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Autore: Fanelia    12/11/2013    5 recensioni
Questa storia parte dalla fine del manga/anime che dir si voglia e sviluppa una what if, anche su alcune informazioni lette in rete sul Final Story. E' una what if in cui uno dei protagonisti soffre di amnesia a causa di un incidente e solo grazie al ritorno nella sua vita del suo grande amore, ricomincerà a riappropriarsi di frammenti del proprio passato.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXVII
 
Al mio via, scatenate l’inferno
 


Colonna sonora del capitolo  


"Vero e unico creatore di bene è l'affetto, l'affetto naturale che scorre quieto ma inesauribile, a portare i freschi ruscelli della vita; mentre la passione o è fiamma che dissecca o è un tormentaccio rovinoso, che assorda, trascina, devasta."
Emilio De Marchi, Giacomo l'idealista, 1900

 
Il mese di settembre trascorse in relativa tranquillità.
Candy continuava le sue lezioni di musica che erano decisamente un buon pretesto per vedere Terence tutti i giorni.
Era andata a teatro sporadicamente, per evitare di fornire ai giornalisti materiale di cui parlare.
Anche se non ne avevano discusso apertamente, avevano entrambi preferito optare per un certo grado di discrezione pur non lasciando che ciò influisse sulla loro relazione e le loro scelte.
Candy, Albert e Archie erano sempre in allerta a causa dell’avvertimento di Patrick: attendevano che i Griffiths colpissero.
Erano abbastanza certi che, tenendo gli occhi ben aperti, qualsiasi cosa stessero architettando quei biechi personaggi, sarebbero stati in grado di reagire prontamente.
Albert e Archie avrebbero dovuto assentarsi per lavoro, per circa una decina di giorni e a nessuno dei due piaceva l’idea di lasciare le due giovani da sole.
Temevano che i Griffiths potessero colpire approfittando di un momento di debolezza, proprio durante la loro assenza.
 
Qualche giorno prima che Albert partisse, finalmente Karen lo invitò a cena a casa sua, per presentargli i suoi genitori. Quando varcò la soglia di Villa Klays, quella sera, si sentì stranamente emozionato. Sapeva che avrebbe avuto l’occasione di chiedere la mano di Karen e la cosa in parte lo preoccupava, specie dopo tutto ciò che i giornali avevano scritto in quei mesi sul loro conto.
“Sei pronto?” gli chiese lei accogliendolo nel salone centrale.
“Dovrei preoccuparmi?” chiese lui di rimando, ridacchiando nervosamente.
“Che io sappia, i miei genitori non hanno mai mangiato nessuno.” tentò di scherzare lei per smorzare la tensione.
“Veramente mi riferivo alle foto sui giornali.”
“Avrai modo di dare loro spiegazioni nel caso.” gli rispose lei con un tono pacato e sereno, rivolgendogli un radioso sorriso.
Lei non era particolarmente preoccupata ma piuttosto curiosa di sapere come mai Albert avesse voluto procedere con le presentazioni ufficiali.
In cuor suo sperava di aver immaginato correttamente le motivazioni che potevano averlo spinto a ciò ma, infondo, temeva di lasciare che la propria mente si librasse alta nel cielo delle illusioni e delle speranze.
L’imbarazzo iniziale di Albert fu subito cancellato dalla cortesia con cui i Signori Klays lo misero a proprio agio.
“Quindi mi pare di capire che veniate da Chicago e vi siete trasferiti a New York per seguir gli affari di famiglia?”
“Esattamente. Il sindaco ha affidato alle industrie Andrew i lavori di ristrutturazione e ampliamento della città.”
”Un bel colpo, complimenti!” si lasciò scappare il padre di Karen.
“Non posso lamentarmi.” rispose Albert cercando di reprimere una risata.
“Karen mi raccontava che vi siete conosciuti tramite un amico comune.”
“Sì, immagino che lo conosca, Terence Graham, il collega di Karen.”
“Quello scontroso e schivo? E chi non lo conosce? Peraltro, come potrei dimenticare quella giovane che si sacrificò per salvargli la vita,  che è morta da non molto se non erro?” disse il signor Klays ma Karen lo interruppe bruscamente.
Odiava parlare di quell’argomento col padre, la vedevano troppo diversamente in merito.
“Possiamo evitare di parlare di Susanna? Lasciamo che riposi in pace.” tagliò freddamente lei.
 
