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Autore: syontai    13/11/2013    15 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 10

Il Duo di Picche

Maxi camminava per la Foresta Centrale. Era costretto ad attraversarla se voleva raggiungere il regno di Picche nella speranza di ottenere riparo e protezione. Aveva paura, era solo, me il desiderio di sopravvivenza, e la furia dettata dalla vendetta, non gli permettevano di fermarsi se non la notte, per l’eccessiva fatica. Prima di addormentarsi sotto un manto di foglie improvvisato per non finire congelato, stringeva il trifoglio nero e freddo, in un ultimo disperato tentativo di ottenere una qualche forza che lo spingesse a proseguire con la sua scelta. E pregava. Lui, che non aveva mai pregato, aveva scoperto un amore incondizionato per la fede. Forse lo faceva solo per non sentirsi solo, forse la sua era una disperata ricerca di qualcuno che potesse tenergli continuamente compagnia, che gli fosse vicino; ma pregava. E si rifugiava in quelle parole sussurrate senza dover pensare. Il solo salmodiare gli trasmetteva tranquillità, una tranquillità che gli rinfrancava spirito e corpo. Prese la custodia con la spada nera al suo interno, e la fece passare sotto il manto erboso, fissando gli sprazzi di cielo visibili, confortato dalle sole luci di alcune sparute stelle. Sono solo, pensò Maxi. Solo al mondo, e senza più nessuno. Nessuna famiglia, niente radici. E un albero senza radici alla prima scossa sismica crolla miseramente per quanto maestoso possa essere. Aveva bisogno di qualcuno, di uno scopo per continuare a vivere. Poteva continuare a nutrirsi di vendetta e rancore? Se lo avesse fatto sarebbe diventato ancora peggiore di coloro che avevano appiccato fuoco alla sua casa, spedendo all’aldilà i suoi amati cari. Ma non riusciva a desistere dal suo proposito di uccidere la fonte di tutto quel male: la regina Natalia. Si sentiva lacerato e non riusciva a prendere una decisione. Non vedeva l’ora di raggiungere il regno di Picche; almeno una volta giunto lì la situazione gli sarebbe stata più chiara. “Che devo fare? Che devo fare?” si chiese bagnando con le sue lacrime un ciuffo d’erba a stretto contatto con il suo viso, che nell’attesa paziente della rugiada mattutina si impossessò di quelle perle lucide, bramandole con gioia. E con l’angoscia e il dolore nel cuore, Maxi chiuse gli occhi, sprofondando in un sonno profondo, mentre delle lunghe ombre lo circondarono minacciosamente.
Un coltello risplendette con la luce della luna, brandito da un ragazzo dagli occhi scuri come la pece, e capelli corti ma poco curati. “E questo chi è?” chiese una ragazza al suo fianco. “Non ne ho idea…” rispose il giovane, giocherellando con il coltello, senza alcun timore. “Fratellino, cosa ne dobbiamo fare? Lo portiamo con noi? Sembra uno poveraccio” disse una figura alla sua sinistra. “Per ora, limitiamoci ad aspettare il suo risveglio domani mattina, poi decideremo il da farsi” sibilò cercando di non alzare troppo il tono di voce. “Hai ragione, mi sembra l’idea migliore” rispose la figura più distaccata dai due. “E’ ovvio che lui abbia ragione, tonto che non sei altro. Lui è il nostro capo. Stai parlando con tuo fratello, il leggendario Andres” rispose scocciata la ragazza, scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e guardando con aria sognante il suo capo. La luce lunare illuminò il profilo di un giovane dal fisico atletico, dal viso costantemente teso, e con un vestito da popolano. Sembrava un ragazzo come tanti, non fosse per un inquietante particolare. Ciò che lo rendeva unico era la profonda cicatrice che gli solcava la guancia sinistra, come un marchio maledetto.
