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Autore: holdmehaz    15/11/2013    3 recensioni
Harry Styles’ pov:
«Le tue fans ti abbandonerebbero se scoprissero che sei gay!» mi rispose Paul [...]
«A me non interessa la carriera, non interessa commercializzare la mia voce! Preferisco tornare ad Holmes Chapel ad essere solo Harry e ad avere come fan solo la doccia, che mentire così spudoratamente a milioni di persone!» rivelai, stanco e arrabbiato.
«Tu, tu e ancora tu! Smettila di essere egoista, Harry. [...] Ma non sei solo tu la posta in gioco, Harry, capiscilo. Fallo per Louis, Zayn, Liam e Niall, che hanno finalmente realizzato il loro sogno [...]» tuonò Paul. Sospirai, arrendendomi. [...]
«Scelgo lei» affermai aprendo l’album in una pagina a caso e puntando una foto al caso. Paul prese l’album e guardò la ragazza che avevo scelto.
«Jane Wright. Ottima scelta» commentò.
Jane Wright’s pov:
Avevo provato a smettere di fare questa stupida vita da circo, ma nessuno era davvero intenzionato ad assumere l’acrobata di un circo per qualche altro lavoro. [...]
Io ero troppo poco per qualsiasi cosa. Anche per quella stupida agenzia per attrici, era passato un mese e non avevano ancora richiamato. Quel “La richiameremo noi” era sempre stato un no, lo sapevo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9 - Memories





