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Autore: Koa__    11/11/2013    1 recensioni
Sono passati tre anni dal finto suicidio di Sherlock e da che Gregory Lestrade è stato portato a Pendleton House ed ha scoperto la verità. Tre anni durante i quali ha deciso d'allontanarsi da Londra e da John Watson. Appena fa ritorno della capitale inglese, però, Greg riceve una chiamata dal dottore, proprio prima che lui e Mycroft partano per la luna di miele. A Parigi, mentre sono immersi nell'idillio dell'amore, fanno un incontro che sarà sorprendente.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Mystrade, d'amore e d'altre sciocchezze...'
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Quarta parte


Alla fine di quel mese di giugno, Gregory Lestrade aveva incontrato Mary Morstan. La bella insegnante privata, fidanzata del dottor Watson, aveva infatti tanto insistito per conoscere gli amici di John. Si erano dati appuntamento dopo il lavoro in un pub del centro e, appena l’aveva vista, Greg si era soffermato ad osservarla, perdendosi nei propri pensieri per lunghi e interminabili secondi. Aveva già incontrato altre ragazze di Watson, quando ancora abitava a Baker Street. Una, forse due o addirittura tre e le ricordava come carine, alla mano e simpatiche, ma Mary Morstan era differente. La parvenza che dava era quella di una donna, una donna vera. Bella, elegante, sofisticata, dotata di uno charme che Lestrade non seppe classificare, ma che lo attraeva in una maniera del tutto inusuale. Era stato strano vedere John avvinghiato a lei, non toglierle gli occhi di dosso e soprattutto così tanto sereno. Ed era rimasto talmente spiazzato dalla pacatezza del dottore, che aveva tralasciato per un momento gli spaghetti di soia, soffermandosi a riflettere sul fatto che, forse, si era sbagliato riguardo l’affetto che nutriva per quella donna.

Ma per fortuna non era rimasto troppo a lungo a pensarci, il locale ottimo e la cena gustosa lo avevano distratto da certi pensieri. Anche Mary aveva mangiato con gusto e in abbondanza. Fatto che Mycroft aveva commentato, più tardi, affermando che era assai inusuale che una donna con una silhouette tanto sottile, mangiasse così tanti involtini primavera. Tuttavia, Greg conosceva sufficientemente bene suo marito, da sapere che dietro quell’arcigna espressione, non si celava altro che invidia. Dopotutto, lui era a dieta da tutta una vita!

Era stata però la discussione che avevano intavolato con la signorina Morstan, a sorprenderlo più di tutto il resto. Già, perché per tutta la durata della cena, non avevano fatto altro che discutere di Parigi. John aveva voluto sapere com’era andata la luna di miele e, tralasciando il fattore Sherlock, Greg gli aveva raccontato praticamente tutto. Da lì in avanti la discussione era degenerata, si erano così ritrovati a parlare dei lampioni di Montparnasse, piuttosto che della bellezza dei dipinti del Louvre. Mary si era dimostrata una persona dotata di una cultura generale decisamente sopra la media, di tanto in tanto gli era parso di stare con Mycroft. Forse per via del tono sicuro e deciso con il quale gli si rivolgeva. Solo negli Holmes, Greg aveva riscontrato altrettanta sicurezza. Gli si rapportava infatti con un cipiglio sicuro, lo sguardo era sempre alto e fiero, le iridi furbe che scrutavano l’interlocutore e non ne lasciavano mai il contatto visivo.

Conoscendola, aveva capito perfettamente come mai John si fosse innamorato di lei. Nonostante suo marito avesse a lungo dubitato che quella facciata perfetta, non fosse per nulla come sembrava.
“Ostentare sicurezza, è sempre un sintomo di debolezza.” Con questa logica aveva commentato, senza preoccuparsi di celare il tono acido.  