Maxi aprì gli occhi, e si ritrovò di fronte tre ragazzi che lo fissavano. O meglio, lo squadravano da capo e piedi dall’alto. Richiuse gli occhi, pensando si trattasse di un’allucinazione dovuta alla fame. Ieri sera non aveva toccato cibo, troppo preso dai suoi pensieri, e adesso sentiva lo stomaco brontolare. “Ehi! Si è svegliato, si è svegliato!” esclamò qualcuno, con una voce un po’ troppo forte e vigorosa per essere un’illusione. Non appena sentì un rumore di passi, scattò in piedi, facendo frusciare la sua coperta di foglie, che si sparsero sul terreno disordinatamente. Tirò fuori la spada dal fodero pronto a combattere, ma l’elsa era troppo pesante per lui. Ancora intontito per il brusco risveglio, diede un colpo alla cieca e cascò rovinosamente a terra, suscitando le risatine di una ragazza. “Dai, smettila di sghignazzare, Libi, non mi sembra il caso” la interruppe una voce seria, anche se comunque divertita. “E dai, Andres, ammetti che è stato divertente!” esclamò la ragazza, piegandosi in due con le lacrime agli occhi. Quella ragazza, che doveva chiamarsi Libi, non era molto alta, ma aveva uno sguardo astuto, e portava a tracolla un arco di legno, che, dall’aria vissuta, doveva essere stato utilizzato parecchio. Libi aveva i capelli castani scurissimi raccolti in una coda, uno sguardo attento e indagatore, occhietti vispi ed espressivi di un marrone chiarissimo. Era bassetta, e un po’ tozza, ma aveva delle belle curve, e un suo fascino da maschiaccio. In particolare ogni due per tre lanciava uno sguardo al ragazzo con una profonda cicatrice sulla guancia sinistra, che aveva chiamato Andres, come in cerca di approvazione. Il ragazzo sulla destra, invece, sembrava un topo da biblioteca: alto, esile, con un paio di occhialetti, e l’aria intelligente. Era quasi completamente uguale ad Andres nei lineamenti, ma non aveva quella strana cicatrice. “E dai, Andres, falla divertire un po’” gracchio l’altro ragazzo, cominciando a fissarsi la punta delle scarpe, intimidito, e sorpreso del suo stesso coraggio tirato fuori in quell’occasione. Andres alzò un sopracciglio con tono eloquente: “Serdna, non volevo che il nostro ospite si sentisse a disagio, tutto qui”. “Tutto bene?” chiese poi, avvicinandosi al ragazzo, ancora a terra, frastornato. Maxi si riportò a fatica in piedi: “Voi chi siete?”. Andres tese la mano con un sorriso non troppo tirato, né troppo disteso; quel giovane sembrava essere il sinonimo dell’equilibrio. “Che domande! Noi siamo la banda di rivoluzionari stanziati in questo bosco per controllare i movimenti dei Regni nemici a quello di Picche” spiegò Serdna aggiustandosi gli occhialetti. Libi si avvicinò al ragazzo e gli diede una scappellata: “Idiota! Non devi dire a tutti chi siamo e che facciamo. Potrebbe essere una spia…”. “Lo portiamo con noi al campo” la interruppe Andres, pensieroso. Libi aprì la bocca per parlare: “Ma Andres, ti ho detto che potrebbe essere una spia! Ha anche una spada di neranio, di quelle che vengono date ai Cavalieri di Fiori!”. Maxi corrugò la fronte: non che ci avesse capito molto in generale, certo era che quella ragazza sembrava una testarda in piena regola. Aveva l’impressione di essere incappato in qualcosa più grande di lui, e loro gliene avevano dato conferma: una banda di rivoltosi, al servizio del regno di Picche. Qualcosa gli diceva che se avesse cercato di fuggire Libi l’avrebbe steso con una delle frecce nella faretra che portava sempre a tracolla insieme all’arco. “E’ dei nostri. Non ho dubbi” sentenziò Andres, tendendo la mano a Maxi. “Non so chi sei, né perché sei qui. Ma il destino a volte fa delle scelte senza interpellarci, e questo sembra il tuo caso. Leggo il dolore nei tuoi occhi. Tu, come