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Poco lontano dall’appartamento
di Carmy c’era un piccolo parco pubblico, risibile rispetto al centralissimo Luminous Park in quanto a dimensioni e impianti sportivi,
ma all’interno del quale vi era comunque un piccolo centro di allenamento per i
praticanti di stregoneria.
Carmy vi
si recava con una certa regolarità, solitamente tutti i martedì e giovedì dopo
il lavoro.
I
programmi di preparazione in uso nella MAB e nella polizia militare erano
troppo avanzati per lei, per non parlare del rischio di rendersi ridicola
davanti ai propri colleghi, così preferiva esercitarsi lì, lontano da occhi
indiscreto e superiori dal giudizio facile.
La sua
specialità erano da sempre le barriere e gli scudi magici, che aveva
perfezionato nel corso degli anni e che erano da sempre in cima alla sua personale
lista di abilità conseguite durante gli studi accademici.
Generare
uno scudo era relativamente facile, perché richiedeva simboli magici molto
semplici e facili da tenere a mente, e in molti casi non necessitava neppure di
pronunciare una formula.
L’incantesimo
noto come Toirelles costituiva la base di partenza
per qualsiasi magia protettiva, e Carmy vi aveva apportato delle proprie
personali modifiche, ricavandone il Reditum e il Grand Mirage.
Il Reditum funzionava come un muro di gomma, assorbendo metà
di un eventuale assalto per poi ritorcerne il restante contro chi lo aveva
lanciato; il Grand Mirage
invece non era altro che una normale barriera difensiva riadattata a strumento
d’attacco, che una volta generata veniva scagliata sul bersaglio con un effetto
simile al diretto scagliato da una mano gigante.
Esistevano
centinaia di altri incantesimi nei testi di stregoneria che avevano simili
effetti, ma ciò che rendeva davvero speciale la magia era la possibilità per
gli stregoni di adattarla alle proprie esigenze, ed era anche grazie a questo
che l’attività di docenti e studiosi non aveva mai fine.
Il centro
era costituito da una decina di campi posti l’uno accanto all’altro, non tanto
dissimili da una qualsiasi palestra all’aperto, e fatto salvo l’utilizzo di
pallini di cuoio al posto delle proiezioni eteree era molto simile agli
impianti in dotazione all’agenzia.
Carmy
prese posto al centro della pedana, impostando una difficoltà media per non
strafare troppo, e tratto un lungo respiro spinse l’interruttore di accensione.
Subito i cinque cannoncini a levitazione posti a trenta metri da lei all’altro
capo del campo presero a sparare pallini nella sua direzione, spostandosi di
continuo da una parte all’altra per rendere tutto un po’ più difficile.
Il concetto
di quell’allenamento era cercare di respingere il maggior numero possibile di
pallini con le proprie capacità magiche, ma Carmy cercava in egual misura di
schivare e rispondere, anche perché la frequenza ed il numero di pallini che le
venivano scagliati contro al suo attuale livello erano troppi per poterli
respingere tutti.
In
questo modo si affinavano anche i riflessi, che come le era stato insegnato al
corso di preparazione erano una componente fondamentale per un aspirante membro
di qualunque reparto speciale.
Carmy si
difese bene, facendo tesoro della sua capacità di creare e maneggiare scudi
difensivi, riuscendo anche ad intercettare e distruggere alcuni bersagli quando
questi erano ancora ad una certa distanza da lei, e al termine della prima ondata
aveva incassato solo dieci colpi su oltre duecento che le erano stati scagliati
contro.
In altre
circostanze si sarebbe accontentata, ma quel giorno Carmy aveva troppa voglia
di mettersi alla prova e riavviò il programma quasi subito, aumentando anche di
due punti il livello di difficoltà. Si rese conto troppo tardi di aver forse
ecceduto nella spavalderia, ma nonostante tutto la sua continuò ad essere una
prestazione discreta, seppur con qualche sbavatura, tanto che mentre si
allenava fu notata da un nerboruto ma molto affascinante giovane uomo dai
capelli scuri che stava facendo un po’ di jogging lungo il vialetto che
costeggiava i campi.
Questi,
fermatosi per riprendere fiato, la notò, e colpito dalla determinazione che la
ragazza stava mettendo nel respingere quella pioggia di pallini stette ad
osservarla fino a che non ebbe finito.
«Una
buona prova.» disse quando Carmy tornò verso la panchina doveva aveva lasciato
l’asciugamano
«Non
ancora perfetta, però.» sospirò la ragazza
«Per la
perfezione c’è tempo. Certo il talento non ti manca. Che scuola di magia hai
frequentato?»
«L’accademia
militare di Darmigan, vicino a Mablith.»
«L’accademia
militare? Sei un soldato?»
«Più o
meno» rispose lei porgendo la mano. «Carmy O’Neill.