Il resto della serata proseguì fra chiacchiere del più e del meno.
Terminata la cena, il padre di Karen invitò Albert ad unirsi a lui per un whiskey e un sigaro. Albert sapeva che si stava avvicinando il momento clou e deglutì a fatica.
Era un importante uomo d’affari, sicuro di sé quando voleva, però dover chiedere la mano dell’unica figlia  ad un padre sicuramente protettivo, era tutta un’altra storia.
“Voleva parlarmi di qualcosa immagino?” gli chiese il signor Klays dopo avergli porto whiskey e sigaro.
Albert sorseggiò quel liquido color ambra chescendendo in gola gliela bruciò leggermente, prima di cominciare.
Aveva ripassato quel discorso mentalmente svariate volte, eppure in quel momento le parole sembrarono morirgli in gola.
“In realtà, avrei a cuore di poter chiarire con lei di tutte le foto, gli articoli di giornale e le illazioni che sicuramente avrà avuto modo di vedere e leggere ultimamente riguardo me e sua figlia.”
“Non presto loro molta attenzione se devo essere sincero. Avendo una figlia che lavora nel mondo dello spettacolo, ho imparato a non credere propriamente a tutto ciò che leggo ed è mia consuetudini verificare con Karen quando mi imbatto in notizie che la riguardano.”concluse pacificamente il signor Klays.
Albert non sapeva come interpretare quelle parole. Da un lato avrebbe voluto sentirsi tranquillizzato, dall’altro continuava a sentirsi nervoso.
“Signor Klays, a me preme rassicurarla che non farei mai nulla per infangare la reputazione di sua figlia, motivo per cui avrei desiderato intrattenere questo colloquio privato con lei. Ho intenzioni serie nei confronti di sua figlia e vorrei la sua benedizione. Forse le sto chiedendo troppo, del resto non mi conosce affatto, ma ho pensato di chiedere a lei, prima ancora che a Karen, la sua mano.” disse lui tutto d’un fiato, senza mai abbassare lo sguardo.
Il signor Klays tacque per qualche istante prima di scoppiare in una fragorosa risata che sorprese Albert.
“Mi perdoni signor Andrew, è solo che mi sembra una cosa così all’antica, ma l’apprezzo molto.
Vede Albert, posso chiamarla così vero? Dicevo, se mia figlia dovesse accettare la sua proposta, beh, allora avrà la mia benedizione. Non mi sognerei mai e poi mai né di impedire a mia figlia di sposare chi desidera né tanto meno di imporle una persona che non desidera.”
“Capisco. Avrei intenzione di chiedere a sua figlia di sposarmi ma non prima del mio ritorno dal prossimo viaggio. Come può immaginare, per me è una cosa molto importante e vorrei potervi dedicare l’attenzione che merita. Non voglio assolutamente , nel caso sua figlia dovesse acconsentire e rendermi un uomo felice, che le nostre eventuali nozze possano passare in secondo piano.”
“Mi sembra molto sicuro dei propri sentimenti e di quelli di mia figlia.”
“Dei miei sono più che certo.” rispose lui.
“Bene, direi che possiamo tornare dalle nostre dame?”
“Certamente.” rispose Albert ed entrambi si alzarono per dirigersi nuovamente verso il salotto.
Karen aveva lanciato diverse occhiate nella direzione dello studio del padre e aveva atteso col cuore in gola di vederli riemergere da quella stanza.
Quando li vide tornare rilassati e sorridente, pensò che, qualsiasi fosse stato l’argomento della loro conversazione, la chiacchierata doveva aver assunto toni del tutto amichevoli.
Era molto curiosa di sapere cosa si fossero detti ma era certa che nessuno di loro avrebbe condiviso con lei quel segreto.
Karen salutò Albert sull’uscio di casa, sapeva che insieme ad Archie sarebbe partito l’indomani mattina e sarebbero stati via per una decina di giorni.
“Sei in partenza …”
“Starò via per poco, anche se non sono molto tranquillo.”
“Immagino. Ma sarai certamente più sicuro sapendo Terence a vegliare su Candy.”
“Ah, questo è certo. Ma vogliamo tornare a noi?” chiese lui sfoderando un sorriso malizioso.
“Non c’è argomento che io preferisca!” rispose lei sorridendogli a sua volta.
“Spero che saprai tenere a bada i corteggiatori …”
“Corteggiatori? Quali?”
“Ah certo, quindi tutti quei fiori che ho visto in camerino non erano di uomini che cercano di conquistare il tuo cuore solitario?”
“Ah caro mio… ma il mio cuore è già preso e credo che sia chiaro a tutti, o forse no? Mmm, ora che mi ci fai pensare, forse è il caso che lo ricordi al diretto interessato?” disse lei alzandosi sulla punta dei piedi e poggiando un bacio che tutto sembrava fuor ché casto, sulle labbra di Albert.
“Sei imprevedibile!” disse lui guardandola mentre lei sorrideva felice.
“Ah beh, faccio del mio meglio.” rispose scherzosa.
“Ti riesce benissimo. Mi spiace ma ora devo andare. Ti chiamo domani, va bene? Mi raccomando tieni gli occhi aperti.”
“Lo farò, non ti preoccupare.” lo salutò lei.
Lo guardò andare via, sognante. Sapeva di essere una donna fortunata, aveva trovato un uomo stupendo che si preoccupava per lei e la ricambiava.
 
Mentre si avviava verso l’auto, Albert ripensò alla conversazione avuta solo un paio di giorni prima con Terence, quando si era deciso a chiedergli una cortesia.
“Non mi sento molto tranquillo se le ragazze rimangono sole. Forse non è proprio previsto dall’etichetta ma ti dispiacerebbe trasferirti temporaneamente a casa nostra?”
“Io? Ma sei sicuro? Ti sembra una buona idea? Che diranno Annie e Candy?” gli aveva chiesto Terence sorpreso.
Aveva dovuto mentirgli, o meglio omettere la verità,  e Terence aveva fiutato qualcosa non andava ma, essendo certo che non gli avrebbe detto qual era il motivo della sua preoccupazione, lasciò perdere.
Non solo Albert lo aveva sorpreso con quella bizzarra richiesta ma, stranamente, anche Cornwell pareva essere d’accordo e anzi, aveva insistito affinché accettasse, il che non fece che fare aumentare i suoi dubbi.
 
