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Autore: La X di Miria    11/11/2013    1 recensioni
Avvertenza: non c'entra nulla con Hunger Games, sebbene il titolo sia simile.
La protagonista è Marta, una ragazza che lavora per una casa di moda, con il complesso della taglia 40 e dei fotografi. Impegnata nell'ennesima sfilata, sarà vittima di un gioco inumano e spietato.
Ma la verità era un'altra. La verità era che io avevo un terrore innato per i fotografi. Una fifa blu, perché la paura è blu, come i flash di quelle dannatissime macchine, che scoccavano all'unisono, tutte dirette verso un singolo obiettivo: tu.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raggiunsi Erica, strisciando tra i canneti. Era a terra e il suo pianto sommesso mi guidava. Ogni tre secondi guardavo a destra, con il terrore di trovarmi un fucile puntato alla tempia. La paura mi torceva le budella, l'angoscia mi serrava il cuore in una morsa bianca, non pensavo a nulla. Trovai Erica stesa su un lato, il bel cappotto blu scuro tutto infangato: si teneva il volto tra le mani e lacrime copiose scorrevano tra le dita. La toccai piano, con la punta delle dita: quando mi vide rifugiò la testa accanto al mio collo. È morto, è morto, ripeteva.

Non è colpa tua, non è colpa tua, le dissi io, mentre il rimorso mi pungeva la coscienza

Non è colpa tua. È colpa mia... Mia.

...

Dobbiamo raggiungere gli altri.

 

Ci dirigemmo nella direzione in cui erano scomparsi Giacomo e Serena, o almeno così ci pareva. Il fango ci arrivava fino al naso e io dovetti inghiottire almeno qualche insetto. Erica non piangeva più: aveva chiuso tutta la sua paura dentro alla cassaforte del suo cuore e ne aveva gettato la chiave. I sentimenti spingevano per uscire, lo si notava dall'espressione un po' contrita, ma i suoi occhi erano vigili.

Proprio nel momento in cui credevamo di essere quasi fuori dal canneto, udimmo lo scalpiccio di passi nell'acquitrino. D'istinto le strinsi la mano.

«Sono andati di qua, mi sa. Li ho visti che correvano... »

«Ora che li abbiamo alleggeriti di quel grassone, andranno più veloci.»

«Vero! Hai visto che centro?! Gli altri due devono essere qua attorno.»

Erano vicini al torrente. Noi, circa venti passi più in là. Ci avrebbero trovate, me lo sentivo, e anche Erica, perché spalancò gli occhi e strinse la mia mano ancora più forte.

«Cerchiamo un po'. Tu va' di là!»

Così cominciò il conto alla rovescia.

Venti. Diciannove. Diciotto. Diciassette. Sedici. Quindici.

«Con il grassone fanno otto. Alex mi ha detto che nel primo settore ne hanno ammazzati tre dopo un paio d'ore.»

«Alex è un demente. Dovrebbe lasciar loro il tempo di ambientarsi. Così non c'è nemmeno gusto, vedrai che farà finire tutto in un paio di giorni.»

«Hai ragione, forse non avrei dovuto invitarlo. Ah! Non glielo permetterò! Mio padre ha speso una fortuna per organizzare tutto, non lo lascerò vincere.»

Quattordici. Tredici. Dodici. Undici. Dieci.

«Vorrei sapere come se la sta cavando Flavia. S'è presa un fucile alto quasi quanto lei, il mio amore! Le ho detto che non era un'arma da donne, ma lei no, sempre i pezzi grossi!» Risate sguaiate.

Nove. Otto. Sette. Sei. Cinque.

«Sai, dopo questo, mio padre ci ha organizzato una vacanza. In uno di quei soliti posti del cazzo, spiaggia bianca, mare blu... la cosa figa è che m'ha dato il suo yacht. Vedrai che bomba!»

Quattro. Tre. Due. Uno.

Stop.

