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Autore: 1rebeccam    11/11/2013    15 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 6

 
 
Dopo aver fatto il punto della situazione con il capitano, che per la prima volta ha perfino concordato con lui, Castle resta  imbambolato ad osservare la lavagna, i suoi occhi sono fissi e attenti sulla scritta.
Con la fronte corrucciata e le mani incrociate sulle gambe, continua a leggere e rileggere quelle strane parole.
-Tu credi davvero che potrebbe essere un seriale?-
Chiede improvvisamente Beckett mettendo da parte il fascicolo che sta studiando. Rick si gira a guardarla e lei si alza per raggiungerlo e sederglisi accanto, nella stessa posizione.
-Tu no?!-
Le risponde serio.
-Non lo so. Forse l’ha davvero seguita per diversi giorni, magari settimane e poi…-
Lascia a metà la frase perché lui scuote la testa.
-Vorrei tanto sbagliarmi, ma quel messaggio non è indirizzato a Geraldine e se vuoi saperla tutta, non sembra nemmeno un messaggio qualsiasi… è una minaccia…-
Lei annuisce.
-…per la prossima vittima!?-
-Può essere. Anche se leggerla mi ha dato una strana sensazione: uccide Geraldine per minacciare la prossima eventuale vittima. Che significa? Sembra quasi che l’unico movente di questo omicidio sia proprio il messaggio che le ha scritto addosso.-
Lei si gira a guardarlo di scatto, le sue parole le hanno provocato un sussulto che ha cercato di celare, la stessa sensazione di ansia che si è portata dietro tutto il giorno.
-Cioè l’avrebbe uccisa solo per lasciare una minaccia!? Castle è assurdo!-
-Non più assurdo del modo in cui l’ha uccisa!-
Risponde lui sospirando, mentre lei passa lo sguardo dalla foto sorridente di Geraldine Prescott a quella del suo cadavere steso sul letto del suo appartamento.
-E poi…-
Continua lui bloccandosi subito dopo, richiamando la sua attenzione.
-E poi cosa?-
-Non so se lo hai notato, ma Geraldine…-
-Ehi Beckett!-
Castle viene interrotto da Esposito e sospira pesantemente, mentre insieme si girano verso di lui.
-E’ arrivata la collega della Prescott, lei e il fidanzato sono nella saletta.-
Beckett annuisce e si passa le dita sulle tempie, alzandosi dalla scrivania.
-Bene… affrontiamo anche questa!-
Guarda Castle che le sorride e lei gli fa cenno con la testa di seguirla.
Prima di entrare si sofferma a sbirciare dal vetro della porta, una ragazza dai capelli lunghi e neri è accoccolata sulla spalla di un giovane che vede solo di spalle.
Fa un sospiro e apre la porta decisa. La ragazza fa per alzarsi, ma lei la blocca con un gesto della mano.
-Stia pure comoda, sono il detective Beckett signorina Benton e lui è un nostro consulente, Richard Castle.-
Jessica Benton le porge la mano rimettendosi comoda sul divanetto, restando a fissarla per qualche secondo. Si morde le labbra quando si rende conto che anche lei la sta fissando dubbiosa e china la testa.
-Mi scusi, non intendevo fissarla… solo che quando è entrata… io… ho avuto la sensazione che… insomma lei…-
Beckett le si siede di fronte e corruccia la fronte.
-Io cosa?-
La ragazza scuote la testa e arrossisce visibilmente.
-Niente, per un attimo ho pensato… ho avuto l’impressione che lei somigliasse a Geri, ha lo stesso colore dei suoi occhi…-
Sussurra continuando ad arrossire e Castle resta gelato sul posto, senza riuscire a muovere un muscolo, visto che due minuti prima, quando è stato interrotto da Esposito, stava per dirle esattamente la stessa cosa.
-Lui è Gordon, il mio fidanzato.-
Dice alla fine, cercando di togliersi dall’imbarazzo, mentre Castle riprende a respirare e prende posto accanto a Beckett, non potendo  fare a meno di rattristarsi guardando gli occhi della ragazza. Nonostante le ore passate a casa a riposare, sono ancora gonfi per il pianto.
-Mi spiace per stamattina detective, so che avrebbe voluto parlare con me subito, ma… ma io proprio…-
Si ferma deglutendo, cercando di non piangere e Beckett le poggia una mano sul ginocchio.
-Non importa, capisco benissimo cosa prova e so anche che parlare con me può non sembrare importante, ma lo è… mi creda.-
La giovane donna la guarda seria, riesce a ricacciare indietro le lacrime e annuisce, tenendo stretta la mano del suo ragazzo.