Candy e Annie accolsero con sorpresa quella notizia e, tutto sommato, entrambe si sentirono sollevate, sapevano di potersi fidare di lui e, una presenza maschile in casa, rassicurante come la sua, le tranquillizzava.
Terence si sarebbe trasferito la mattina in cui Albert ed Archie sarebbero partiti.
“Forse avrei dovuto chiedervelo prima ma … beh … lo sapete.”
“A me sembra un’ottima idea!” intervenne Archie.
Annie rimase impressionata di quell’intervento di Archie, sapeva quanto poco soffrisse Terence e la sbalordì alquanto questa sua buona disposizione nei confronti del suo acerrimo nemico.
“Se la ritieni una cosa opportuna e se vi fa stare tranquilli, sarà il benvenuto.”
“E tu Candy, che ne pensi?” la incalzò Albert.
“Concordo con Annie, se vi fa partire più tranquilli, ben venga.”
“Bene allora è deciso. Anche perché avevo già avvertito Terence. Verrà qui la mattina della nostra partenza.” concluse Albert.
La mente di Candy era già lontana anni luce. Si sentiva decisamente eccitata all’idea di poter “vivere” con lui per ben dieci giorni e lo stesso si poteva certamente dire per Terence, anche se erano entrambi preoccupati di eventuali scandali che i giornalisti non avrebbero certo tardato a proporre.
 
La mattina in cui Archie ed Albert partirono, Terence arrivò poco prima che lasciassero la residenza.
Albert gli era sembrato decisamente su di giri e anche preoccupato; si chiese se ciò fosse dovuto alla famosa chiacchierata che apparentemente aveva intrattenuto con il padre di Karen.
“Buon viaggio!” li salutò lui.
“Buona permanenza. Mi raccomando prenditi cura delle nostre bambine.” disse Albert in tono affettuoso.
“Graham, te le affido. Non mi fare pentire!”
“Cornwell, pensa a fare il tuo lavoro! Se Albert si fida di me penso che debba farlo anche tu. E ora va’,  ci sono io qui.”gli disse per innervosirlo ma Archie per una volta preferì accusare il colpo. Sapeva che nessuno si sarebbe preso cura di Candy tanto quanto Terence.
 
Candy accolse Terence felice e gli mostrò la sua camera. Annie si sentiva un po’ a disagio anche se era contenta di questa nuova occasione che si presentava per la sua amica. Intere giornate a stretto contatto con l’attore avrebbero sicuramente risvegliato in Candy qualche cosa, magari qualche ricordo, motivo per cui aveva acconsentito a quella strana idea di Albert. Anche a Chicago erano rimaste sole diverse volte e non era mai successo nulla, ma comprendeva che la situazione in cui si trovavano era differente.
“Ben arrivato. Spero che ti troverai bene. Albert ti ha riservato una stanza al terzo piano così non ti disturberà nessuno.”
Gli avevano destinato la stanza più grande di tutta la casa per farlo sentire a proprio agio e concedergli un po’ di privacy.
Notò con piacere misto a delusione che la stanza si trovava su un piano differente rispetto a quello di Candy: “Albert aveva pensato proprio a tutto.”  pensò mentre un mezzo sorriso gli si dipingeva sulle labbra.
“Vi ringrazio per la cortesia, sono certo che difficilmente verrò disturbato da rumori o voci visto che mi avete lasciato l’intero piano.” disse lui, non molto convinto di quella soluzione.
 
Aveva ben dieci giorni da passare con Candy e avrebbe voluto approfittare di un’occasione così preziosa ma senza tradire la fiducia riposta in lui dall’amico.
 
“Ti lascio a disfare il bagaglio. Se hai bisogno di qualcosa, chiedi pure al signor Miles,  i domestici sono a tua disposizione. Se per te va bene, potremmo pranzare insieme, altrimenti se preferisci pranzare da solo puoi dare disposizioni.” lo salutò Candy uscendo dalla stanza e lasciandolo solo.
Terence si sistemò nella propria camera temporanea e ridiscese giusto in tempo per la lezione giornaliera di pianoforte di Candy.
Fu strano per entrambi, forse perché sapevano che avrebbero trascorso diversi giorni e, soprattutto diverse notti, sotto lo stesso tetto.
Terence cercò di mantenere un certo distacco, non voleva sfiorarla, non voleva percepire il suo profumo perché il desiderio di lei cresceva giorno dopo giorno e non sapeva per quanto a lungo sarebbe stato in grado di trattenersi.
Candy sembrava condividere i suoi dubbi, i suoi pensieri e il suo stesso timore perché, per tutta la durata della lezione, cercò di evitare per quanto possibile, il contatto con lui. Da una parte era sollevata perché Terence doveva recarsi alle prove e doveva lavorare, motivo per cui per delle intere ore, non avrebbe dovuto preoccuparsi  di come relazionarsi con lui.
Aveva promesso ad Albert che si sarebbe comportata bene e, anche se probabilmente Albert non alludeva a ciò che lei stava pensando in quel momento, non voleva assolutamente soccombere al suo desiderio. Erano interi giorni che il pensiero di Terence sotto il suo stesso tetto e, il pensiero di ciò che potesse accadere fra un uomo ed una donna, non la abbandonavano.
Si vergognava dei suoi pensieri decisamente impuri, motivo per cui si era ritrovata a recitare svariate volte l’Ave Maria, con un rosario alla mano, sperando che il Signore l’ascoltasse e la guidasse sulla retta via.
Pranzarono insieme e poco dopo Terence uscì per recarsi in teatro.
“Che ne dici di venire a teatro stasera?”
“Non credo sia il caso, scusami, ma abbiamo già dato nell’occhio parecchio ultimamente, preferirei lasciare che le acque si calmino prima di rivederti recitare.”
“Come preferisci. Ah, per favore, avverti il signor Miles che vorrei cenare in camera?”
“Come preferisci.”
“Ora vado. Ti auguro un buon pomeriggio.” la salutò lui formale.
“Buon lavoro.”  fu la concisa risposta di Candy, che non sapeva come interpretare quel comportamento scostante di Terence. Aveva sperato che le chiedesse di aspettarlo per cena, o quanto meno di chiederle compagnia ma le aveva detto che avrebbe cenato in camera; cosa doveva pensare se non che volesse stare da solo?
Candy non aveva nemmeno provato a chiedergli di cenare insieme, o se poteva tenergli compagnia, probabilmente voleva poter godere della privacy della propria casa, e chi era lui per intrudere? Pensò che cenare in camera potesse essere la soluzione, non le avrebbe imposto la propria presenza.
 