«Oh, oh, guarda cos'abbiamo qui... »

Rimasi con la faccia immersa nel fango.

«Ehi, Marco! Qui non c'è nessuno!» urlò l'altro.

Marco sorrise. Il suo fucile mi accarezzò la nuca, risalì fino alla tempia. Si spostò su quella di Erica e premette sulla sua guancia. Nei suoi occhi celesti si specchiò un limpido terrore. Marco fece pressione. Erica strinse gli occhi. Il grilletto fece clic... e basta.

«Solo perché sarebbe uno spreco ammazzarvi così e solo perché sono molto galante. Alle donne concedo sempre una seconda possibilità» bisbigliò. «No, Luca, nemmeno qui! Cerchiamo da un'altra parte, forse hanno strisciato di là!»

Si allontanò a grandi passi nella direzione opposta a quella da cui era venuto.

Ci mettemmo qualche minuto a capire che eravamo salve. Forse avremo dovuto piangere e disperarci? Nei film fanno sempre così. Avremo dovuto abbracciarci per ore, mentre la telecamera faceva un bel primo piano? E poi? Sarebbe davvero finita? Titoli di coda e ognuno alla sua vita? No, perché per quanto potesse essere assurdo, quello non era un set cinematografico. Il fango era reale, i personaggi erano reali, la canna del fucile sulla mia nuca era reale, la paura, il dolore, la morte, lo erano. E noi, come da copione, facemmo ciò che era più logico, nella realtà.

Corremmo, più veloci di un proiettile.

 

 

 

Trovammo un'apertura in un costone di roccia che faceva proprio al caso nostro. Era coperta da arbusti e rami e situata in un luogo rialzato. Dentro faceva tre volte più freddo: mi strofinai le braccia e incassai la testa tra le spalle.

«Forse è troppo umido qui... » notò Erica, ma io scossi la testa: «Va bene, va bene, non è un problema.» La bugia più grande del mondo, ma piuttosto che incontrare quelli... .

«Tieni.» Erica si slacciò il cappotto e me lo porse. Spalancai gli occhi e guardai prima il cappotto, poi lei, poi il cappotto.

«Avanti, prendilo.»

Se solo fossimo state in una qualsiasi altra circostanza, l'avrei ringraziata mille volte e ancora mille, sorridendo a piena bocca. Il fatto era che non ne avevo voglia: vedevo ancora Giovanni morire e Marco che mi puntava il fucile addosso. Gliene fui grata comunque.

Era ancora caldo. Lo abbottonai e mi tirai su il cappuccio: mi stava stretto sulle spalle, ma poco importava.

«Sarà bene riposarci un po'» dissi. Per fortuna il terreno era in terra battuta e qua e là macchie di muschio punteggiavano le pareti. Erica era ancora provata dall'inseguimento e non ci pensò due volte a stendersi vicino a me.

«Forse... forse è meglio che anche tu stia al caldo» le dissi e le feci intendere di usare i cappotto come coperta. Fu un gesto spontaneo, ma me ne pentii un secondo dopo: lei era una super-modella taglia quaranta, simpatica come una carie al premolare destro; stare appiccicata a una come me le avrebbe fatto schifo, se non peggio.

«Ti ringrazio.» Si rannicchiò sotto il cappotto e si addormentò prima che potessi dire alcunché.

Il suo respiro sulla gola mi metteva agitazione e ruotai gli occhi per la caverna, anche se non ci trovavo nulla d'interessante. Alla fine gli lo sguardo mi cadde sul suo viso e provai un brivido proprio dietro le orecchie: dormiva così profondamente che pareva morta.

Scacciai quel pensiero e mi misi a dormire. In fondo non era poi così antipatica, voglio dire, mi aveva prestato il suo cappotto, dormiva vicino a me... una iena come Jacqueline mi avrebbe lasciata ibernare piuttosto che fare cose simili. Era giusto un po' distaccata, ma non odiosa. Anzi, in quel momento odiavo più Serena, perché era scappata senza voltarsi indietro. Ok, di Giacomo non mi stupivo più, ma lei mi aveva proprio deluso!

