C’era
una volta, in un regno
lontano, una bellissima bambina che viveva con il padre vedovo.
“Ehi,
stronzetta, vuoi stare
un po’ più attenta a dove cammini? Se ti avessi
messo sotto con la macchina,
avrei fatto tardi a lezione!”
“Vaffanculo,
coglione, la
prossima volta con la patente pulisciti le tue chiappe!”
D’accordo,
la storia non si
perde nella notte dei tempi e non si è svolta in un regno
lontano, ma nella
città più soleggiata d’America, Los
Angeles.
Forse
di lontano non avrà
proprio nulla, ma per me, da piccola, era davvero un regno incantato.
Ero
il tesoro di papà e,
ovviamente, lui era il mio.
Quando
sono triste, ripenso ai
tiri di baseball che facevamo al parco, e le decine e decine di urla di
dolore
che lanciava perché, beh… con la
palla… lo colpivo proprio lì. E,
incredibilmente, mi viene da sorridere.
Dal
momento che sono stata
cresciuta da un uomo, sono un po’ carente nel settore trucco,
parrucco e
abbigliamento, ma, da piccola, non avevo mai avuto
l’impressione che mi
mancasse qualcosa.
Ero
la bambina più fortunata
del mondo.
Papà
aveva aperto il “J.C.’s
Burgers”, il ristorante più fico
dell’intera città nel campus dell’UCLA,
l’università
della California, e io adoravo stare lì.
Era
quel genere di locale
dove la parola “dieta” era una parolaccia, e
l’unto del fritto era compreso nel
prezzo, con grande felicità degli studenti che venivano a
mangiare.
Da
noi… era come se la gente
si sentisse in famiglia.
Ricordo
ancora quando
festeggiai il mio decimo compleanno al ristorante, e tutta la gente che
era lì
mi diceva:”Esprimi un desiderio! Esprimi un
desiderio!”
A
che mi serviva un
desiderio?
Avevo
amici da sballo e un
padre che era un mito, che potevo avere di meglio?
Ma
papà, purtroppo, non la
pensava esattamente come me.
Infatti,
credeva che mi
mancasse qualcosa, qualcosa di importante.
Quel
qualcosa, o meglio,
qualcuno, si rivelò essere Judy, una donna tanto dolce e
simpatica, quanto
amorevole e decisamente poco rifatta.
Il
giorno in cui si sposarono
fu un vero disastro.
Per
me, ovviamente.
E,
in quella bellissima e
fantastica festa, conobbi anche le sue ancor più fantastiche
figlie gemelle,
Janette e Aurore.
Semplicemente,
due impiastri
di sorellastre.
Ma,
dato che papà sembrava
soddisfatto, volli quantomeno provare ad esserlo anch’io.
Anch’io
volevo avere quel “e vissero
felici e contenti” che vivevano le principesse nelle loro
storie.
Per
sfortuna, il finale della
favola non andò così.
La
sera in cui cambiò tutto,
stavamo leggendo “La Bella e La Bestia”, la mia
fiaba preferita.
[Inizio flashback]
“La
Bestia, trasformato in
principe, prese la mano di Belle e ne baciò il palmo. Poi,
la invitò a danzare
nella sala da ballo del castello, dove continuarono a danzare per ore e
ore,
scambiandosi teneri baci e un’indistruttibile promessa
d’amore. E da quel
giorno, vissero per sempre felici e contenti.”
“Papà,
le favole si avverano?”
“No,
in effetti no. Sono i
sogni che si avverano.”
“E
tu ce l’hai un sogno?”
“Certo.
Il mio sogno è che tu
cresca bene e vada all’università, e magari un
giorno potrai anche costruire il
tuo castello, se vorrai.”
“E
le principesse in quali
università vanno?”
“Le
principesse? Beh… ehm…
loro vanno… all’UCLA, ovviamente. Ma, vedi, le
favole non riguardano solo
castelli e principesse. In realtà, rappresentano tutti i
desideri che vuoi
realizzare, e il coraggio di lottare per le cose in cui credi.
Capito?”
“Sì,
certo, non sono mica
come Gaston, io!”
“Brava
la mia piccola.
Ricordati di questo, che se lo leggi con attenzione, questo libro
contiene cose
importanti, che potranno servirti più in là nella
vita.”
[Fine Flashback]
Come
ho già detto, il finale
della favola non andò così.
Il
mio regno andò in frantumi
quando il terremoto di quel lontano 1994 colpì la
città.
Delle
forti scosse colpirono
la casa, e mi ricordo ancora del terrore che attraversò gli
occhi di papà
mentre tutto ci cadeva addosso.
Judy
dal piano di sotto
gridava aiuto, ma lo stesso terrore che aveva attraversato qualche
secondo
prima i suoi occhi, contagiò anche me.
Non
volevo perderlo, non
volevo che andasse da lei, non volevo che mi abbandonasse lì
da sola.