Sono nella polizia militare.»
«Julian Vyce. Istruttore capo.»
«Che
unità?»
«TMD».
Nel
sentir nominare il TMD, Carmy ebbe un sussulto. Aveva sempre ammirato chi ne
faceva parte, a differenza di una larga fetta della popolazione, e trovava il
loro un compito utile, anche se ingrato.
«Voglio
che sappia che non condivido per nulla quello che dicono su di voi.» si
affrettò a puntualizzare «Trovo che siate un grande corpo, che rischia
costantemente la vita per affrontare le situazioni più difficili».
Vyce la
guardò perplesso.
«Ammetto
che sentirmi dire una cosa simile da una ragazza così giovane mi fa un certo
che. Giovani e ragazzi sono tra i nostri più agguerriti detrattori di questi
tempi» quindi si lasciò scappare una risatina. «Forse è il tuo sangue di
sbirro.»
«Salvate
vite ogni giorno» replicò Carmy con la massima serietà. «Eppure certa gente non
trova niente di meglio da fare che gettarvi fango addosso. Io ammiro ciò che
fate e quello che siete, e non nascondo che un domani, semmai ne fossi degna,
mi piacerebbe molto entrare a far parte della vostra squadra».
Di
nuovo, Vyce rimase basito, e quasi si sentì scaldare il cuore nello scorgere la
sincera determinazione che bruciava negli occhi di quella ragazza.
Abbassò
la testa.
«Quanti
anni hai?»
«Ventidue,
signore.» rispose lei come una recluta davanti al suo superiore
«E
vorresti davvero entrare nel TMD?»
«Se un
giorno sarà possibile, sì.»
«Scordatelo».
Carmy
spalancò gli occhi, immobile come una statua.
«Perché,
signore?» balbettò a fatica
«L’hai
appena detto tu. Il nostro è un lavoro ingrato, oltre che molto rischioso. Ci
sono già troppi giovani e promettenti cadetti alle mie dipendenze che scalciano
per entrare, e so già fin d’ora che probabilmente vivrò molti più anni rispetto
ad alcuni di loro.»
«Gli
incidenti possono capitare» tentò di obiettare Carmy. «Che si faccia parte o
meno del TMD, il rischio di morire è una componente imprescindibile del nostro
lavoro.»
«Sì»
rispose Vyce allacciandosi una scarpa. «Ma quando sei nel TMD, quel rischio si
moltiplica per cento. Noi dobbiamo affrontare pericoli ai quali tutti gli altri
non oserebbero neppure avvicinarsi, e molto spesso dobbiamo pagarne pegno.
Ne ho
abbastanza di assistere ai funerali di giovani promettenti e capaci come te,
ragazzi che hanno gettato via la propria vita prima di poterla realmente
vivere.
Per
questo ti dico che forse è il caso che tu ti scelga un’altra strada. Puoi fare
molto per questo Paese e per gli altri senza bisogno di giocarti la vita».
Carmy
avvertì uno strano freddo, accompagnato da una sensazione come di smarrimento,
cosicché quando Vyce si allontanò riprendendo a correre non fu in grado né di
salutarlo né di guardarlo, tanto quelle parole così dure l’avevano ferita.
L’estate era il momento
dell’anno in cui la fattoria lavorava di più, e Jake, malgrado fosse tornato al
suo nido soprattutto per riposarsi, fu ben felice di dare il suo contributo.
La
mattina, assieme al padre e allo zio, si recava nei campi, dividendosi tra la
cura dei frutteti e quella degli uliveti. All’ora di pranzo tornava a casa per
aiutare sua madre e sua sorella a servire i clienti dell’albergo, quindi dopo
un momento di riposo all’ombra del porticato davanti all’ingresso veniva il
momento di dedicarsi alla mietitura.
Da
vecchio scorbutico nemico della tecnologia quale era il suo vecchio non amava
circondarsi dei moderni strumenti per facilitarsi il lavoro; tutto quello che
aveva era una vecchia mietitrebbia, un paio di autocarri per il trasporto di
merci e bestiame e tanto olio di gomito, oltre ad una schiera ben nutrita di
infaticabili braccianti provenienti per la maggior parte dagli altri paesi
della valle.
Per
velocizzare il lavoro, data la vastità dei campi, mentre la mietitrebbia
falciava da una parte gli uomini lo facevano da un’altra, più lentamente ma in
modo, a detta del vecchio, molto più rispettabile.
La
campana in cima alla torretta dell’edificio principale per tradizione scandiva
la fine del lavoro, e dopo un’intera giornata spesa a spaccarsi la schiena
tutti la salutavano con un generale sospiro di sollievo.
Jake
sentì una ondata di commozione nel sentirla suonare dopo tanto tempo, e
lasciata cadere la pesante falce che aveva brandito per ore senza mai posarla
si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, che scivolando lungo il
torace nudo lo faceva quasi luccicare.