Ah, ovviamente, non avevano quasi mai discusso di Mycroft, né della famiglia Holmes; Greg l’aveva ritenuto un argomento prematuro per il primo incontro. Spiegare chi fosse suo marito non era cosa facile da raccontare agli estranei e, per sua fortuna, in questo John era stato un silenzioso complice. Per questo, quando Mary gli aveva domandato come stesse suo marito, a Watson era quasi andata di traverso la cena. Sapeva che John e Mycroft non si erano ancora mai incontrati da dopo la scomparsa di Sherlock, e che suo marito per primo glissava sempre sull’argomento dottore, rimandando a data da destinarsi ogni possibile incontro. Sapeva anche che John stesso non era desideroso d’incontrarlo, tra di loro d’altronde, non era mai corso buon sangue. Ai tempi di Baker Street perché non approvava le numerose intromissioni di Mycroft, i suoi misteri e, naturalmente, il brutto vizio di spiare ogni passo facessero. E poi c’era il fattore Moriarty… Probabilmente, anzi di sicuro, per un certo periodo da dopo la caduta, John era stato furente con lui. L’averlo venduto a quel criminale per qualche informazione, aveva messo fine ai loro già scarsi rapporti. Greg sapeva d’essere il solo possibile mediatore tra i due.

E stava pensando al fatto che non credeva che quei due si sarebbero rivisti tanto presto, proprio mentre camminava nei parcheggi sotterranei della loro casa a Whitehall. Erano le otto di una soleggiata mattina di luglio e Greg stava andando al lavoro, nonostante non ne avesse davvero voglia. Più volte infatti, aveva affermato di preferire il letto e Mycroft ad una pila di scartoffie. Non che questo fosse inusuale o poco comune, ma se possibile, il caldo peggiorava la sua già scarsa voglia di fare. Oltretutto, gli si prospettava una giornata piuttosto carica di cose da fare. Un colloquio con il capo White e, naturalmente, c’era l’omicidio di Park Lane, assassinio per il quale avrebbe tanto voluto avere l’aiuto di un Holmes. Ecco, sì, di certo avrebbe preferito fare altro piuttosto che tutto quello.

Poi però era accaduta una cosa. Poco prima che salisse in auto, la sua quotidianità si era rotta e lì, in quel buio parcheggio sotterraneo, lo aveva rivisto. E non faticava nemmeno ad ammettere che l’incontro lo aveva lasciato molto più che stupito. Sconvolto, era forse la parola che meglio poteva descrivere la sua reazione quando, nel buio, si era visto comparire Sherlock d’innanzi a sé. Era stato costretto ad assottigliare lo sguardo per poterlo scorgere nella penombra, ma poi gli si era fatto vicino e gli aveva parlato. Non poteva essere altri che lui: alto, magro, con quei capelli ricci e neri che gli ricadevano sulla fronte e quegli occhi piccoli, sottili, chiusi in una fessura e che lo avevano scrutato per un lungo interminabile istante. Le parole che Greg gli aveva rivolto qualche attimo dopo erano state, probabilmente, le più banali e stupide che mente umana avesse mai potuto concepire. Poche frasi di circostanza del tipo: sei davvero tu e ti trovo bene. Poi Greg gli aveva chiesto di John, e allora qualcosa nello sguardo del suo interlocutore era mutato.

In quel momento, quando un lampo di tristezza aveva tinto di toni ancor più scuri il viso del risorto Sherlock Holmes, Lestrade si era domandato se, alla fine, avesse preso quella sua decisione. Come comportarsi con John, cosa fare con lui e cosa più importante di tutte: rivelargli o meno i propri sentimenti.  
«John non vuole più vedermi» aveva detto Sherlock con voce bassa «la maniera con la quale mi ha accolto era prevedibile, ma nonostante fossi preparato ai suoi pugni, non ero pronto a subire quello sguardo ferito. È vero che è cambiato, ma non solo per i baffi o la zoppia. La mia finta morte deve averlo sconvolto molto di più di quanto ritenessi possibile. E ora è arrabbiato, proprio come avevi detto e…»
«Sei qui per farmi sapere che sei tornato o per domandarmi il favore di fare da mediatore?» domandò, con fare spiccio.