-Certo… anche se non so quanto io possa esservi utile, ho già raccontato ad un agente come ho scoperto il suo…-
-Sappiamo già di stamattina, io vorrei sapere altro. Lei e Geraldine eravate molto amiche, la conosceva bene?-
Le chiede Beckett sporgendosi verso di lei con le braccia poggiate sulle ginocchia e Jessica solleva le spalle.
-Siamo cresciute come sorelle, eravamo vicine di casa da bambine e non siamo mai state separate per più di due giorni dopo il primo giorno di scuola, alle elementari. Quando Gordon si è trasferito a New York per lavoro, ha saputo che cercavano del personale all’agenzia immobiliare e ci ha avvertite, così abbiamo fatto il colloquio e incredibilmente, ci hanno prese entrambe. Lavoriamo qui da quasi tre anni.-
Kate annuisce e avvicina la sedia alla ragazza.
-Negli ultimi giorni Geraldine le è sembrata diversa? Strana, sospettosa, spaventata?-
Jessica scuote la testa.
-Geri è sempre allegra…-
Si ferma, chiude gli occhi e sospira.
-…era… sempre allegra e anche nei giorni scorsi si è comportata normalmente, anche se… ora che mi ci fa pensare…-
Kate annuisce spronandola a continuare.
-…quando siamo andate a pranzo ieri, si è girata spesso verso la porta del locale, le ho chiesto se stesse aspettando qualcuno e lei ha detto che aveva la sensazione di essere osservata.-
Beckett solleva un sopracciglio guardando di sfuggita Castle, che deglutisce.
-Lei ha notato qualcosa?-
-No, ma nemmeno Geri… si è messa a ridere dicendo che era una cosa stupida ed ha ripreso il pranzo. Può essere davvero che qualcuno la seguisse e io non me ne sia accorta?-
Beckett evita di rispondere ponendole un’altra domanda.
-Quando l’avete vista l’ultima volta?-
-Ieri sera all’uscita dall’ufficio. Gordon ed io l’abbiamo accompagnata in macchina fino alla metro, dalla fermata a casa sua ci sono cinque minuti di strada a piedi. Lo facevamo quasi tutte le sere.-
Gordon stringe la mano della ragazza.
-Qualche volta riuscivamo a convincerla ad accompagnarla fino a casa, a noi non dispiaceva, ma lei non voleva farmi fare avanti e indietro.-
Solleva le spalle scuotendo la testa.
-Chissà, se avessi insistito per accompagnarla ieri sera, forse…-
-L’assassino era appostato sul pianerottolo, anche se l’aveste accompagnata fino al portone, non avreste potuto evitare quello che è successo.-
Il ragazzo annuisce e Jessica china la testa.
-Perché? Chi le ha fatto questo? Geri non ha mai fatto del male a nessuno.-
-E’ quello che voglio scoprire, ha la mia parola che farò di tutto per prenderlo.-
Jessica si stringe ancora di più addosso al fidanzato e Castle deglutisce per l’ennesima volta. Questa discussione lo sta scombussolando più del dovuto e non riesce a capirne il motivo.
-Jessica, lei ha detto che è sicura che non manchi niente dall’appartamento.-
La ragazza annuisce.
-Geri non teneva contanti in casa e quei pochi gingilli d’oro e d’argento che possedeva li conservava in un cofanetto sul comò… ed era al suo posto.-
-A noi risulta che domenica avesse comprato una catenina con un ciondolo in oro bianco, abbiamo trovato lo scontrino sul comodino, ma l’astuccio era vuoto. Pare che l’assassino abbia portato via solo quello, le viene in mente un motivo particolare del perché?-
Jessica corruccia la fronte.
-Non sapevo avesse comprato qualcosa in gioielleria… domenica ha detto?-
Kate annuisce e lei guarda il suo ragazzo dubbiosa.
-Le abbiamo chiesto di venire a pattinare con noi domenica e lei ha detto che non si sentiva bene!-
Lui annuisce sospirando.
-Invece è uscita per comprarti un regalo!-
Esclama sicuro guardando poi Beckett.
-Domani è il compleanno di Jessica e domenica era l’unico giorno libero in cui Geri poteva uscire da sola. Deve aver comprato quel ciondolo per lei.-
La ragazza sembra smarrita.
-Diceva che mi avrebbe regalato una cosa speciale.-
Solleva gli occhi su Beckett quasi ad implorarla.
-Cos’è? Il ciondolo intendo.-
-Una foglia d’edera, la commessa se lo ricordava benissimo perché ne cercava uno da tutto il giorno, ma non riusciva a trovarlo come lo voleva lei.-
-Una foglia d’edera…-
Sussurra quasi tra sé, mostrando un flebile sorriso.