Per interi giorni ripeterono la stessa routine: colazione insieme, la lezione di piano e il pranzo insieme, poi lui usciva e rincasava solo dopo lo spettacolo.
Non  le aveva mai chiesto di fargli compagnia e aspettarlo per cena e lei, d’altro canto, non glielo aveva mai proposto.
Candy si chiese diverse volte se Terence la stesse evitando, se anche lui potesse essere turbato dal pensiero di dormire sotto lo stesso tetto o se , semplicemente, non volesse imporre loro la sua presenza.
Fu solo all’alba del settimo giorno che Terence, stufo di quella situazione che lo stava turbando ed innervosendo oltremodo, ruppe il silenzio.
“Soli tre giorni e non dovrò più invadere il tuo spazio.” cominciò lui sulla difensiva.
“E’ per quello che ti ho visto a mala pena in questi giorni?” gli chiese lei sorpresa. Ora capiva perché aveva  trascorso così poche ore in casa. Possibile che pensasse realmente di arrecare fastidio con la sua presenza?
“Non volevo certo importi la mia presenza.” le rispose lui con un tono aspro, infastidito da come in tutti quei giorni lei lo avesse praticamente evitato.
“Cena con me stasera. Ti aspetterò dopo lo spettacolo.”
“Si farà tardi, sei sicura che saprai aspettare?” le chiese lui con un sorriso stiracchiato, la fama della sua golosità la precedeva e non di poco.
“Sai essere proprio sfacciato! Annie stasera cena con i suoi genitori e non voglio cenare da sola.” gli rispose lei celando la sua voglia di passare del tempo con lui dietro quelle sue menzognere parole.
“Che non sia mai che rifiuti l’invito di una gentile donzella.” le rispose lui prendendola in giro mentre tentava di registrare quell’informazione appena appresa: quella sera sarebbero stati soli, certo, servitù a parte.
Per mascherare l’emozione, l’eccitazione, ma anche il proprio disagio, la salutò velocemente e si ritirò in camera. Non voleva che lei potesse leggere nel cangiante blu dei suoi occhi le mille emozioni ed i mille pazzi pensieri che gli stavano attraversando la mente come un treno in corsa.
Lei non lo vide uscire e si arrese all’evidenza, non le rimaneva che attendere che tornasse. Era nervosa ed agitata, avrebbe voluto trarre il meglio da quella situazione, eppure non era andata come aveva sperato.
Avevano sprecato una settimana preziosa, sempre per colpa di quell’abitudine bizzarra che si era instaurata fra loro, di tacere e lasciare parlare i silenzi, correndo il rischio, come in quel caso, di fraintendere l’uno il comportamento dell’altra.
Terence aveva lasciato villa Andrew tirando un grosso sospiro di sollievo. Si era comportato come un perfetto idiota, rischiando di ferirla. Lei aveva pensato che lui non fosse felice di quella situazione temporanea e lui di non imporle la propria presenza, con il risultato che per una settimana si erano quasi ignorati. Aveva parlato più con Annie che con Candy, finendo per imparare a conoscere un po’ meglio la giovane Brighton.
Si ripromise che quella sera si sarebbe fatto perdonare per essersi comportato come un imbecille.
Si arrabbiò con sé stesso: possibile che riuscisse sempre a complicare le cose con lei?
Nervoso come non mai, si districò fra le auto ed il traffico che affollavano le strade di New York, non mancando di maledire qualche malcapitato autista che aveva rallentato il suo guidare frenetico.
 
Mr Griffiths aveva programmato la propria vendetta che si sarebbe consumata proprio quella sera. Il primo ed ultimo atto di quella che sperava si trasformasse in una tragedia, era pronto per essere messo in scena.
I suoi uomini erano pronti ed eseguire alla lettera gli ordini e, non appena il velo nero della sera avvolse i capannoni delle industrie Andrew, situati appena fuori città, odore di benzina  fu percepibile nell’aria e, di lì  a poco, rosse fiamme e lingue di fuoco riducevano in cenere tutto ciò che incontravano, mentre il fuoco stesso prendeva piede con facilità e avvolgeva, per poi distruggere, qualsiasi cosa si ponesse sul suo cammino.
 
Verso le dieci Candy si assopì sul divano, nel salone situato al secondo piano. Aveva salutato il signor Miles che l’aveva vista entrare in quella stanza e, poco dopo, l’aveva trovata addormentata. Aveva preferito non svegliarla, sapendo che stava attendendo il signor Graham e che comunque ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che questi rientrasse.
Si svegliò, dovevano essere circa le unidci, perché sentiva un gran caldo. Quando aprì gli occhi si accorse che qualcosa non andava. Uscì dal salotto ma si rese subito conto che l’unica via di fuga ormai stava prendendo fuoco. Cercò di far rumore, sperando di svegliare i domestici, se stavano dormendo rischiavano di venire fagocitati dalle fiamme. Era in preda al panico, non sapeva cosa fare, le veniva da piangere perché più si guardava intorno e più non trovava una via di fuga.
In quel momento, le mancò la prontezza di spirito della vecchia Candy che non si sarebbe certo data per vinta e, piuttosto, si sarebbe calata giù dalla finestra.
Temeva di non farcela perché il fumo cominciava a renderle difficoltoso sia mettere a fuoco che respirare. Lentamente, senza accorgersene, perse i sensi.
 