Il consulente investigativo non gli disse nulla, tuttavia poté facilmente notare un leggero annuire ed un sorriso appena accennato.
«Non ti prometto niente» aveva mormorato Lestrade, prima di aprire la portiera dell’auto. «A proposito, lui lo sa?» chiese, voltandosi.
«Sì!»
«Quindi immagino che avrà già…»
«Puntato tutti i satelliti su di me?» lo interruppe Sherlock, ironico. «Sì, presumo di sì» concluse poco dopo, con un ghigno che gli tirava le labbra.
«Chi lo sa, magari è cambiato anche sotto questo punto di vista» sospirò «ti farò avere notizie.»  
«Ah, Lestrade… Fossi in te indagherei sul postino.» A quel punto, un espressione di confusione e smarrimento si dipinse sul viso di Greg.
«Parlo dell’omicidio di Park Lane.»
«E tu che ne sai?»
«Sono un consulente investigativo, Lestrade, senza di me Scotland Yard è stata perduta. La criminalità di Londra è aumentata da quando ho finto la mia morte e, ora più che mai, voi yarder brancolate nel buio su quello che è il caso di omicidio più banale, che si sia mai visto in Gran Bretagna.»
«Non esagerare, Sherlock» lo ammonì.
«Non lo faccio; c’è qualcosa di più noioso di un delitto passionale? Indaga sul postino e prepara il tuo amico White, sono tornato!»
«Ma davvero?»
«Ah, e Lestrade? Di’ a Mycroft che aveva ragione su me e su John.»

Un sorriso di consapevolezza di dipinse sul viso dell’ispettore di Scotland Yard. Eccola, la famigerata decisione, infine aveva avuto il coraggio di prenderla. E avrebbe voluto congratularsi, ma così come era apparso, tra le ombre di quel sotterraneo di Whitehall, il consulente investigativo Sherlock Holmes, sparì.


 
oOo


 
Sapeva che sarebbe stato un incontro difficile, che John non sarebbe stato accondiscendente e che, di sicuro, il fatto che il dottore gli avesse inviato messaggi non proprio amichevoli negli ultimi giorni, mettesse in mezzo lui per primo. Aveva pensato che vedersi a casa sua e di Mycroft fosse una bella idea, specialmente perché il maggiore degli Holmes non era a Londra e che, il 221b di Baker Street, era di nuovo popolato. Il tutto aggiunto al fatto che tutta la città non parlava d’altro che del resuscitato Sherlock Holmes, e che fotografi e giornalisti se ne stavano appostati ovunque pur di scovarlo.

Appena il dottor Watson fu entrato in casa, forse istintivamente, il suo sguardo vagò a sondare l’ambiente. Greg s’affrettò a rassicurarlo, precisando che non avrebbe dovuto affrontare due Holmes alla volta.
«Sono solo.»

John fece qualche passo, guardandosi attorno. Doveva essere sconvolto dalla fastosità dell’arredamento, perché pareva davvero spaesato. Greg sapeva benissimo come si stava sentendo: era lo stesso identico sbigottimento che aveva provato lui quando aveva messo piede in quella casa. L’arredamento di classe, elegante, tanto che lui stesso ancora si sentiva fuori posto dopo tutto quel tempo.
«Lo so quello a cui stai pensando» disse, alludendo ai soprammobili di cristallo, al divano in radica e, ovviamente, ai quadri d’autore appesi alle pareti.
«No, Greg, non credo che tu ne abbia idea» gli rispose John, senza smettere di guardarsi attorno.
«Vieni, sediamoci, abbiamo un po’ di tempo prima che Sherlock arrivi.»