-Le dice qualcosa? Crede potesse avere un significato particolare perché l’assassino lo tenesse con sé?-
-No… non per chi me l’ha portata via, ma per me si. Quando eravamo bambine trascorrevamo l’estate in campagna da mia nonna, la facciata della casa era completamente ricoperta da foglie di edera rampicante, Geri diceva che era come vivere dentro ad un albero. Pochi giorni fa guardavamo delle vecchie foto ed io le ho detto che mi mancava tanto il profumo dell’edera…-
Appoggia la testa sulla spalla di Gordon e sorride.
-Deve aver pensato al ciondolo in quel momento, voleva farmi tornare bambina!-
Beckett guarda Castle, i suoi occhi sono lucidi e, per la prima volta da quando assiste ad un interrogatorio, anche informale, non ha detto una parola.
-Credo che possa bastare signorina Benton, se le venisse altro in mente, mi chiami pure e in qualsiasi momento.-
La ragazza annuisce, ma quando lei sta per alzarsi la ferma, mettendole una mano sulla sua.
-Detective Beckett, posso farle io una domanda?-
Kate annuisce e Jessica si schiarisce la voce, come imbarazzata.
-Come… come si supera?-
Lei corruccia la fronte non riuscendo a capire il senso.
-Prima ha detto che capisce benissimo cosa provo, non era una frase di circostanza, l’ho visto dai suoi occhi che era sincera. Lei capisce davvero il mio dolore, il vuoto che sento per la morte di Geri… perciò le chiedo: come si supera una cosa del genere?-
Kate stringe le labbra e guarda il pavimento per un attimo, riportando lo sguardo subito dopo su Jessica.
-Non si supera!-
La ragazza deglutisce e Castle si ritrova a trattenere il respiro.
-Si continua a vivere, si va avanti, ma non si supera. Se poi l’assassino viene preso è più facile farsene una ragione, per questo non lascerò niente al caso pur di arrestarlo… per dare giustizia a Geraldine e un po’ di pace a chi le ha voluto bene.-
Guarda le mani intrecciate dei due ragazzi, Gordon non ha smesso di stringere quella di Jessica con la sua, nemmeno per un attimo, poi guarda Castle e sorride.
-E se hai la fortuna di avere vicino qualcuno che cammina con te nella tua stessa direzione, puoi anche pensare di riuscire a lasciarti  il dolore alle spalle.-
Jessica le stringe le mani e sorride tra le lacrime.
-Grazie…-
-Di cosa? Non l’ho ancora arrestato!-
Esclama Kate sorridendo dolcemente.
-Per essere stata sincera! Geraldine è in buone mani.-
Si alza prendendo per mano il fidanzato e Rick apre loro la porta, ma la ragazza si gira a guardare ancora Kate.
-Se trovaste il ciondolo…-
Kate annuisce, comprendendo immediatamente la domanda della ragazza.
-Sarebbe una prova, ma le prometto che una volta chiuso il caso, glielo farò avere personalmente.-
Jessica li saluta con un cenno del capo, Rick sta per uscire dietro di loro, ma Kate lo ferma prendendolo per un braccio. Chiude la porta e lo spinge verso il muro, lontano da occhi indiscreti.
-Abbracciami…-
Sussurra mentre si appoggia a lui che la stringe, baciandole i capelli.
-Grazie!-
Continua a sussurrare sul suo collo. Solleva la testa quando lui la allontana di poco da sé, chiedendole tacitamente per cosa lo stia ringraziando e lei lo bacia sulle labbra.
-Perché cammini con me nella mia stessa direzione…-
 
Un paio di ore dopo i dettagli sulla lavagna non sono aumentati. L’unico in più è la sensazione della vittima di essere osservata.
Ma come si fa a mettere tra gl’indizi una sensazione?
Kate continua a chiederselo, perché ha provato la stessa cosa anche lei una volta arrivata sulla scena del crimine.
Presa dalle indagini all’interno del distretto, si sente più tranquilla; quel senso di ansia che ha provato per metà della mattinata sembra averla abbandonata, ma non riesce comunque a non pensarci.
Chissà se Geraldine si è guardata alle spalle rientrando a casa in quei cinque minuti di strada a piedi, chissà se si è pentita di non avere accettato il passaggio offertole da Gordon fino a casa. Quando è entrata nel palazzo si sarà sentita sicuramente sollevata, dopotutto era riuscita ad arrivare a casa sana e salva, eppure la morte l’aspettava esattamente lì, dove doveva sentirsi al sicuro.