E
invece, lo fece.
Lasciò
la mia mano, e si
portò con lui tutti i momenti più belli che avevo
della mia infanzia.
Quel
giorno persi il mio
migliore amico e, da allora, le uniche favole in cui credevo erano
quelle che
leggevo sui libri.
Si
scoprì che mio padre non
aveva lasciato un testamento, e così, indovinate chi si
prese tutto?
Miss
labbra di botulino,
ovviamente.
Si
impossessò di qualsiasi
cosa: la casa, il ristorante e, con suo grande disappunto, anche me.
Mi
mandò su, in mansarda,
facendomi definitivamente lasciare la mia bellissima stanza e
spedendomi in uno
spazio fatto di 18 mq.
Lì
c’erano soltanto delle
pareti bianche e vuote e una specie di brandina vecchia e malridotta
che doveva
farmi da letto, ma non c’erano le mie favole, non
c’erano i miei sogni, non c’era
mio padre.
Di
lui mi rimaneva solo la
chitarra che mi aveva regalato, e che ogni tanto suonava per farmi
felice.
Negli
anni successivi, con
tanta pratica e con mio enorme rompimento di coglioni,
perché secondo Miss
labbra di botulino quell’orribile
suono
le faceva venire le doppie punte, sono diventata sempre
più brava a
suonarla, tant’è che, nel tempo libero, mi
esibisco per dei piccoli concerti al
ristorante “Judy’s”.
Già.
È così che si chiama il
ristorante di papà, adesso.
Quello
che prima era un
normale ristorante dove si mangiavano hamburger e patatine fritte,
adesso è
diventato un ristorante chic e alla moda
dove i raffinati clienti possono gustare del gustosissimo salmone di
Norvegìa.
Sì,
esatto, lei dice proprio “Norvegìa”,
con l’accento sulla i.
Clienti,
tra l’altro, che
sono del tutto immaginari. A confronto, il deserto del Sahara sembra un
locale
del centro il Sabato sera.
Come
so tutto questo?
Semplice,
Judy mi ha
costretto a lavorarci il pomeriggio.
Come
direttrice?
Come
co-direttrice?
No,
molto meglio!
Come
cameriera!
Eh
già, non solo la figlia
della titolare fa la cameriera, ma deve anche andare in giro con degli
stupidissimi pattini a rotelle, come tutto il resto del personale, del
resto.
E
così, la mia giornata si
divide in frequenza obbligatoria per l’università
la mattina, lavoro, o meglio
schiavitù, per il ristorante il pomeriggio e, se riuscivo a
farcela, studio,
tanto studio, la sera.
Oltre
ad occuparmi delle
continue crisi nevrotiche di Miss labbra di botulino, ovviamente.
Beh,
in tutto questo
disastro, almeno una nota positiva c’è.
Per
fortuna, il campus non
permetteva di soggiornare nelle proprie case, e così,
proprio stamattina, ho
dovuto portare tutte le mie cose in uno degli stabili messi a
disposizione per
gli studenti.
Almeno
avrei avuto a
disposizione un letto come si deve.
Questa
sera sarebbe stata l’ultima
notte in cui avrei dormito a casa mia, poi, in un certo senso, mi
aspettava la
libertà.
In
un certo senso perché casa
mia è a due passi dal campus, quindi… penso che
mi ritroverò ancora Judy e le
mie sorellastre tra i piedi.
Arrivo
a casa che sono le
nove di sera, non ho mangiato e sono a pezzi.
Niente
di nuovo per me, ma…
mi farebbe piacere trovare qualcuno che si prenda cura di me, proprio
come
faceva il mio caro e vecchio papone.
Salgo
velocemente le scale,
ignorando le urla isteriche di Judy che mi ordina di spalmarle la crema
idratante sul viso.
Lei
non immagina neanche dove
gliela ficcherei in questo momento…
Chiudo
a chiave la porta, e
mi butto sul letto, senza neanche cambiarmi i vestiti.
“Ah…
che vita di merda.” sussurro,
prima di prendere sonno e di addormentarmi.
***
Sssssalve a tutti!
Il mio cervellino
sta sfornando ff a palate.
So… eccomi
qua!
Spero che questa
nuova long vi piaccia. Lo stile è un po’ quello di
LBS, quindi se vi è piaciuta
quella, sicuramente vi piacerà anche questa, fidatevi.
Ok, molte frase di
questo capitolo le ho prese dal film “Cinderella
Story”, quello con Hilary
Duff.
A me il film
è
piaciuto molto, quindi ho pensato di farci una ff… ma molte
cose saranno
diverse, alcune in meglio, altre, ovviamente, in peggio u.u
Ok, evaporo.
A presto.
Cruel Heart.
P.S. Glaphyra,
dobbiamo prenotare i leopardi e le zebre, mi raccomando!