Il ticchettio del pendolo s’intromise fra loro, rompendo il silenzio dell’appartamento. Il tè che aveva preparato fumava ancora nella tazza che il dottor Watson teneva in mano e che fissava, quasi fosse indeciso sul volerla spaccare in mille pezzi o berne il liquido in essa contenuto. Greg vedeva un velo di rabbia negli occhi del suo amico, ma più di tutto vi leggeva confusione. Sapeva che non era davvero furente con Sherlock, quella era stata solo la reazione. Ora c’era solo da sapere in quale direzione andassero i suoi sentimenti. Aveva iniziato con una tazza di tè, di quello pregiato e cinese, che Mycroft si faceva importare, solo per metterlo a proprio agio e tranquillizzarlo. Dopo pochi minuti, quando lo vide sorseggiare, pensò d’essere riuscito in qualcosa, perché John pareva meno nervoso.
«E così l’hai picchiato…» esordì, rompendo il silenzio.
«Già» mormorò Watson in risposta, senza riuscire a trattenersi dal ridere, seppur in un modo appena accennato.
«Sai, lui non ti biasima per averlo fatto, anzi ti comprende perfettamente.»
«Figurarsi» rispose, con tono carico di sarcasmo «c’è qualcosa che il grande Sherlock Holmes non capisce? È addirittura tornato dal mondo dei morti, dopo questa diventerà ancora più insopportabile.» Risero, lo fecero entrambi e con gusto; dopo che questa scemò però, lo sguardo del dottore divenne ancor più serio. «Tu lo sapevi, non è vero? Che era vivo» s’affrettò a precisare.
«Sì» annuì Greg. «Lo seppi qualche settimana dopo il funerale: Mycroft mi portò in una tenuta che gli Holmes hanno nell’Eastbourne, dove Sherlock si stava nascondendo. Mi spiegarono tutto quello che ora lui dovrà raccontare a te; perché tu devi sapere.» Dopo aver pronunciato quelle ultime parole, Lestrade ebbe la sensazione che le espressioni di John si fossero tirate appena. Come se gli fosse ritornato alla mente, che ancora non aveva idea del perché Sherlock avesse fatto tutto quello. Comunque, lo yarder continuò: «In ogni caso, da allora non lo vidi più. Ci siamo incontrati a Parigi perché, a quanto pareva, la scelta per la luna di miele non era poi tanto causale. Ma c’è una cosa che tengo tu sappia, vedi io me ne sono andato perché vedevo la tua sofferenza e il non poterti dire nulla… Sapere, ma non poter parlare… Io non ce la facevo, John, non riuscivo a guardarti negli occhi e a mentirti in un modo tanto spudorato. Non sai quanto sono stato male dopo il nostro incontro a Notting Hill.»
«Tu sai come lui ha fatto a…»
«Questo non devo essere io a dirtelo» lo interruppe immediatamente Greg. «E non è per parlarti di come lui è sopravvissuto, che ti ho fatto venire qui.»
«E allora perché?»
«A Notting Hill tu mi dicesti che, se mai l’avessi rivisto, gli avresti urlato contro tutta la tua rabbia. Beh, adesso hai l’occasione di poterlo fare e tu lo devi fare, John. Appena lo vedrai, gridagli contro tutto quello che senti e che provi: che ti ha abbandonato, che ti ha mentito e lasciato solo. Che ti ha ferito. Entrambi sappiamo che lo ha fatto per un motivo più che valido, ma questo non cambia le cose, non cambia la tua sofferenza. Di sicuro, Mycroft non sarebbe d’accordo con quanto ti sto per dire di fare, ma se lo vuoi picchiare allora picchialo. Se gli vuoi dire che lo odi, fallo!»
«Pe-perché mi chiedi questo?» balbettò, confuso «io ero convinto che avresti cercato di convincermi a fare l’esatto opposto.»
«Se non gli dici tutto adesso, John, se non gli gridi contro tutto il tuo odio e la tua rabbia, allora non potrete mai superarlo. Non tornerete amici come lo eravate un tempo.»
«Noi non torneremo mai a ciò che eravamo, Greg» disse Watson, alzando il tono di voce prima di posare la tazza di porcellana, ormai vuota, sul tavolino di cristallo che aveva di fronte. Poco dopo, il suo sguardo, parve rabbuiarsi e ad un tentativo da parte di Greg di scrutare in quelle iridi chiare, il dottore si ritrasse, alzandosi in piedi.
«Tra me e Sherlock c’era questa specie di detto e non detto che… Non gli ho mai nemmeno confessato d’amarlo, nonostante non avessi mai desiderato altro. Non voglio che le cose siano come lo erano un tempo. E poi, sono fidanzato adesso: sto con Mary e la amo davvero.»
«Non lo metto in dubbio, John, ma qui non si tratta solo di questo. Non ci sono in ballo semplici sentimenti, si tratta di decidere che vita vuoi avere. Tu lo sai che se ti sposi con Mary, tra te e Sherlock non potrà mai esserci più niente. Un tempo volevi stare con lui, in un modo molto più che amichevole e adesso hai davvero la possibilità di farlo, d’imporre le cose secondo il tuo di volere. Di tornare a Baker Street secondo quelli che sono i tuoi criteri. Sherlock non ti direbbe di no, non avrebbe motivo per rifiutare un rapporto di quel genere, non l’ha mai avuto e non l’ha ora.»
«Sai quello che mi stai chiedendo, Greg? O Mary o Sherlock.»
«Non sono io a chiedertelo. Ti sto solo dicendo che lo devi fare, è come hai detto: non puoi permettere che la situazione tra te e Sherlock sia di nuovo equivoca, ma non puoi nemmeno lasciare Mary senza avere una motivazione valida. Sono sicuro che tu e lei avreste una vita meravigliosa e magari anche dei figli. Il punto però non è lei o lui, ma tu. Che vita vuoi, John?»