Scuote la testa sui conti bancari e i tabulati telefonici che sta studiando; spulcia dentro la vita di una giovane donna che, qualche giorno prima, era felice solo perché era riuscita a trovare una foglia d’edera in oro bianco da regalare alla sua migliore amica.
Si passa la mano tra i capelli e inarca la schiena.
Hanno pranzato con cibo da asporto in mezzo a quelle carte, non si sono più mossi dalle loro postazioni dopo essere rientrati e adesso, sollevando la testa e guardando per l’ennesima volta verso la finestra lontana da lei, si rende conto che è già pomeriggio inoltrato e che non hanno trovato ancora niente di concreto. Non è stanca fisicamente, si sente stanca mentalmente. Quello stato di ansia che sembra scemato, l’ha tenuta carica di adrenalina e adesso, rilassandosi, si sente sfinita. Oppure è proprio quel particolare caso che l’ha stancata?
E’ inquietudine quella che provo?
E se è così, perché quel caso la inquieta?
Dovrebbe essere un omicidio come tanti, invece lei si sente vicina a Geraldine come se l’avesse conosciuta e Castle prova la stessa cosa, lo ha dimostrato sulla scena del crimine pensando che era solo una ragazzina e non riuscendo ad aprire bocca davanti a Jessica e al suo fidanzato.
E’ seduto dall’altra parte della scrivania a controllare scartoffie anche lui, ma di tanto in tanto posa lo sguardo su di lei, lo sente anche senza guardarlo. La osserva, la tiene d’occhio. Vuole ancora sapere cosa le succede e fino a che non glielo dirà, non se lo toglierà di torno.
Ryan ed Esposito stanno passando al setaccio i conoscenti e i colleghi: telefonate, conti bancari, abitudini, familiari. Nessuno aveva conti in sospeso con lei, nessuno aveva, apparentemente, motivo di ucciderla e la ricerca di una persona sospetta davanti al locale dove avevano pranzato le due ragazze il giorno prima, era stata un buco nell’acqua.
L’assassino l’ha scelta per un motivo, un motivo che al momento le sfugge, ma non vuole pensare che Castle possa avere ragione. Non può averla uccisa solo per nascondere quella strana frase sul suo corpo, è una cosa inaudita. Perché non mandare una lettera, perché non scriverlo a caratteri cubitali su un muro o in rete?
Chiunque scrive cose insensate usando internet…
Il campanello dell’ascensore la riscuote dai suoi pensieri e resta stupita nel vedere Lanie avvicinarsi alla sua scrivania.
-Come mai da queste parti dottoressa?-
Lei solleva una carpetta che ha in mano e sorride.
-Ieri sera sono rimasta in obitorio per un altro caso, non vedo il letto da 36 ore, così ho pensato di portarvi i referti sulla morte di Geraldine Prescott di persona e poi, se non succede altro, direttamente da qui me ne vado a casa!-
Kate le sorride e chiama a raccolta tutta la squadra.
-Come supponevo Geraldine Prescott è stata soffocata con il cuscino, c’erano tracce di saliva sulla federa, evidentemente ha aperto la bocca cercando di respirare. Le analisi tossicologiche sono positive allo Zolpidem, è un sedativo definito ipnotico, in forte quantità immobilizza la vittima, ma la lascia abbastanza cosciente.-
La Gates prende posto su una delle sedie accanto alle scrivanie.
-Quindi l’ha immobilizzata con una droga che comunque l’ha tenuta sveglia e poi l’ha messa a letto per soffocarla? Questo modus operandi è sempre più strano.-
Lanie annuisce e distribuisce le copie dei referti ai colleghi.
-Non è tutto. Non l’ha uccisa subito. Dalle analisi risulta che, quando è morta, la droga era già stata assorbita in gran parte dall’organismo, significa che ha aspettato un po’ prima di soffocarla.-
Beckett si alza e si avvicina all’amica.
-Quanto credi l’abbia tenuta in vita sotto l’effetto della droga?-
-Mezz’ora o giù di lì.-
Ryan scuote la testa.
-Vuol dire che ha avuto paura del suo assassino per mezz’ora prima che finisse il suo calvario?-
-Che stronzo!-
Esclama Esposito, scusandosi subito dopo con il capitano per il linguaggio usato.