noi, hai perso qualcosa, qualcosa che non potrai mai più recuperare. E forse mediti vendetta, come abbiamo fatto tutti noi…ma c’è qualcosa che noi possiamo fare, qualcosa che non ci debba rendere meno uomini di quelli là” esclamò indicando fuori dalla foresta in direzione dei tre Regni di Fiori, di Quadri, di Cuori. “Noi siamo migliori di loro, non ci abbassiamo al loro livello. Combattiamo per un mondo migliore, per un futuro senza fazioni, né guerre. E so che in fondo tu vorresti essere dei nostri e…”. Maxi lo interruppe , portando la mano in avanti con il palmo rivolto verso Andres. Sapeva dove voleva arrivare, e la sua risposta era no. Era una faccenda troppo grande per un povero contadino. “Grazie, ma rifiuto. Non voglio avere problemi, adesso voglio solo raggiungere il Regno di Picche” si scusò Maxi, alzando le braccia in aria. “Lo sapevo. Si tratta di una spia” sibilò Libi, preparando l’arco. Andres la fermò con una sola occhiata infastidita, quindi tornò a fissare il giovane: sguardo determinato, fisico non troppo muscoloso, ma nemmeno troppo esile. “Perdonala. E’ una ragazza che non si fida molto degli sconosciuti” esclamò Andres alzando le spalle. “Quindi…posso andare?” chiese Maxi, tremando come una foglia. “Se lo vuoi, certo. Non saremo noi a fermarti, ma ne sei proprio sicuro? Sai già cosa farai una volta arrivato al Regno di Picche?” si intromise Serdna, interessato.
No, non lo sapeva. Diavolo, si sentiva continuamente costretto a prendere una sola strada, trovandosi le altre inaccessibili. Unirsi a quello strano gruppetto non gli andava a genio, ma sentiva di non avere altra scelta. Cosa avrebbe fatto una volta giunto alla corte di Picche? Se anche fosse riuscito ad ottenere un’udienza, nessuno avrebbe potuto fargli giustizia. Ma con Andres e gli altri, la giustizia se la sarebbe fatta da solo. Ed era tutto ciò che voleva. Non gli interessavano le questioni politiche, i giochi di potere tra i vari Regni. Tutto ciò che voleva era vendicare la memoria della madre e del nonno, ormai ne era consapevole. Ideali? Non sapeva cosa fossero. Libertà? Era un concetto troppo elevato per un giovane contadino. Giustizia? Non esiste la giustizia universale, esiste solo quella individuale, e lui non desiderava altro che farsi giustizia. Dopo quelle brevi riflessioni, alzò il capo tenuto chino con uno strano luccichio negli occhi: “Ci sto”. Libi e Serdna lo squadrarono, sorpresi di quel repentino cambio di idea, mentre Andres semplicemente incrociò le braccia silenzioso. “Bene. Allora, sei dei nostri. Benvenuto nella fazione dei rivoluzionari chiamato anche ‘Duo di Picche’. Ti troverai bene con noi, ragazzo!” esclamò con un sorriso, dopo qualche minuto. Maxi annuì poco convinto. Era ufficiale: aveva iniziato la sua vita da fuorilegge. E anche questa volta non aveva scelto, anche questa volta, come in passato, si era sentito costretto.
L’accampamento della fazione era situato nel folto della foresta, per non essere facilmente localizzato dalle truppe nemiche. Tra gli alberi con le loro fronde basse, Maxi si ritrovò di fronte ad una palizzata di legno, con delle torrette dove alcuni ragazzi facevano costantemente la guardia. Avevano più o meno la sua età, forse alcuni erano anche più giovani, e già impugnavano un arco come se niente fosse. “Tutti volontari” rispose Serdna, prima che lui potesse porre la domanda. Andres avanzò sicuro come sempre, e fece un cenno con la mano per farsi riconoscere dalle sentinelle. Un ragazzo dai capelli biondi e con un elmetto in testa, fece un cenno d’assenso e diede l’ordine di aprire le porte per lasciare entrare i nuovi arrivati. Maxi camminò molto lentamente, sempre più confuso, e scombussolato da tutte quelle novità.