Terence era in ritardo quella sera. I fans gli avevano ostruito la strada e si era dovuto trattenere più di quanto non avesse desiderato.
Quando arrivò in prossimità della residenza degli Andrew, notò alcune camionette dei pompieri e una certa concitazione generale. Percepì odore di fumo e una strana sensazione lo assalì. Fu solo quando svoltò l’angolo, per procedere nella via che portava alla villa, che si rese conto di cosa stava succedendo.
Lo spettacolo della casa in fiamme lo colpì come un pungo allo stomaco. Abbandonò l’auto e corse lungo il viale. La polizia aveva formato un cordone per impedire ai curiosi passare ma, quando si accorse che Candy pareva essere l’unica che mancava all’appello, fu assalito dall’ansia e dal terrore di perderla.
“Io abito qui!” mentì lui e il signor Miles confermò.
“Dov’è la signorina Candy?” chiese Terence nervoso, sperando che fosse già stata tratta in salvo.
“In casa temo. L’ultima volta che l’ho vista dormiva sul divano nel salone del secondo piano.”rispose l’uomo rammaricato.
A quelle parole qualcosa scattò dentro Terence.
Scavalcò il cordone e, non curante dei pompieri che gli urlavano che la casa era pericolante e quindi che era troppo rischioso entrare, si fece dare una coperta bagnata, nella quale si avvolse, ed entrò.
Le fiamme sembravano avvolgere tutto, il fumo gli rendeva difficoltoso vedere e respirare. Cercò di farsi largo fra le macerie e i tizzoni incandescenti, mentre urlava il nome di Candy con tutta la disperazione e la forza che aveva in corpo.
Salì al secondo piano, le scale erano praticamente inagibili, avvolte in una coltre nera e rossa, il caldo asfissiante e ustionante, ma non poteva arrendersi.
Quando entrò nel salone e la vide in terra priva di sensi, la paura lo assalì ma la scacciò. Non era il momento per soccombervi. Controllò che respirasse ancora, poi ringraziando Dio,  la sollevò e la prese in braccio. Giusto un istante prima che poggiasse i piedi sul primo gradino, nel tentativo di ridiscendere, le scale crollarono con un tonfo spaventoso.
L’ultima via d’uscita rimaneva una finestra.
Scaraventò una sedia contro i vetri, senza mai lasciarle la presa su Candy. I vetri andarono in frantumi; fortunatamente la stanza non era ancora completamente invasa dal fuoco, per cui non vi fu un ritorno di fiamma, cosa che aveva considerato poco prima si scagliare la sedia con tutta la forza di cui era capace, contro la finestra.
Fortunatamente, i pompieri non ci misero molto a recuperarli grazie ad una di quelle scale mobili che aveva visto solo nei film.
Un medico ordinò a Terence di adagiare Candy su di una lettiga ma lui sembrò non sentirlo.
In quel momento l’adrenalina, la paura, l’angoscia si fecero sentire e cadde in ginocchio sotto il loro peso, in lacrime, con la sua Candy ancora fra le braccia.
“Ti amo!” le sussurrò baciandole la fronte. Si rialzò e finalmente l’appoggiò sulla barella mentre le sue lacrime bagnavano il viso di lei. Al contatto con quelle fredde e salate stille, lei riprese conoscenza. Aprì gli occhi offuscati dal ricordo di una calda e cara voce che le confessava di amarla. Quando si rese conto di cosa era accaduto, perché vide un medico intento ad auscultarle il respiro e il viso di Terence nero di fuliggine, ricordò all’improvviso dell’incendio e capì che doveva essere svenuta.
“Deve ringraziare questo giovane coraggioso se è ancora fra noi!” le aveva detto il dottore che la stava accuratamente visitando.
 
Il giorno successivo avrebbe appreso dai giornali ciò che Terence si rifiutò di raccontarle.
 
“Il noto attore Terence Graham salva la vita alla bella ereditiera degli Andrew gettandosi fra le fiamme che avevano fagocitato la residenza di quest’ultima. Cosa non farebbe il nostro eroe di Broadway per amore.”
 
Proseguiva lo sciocco articolo.
 