-Secondo la ricostruzione della scientifica, unita ai miei risultati, dopo averla messa a letto, lei deve aver pianto sbavandosi il viso con il trucco, c’erano tracce di mascara e di lacrime sul cuscino dove poggiava la testa. Lui le ha ripulito il viso con il latte detergente, poi ha fatto qualcos’altro e dal modo in cui abbiamo trovato l’appartamento, direi che si è preso la briga di pulire e lucidare ogni cosa, soprattutto nella camera da letto. Solo dopo l’ha soffocata, mentre lei era cosciente di quello che le stava per fare.-
Castle chiude gli occhi e stringe le mani incrociate sulla scrivania, mentre nel silenzio che si è venuto a creare, Lanie continua.
-Per quanto riguarda la frase, secondo il perito calligrafo, è stata scritta con la mano sinistra mentre Geraldine era ancora viva.-
-Come fa ad essere certo che non l’abbia scritta dopo averla soffocata?-
Le chiede Beckett e Lanie prende una delle foto dalla sua carpetta e gliela mostra.
-Vedi queste sbavature? Ha cercato di scrivere correttamente, in bella grafia, ma non ha potuto evitare queste.-
Dice continuando a mostrare le piccole sbavature su alcune lettere.
-Il movimento del respiro, affannato sicuramente per la paura, lo ha fatto tremolare nella scrittura.-
Ripone la foto e sistema i documenti nella borsa.
-Tutto qui dottoressa Parish?-
Chiede il capitano alzandosi e Lanie annuisce.
-Si signore, purtroppo la scientifica non ha niente di concreto. Come ho già detto, in camera da letto non hanno trovato impronte e nelle altre stanze ce ne sono di una decina di tipi. Stanno controllando, ma non credo che troveremo quelle del nostro assassino. Non hanno trovato nulla nemmeno sul pianerottolo, impronte, fibre… niente di niente!-
La Gates storce i naso, prende gli incartamenti e si ritira nel suo ufficio, mentre Lanie si rivolge a Kate.
-Mi dispiace dolcezza.-
-Non è colpa tua Lanie, va pure al tuo meritato riposo.-
La dottoressa si congeda dai colleghi e Kate scrive le poche novità sulla lavagna.
-L’unica cosa in più che sappiamo adesso è che l’assassino è mancino e scrive grammaticalmente corretto ed in corsivo. L’ha lasciata in vita per circa mezz’ora mentre ripuliva tutto e scriveva sul suo corpo.-
Posa il pennarello e resta a guardare quello che ha scritto.
-Ha aspettato che fosse abbastanza vigile, voleva che lo vedesse, che capisse cosa stava per farle… si è divertito con lei.-
Castle sospira attirando su di sé lo sguardo di Beckett, Ryan ed Esposito.
-E’ freddo! Questa sua attesa mostra solo freddezza, nessuna paura della paura altrui… nessun dubbio o ripensamento. Aveva un obiettivo e lo ha portato a termine.-
Restano un momento in silenzio a metabolizzare le parole di Castle, che ha appena fatto il profilo di un uomo che non ha paura di uccidere, al contrario, sembra proprio divertirsi.
-Questo tizio ucciderà ancora!-
Sussurra Beckett senza togliere gli occhi dalla fotografia di Geraldine Prescott, sentendo l’ansia che l’aveva quasi abbandonata, bussare di nuovo dentro di lei.
 
 
Rientrando in casa, posò le chiavi sul mobiletto all’entrata. Si tolse il giubbotto con lo stemma della Raimbow Foods e lo appese nella cabina armadio accanto alla porta, insieme al cappellino con la visiera. Sbirciò dalla tendina della finestra per vedere se la vicina di casa si fosse tolta dai piedi, odiava dover essere gentile con gli sporadici incontri che non poteva evitare.
Aveva scelto con cura il posto in cui avrebbe scritto il suo libro, la casa era accogliente e poteva starsene da solo senza dare conto del suo operato a nessuno.
Si… aveva scelto molto bene, era bastato fare quello che sapeva meglio: guardare, osservare, memorizzare, aspettare.
Se non fosse stato per i vicini… doveva stare attento a comportarsi in modo normale e non destare sospetti.
Si diresse direttamente in bagno, staccò con cura il pizzetto e il neo finto sopra lo zigomo sinistro, riponendoli nei loro contenitori. Si tolse le lentine scure mettendole nel liquido apposito per la pulizia e dopo essersi sciacquato il viso, mise un paio di gocce di collirio per rinfrescare gli occhi. Avrebbe dovuto trasformarsi a breve, ma aveva bisogno di un’ora per riposare il viso.
Si osservò allo specchio.
Era bravo…
Sorrise.
Era stanco, ma sorrise compiaciuto.
Entrò in cucina lasciando che la casa fosse illuminata solo dalla luce dei lampioni in strada, che entrava attraverso la finestra e accese la televisione, sintonizzando l’apparecchio sul TG delle 18.30.