L’interno dell’accampamento era proprio come lo immaginava. Numerose tende dall’aria umile erano piantate qua e là, mentre alcuni dei rivoltosi erano riuniti intorno a dei focolari a giocare a carte oppure con i dadi. Erano tutti ragazzi, con la luce della speranza negli occhi, con la consapevolezza che sarebbero potuti essere uccisi da un momento all’altro. Eppure ridevano, scherzavano e si spalleggiavano come nessuno. Maxi si chiese come fosse possibile, non riusciva a comprendere tutto quell’ottimismo e cameratismo in una situazione del genere. “Ehi, Libi, una lotta amichevole?” esclamò un giovane ad alta voce, con una lancia in mano. “Non vorrei spezzarti un braccio come l’ultima volta” rispose lei, ridacchiando; sembrava molto più rilassata all’interno di quel campo. Continuarono ad avanzare lungo alcune vie polverose che delimitavano determinate zone dell’accampamento, fino a raggiungerne praticamente il centro. Andres quindi si fermò di fronte a una tenda molto modesta, sbadigliando sonoramente: “Io penso mi concederò una o due ore di sonno, dato che stanotte abbiamo fatto veglia”. “Non ti preoccupare, mi occupo io di dare gli ordini per i cambi” si affrettò a tranquillizzarlo Libi, scattando come una molla. “Grazie, Libi, grazie davvero” la gratificò Andres, per poi avvicinarsi alla ragazza, depositandole un bacio sulla sua guancia, arrossata già solo per la vicinanza. Andres si voltò stiracchiandosi ed entrò nella sua tenda. “Io vado a fare qualche pianta delle nuove aree scoperte di questa foresta” esclamò il gemello di Andres, allontanandosi in fretta e furia.
Maxi e Libi continuarono a camminare in silenzio, quando il ragazzo decise di rompere la tensione che si stava creando. Era sicuro che Libi ancora non si fidasse completamente di lui, e d’altronde non la biasimava: anche lui non si sarebbe fidato di se stesso, se si fosse trovato con quella spada nera in mano. “Quindi…questo è l’accampamento” esordì con un po’ di imbarazzo rivolgendo lo sguardo in aria. “Già” rispose secca la giovane, mettendolo a tacere. Ma non si voleva arrendere: “Come fate a procurarvi da vivere?”. La ragazza si fermò seria e scocciata: “Abbiamo dei campi coltivati con piante selvatiche e tanto altro. Hai finito?”. “Semplice curiosità” borbottò Maxi, risentito. Libi gli si parò di fronte e gli poggiò una mano sul petto con sguardo fiero. “Senti, carino. Io non mi fido di te, né mai lo farò. Non so come hai fatto ad abbindolare Andres, ma con me non funziona. Prima o poi capiranno che io avevo ragione e che tu ci porterai solo guai” sibilò, prima di voltarsi di scatto. “La tua tenda è in fondo. Goditi la tua breve permanenza” concluse, per poi allontanarsi a passo svelto, e dirigersi verso la grandiosa palizzata difensiva. Maxi abbassò lo sguardo, affranto: non era proprio l’accoglienza che sperava di ottenere. Senza volerlo si era già creato un nemico. Sfiorò il tessuto ruvido della canapa che costituiva la tenda. “Ma come ci sono finito fin qui…Fino a ieri ero in viaggio per il Regno di Picche. E poi chi sono questi rivoluzionari?! Io non so niente di loro…potrebbero anche essere dei semplici ladruncoli. Ho agito troppo d’impulso” si disse Maxi, entrando nell’accogliente e modesta abitazione. Il tessuto spesso della tenda, rendeva l’ambiente interno tiepido, e gli metteva sonnolenza. In fondo quella notte aveva dormito malissimo e il giaciglio che si trovava ai suoi piedi  lo tentava terribilmente. Non succederà nulla di male, se mi faccio un sonnellino, pensò il ragazzo, accovacciandosi e tirandosi le coperte sopra un cumulo di fieno, con un telo sopra. Una volta sveglio, avrebbe cercato Serdna, e gli avrebbe chiesto qualche informazione. Quel ragazzo sembrava il più disponibile dei tre ad esaudire questa sua richiesta, e non vedeva l’ora di avere tutto più chiaro.