«Niente
male» osservò suo zio. «Credevo che la città ti avesse rammollito.»
«La
città non rammollisce» rispose il ragazzo, sornione. «Anzi, che tu ci creda o
meno, alle volte fortifica.»
«Ho
qualche dubbio. Ma nel tuo caso, mi riservo di decidere. Forza, torniamo
indietro».
Dopo una
molto salutare doccia rinfrescante, che servì a lavare via tanto il puzzo
quanto le fatiche, come quando era piccolo Jake si ritrovò seduto alla grande
tavola della taverna assieme a tutti i suoi parenti.
Alla
sera ci pensavano le inservienti e i camerieri assunti part-time ad occuparsi
del ristorante, così l’intera famiglia Aulas aveva
modo di consumare la propria cena in tutta tranquillità, e come al solito la
signora Aulas non si fece parlare dietro in quanto ad
abbondanza.
«Forse
dovrei chiedere ai superiori di proporti a responsabile della nostra mensa»
scherzò Jake vedendosi riempire il piatto dal cognato Pence
«Le porzioni che ci propinano laggiù sono terribilmente risicate.»
«Fossi
matta. Non baratterei mai questa bella valle con quella città così caotica. Non
sono fatta per posti simili, lo sai.»
«Allora,
Jake» intervenne Tobias, seduto come al solito a
capotavola. «Parlami ancora di questo capitano Vyce. A quanto pare, lo stimi
particolarmente.»
«Il
capitano Vyce…» disse Jake con gli occhi che
scintillavano come quelli di un bambino «È una persona molto speciale. Un
ottimo maestro. Certo, alle volte può sembrare una persona burbera, ma è
schietto e risoluto.
Non ha
paura di dire quello che pensa. E soprattutto, tiene ai suoi subalterni più di
chiunque altro io conosca. Sono certo che morirebbe pur di salvarne anche solo
uno.»
«Secondo
me tu sei innamorato.» disse Agnes indicandolo con la forchetta «Ne parli come
se fosse il tuo amante.»
«Non sei
spiritosa.» la ammonì la madre
«Eppure,
se non sbaglio non ha ancora raggiunto la quarantina. Come mai non è ancora in
servizio sul campo?»
«Questo
è una specie di mistero. In verità non è nemmeno nativo di Kyrador. Viene da Eldkin.»
«Un
montanaro.» commentò Pierce alludendo al più classico dei luoghi comuni che
distinguevano la terza città del Paese.
«Per
quanto ne so fino a cinque o sei anni fa era di servizio laggiù. Poi, nessuno
sa perché, ha ottenuto il congedo dal servizio attivo ed è stato trasferito a
Kyrador dopo aver ottenuto la promozione a capitano e la qualifica di
istruttore tattico.»
«Forse
si era stufato della vita in prima linea.» commentò ancora Tobias
«L’impressione
è questa» si incupì Jake. «Però, ogni tanto, ho come il sospetto che vi sia
anche dell’altro.»
«Tutti
hanno dei piccoli segreti. E non è cosa educata volerci ficcare il naso. Se
davvero non vuole che si sappia il vero motivo per il quale ha scelto di
ritirarsi, non c’è ragione per cercare ad ogni costo di scoprirlo.»
«Tu
prendi sempre le cose troppo alla leggera, papà.»
«E tu
troppo seriamente. Magari come detto era semplicemente stufo di rischiare la
vita tutti i santi giorni per quei quattro soldi che vi passano.»
«Quattro
soldi? È il ramo dell’agenzia che paga meglio. Vai a chiedere ai dipendenti del
tribunale o della procura distrettuale. Là sì che si può parlare di stipendio
da fame.»
«Personalmente
non baratterei mai il più ricco degli stipendi con la mia vecchia pellaccia. Ma
d’altra parte, se tu sei felice così, io come detto non ho il diritto di
metterci il naso. Tanto più che mi sembri convinto oggi come allora.»
«Adesso
però basta parlare di lavoro» intervenne la signora Aulas.
«Jake non è tornato a casa perché tu possa stressarlo con la tua filosofia da
maestro di vita».
Tutti
sorrisero all’ammonimento della sola e unica padrona di casa, e ben presto
l’argomento Vyce scomparve dalla discussione, per fare posto ad altri molto più
ameni ed innocui. In fin dei conti, si disse Jake, sua madre aveva ragione: se
lui era lì, era solo per riposarsi, e questo voleva fare.
Nella villa di campagna,
residenza estiva del Direttore Generale Van Adler, era in corso il più grande
ricevimento che la città ed i suoi più alti rappresentanti avessero mai visto,
tanto che i giornali lo avevano già da tempo indicato come l’evento mondano
dell’anno.