La notizia dell’assassinio di Geraldine Prescott doveva essere sui teleschermi da tutto il giorno, ma lui aveva avuto tanto da fare e non era riuscito a godersi il notiziario.
Continuò a sorridere mentre la giornalista spiegava le modalità dell’omicidio, sottolineando il fatto che la polizia, a quasi dodici ore dal ritrovamento del cadavere, brancolava ancora nel buio.
Spense la televisione e aprì il frigo. I suoi occhi furono illuminati dalla luce proveniente dall’interno dell’elettrodomestico e da un lampo di soddisfazione. Stappò una birra, si diresse nello studio e, sistemandosi davanti al pc, si mise a fissare la pagina vuota dell’epilogo, con lo stesso sguardo di fuoco.
Bevve un lungo sorso di birra, con un gesto lento poggiò la bottiglia sulla scrivania e chiuse gli occhi appoggiando la schiena alla spalliera della poltrona, assaporando quella giornata.
Era stato a pochi passi da lei fino all’ora di pranzo.
L’aveva osservata, ed era compiaciuto del fatto che fosse sempre affascinante, con quel suo modo di muoversi elegante, sempre attenta ad ogni piccolo indizio, sempre pronta a capire.
L’aveva vista alzare il nastro giallo davanti al portone del palazzo della sua vittima e girarsi di scatto verso di lui.
Aveva notato i suoi occhi diventare due piccole fessure pronte a captare lo sguardo che sentiva addosso.
L’aveva seguita fino al centro commerciale dove aveva trovato il suo primo angelo, l’aveva scrutata ancora da dietro la vetrina del bar di fronte alla gioielleria, aveva guardato le sue labbra carnose muoversi silenziosamente, mentre interrogava la commessa. I capelli erano più lunghi ed era ancora più bella di come la ricordava.
Era più donna!
Anche uscendo dal negozio si era soffermata a guardarsi intorno, aveva corrucciato la fronte più volte e più volte era riuscito ad intravedere quella rughetta in mezzo alla fronte che la faceva apparire confusa.
Aveva continuato a starle dietro fino a quando si era rinchiusa al distretto per continuare le indagini.
-Indagini che ti porteranno a niente, finchè non sarò io a deciderlo.-
Con gli occhi ancora chiusi sul ricordo della giornata, abbozzò un sorriso.
Viveva solo alimentato dall’amore-odio che provava per quella donna, lei gli dava una ragione per vivere ed era eccitato, perché sapeva che aveva avvertito una strana sensazione per tutto il tempo che lui le era stato vicino.
Lei lo aveva sentito accanto a sé tutto il giorno.
Forse era davvero il fato! Loro erano uniti da qualcosa d’invisibile e lo aveva percepito anche lei.
Sorrise ancora al solo pensiero.
-Bene… è esattamente così che deve essere…-
 
 
-Si può sapere che fai ancora su quelle carte?-
Rick sobbalza alla voce di Kate appena uscita dall’ufficio del capitano Gates. La guarda corrucciando la fronte non riuscendo a capire, dovrebbe essere evidente il perché sta ancora studiando quelle scartoffie. Lei gli sorride vedendolo spaesato.
-Sono quasi le otto… credevo fossi già impaziente di andare, Alexis ti starà aspettando!-
Lui guarda l’orologio e si alza di scatto davanti a lei.
-E’ già così tardi? Stavo rileggendo tutto e ho ricontrollato le foto e…-
Fa segno indicando la lavagna, ma Kate lo ferma.
-Castle è tardi, anche per me. Riprenderemo domani.-
Lui continua a guardare le foto e sembra assente, perché si gira ancora di scatto, quando lei gli mette la mano sulla spalla.
-Che c’è che non va Castle?-
-Questa domanda l’ho già fatta io parecchie ore fa… e non ho ancora ricevuto una risposta.-
Le risponde sorridendo. Lei abbassa lo sguardo, ma torna a guardarlo subito dopo perché lui riprende a parlare.
-Non serve che mi rispondi comunque, so già cosa ti ha infastidito per tutto il giorno.-
La guarda serio e lei non riesce a distogliere lo sguardo.
-Ho visto la tua espressione quando Jessica Benton ha detto che Geraldine aveva l’impressione di sentirsi osservata. Hai provato la stessa cosa anche tu tutto il giorno.-
-Io… non mi sentivo osservata!-
-Ah no?!-
Lei scuote la testa e lui la ferma sollevando la mano.