Erano passate appena due ore e Maxi era nuovamente in giro per l’accampamento, alla ricerca della tenda di Serdna. Si fece dare le indicazioni da un volontario che stava affilando un pugnale lucente, che gli segnalò con lo sguardo una tenda rossa fuoco, diversa da tutte le altre. Il giovane ringraziò, quindi si fermò di fronte a quella sgargiante abitazione. “C’è nessuno?” chiese ad alta voce il giovane. “Se stai cercando Serdna, è fuori l’accampamento” disse una ragazza di passaggio, con alcuni ciocchi di legno stretti tra le braccia. “Grazie mille” rispose il giovane, grattandosi il capo. La ragazza intuì i suoi dubbi e sorrise gentilmente: “Esci dall’entrata est, e prosegui dritto sul sentiero. Quando avrai incontrato un masso che non ti permette di andare avanti, sulla destra ti troverai una parete rocciosa, e un manto d’edera che ne ricopre una parte. Lì devi cercare un passaggio nascosto, e troverai Serdna. Si nasconde sempre lì quel geniaccio”. Maxi annuì, facendo capire che gli era tutto chiaro, quindi decise di andare a dare un’occhiata. Seguì alla lettera le indicazioni, e percorse la strada che lo portava all’uscita est. La vegetazione fuori dall’accampamento era talmente fitta da nascondere le palizzate di legno: in tal modo quella zona era completamente mimetizzata. Ecco perché non sono ancora stati spazzati via, pensò Maxi. Quella foresta era la più grande di tutto il Paese delle Meraviglie, e non doveva essere ancora stata esplorata completamente. Si trovava proprio nel bel mezzo del Paese ed era un punto di passaggio per tutti e quattro i regni, quello meno utilizzato in verità, proprio per la sua natura selvaggia. Durante la guerra, però, le truppe delle due fazioni, per passare inosservate da un regno a un altro, approfittavano della neutralità e dell’inospitalità di quella zona. La vegetazione era tropicale e lussureggiante, e le piante diffondevano i loro rami e il loro verde come se volessero continuamente conquistare terreno. Alcuni rami finivano per intrecciarsi ad altri, creando delle vere e proprie reti ingarbugliate. Il ragazzo decise di seguire il sentiero fangoso, per non correre il rischio di perdersi, e si destreggiò senza però riuscire ad evitare qualche graffio lungo le braccia e lungo le gambe. Finalmente si ritrovò a camminare con al fianco due pareti rocciose che delimitavano il sentiero, e il terreno si fece più molle ancora, segno che l’umidità stava crescendo. Quando si parò il famoso masso, impedendogli di proseguire dritto, Maxi si mise a tastare sulla sua destra tra i rampicanti alla ricerca di un passaggio. Finalmente il ruvido e spigoloso ricoprimento di rocce di vario genere, tutte tendenti al marrone scuro, lasciò lo spazio all’aria. Scostò velocemente il rampicante e vide un passaggio stretto, una sorta di fenditura. “Ma dimmi un po’ dove devo andare a cercare questo pazzo” sbuffò, prima di intraprendere quell’ardua impresa. Stringendosi sempre di più attraverso la fenditura, la attraversò a fatica e una volta fuori si ritrovò di fronte a una meraviglia della natura. Prima ancora di riuscire a raggiungere il posto, aveva sentito uno strano fruscio, che aveva attribuito a quello delle foglie, ma una volta messo nuovamente piede sull’erba, si ritrovò in una piccola rientranza, completamente circondata da pareti scoscese. Sul fondo una piccola cascata creava quello strano rumore, dando vita a un piccolo laghetto frequentato da qualche pigra papera, dalle piume violacee.
