo sguardo altrove “e fortuna Ruby che le dai ripetizioni di letteratura inglese” biascicò le ultime parole per volgere l’attenzione su di lei.
Ruby digrignò i denti come a volerlo attaccare, come si permetteva di dubitare delle sue qualità di insegnante su richiesta?
“Vorresti dire che non svolgo bene il mio secondo lavoro? Anzi, l’unico che mi è rimasto visto che mi sono licenziata da Granny” disse borbottando mentre aiutava Paige a rialzarsi.
La bambina non riuscì ad evitare di sorridere nel guardare come quei due avessero iniziato a battibeccare e a lanciarsi sguardi di fuoco. Per un attimo tutti si erano dimenticati dell’accaduto e che mezza città era alla ricerca della bambina scomparsa.
“Perché lo avresti fatto?” le domandò Jefferson, evitando il più possibile di tornare a guardare Paige, non si sentiva in dovere di farlo.
“Voglio dimostrare a tutti che sono in grado di badare a me stessa” disse prima di sistemarsi il cappello sulla testa, sospirando.
“Ma Ruby, tu sai come rendere felici le persone” si intromise Paige stringendosi nella giacca di Jefferson.
La ragazza si voltò verso di lei, ponderando a lungo quelle parole. Non ci aveva mai pensato prima di allora. Il motivo per cui continuava a lavorare da Granny era anche questo, lei amava riuscire a far sorridere tutti coloro che aveva attorno e nessuno le faceva mai notare qualche sua mancanza. Sospirò, forse aveva esagerato con Granny.
Jefferson sembrò particolarmente colpito dalla prontezza di Paige, ma in realtà era ben cosciente della sua dolcezza e del suo modo di capire gli altri. L’unica cosa che al momento lo preoccupava era quel sogno di cui lei aveva parlato. Ruby avvertì Graham cosicché potesse contattare i genitori di Paige e tranquillizzarli, gli spiegò che si era trattato solo di un caso di sonnambulismo e che la bambina stava bene.