Dopo che Lestrade gli aveva fatto quella domanda, il silenzio era calato. Greg aveva posato la sua tazzina sul tavolino, dopodiché si era lasciato andare tra i cuscini del divano, passandosi le mani sul viso. Non sapeva se stava agendo per il meglio e, in un certo senso, ora credeva di capire di più Mycroft e la sua reticenza in proposito. Lui infatti, quasi si sentiva in imbarazzo per esseri intromesso nella vita privata altrui, tipico riserbo inglese ovviamente. A Greg stesso, quella situazione iniziava a pesare: quella era l’ultima volta che faceva una cosa del genere, su questo non aveva dubbi.

Portò gli occhi su John, se ne stava in piedi e guardava Londra dalla finestra del soggiorno. Lo raggiunse, affiancandolo. La città era brulicante, illuminata in quella che, per lei, era una sera come tante altre. La ruota panoramica girava, il traffico scorreva, con le sue auto, i suoi semafori, i suoi passanti irritati… Londra viveva, incurante di quanto stesse accadendo loro.
«La vista da qui è spettacolare, Greg» aveva esordito John, poco più tardi.
«Lo so e...»
«Hai ragione, io devo scegliere» lo interruppe. «Se mi sposo con Mary avrò la vita che ho sempre desiderato, quando ero in Afganistan e mi immaginavo di tornare a casa da una moglie, a lavorare nel mio studio medico, in una casa. Quando ero un soldato non pensavo ad altro e anche dopo che sono tornato. Poi però ho conosciuto Sherlock e mi ha sconvolto la vita.»
«E pensi che solo per te sia stato così, John? Credi che tu non sia riuscito nell’impossibile impresa di cambiare Sherlock Holmes?»
«Non è solo questo… vedi, il suicidio di Sherlock ha cambiato tutto quanto.»