Serdna era seduto a gambe incrociate con numerose carte ripiegate, un foglio appoggiato su alcuni quadernini, e un pennino in mano. Attorno a lui era pieno di colori, e dalla sua faccia concentrata era sicuro che il ragazzo stesse tentando di rappresentare quel paesaggio con un dipinto. “Avvicinati” esclamò alzando appena il capo: anche se di spalle, aveva perfettamente avvertito la sua presenza. Maxi fece come gli era stato ordinato e si sedette vicino a Serdna. “Immagino tu voglia sapere qualcosa in più su di noi” disse con un sorriso amaro. “Immagini bene” mormorò in tutta risposta il giovane, sorpreso dell’incredibile e insospettata capacità intuitiva del suo interlocutore. “Se Tuideldum sapesse cosa sto per dirti” sghignazzò improvvisamente, appoggiando il suo disegno accuratamente sull’erba e fissando Maxi con sguardo indagatore. “Tuideldum?” chiese curioso. “Scusa, volevo dire Andres. Sai, noi siamo gemelli, e usiamo spesso dei nomignoli tra di noi”. “E tu come ti chiami?” domandò nuovamente. “Io sono Tuideldì. Io la mente, lui il braccio. Anche se Andres è un genio nelle strategie militari, di questo bisogna dargliene atto” spiegò sistemandosi gli occhialetti. “Ma non sei qui per questo…Tu vuoi solo sapere cosa lega tutti noi, perché combattiamo. Giusto?”. Maxi annuì nuovamente, leggermente dubbioso. Non sapeva se voleva sapere davvero la verità, non sapeva se voleva aggiungere altro dolore al suo, ma la curiosità prevalse su tutto, anche sul senso di riservatezza che avrebbe potuto riguardare i due fratelli. “Io e Andres siamo due cittadini del Regno di Picche. Ormai sono anni che non vediamo più la nostra famiglia, da quando siamo partiti per la guerra come volontari. All’epoca eravamo dei giovani infervorati da nobili ideali”. “Una manciata di polvere. Gli ideali non esistono, l’ho imparato sul campo di battaglia. In quel posto capisci come l’uomo può davvero diventare una bestia. E il tuo unico scopo non è la libertà, o sciocchezze del genere. Il tuo unico scopo è uccidere per non essere ucciso a tua volta. E senti il conato di vomito quando affondi la lama nel corpo del tuo nemico che ti fissa con gli occhi spenti, un’immagine che non ti abbandonerà mai, nemmeno per un istante, per tutta la vita. Pensi che forse quella persona che hai ucciso è scesa sul campo di battaglia per i tuoi stessi ideali. Non riuscivo nemmeno a piangere in mezzo a quel polverone dall’odore di sangue”. Serdna fissava la cascata con sguardo timoroso, Maxi poté addirittura giurare di averlo visto rabbrividire.
‘Serdna arretrò sul campo di battaglia, mentre il fumo gli permetteva solo di scorgere sagome indistinte. Sentì una mano posarsi sulla sua spalla, e scattò subito, sollevando la spada. “Fermati, Dì, sono io, Del” strillò Andres, fissandolo con uno sguardo inespressivo. Era rimasto scioccato quanto lui dalla durezza della guerra. “Moriremo” ribatté il giovane, lamentandosi come un bambino. Il sibilare delle frecce, in mezzo al campo di battaglia, il cozzare degli scudi e delle spade, quella sinfonia mortale gli martellava il cervello, senza permettergli di recuperare il sangue freddo. I corpi dei feriti, che emettevano lamenti, e dei morti, costituivano degli ostacoli alla libertà di movimento. Andres gli afferrò le spalle e lo scosse facendo tremolare la cotta che indossava: “Non dire scemenze. Noi vivremo”. Gli fece un cenno col capo e lo intimò ad avanzare in quella nuvola.’