“Dov’è Terence?” chiese Candy ad Annie quando si svegliò in ospedale. Non ricordava molto del trambusto dopo l’incendio, probabilmente doveva avere perso nuovamente conoscenza. Era scossa e preoccupata.
“Candy, per fortuna, non me lo sarei mai perdonata …”
“Annie per favore, dov’è Terence?” chiese nervosamente. Eppure ricordava distintamente di averlo visto camminare sulle proprie gambe per cui non poteva essergli successo nulla di male.
Annie le indicò silenziosamente con lo sguardo il giovane con il viso ancora sporco di fuliggine, sopito su di una sedia.
“Si è a mala pena fatto visitare ed è rimasto qui tutta la notte, nonostante i dottori gli avessero consigliato di riposare e gli avessero garantito che non correvi alcun pericolo.”
“Mi ha salvato la vita?!”
Annie le mostrò uno dei tanti articoli di giornale.
Candy iniziò a piangere ed il suono dei suoi singhiozzi interruppe il sonno di Terence.
Quando incontrò i suoi fanali blu, fu invasa da una strana sensazione, forse un ricordo di come tanti anni prima un giovane, sì, doveva essere un ragazzo, la aveva soccorsa quando era svenuta e l’aveva portata al sicuro. Ricordava il suo abbraccio caldo e rassicurante e quel bacio sulle proprie ciglia …
Quando si rese conto di essersi addormentato, Terence si infuriò con sé stesso. Aveva ceduto allo stress, alla stanchezza e al peso della paura che aveva provato. Proprio quando aveva realizzato che rischiava di perderla per sempre, si era ripromesso che non avrebbe più permesso a uno sciocco fraintendimento di frapporsi fra loro.
“Vado a vedere se sono arrivati Archie ed Albert. Sono di ritorno.” fu la scusa adottata da Annie per lasciarli soli.
Candy cercò di frenare le lacrime che sembravano sgorgarle senza fine dagli occhi.
Terence si avvicinò e le accarezzò il volto con fare amorevole. Lei gli prese la mano, la strinse forte e lo ringraziò.
“Ti devo la vita! Sei stato un pazzo a rischiare la tua per me, per salvarmi! Se … se … se ti fosse successo qualcosa Terence, non me lo sarei mai perdonata! Sei stato un incosciente ma ti devo ringraziare!” ammise lei ricominciando a singhiozzare.
“Candy … non potevo lasciarti lì, non me lo sarei mai perdonato … se non ti avessi salvata …” le parole gli morirono in gola. Nonostante si fosse ripromesso di “parlare” e smetterla con i silenzi, non ci riusciva. Non poteva confessarle che se non l’avesse salvata avrebbe preferito morire con lei. La sua vita non aveva senso senza di lei, seppur non avesse potuto averla, doveva sapere che lei era al mondo e lo abbelliva ed ingentiliva con la sua presenza, per  riuscire ad andare avanti.
Lui si chinò per baciarle la fronte ma lei chiuse gli occhi e dischiuse le labbra. Non ci pensò due volte e la baciò. Sperò di trasmetterle tutto l’amore che provava per lei e la paura che aveva provato al pensiero di perderla. La sentì rispondere con la sua stessa forza, con disperazione e con passione. L’aver rischiato di morire ovviamente l’aveva sconvolta.
“Non mi lasciare!” gli chiese quasi supplichevole, facendogli spazio sul letto in modo che potesse sedersi.
Nel sentire la sua voce così provata, il suo cuore fu chiuso in una morsa. L’amava e l’avrebbe protetta da qualsiasi cosa, a qualsiasi costo.
“Non me ne vado, non ti preoccupare.” La rassicurò baciandole dolcemente la mano e sedendosi accanto a lei.
Sentendo la sua voce stanca e notando che era ancora sporco e indossava gli abiti parzialmente bruciati gli parlò nuovamente.
“Forse dovresti andare a casa a riposare.” provò a suggerirgli nonostante gli avesse appena chiesto di non lasciarla.
Ma il suo “non lasciarmi” non era riferito certo all’immediato …
“Non ci penso proprio!” le rispose lui con un tono di voce deciso.
Rimasero in silenzio a godere della reciproca vicinanza per istanti, forse ore.
Terence cercava di sembrare calmo ma stava tentava di tenere a bada la rabbia che gli ribolliva nelle vene. In quel momento malediva i fans, il lavoro e il mondo intero. Il suo ritardo la sera precedente le sarebbe potuto costare caro.
Erano questi i pensieri che gli affollavano la mente mentre osservava Candy riposare. Si era addormentata nuovamente, probabilmente vinta dalla stanchezza, con la testa appoggiata sul suo petto.
 
Quando finalmente Albert ed Archie giunsero a New York, in preda all’ansia e alla stanchezza si precipitarono in ospedale.
Albert era provato, affaticato e contrariato ma quando entrò nella stanza di Candy e poté constatare che sia lei che Terence stavano bene, tirò un sospiro di sollievo.
“Sono felice che tu stia bene.” disse sommessamente all’amico abbracciandolo. Anche se non lo avrebbe ammesso, era stato in pena per lui, aveva temuto per la sua vita. Era stato lui a chiedergli di prendersi cura delle due ragazze e, se qualcosa fosse capitato al giovane per colpa della sua richiesta, non se lo sarebbe mai perdonato.
“Mi spiace Albert, avrei dovuto prendermi cura di lei … non sembro essere all’altezza del compito …”
“Che dici? Le hai salvato la vita! Se non ci fossi stato tu … ma non voglio nemmeno pensarci! Ti sarò sempre grato Terence, sempre!” lo ringraziò Albert commosso.
“Non avrei mai potuto lasciarla in quella casa in fiamme.”
“Lo so amico mio, lo so. Non avrei potuto lasciarla in mani migliori.” gli disse nel tentativo di ringraziarlo ulteriormente.
“Non ne sono certo.” gli ripose il giovane scoraggiato, reprimendo un gesto di stizza.
“Va’ a casa e riposati. Fatti un a doccia.”
“Non voglio lasciarla!”
“Per favore, prenditi cura di te, ci sono io ora a vegliare su di lei. Vedrai che quando tornerai starà ancora dormendo.”
“E se si vegliasse prima del … “
“… del tuo ritorno le dirò che tornerai presto.”
“Forse hai ragione, è meglio che vada.” acconsentì ricordandosi di essere ancora sporco di fuliggine.
“Prendi un taxi.” gli suggerì Albert, del resto la sua auto era rimasta parcheggiata nei pressi di ciò che rimaneva della loro residenza.
Terence si diresse verso l’esterno, rivolgendo un ultimo sguardo alla sua Tutte Lentiggini. Col cuore estremamente pesante lasciò quella stanza.
 