-Ok… ok… non lo ammetterai mai, perché non credi a niente che non possa essere comprovato, ma credimi, le sensazioni sono importanti. Sono come i sogni, è il nostro subconscio che cerca di dirci qualcosa.-
Lo guarda mentre fissa ancora il viso sorridente di Geraldine Prescott. I suoi lineamenti sono contratti, è preoccupato, lo dimostra il fatto che è rimasto a leggere quello che lui definisce scartoffie e che odia ardentemente, senza accorgersi che stava tardando ad un appuntamento con sua figlia.
-D’accordo Castle, allora dimmi perché sei tu adesso ad avere una strana sensazione… perché è di questo che stiamo parlando!-
Lui annuisce e si mette le mani in tasca.
-Perché questo omicidio non ha senso, ma solo per noi. Perché l’assassino ha scelto Geraldine Prescott, ma non a caso. L’ha scelta con una cognizione di causa che conosce solo lui, ma che è il bandolo della matassa. Perché ci sarà un’altra vittima ed io ho il terrore di scoprire chi potrebbe essere.-
Lei lo ascolta in silenzio e all’ultima affermazione corruccia ancora la fronte.
-Andiamo Kate, non dirmi che tu non lo hai notato. Se n’è accorta anche Jessica Benton che Geraldine ti somiglia!-
-Castle…-
Cerca di ribattere, ma lui la ferma ancora scuotendo la testa.
-L’ho notato subito quando Ryan ha appeso la foto di lei viva sulla lavagna, stavo per dirti questo quando Esposito ci ha interrotti oggi pomeriggio. Guardala Kate. Occhi verdi, capelli castani… potresti essere tu qualche anno fa!-
Sospira guardandola dritto negli occhi.
-E se quella frase l’avesse nascosta sul suo corpo perché doveva essere letta solo dalla sua prossima vittima? Un poliziotto… tu!?-
Kate si passa le mani tra i capelli e si siede sulla scrivania.
-Castle… non siamo l’unica squadra omicidi del 12° distretto, la chiamata al 911 poteva essere presa da uno qualunque dei nostri detective… e ci sono milioni di donne a New York che mi somigliano! Spero tu ti renda conto che quello che stai pensando è stupido e senza senso!-
Lui annuisce e le si avvicina.
-E’ vero… ma…-
Lei gli mette una mano sulle labbra e scuote ancora la testa.
-Niente ma. E’ un omicidio come tanti altri. Ora devi andare a casa, tua figlia ti sta aspettando!-
Rick sbuffa e china la testa, sapendo di non poterla spuntare con lei. Non al momento almeno.
-Sicura che non vuoi unirti a noi?-
Tenta ancora una volta e lei sorride facendo una smorfia con le labbra.
-Va bene… vado, ma tu? Hai chiamato tuo padre?-
Lei alza gli occhi al cielo.
-No. Me ne sono dimenticata. Ormai avrà già cenato, va a letto con le galline!-
Dice abbozzando una risata e Castle solleva le spalle.
-Dov’è il problema? Compra una pizza e va a mangiarla sul suo divano!-
Lei lo guarda divertita.
-Una pizza da mangiare sul suo divano?-
-Sicuro! Io sarei felice se mia figlia mi piombasse a casa all’improvviso, solo per usare il mio divano e stare in mia compagnia!-
-Dì un po’… perché insisti tanto che io vada da mio padre?-
-Così sono sicuro che non cercherai altra compagnia!-
Lei gli dà un pugno sulla spalla.
-Lo sai che potrei anche offendermi per quello che hai detto?-
Lui ride di gusto e lei lo segue a ruota annuendo.
-Va bene… lo chiamerò appena te ne sarai andato… sei già in ritardo.-
Castle guarda verso l’ufficio del capitano, le veneziane sono chiuse ermeticamente, ma lei è ancora dentro a lavorare.
-La Gates è ancora qui! Non va mai a casa quella?-
Kate continua a ridere, lo spinge via e lui solleva le mani davanti a lei.
-Ok… ho capito! Me ne vado… beh… allora…-
La guarda serio e le porge la mano, lei ricambia lo sguardo e gliela stringe.
-…a domani Beckett!-
-A domani Castle!-
-Ehm…-
Esposito si schiarisce la voce con uno ghigno divertito stampato sulle labbra e loro alzano gli occhi al cielo contemporaneamente.
-Gente dovremmo mettere a posto questi fascicoli!-
Esordisce continuando a ghignare, battendo la mano sulla spalla di Ryan, che invece deglutisce preoccupato.
-Accidenti! Ma non andate mai a casa nemmeno voi due!?-
Sbuffa Castle staccando la mano da quella di Kate, che invece li fulmina con lo sguardo.