Poi ripensai a me stessa, dopo i primi spari nel canneto, e mi accorsi di aver fatto la stessa cosa, lasciando Erica da sola. La rividi, così gracile, trascinarsi dietro tutto il peso di Giovanni, mentre quei bastardi giocavano al tiro a segno.

La strinsi, non volevo farlo davvero, ma lo feci lo stesso, e poi mi venne da piangere. Mi trattenni: non volevo svegliarla e di piangere non ne avevo proprio voglia.

Alla fine mi addormentai, perché riaprii gli occhi sulle labbra di Erica che dicevano: Sveglia! Ehi!

Mi scosse e mi diede ben quattro schiaffi: «Eh? Sì, sì, ci sono. Ma...»

«Taci! C'è qualcuno... fuori» mormorò e al “fuori” la voce le si accasciò.

Mi voltai verso l'entrata, ma era già buio e non si vedeva una ceppa: dovevano essere le cinque o giù di lì. Sentii dei sussurri sempre più vicini e dei passi sull'acciottolato fuori dal nostro nascondiglio.

Erica si diresse verso l'entrata.

«Ehi! Dove vai? Sei matta!»

Aveva in mano un legno lungo un braccio e lo brandiva come una mazza da baseball. I bisbiglii si avvicinavano: colsi qualche imprecazione e dei respiri affaticati; ora erano proprio davanti alla caverna, stavano illuminando l'entrata e... SBAM!

Una sagoma cadde ai piedi di Erica; lei stava già per colpire di nuovo, quando un “Nooooo!” la pietrificò. Era Serena, china su Giacomo che si contorceva a terra.

«Siete voi!» gridai. Serena cadde in ginocchio e pianse. Io ed Erica trascinammo Giacomo dentro l'apertura: «Cazzo, cazzo!» ripeteva. «Non hai visto che ero io? Idiota che non sei altro!» Ma sapevo benissimo che se l'era fatta sotto dopo essere finito a terra. Di sicuro stava ringraziando il cielo per averci trovate.

«Ehi, fa' vedere» gli disse Erica.

«Merda, mi ha rotto il naso!»

Gli spostò la mano. «Marta, ce l'hai un fazzoletto?»

Le porsi tutto il pacchetto ma appena Erica tentò di pulirlo, lui schizzò via imbizzarrito. «Ma vaffanculo! Sai dove te lo puoi mettere quel bastone? Sai dove?!»

Uno schiocco secco e Giacomo finì k.o. contro la parete: fine del secondo round.

Ora si sentiva solo Serena che piagnucolava in un angolo.

Erica si sedette accanto a me, mentre Serena sgattaiolò al fianco di Giorgio: «Ti sei fatto male? Posso aiutarti?» sussurrò.

«No, tranquilla, tranquilla... »

Erano così... così schifosamente vicini, così schifosamente coppiettari... da torcerti le budella. Lei gli puliva il naso e rideva mentre lui le sussurrava le sue idiozie. Ero caduta anche io in una trappola simile, e non biasimavo Serena perché stava commettendo lo stesso errore. Però ero delusa. Delusa da quella che credevo fosse un'amica e che ora nemmeno mi aveva rivolto la parola. Mi aveva detto che amava le persone carismatiche e coraggiose: solo che Giacomo era falso e codardo. Volevo disilluderla, ma quanto sarebbe stato giusto? Si sentiva al sicuro con lui e questo era quello di cui aveva bisogno: sicurezza in un luogo d'inferno. Magari saremo morti tra due giorni, domani o persino stanotte: trovavo crudele metterla di fronte alla fredda verità quando poteva avere il conforto di un caldo abbraccio. Non importava se sincero o meno.

Ricordo che presero a sbaciucchiarsi proprio mentre pensavo a queste cose, poi il mio cervello si rifiutò di rimanere sveglio.

 

  
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