Archie abbracciò Annie e si lasciò cullare dall’abbraccio amorevole e rassicurante della sua fidanzata. Quando vide Terence uscire dalla camera di Candy, stranamente gli andò incontro e gli tese la mano.
Lo ringraziò di cuore per aver salvato la cugina e gli giurò eterna gratitudine. Per una volta riuscì a mettere da parte l’odio per il suo eterno rivale perché, doveva ammetterlo, si era comportato da vero uomo, anzi da eroe e meritava non solo la sua gratitudine ma tutto il suo rispetto.
Lo accompagnò a prendere un taxi e mentre attendevano gli offrì una sigaretta.
Terence faticò a rifiutarla, avrebbe avuto bisogno della sua vecchia amica nicotina ma decise di non cedere alla tentazione.
“Grazie ancora. E ora prenditi cura di te.” lo salutò e poi Terence sparì nel taxi.
Rientrò in ospedale e si recò da Candy. Vederla dormire tranquilla e pacifica gli permise di rilassarsi e tornare a respirare.
Aveva temuto che gli avessero mentito, che Annie fosse già rincasata quando era scoppiato l’incendio e che entrambe fossero rimaste ferite.
Quando aveva visto Annie istintivamente l’aveva stretta a sé, l’aveva abbracciata e baciata e le aveva ricordato quanto l’amasse. Aveva avuto paura, nuovamente, di perderla e proprio quel timore lo aveva aiutato a realizzare, maggiormente, quanto fosse importante per lui.
Fu solo verso le nove che Karen giunse in ospedale. Non aveva saputo dell’incidente prima di quella mattina e quando lo aveva scoperto era corsa presso l’istituto, il nome del quale era stato riportato da un giornale.
Arrivò di corsa, trafelata, con il terrore di ricevere cattive notizie anche se i giornali avevano scongiurato il peggio.  Nonostante ciò, non avrebbe creduto a quanto letto e non si sarebbe tranquillizzata fino a che non avesse visto Terence e Candy con i propri occhi e non avesse constatato in prima persona che stavano bene.
 
 
Quando entrò nella camera di Candy, si guardò intorno preoccupata e quando non vide Terence si allarmò.
Albert l’abbracciò forte e la baciò quasi non curante della presenza di Candy. Era proprio nei momenti come quelli, in cui la famiglia veniva minacciata, che si ricordava di esprimere sempre i propri sentimenti senza remore.
Karen fu sorpresa da quel gesto inaspettato, fu solo uno sfiorare di labbra ma percepì tutta la forza che l’uomo vi aveva messo.
“Dov’è Terence?” chiese preoccupata Candy che si era svegliata da qualche minuto.
“L’ho mandato a casa.  Sta bene, non ti preoccupare. Un po’ scosso e nero per la fuliggine ma non gli è successo nulla.” la tranquillizzò lui.
“Se non ci fosse stato lui …” disse Candy lasciando la frase sospesa a metà.
”L’importante è che tu stia bene, grazie a Dio! Terence era con te per fortuna, ed ero certa che non avrebbe permesso che ti accadesse nulla di male.” disse Karen probabilmente ammettendo più di quanto non avrebbe dovuto e voluto.
“Archie?” chiese Candy che desiderava vedere il cugino.
“Te lo chiamo?”
“Sì, grazie.” rispose.
Non era rimasta particolarmente sorpresa che Albert fosse riuscito a convincere Terence a rincasare e riposarsi.
Lei sarebbe stata dimessa presto e, se Terence non fosse passato per tempo, aveva deciso che sarebbe andata a trovarlo, a costo di andare a casa sua. Voleva vederlo, voleva stare da sola con lui … voleva stare con lui … si avrebbe voluto amarlo, se avesse potuto. Mai come in quel momento, si rese conto che lo voleva, lo desiderava. L’intensità di ciò che sentiva la colpì, lasciandola senza fiato. Per la prima volta si trovava desiderare un uomo così come concesso fra uomo e donna.
Si chiese se fosse una reazione allo shock per la scampata tragedia ad amplificare le sue emozioni e ciò che provava.
Avrebbe voluto dirgli che lo amava, ma aveva paura, non voleva spaventarlo, temeva di allontanarlo ed allarmarlo e lei non voleva perderlo.
 