-Allora smettetela di fare gli inebetiti tutti e due e rimettete in ordine!-
I ragazzi scattano sull’attenti, Castle si porta la mano a mò di cornetta all’orecchio e poi le fa segno, dandole ad intendere che l’avrebbe chiamata dopo, dirigendosi all’ascensore. Lei lo segue fino a quando si chiudono le porte.
Prende il telefono digitando un numero e aspetta che l’interlocutore risponda.
-Ciao papà… sono io…-
 
 
Era ancora rilassato sulla poltroncina girevole, con gli occhi chiusi a pensare alla sua giornata.
Sorrise a se stesso, aprì il secondo cassetto della scrivania e guardò il ritaglio di giornale in bella vista al suo interno.
Nonostante il tempo trascorso era ancora perfetto, sembrava fosse stato ritagliato solo il giorno prima.
Lo teneva con cura, dentro una copertina trasparente per evitare che si sgualcisse o si strappasse.
Passò le dita sopra il viso della donna ritratta, sentendo una fitta al petto per il dolore provato quel giorno.
Digrignò la mascella e sospirò pesantemente.
Dentro lo stesso cassetto aveva conservato il suo piccolo tesoro. Prese la scatolina tra le mani e la aprì per guardare il suo interno ancora una volta.
Sfiorò la boccettina con la punta delle dita e si sentì mancare il respiro, tanto era eccitato.
Aveva pensato alla trama da subito, l’aveva raccontata e descritta al Professore fino alla nausea, dicendogli che lui sarebbe stato l’anello più importante della sua catena di vendetta.
Il Professore non lo aveva deluso, gli aveva telefonato qualche giorno prima dicendogli che era tutto pronto, gli aveva spiegato come avrebbe dovuto agire e adesso quella manna, era lì nelle sue mani.
Strano come un oggettino di vetro della grandezza di un centimetro quadrato, potesse farlo sentire il padrone del mondo.
Richiuse la cassettina di legno e la ripose sopra il ritaglio di giornale, era tardi e aveva ancora del lavoro da fare prima che la serata finisse.
Dalla tasca dei pantaloni prese il ciondolo a forma di edera e i suoi occhi luccicarono di nuovo.
Aveva pensato che per scrivere il suo secondo messaggio sarebbe stato poetico usare l’amica di Geraldine, quella a cui avrebbe dovuto regalare la foglia d’edera, ma purtroppo per lui, Jessica era si, una bellissima ragazza, ma gli occhi scuri non erano i ‘suoi’, così era dovuto andare in cerca di un altro angelo dagli occhi verdi.
Si era imbattuto in lei per caso, era uscita di corsa dall’ufficio e lo aveva praticamente investito buttandogli addosso dei faldoni che teneva tra le braccia. Si era scusata, mortificata per come lo aveva scaraventato in terra e lui l’aveva aiutata a raccogliere le carte sparse per tutto il marciapiedi. Si erano alzati insieme, lui cercava di tenere il viso il più nascosto possibile per non dare nell’occhio, ma quando l’aveva guardata, era rimasto incantato.
Aveva gli occhi dello stesso colore.
Era lei… l’aveva trovata!
La fortuna era dalla sua parte, non credeva che ce l’avrebbe fatta in un solo batter di ciglia e che gli sarebbe caduta praticamente tra le braccia.
Anche questo poteva definirsi poetico, dopotutto.
La donna gli sorrise scusandosi ancora e si allontanò, naturalmente con lui alle calcagna.
In meno di un paio d’ore aveva saputo tutto quello che gli serviva, anche come e dove avrebbe colpito.
Spense il computer, rientrò in bagno e con cura spennellò la colla sul pizzetto per attaccarlo con precisione ancora una volta sul viso.
La stessa cosa fece con il neo finto e infine si rimise le lentine.
Doveva usare la stessa faccia per quella sera.
Si diresse all’entrata e prese lo zaino nero dalla cabina armadio, controllò che avesse tutto ciò di cui aveva bisogno e indossò l’impermeabile scuro e il cappello a falda larga.
Uscì dalla finestra che dava sul cortile interno della casa per non essere visto dai vicini curiosi, saltò il muro di cinta e con lo zaino in spalla, si autoproclamò fautore del destino del suo secondo messaggero.


Angolo di Rebecca:

Capitolo lunghetto, me ne rendo conto, ma dividerlo in altro modo, non andava bene per dopo :)
Castle comincia ad avere una strana teoria, che mette in ansia anche lui.
Le indagini proseguono senza molto successo e il nostro caro amico si prepara per un secondo messaggio...
Che altro dire?
Grazie per il vostro affetto *-*

 
  
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