 
**
 



 
 Foresta Incantata
 
“Ferma. Dove siete” ordinò Jefferson mentre brandiva in mano un ferro rovente. Sembrava uno di quegli assassini completamente fuori di testa di cui si sente parlare nei villaggi più sperduti e Red iniziava a provarne un certo timore.
Non doveva essere un gran medico e affidarsi completamente a lui le sembrava una pura follia. Perché non voleva chiamare qualcuno in grado di aiutarla? Jefferson aveva spezzato la parte superiore della freccia, ma rimaneva ancora la parte peggiore, quella incastrata nella coscia. Non era penetrata a fondo ma le ferite di quel tipo erano difficili, al momento dell’impatto l’uscita del sangue sarebbe stata minima ma una volta estratta la punta avrebbe potuto rischiare una lieve emorragia. E a Ruby non piaceva il sangue, ne aveva visto già scorrere sin troppo.
“Non vi avvicinate, non vi permetterò di toccarmi con quell’oggetto nemmeno per idea!” lo minacciò puntandogli contro una delle padelle che aveva trovato appese al muro.
Sembrava piuttosto pericolosa ma non quanto Jefferson in realtà sapesse. Sogghignò, facendo roteare il ferro rovente per poi compiere un altro passo avanti.
“Ho detto di non avvicinarvi!” urlò lei continuando a tenere la padella in avanti come una vera e propria arma e la minaccia era reale, per quanto strana potesse sembrare.
Jefferson roteò gli occhi al cielo e spalancò le braccia, prima di portarsi una mano al fianco per guardarla con occhi annoiati.
“E voi dovreste portare aiuto al Principe Charming? Forza, lasciatemi curare quella ferita senza lamentele o non riuscirete mai a raggiungerlo”.
Cercò di mirare al suo punto debole, sapeva bene che Red doveva svolgere una missione importante e perdere tempo era proprio ciò che avrebbe dovuto evitare. Infatti fu costretta a cedere, abbassò lentamente il braccio armato e volse un’occhiata verso il pavimento. Il dolore alla coscia tornò a farsi sentire, in quel momento che era concentrata a difendersi lo aveva avvertito di meno, ma Jefferson aveva ragione: più in fretta sarebbe riuscita a guarire, prima sarebbe arrivata al confine del regno per aiutare Charming e Snow White.
Inoltre si era anche presa una storta alla caviglia per esser caduta male, non sarebbe stata in grado di rimettersi in viaggio in fretta ed inoltre Jefferson le aveva consigliato di rimanere lì al sicuro. Sembrava che oltre a quell’uomo nella Foresta di Sherwood ve ne fossero anche degli altri in cerca degli amici di Charming e ricondurla a Notthingam avrebbe potuto comportare qualche grave errore.
“E va bene” sussurrò prima di prendere un gran respiro e zoppicare malamente verso il giaciglio su cui si sarebbe dovuta far curare. Si sedette stendendo la gamba e si voltò dall’altra parte, per non vedere.
La gonna era stata recisa fin sopra al ginocchio e il sangue accennava solo a sporcare il contorno della freccia intrappolata nella carne.
“Se mi farà più male del previsto ve la dovrete vedere con me” disse stringendo i denti, continuando a rimanere voltata dall’altra parte.
“Perché, avete intenzione di punirmi lanciandomi addosso pasticci di carne andati a male?” cercò di scherzare, fingendo di non avere la minima idea di quale spropositata forza potesse esistere in un corpo così esile.
Si permise di sollevarle la gonna, non fu fatto del tutto volontariamente, ma finì per accarezzarle la pelle dalla caviglia fino a raggiungerle il ginocchio come per poter saggiare quella delicatezza che lo stava conquistando poco a poco. Avvertì un salto al cuore, come se per un attimo si fosse fermato nel momento in cui le sue dita avevano iniziato a sfiorarle la pelle candida e bianca.
Dovette reprimere un improvviso desiderio che lo avvolse offuscandogli la mente, si morse a forza il labbro inferiore e si concentrò sulla ferita.
Riuscì a prelevare la parte restante della freccia e prima che potesse rischiare una breve emorragia, vi appoggiò il ferro rovente per poter chiudere la ferita [1]. Quando Red avvertì il contatto dell’eccessivo calore sulla pelle gettò la testa indietro lanciando un grido smorzato che tentò in ogni modo di reprimere, fino a trasformarlo in un affanno.
“Visto, non era poi così doloroso” disse Jefferson una volta rialzatosi in piedi.
Quando Red girò la testa gli lanciò uno sguardo assassino ed iniettato di sangue, per un attimo ebbe la sensazione di vedere nei suoi occhi tracce di un colore simile all’ocra, ma probabilmente era stata solo un’allucinazione.
Non vi diede conto e allontanò il ferro per poterlo riporre da dove lo aveva preso, pulendosi poi le mani su uno strofinaccio e abbandonarlo accanto ad una bacinella vuota.
“Quando potrò tornare a correre?” fu il primo pensiero che espresse.
Jefferson le voltò le spalle, tirandosi giù le maniche della camicia e scosse lievemente il capo.
“Non sono un dottore ma sono certo che vi accorgerete di quando sarà il momento adatto per riprendere a viaggiare. In ogni caso un grazie sarebbe ben accetto” detto ciò tornò indietro per poterle fasciare la ferita con un pezzo di stoffa pulita che aveva la fortuna di avere.