“Candy, ti senti bene? Hai il viso bordeaux!” le domandò Archie che era appena entrato nella stanza.
La voce del cugino la riportò alla realtà, era entrato nella stanza e lei non se ne era nemmeno accorta, troppo assorta nei suoi pensieri.
Archie le sfiorò la fronte con un lieve bacio. Chiacchierarono un po’ ma quando stava per uscire Candy lo bloccò.
“Albert, Archie … quanto successo ieri sera mi ha fatto riflettere … so che avete molto da fare e pazienterò, ma vorrei il vostro benestare … vorrei aprire un orfanotrofio. Ho bisogno di sentirmi utile. Sarei potuta morire senza aver fatto nulla della mia vita …”
“Non ti preoccupare Candy, avrai tutto il mio appoggio. Ora rimettiamoci in sesto e poi ci organizzeremo per avviare il progetto. Farei di tutto per renderti felice.” le rispose Albert gentilmente, visibilmente commosso. Era commosso perché anche in un momento come quello lei riusciva a pensare agli altri e commosso perché capiva il suo vecchio bisogno di sentirsi utile e la sua necessità di riprendere le redini della propria vita.
Candy gli sorrise felice, ignara che avessero dato fuoco anche ai loro capannoni buttando alle ortiche  mesi di duro lavoro.
Quando il dottore entrò per visitarla, dovettero uscire tutti dalla sua stanza.
Avendo constatato che stava bene, non ebbe nulla da obbiettare quando Candy gli chiese di poter essere dimessa.
“Ti spiacerebbe avvertire Terence?” chiese ad Archie, il quale telefonò a casa dell’attore e lasciò detto alla governante che si sarebbero temporaneamente trasferiti presso l’altra loro residenza.
“Forse è meglio che ora vada. Vorrei anche avvertire Robert che forse sarebbe meglio sostituire Terence per qualche serata.” li salutò poi Karen lasciandoli alla loro intimità famigliare.
Albert ed i nipoti, Annie inclusa, si recarono presso l’altra residenza Andrew.
Candy fu felice di poter constatare che i domestici stavano bene e il signor Miles represse a fatica le lacrime. Si era sentito in colpa per non aver potuto fare nulla per salvare la giovane ma era felice di vedere che stava bene e sapeva che era solo merito di quel giovane attore.
Albert le mostrò la sua nuova stanza.
“Ti prometto che comprerò una casa persino più bella di quella che ci hanno tolto!” le disse Albert.
A Candy non passarono certo inosservate quelle parole e si chiese se l’incendio non fosse di natura dolosa.
Ma chi poteva volere loro così male addirittura da desiderarne la morte?
Per un istante il viso di Kathrine le si parò innanzi agli occhi ma scacciò quella immagine, pensandola incapace di un’azione così abbietta. Non poteva certo sapere quanto pericolosamente vicino alla realtà fosse andata con la sua intuizione.
 
Terence era rincasato infuriato, stanco, frustrato e irritato oltre che scosso.
Il solo pensiero che aveva corso il rischio di perderla per sempre, lo faceva stare male, così male da togliergli il respiro.
Continuavano a tornargli in mente le immagini della casa infuocata e  di lei priva di sensi, indifesa.
Ogni volta che si riprometteva di prendersi cura di lei, il fato pareva metterci lo zampino e finiva irrimediabilmente per vederla soffrire nuovamente.
Ma se dal dolore si poteva guarire, non poteva certo dire la stessa cosa della morte. Al solo pensiero lui rabbrividì mentre l’acqua calda che scendeva a pioggia dalla doccia lavava via gli ultimi ricordi visibili di quel dannato incendio.
Cercò di prendere sonno ma si girò e rigirò nel letto diverse volte, con le immagini di quanto accaduto a popolargli la mente senza concedergli tregua.
Quando finalmente scivolò nel sonno fu turbato da diversi incubi.
Si vegliò solo qualche ora più tardi, leggermente più riposato ma decisamente nervoso ed irritato.
La governante gli preparò una tazza di tè e gliela servì con una fetta di torta.
“Il signor Cornwell ha chiamato e mi ha chiesto di informarla che la signorina Andrew è stata dimessa e se vuole vederla può passare presso la loro vecchia residenza. Temporaneamente si sistemeranno lì. Ho segnato l’indirizzo su un foglietto.”gli disse poi porgendoglielo.
Per un breve, brevissimo istante, aveva temuto che fosse successo qualcosa alla sua Tutte Lentiggini e tirò un sospiro di sollievo quando scoprì che era stata dimessa.
Poco prima di uscire ricevette la telefonata di Robert. Lo aveva anticipato di qualche minuto, lo avrebbe chiamato a breve per chiedergli una sostituzione per qualche giorno.
Era vero, era un professionista, ma era stanco e provato. Per quanto i giornali lo avessero dipinto come un eroe, era semplicemente un uomo, allo stremo delle forze psichiche e mentali.
Tutto ciò che desiderava in quel momento era poter passare del tempo con Candy e assicurarsi che lei stesse bene.
Si rivestì e prese l’auto. Conosceva la zona dove si trovava la loro residenza e non fece fatica a raggiungerla. Fuori dalla propria abitazione trovò dei giornalisti ad attenderlo ma riuscì a svincolarsi con una certa velocità. Gli scattarono delle foto ma non riuscirono a strappargli nessuna dichiarazione.
“Sono sollevata di vedere che tu stai bene.” lo accolse Annie facendolo entrare in casa.
“Grazie. Potrei vedere Candy?” le chiese cortesemente.
“Credo sia in giardino, vieni, ti accompagno.” disse lei facendogli strada.
La videro in lontananza e Annie lasciò che Terence la raggiungesse da solo.
“Candice …”
“Terence …”
“Sono davvero felice di vedere che tu stia bene.” le disse lui fermo a qualche passo di distanza.
“Grazie, sono contenta anche io di sapere che stai bene anche tu.” gli rispose lei sorridendogli.
Vedendo che titubava gli si gettò letteralmente fra le braccia. Lui la strinse a sé e la cullò nel suo caldo abbraccio.
 
“Ho avuto paura di non poter rivedere le persone a me care…”
“Lo so, ma è tutto finito.”
“Sì, lo so. Però ho passato una settimana orribile. Sai che sei un testone? Se osi ignorarmi un’altra volta giuro che te la faccio pagare!”
“Devi sentirti bene se sei tornata battagliera ….” la prese in giro lui.
Si sorrisero a vicenda, guardandosi per qualche istante, prima di fare ciò che entrambi avevano desiderato per tutto il corso della settimana.
Le loro labbra si incontrarono in una disperata tacita dichiarazione di ciò che sentivano l’uno per l’altra.
 
NdA: Ho quasi paura a chiedervi che ne pensate! Spero che abbiate cliccato sul link della colonna sonora, perchè secondo me ne valeva davvero la pena. Non chiedetemi perchè li ho accostati, boh! Attendo curiosa i vostri commenti! Vi lovvo!
   
 
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