Io e mia madre eravamo felici. Non eravamo le persone più ricche del mondo, anzi, ma eravamo felici lo stesso.
Lei, ancora giovane, faceva i suoi spettacoli di acrobazie, ed io mi allenavo sin da piccola per seguire la sua strada.
Un giorno, avrò avuto al massimo otto anni, un uomo vestito di scuro e con una bambina biondissima venne a trovarci nella nostra roulotte che avevamo al circo.
Il giorno prima aveva piovuto e il terreno era fangoso, ma mia madre mi mandò fuori a giocare con la bambina mentre lei parlava col padre.
Io saltavo e facevo piccole acrobazie, mentre la bambina mi fissava in silenzio con espressione arrabbiata.
«C’è qualcosa che non va?» le chiesi io, preoccupata.
«Sì! Tu ti sei presa la mia mamma» sbottò arrabbiata. Io la guardai stupita.
«Io non mi sono presa nessuno» ribattei.
«E invece sì! Me l’ha detto papà, sai? Lei ha preferito tenersi te e invece ha preferito dar via me, mi ha lasciato con lui! Tu che hai di diverso da me? Perché lei vuole te e non me?» si mise ad urlarmi contro, e io non capivo. La mia mamma non era solo mia? Era anche sua?
Il signore uscì subito dopo, si prese la bambina ed andò via senza neanche considerarmi. Per strada, quando ancora lo riuscivo a vedere, un colpo di vento gli fece cadere il cappello e gli vidi i capelli biondi. Biondi come la figlia.
Era chiaro che lui era suo padre, come era chiaro che mia madre fosse tale: ci assomigliavamo!
Mentre io e l’uomo, come la bambina e mia madre, non avevamo somiglianza. Decisi che la bambina si era inventata tutto e tornai in casa senza chiedere nulla a mia madre.
Otto anni dopo, quando avevo sedici anni, ormai mia madre non faceva più spettacoli ma era alla biglietteria, ed io mi esibivo tutte le sere.
Durante uno spettacolo, dei rapinatori entrarono nel circo trascinandosi dietro mia madre. Oltre ai soldi della biglietteria che mia madre aveva dato loro, volevano gli incassi degli spettacoli precedenti, o l’avrebbero uccisa.
Il titolare, un uomo senza cuore, non accettò il ricatto, ed uccisero mia madre davanti i miei occhi. Disperata e ferita dal fatto, mi gettai sul corpo di mia madre e la strinsi a me per gli ultimi istanti di vita.
Ma fu un errore, perché i rapinatori mi videro e mi presero, portandomi via. Mi addormentarono, e mi svegliai in una casa di campagna, immagino, perché anche se urlavo nessuno mi sentiva.
Per quel che mi parve un giorno, nessuno mi venne a trovare. Poi cominciarono a venire. Tanti, troppi.
Al primo mi ribellai, scalciando e mordendo. Mi fece calmare a suon di schiaffi, pugni e calci. Poi mi rubò la verginità con un ghigno, minacciando altre percorse se mi fossi ribellata. Fu solo dolore, immenso e insopportabile.
Poi se ne andò, ma poco dopo venne il secondo. Mi vide in quello stato ma non disse nulla. Mi usò come l’altro. Mi ribellai di nuovo, ma lui non fece altro che colpirmi violentemente, e cedetti quasi all’istante. Anche lui se ne andò appena ebbe fatto, e fece violentemente.
Dopodiché vennero continuamente, senza un attimo di tregua, per chissà quanti giorni. Alcuni erano più gentili, mi guardavano con pietà e mi promettevano meno dolore, altri più violenti che godevano più nel sentirmi urlare di dolore che altro. Altri ancora mi massacravano di botte soltanto.
Mi fecero mangiare per la prima volta dopo non so quanto, forse una settimana. Ero allo stremo delle forze e complessivamente avevo perso parecchio sangue.
Dopo li sentii decidere che mi avrebbero dato qualche goccio d’acqua e poco cibo ogni giorno, abbastanza da tenermi invita e abbastanza da tenermi debole, così potevano continuare a vendermi.
Contai ventuno pasti, fino a quando finalmente un uomo entrò nella stanza, mi studiò e poi uscì lamentandosi che lui aveva pagato per una donna e non per un pezzo di carne da macello. Ed era quello che mi sentivo io, e desideravo soltanto morire e finire quell’agonia.
Entrò un altro uomo che fece come nulla fosse e mi stuprò. Il terzo uscì subito dopo disgustato e fece gli stessi discorsi del primo, e così tutti gli altri.
Passò un giorno, poi due. Ormai non rendevo più e discutevano di sopprimermi. E desiderai ciò ardentemente. Dopo qualche ora qualcuno entrò nella stanza. Una donna, la prima che vedevo da quasi un mese.
Era vagamente familiare, ma ero troppo debole per ricordare. Mi portò via di lì e per un po’ sperai nella salvezza. Ma mi portò in una casa e mi spiegò tutto.
«Ti ricordi di me? Io sono Alexia» mi disse. Ma io non conoscevo nessuna Alexia. «Sono la bambina che, otto anni fa, venne da te con suo padre e ti urlò quelle cose» aggiunse, e allora ricordai. Dovette capirlo dalla mia espressione, perché sghignazzò.
«Sono qui per la mia vendetta. So che nostra madre è morta, purtroppo. Non ho potuta finirla io. Ma a te sì» e cominciò a torturarmi. Prese a farmi dei tagli da tutte le parti, strani disegni, scritte. Ma durò poco, perché dalla fretta non si era curata di una cosa: le mie urla. Qualcuno mi sentì e chiamò la polizia, che venne a salvarmi.
Non seguii il processo tranne che per dare la mia testimonianza, seppi solo che il titolare del circo era cambiato (il primo era stato condannato per favoreggiamento, mi pare) e che voleva accogliermi. Ritornai al circo e ripresi la vita di sempre, ma gli incubi rimasero.
E lei ha giurato di farmela pagare.






«Al supermercato c’era lei, c’era Alexia» conclusi, tra le lacrime. «Riconoscerei la sua risata ovunque».
Harry mi abbracciò, tentando di consolarmi. Ma come faceva, se la minaccia era così vicina?

«Non sei più da sola, sai? Alexia non può più ferirti, ora ci sono io e non permetterò a nessuna biondina in cerca di vendetta neanche di sfiorarti, fidati. E adesso non pensiamoci più, okay?» disse Harry.
Chissà perché, io ci credei. Forse perché avevo voglia di sentirmi più sicura, forse perché era vero. In quel momento neanche mi sfiorò l’idea che, forse, al mio nuovo incontro con Alexia, Harry poteva non esserci più. 


 

Nila's Corner

Eccomi qui, vado un po' di fretta ma okay, sono qui e sto aggiornando nonostante abbia una versiona di latino, dieci espressioni di matematica e tre temi di italiano. Perchè per me la storia è più importante dei compiti, mettiamolo in chiaro. 

Ecco qui la storia di Jane, molto cruenta mi dicono. Ora capirete meglio gli incubi che ha avuto. Il capitolo è piuttosto corto rispetto agli altri, scusatemi.
Ora vado, che la versione di latino mi chiama,

Bye xxx

P.S. Un GRAZIE enorme a chi recensisce/ricorda/segue/preferisce o semplicemente legge questa storia :)
  
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