Ed era vero, era terribilmente e drammaticamente vero. Quante volte lo aveva pensato o detto? Erano cambiati, tutti loro. Perché tutto cambia, ogni cosa muta e matura nel tempo. Il mondo era diverso, lo era Lestrade e lo era il suo rapporto con Mycroft, lo era il suo lavoro; tutto lo era, tranne il fatto che John avrebbe dovuto decidere. Quella era la sola cosa che era rimasta immutata, come un punto fisso nello spazio. Perché, anche se ai tempi di Baskerville la situazione era differente, la decisione da prendere era sempre la medesima: Sherlock o non Sherlock?
«Tra poco lui entrerà da quella porta, allora che farai? Lo sai, vero? Che se torni con lui ci saranno ancora tutte quelle cose che detestavi e per le quali non facevate altro che discutere.»
«Hai ragione di nuovo, però… non sai quanto mi sono mancate tutte quelle cose. Sai che mi sveglio ogni notte alle tre esatte? Lui era solito suonare il violino a quell’ora» spiegò. «Improvvisazione o qualcosa di simile. Ti confesso che il più delle volte sembrava un gatto in amore, erano stridii senza senso, come se picchiasse la bacchetta sulle corde, facendolo a caso. Ma poi la melodia prendeva corpo, diventava dolce e io mi riaddormentavo; allora non c’erano più sogni o incubi sulla guerra. Ritengo lo facesse apposta, anche se non l’ha mai ammesso. E poi, quella storia delle sigarette… Sherlock era diventato insopportabile, pensa che mi pregava per averle e io quindi mi arrabbiavo, lo ammonivo però sapevo di mentire. In verità ero divertito, da tutto. La prima volta che ho trovato una testa nel frigorifero vivevo con lui da qualche settimana, e me la sono fatta sotto. Cristo, Greg, avresti dovuto vedere: faceva ribrezzo e considera che sono abituato a tutto! Ma sai a che cosa pensavo? Che mi piaceva e allora ridevo. Perché quel tizio era strano e fottutamente pazzo: “mai conosciuta persona più sballata di quell’Holmes.” E che io sia dannato, amavo vivere con lui; anche se era insopportabile e impossibile stargli accanto, a me piaceva.»

Per qualche momento il silenzio cadde, Lestrade fu quasi tentato di intervenire, ma desistette dalla tentazione di dire la sua. John si stava confessando, stava liberando i più profondi pensieri che dimoravano nel suo cuore e Greg sapeva che aveva ancora dell’altro da dire.
«E se dovesse lasciarmi di nuovo? Se rischiassi tutto per lui, per avere da Sherlock quell’amore che ho sempre desiderato, e poi lui se ne andasse ancora? Questa volta, lo so, non sopravvivrei.»

E Lestrade lo capiva, lo capiva davvero. Anche lui si era ritrovato in una condizione simile, il dover decidere se rischiare e stare con Mycroft, valesse la pena o meno. La situazione era simile, anche se differente in molti punti, ma l’indecisione, quella Lestrade la conosceva bene e sapeva che era un sentimento che Watson doveva affrontare da solo.

«Ti capisco» annuì. John gli sorrise, sinceramente. Dopo, Greg gli offrì solo uno sguardo d’intesa, per dirgli che aveva il suo sostegno e che qualunque decisione avrebbe preso, ci sarebbe sempre stato. Aveva detto le stesse cose a Sherlock, qualche settimana addietro, e ora faceva la stessa cosa con John. Perché era importante che entrambi capissero che per lui e suo marito, non sarebbe mai cambiato mai niente.

Il campanello suonò in quell’appartamento di Whitehall e il tempo parve fermarsi, dilatarsi all’infinito trasformando attimi in eternità. Era lui.

John Watson e Sherlock Holmes erano quindi giunti alla resa dei conti.

«Vado io» mormorò il dottore, fermando Greg con un cenno della mano. Ora nei suoi occhi brillava una sicurezza che non seppe interpretare, pertanto annuì semplicemente, rimanendo fermo dove si trovava.

Volse lo sguardo, osservando il mutare dei colori di Londra che, via via, si tingevano di scuro. Mentre la porta si apriva con un cigolio appena percettibile ed un fruscio di abiti gli fece capire che si stavano abbracciando, e che lo stavano facendo ancora sulla soglia.

Senza essersi parlati, senza niente altro che non fossero i loro sguardi.

 
Continua...
   
 
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