“Non vedevo nulla. Sentivo solo urla intorno a me. L’indefinito fa più paura di una morte certa. Andres non sarebbe mai fuggito da un campo di battaglia come un codardo, ma pur di portarmi in salvo e risparmiarmi la vita, corse il rischio più grande di tutti. Tentammo la fuga”.
‘Il bosco era vicino. Mancava solo qualche passo per uscire da quell’Inferno. Improvvisamente un’orda di soldati irruppe verso di loro. Serdna sguainò la spada, ma il braccio gli tremava. Per quanto ci potesse provare non riusciva a combattere: lui non era portato per il combattimento. Perché aveva accettato quell’impresa? Accecato dalle sue stupide idee, aveva pensato di tornare come un eroe. Ma adesso desiderava una cosa soltanto: vivere. Andres si parò davanti a lui con un piccolo scudo rotondo e la lama puntata. “Muoviti, nel bosco, svelto!” lo intimò con una voce fredda. “Ma tu…”. “Io li tengo a bada” lo rassicurò voltandosi per un secondo solamente e rivolgendogli un sorriso. “Ci vediamo tra poco nel bosco. Non ti preoccupare, pensa solo a nasconderti” concluse, tenendo a bada il primo nemico. Serdna cominciò a correre, inciampando numerose volte a causa delle radici delle grandi querce. Non poteva abbandonare suo fratello. E allora perché continuava a correre, come se non sapesse fare altro? No, non poteva lasciarlo lì. Improvvisamente si fermò, quindi si voltò dall’altra parte, e dopo aver fatto un respiro profondo, ricominciò a correre, sempre più veloce. Sentiva la stanchezza impadronirsi di lui e delle gambe, ma non si fermò neppure per un secondo. Quando raggiunse il limitare del bosco, dove si era separato da Andres, rimase impietrito. Andres era steso a terra, ferito, mentre un ragazzo gli puntava contro una spada, con un ghigno malefico. Aveva l’elmo stretto attorno al braccio, sembrava completamente a suo agio in quella bolgia. Improvvisamente alzò lo sguardo imperioso dall’avversario che aveva appena sconfitto. I suoi occhi verdi brillarono maligni. “E ricordati il mio nome…”’
“Leon Vargas, principe di Cuori”. Una voce da dietro interruppe Serdna, e i due si voltarono curiosi. Con lo sguardo cupo, Andres era appena entrato in quella radura. “Leon Vargas, il tuo incubo” ripeté stringendo i pugni. 







NOTA AUTORE: ciao a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo, che a me piace abbastanza, devo ammettere :D Ritorniamo alle vicende del nostro Maxi, che fa la conoscenza con Andres e Serdna (Andres scritto al contrario per chi non l'avesse capito xD), i due gemelli, che rimandano ai personaggi Tuideldum e Tuideldì di Carrol :D Due rivoltosi al servizio di Picche, insieme alla dura Libi, personaggio molto affascinante in questa ff (almeno per me xD). Si nota che è cotta di Andres, eh? Bene, bene, sono una coppia dolcissima :3 Ma passiamo oltre. Questo capitolo è molto transitorio, proprio perché ho dovuto introdurre questi personaggio, e l'inizio di una nuova storia per Maxi. Ed eccoci anche al punto che più mi preme sottolineare. Il passato, il presente, e il futuro di personaggi apparentemente scollegati come Maxi e Leon comincia a intrecciarsi, e Andres ne è in questo caso il filo conduttore. Adoro questi intrecci indiretti, sappiatelo xD Ed ecco che ripercorriamo la storia di Serdna e Andres, nel prossimo capitolo scopriremo anche il senso di quella misteriosa cicatrice ù.ù E niente, lascio a voi commenti veri e propri. Vi sembrano descritti bene i caratteri dei personaggi? A me sembra di si, ma se avete critiche o altro, ditemi e sarete ascoltati xD Allora niente, al prossimo capitolo, dal titolo 'Eterni rivali a confronto'. Buona lettura, e grazie a tutti voi che mi seguite/recensite (siete fantastici :D). Alla prossima ;D 
  
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