Red si inumidì le labbra osservando il lavoro che stava svolgendo, forse si era mostrata in modo troppo aggressivo, in fondo quell’uomo l’aveva salvata da morte certa e la stava aiutando. Da quanto ne sapeva anche lui era da parte degli Charming e desiderava che quella sciocca guerra terminasse e voleva aiutarla a rimettersi in piedi per darle l’occasione di aiutare il regno.
“Mi dispiace, mi sono comportata da ingrata. Ma quest’inconveniente non ci voleva” tentò di rimediare con uno dei suoi affabili sorrisi “potremmo ricominciare abbandonando le formalità e presentandoci. Io sono Red Hood, qual è il tuo nome?”.
Jefferson. Lo disse senza nascondere alcuna vergogna, anche se da qualche parte nel suo cuore pronunciare il suo nome equivaleva a mettere a nudo qualcosa di straziante e di oscuro.
Non aggiunse altro e lei si rese conto che doveva esser accaduto qualcosa nella tua testa ma che difficilmente sarebbe riuscita a capire. In quel momento dalla porta d’ingresso comparve la piccola Grace coperta dal suo mantello che iniziava a starle stretto. Stava crescendo e Jefferson quasi non riusciva a rendersene conto.
“Papà, sei tornato!” disse lanciandosi verso di lui per poterlo abbracciare, lui si fermò al centro dell’umile stanza per aprire le braccia ed accoglierla, ma lei arrestò la corsa quando vide la figura di Red proprio all’angolo.
Per un attimo non riuscì a comprendere il motivo per cui si trovasse lì ma quando si rese conto che era ferita, portò una mano alle labbra in segno di preoccupazione e abbandonò totalmente l’idea di correre dal padre. Era affascinata da quella ragazza così bella che non poté fare a meno di avvicinarsi a lei.
“Tu sei la nipote di Granny” le sorrise mentre si toglieva il cappuccio dalla testa, lasciando ricadere i capelli castani sulle spalle.
“Donne…” brontolò Jefferson portando le mani ai fianchi, abbandonato da una parte per la nuova attrazione della giornata.
“Sì, esatto. Tu devi essere Grace invece” prima che potesse porle qualche domanda si affrettò ad aggiungere spiegazioni riguardo la sua presenza in casa “tuo padre è un eroe, mi ha salvata da un uomo che stava tentando di farmi del male ma sono rimasta ferita e temo che per un po’ dovrete ospitarmi in casa vostra. Ti dispiace?” le domandò come se fosse lei la padrona.
Grace schiuse le labbra, volgendo un’occhiata stupita a suo padre che gli fece cenno di ascoltare la ragazza e le si illuminarono gli occhi.
“Ti ha davvero salvata lui?” il sorriso che si creò mostrò tutta la sua dolcezza “Sapevo che mio padre era un eroe, non avevo alcun dubbio! Lui non ha paura di niente”.
Di niente? A Jefferson rotearono quelle parole nella testa così a lungo da non riuscire a trovare una via d’uscita. No, non era vero. Aveva paura di perderla e di non riuscire a darle ciò che desiderava.
“Non mi dispiace se rimarrai qui, di solito non ci capita la fortuna di ospitare una ragazza bella come te, anzi non ospitiamo mai nessuno” si strinse nelle spalle, dicendo tutto con assoluta naturalezza.
Red di fronte a quelle parole così sincere si sentì lusingata e per un attimo riuscì a dimenticarsi della missione che avrebbe dovuto svolgere.
Provava un moto di calore all’altezza del petto che quasi non riusciva a spiegarsi, i suoi affetti erano tremendamente lontani ma trovarsi in quella casa, anche se per estremamente poco, le aveva donato un po’ di calore.
“Non lo facciamo perché sono tempi pericolosi, Grace. Ma sono certo che Red non ci creerà alcun fastidio” sorrise verso la sua direzione.
Stava mentendo spudoratamente. Fu più difficile del previsto indossare quella maschera di indifferenza verso di lei, tessere inganni era qualcosa che gli riusciva piuttosto bene, ma quanto sarebbe riuscito a durare? Forse non così a lungo come aveva sperato.
“Allora, vuoi raccontarmi che cosa hai fatto ieri con i vicini? Spero che tu ti sia comportata bene” le rimproverò fintamente mentre la richiamava a sé, per sedersi intorno al tavolo ed iniziare ad ascoltare il resoconto della sua serata.
Le risate e il calore che padre e figlia esprimevano fecero breccia nel cuore di Red. Aveva intuito che non dovesse esservi più alcuna moglie ed alcuna madre a prendersi cura di loro. L’aveva letto negli occhi di Grace così come in quelli di Jefferson che erano riusciti a prendere in mano la situazione per andare avanti.
Anche lei aveva perso degli affetti importanti, come il suo Peter e la madre che credeva esser morta molto prima del tempo.







Note: 

[1] Eh, lo so che vi ho già proposto questa immagine nel L’Orologio, ma mi piace troppo, che posso farci?






// Nda: 

Salve a tutti! 

Colgo l'occasione per ringraziare tutte coloro che hanno iniziato a seguire questa storia dal pairing piuttosto strano, con la speranza che andando avanti possa entusiasmarvi quanto me ^^. 
Jefferson è tornato a Storybrooke, vi era mancato? 
Ammetto che questo capitolo, avendolo scritto quasi due mesetti fa, non mi piace proprio per niente, la stesura è piuttosto banale ma allo stesso tempo mi auguro possa piacervi lo stesso. 
Grazie mille! 

 
   
 
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