Il
padrone di casa festeggiava due ricorrenze molto importanti in quello stesso
giorno, e non si era badato a spese per renderlo speciale. Da una parte vi
erano i lodevoli settantacinque anni di vita lascatisi alle spalle, dall’altra,
ugualmente importante, il terzo anniversario dalla sua nomina a guida suprema
dell’Agenzia, che a detta di molti ne faceva l’uomo più potente del mondo.
Neanche
lo storico ricevimento per l’insediamento del nuovo presidente di qualche tempo
prima sembrava reggere il confronto, con la sterminata sala da ballo di Villa
Van Adler che pullulava letteralmente di stemmi, titoli nobiliari e teste
coronate.
Era un
trionfo di gioielli, decorazioni e abiti sfarzosi; molti erano persino arrivati
in carrozza, un mezzo di trasporto non nuovo alla ricca e raffinata nobiltà di
Kyrador, testimone un gusto per l’eleganza che faceva scuola nel resto del
mondo.
Come era
logico che fosse, non vi era responsabile, comandante o alto esponente di
qualsivoglia ufficio della MAB che non fosse presente, e tra le uniformi
bianche dell’aeronautica, quelle blu delle forze di sicurezza, e quelle nere
della polizia militare, sembrava di trovarsi ad una riunione generale degli
alti comandi piuttosto che ad una festa di compleanno.
Il direttore
generale faceva gli onori di casa, affiancato dalla sua affascinante consorte,
la granduchessa Sephira de Bois,
figlia del fu presidente Duvalier, e sorella
dell’attuale ministro degli esteri del governo Fujitaka,
che nonostante l’età appariva elegante e rispettabile come ai tempi della sua
più antica gioventù.
Anche le
molte giovincelle e giovani donne presenti alla festa però non sfiguravano,
anzi, pareva quasi che facessero a gara per farsi ammirare, tanto sfavillanti e
lussuosi erano gli abiti che portavano e le pietre preziose che sfoggiavano.
All’arrivo
della torta, una torre a sei strati che solo a guardarla faceva venire il
diabete, il capo della Polizia Militare Bargas prese
la parola.
«E ora,
signori» disse al microfono del palchetto dove si esibiva l’orchestra.
«Propongo un brindisi al più capace, caparbio, e cocciuto comandante in capo
che la nostra agenzia abbia mai avuto.
Che abbia
cento di questi giorni. Dopotutto, nessuno qui ha davvero voglia di prendere il
suo posto, ho ragione?».
Tutti risero,
soprattutto quelli che potevano aspirare davvero alla carica. Essere il capo
supremo della MAB portava potere ed influenza, ma le grane che spesso si che si
era chiamati ad affrontare superavano di gran lunga i vantaggi, per non parlare
del circo mediatico che si scatenava ad ogni più piccolo problema.
«Quindi,
cari amici, ad Archibald Van Adler!»
«Ad Archibald Van Adler!» risposero tutti in coro alzando i
calici.
Il festeggiato
rispose con un sorriso di circostanza ed un cenno della mano, poco abituato com’era
a quel genere di celebrazioni.
L’orchestra
riprese a suonare, e la maggior parte degli invitati, dopo il rituale del
taglio della torta, si rigettò in pista tra le note soavi di un valzer.
«Qualcosa
non và, Colonnello Graham?» domandò il Direttore Harlow notando lo sguardo
assente della collega. «Non si sta divertendo?»
«Alla
fine, non è venuto.» rispose lei come se non lo avesse sentito.
Non serviva
un genio per capire a chi il capo della Polizia Militare di Caldesia si stesse
riferendo.
Come tutti
si aspettavano, tra le varie personalità politiche e diplomatiche di vari Paesi
presenti alla festa non vi era nessuno proveniente da Amara.
L’ambasciatore
Dragos era sempre stato un fedelissimo del partito di
Borte, e dopo il colpo di stato si era di fatto
trasformato in un rifugiato politico, svuotato tanto di qualsiasi autorità
quanto del suo stesso ruolo.
Correva voce
che fosse stato espressamente invitato, se non altro per ribadire ancora una
volta come la MAB continuasse a riconoscere il governo deposto dai militari
come unica e sola autorità politica di Amara, ma era molto probabile che la sua
mancata partecipazione fosse stata espressamente voluta.
«Non
sarebbe stato saggio tirare eccessivamente la corda» commentò Gillian leggendole nel pensiero. «Anche se né l’Agenzia né Caldesia
hanno ancora riconosciuto il governo golpista, né intendono farlo, la presenza
dell’ambasciatore a questa festa a così pochi giorni dalla caduta del governo
avrebbe potuto indispettire i sostenitori dei militari».
Zari aveva
ben ragione di essere preoccupata.
Anche se
la sua famiglia era emigrata da quella terra isolata e senza prospettive quando
lei era ancora piccola alcuni suoi consanguinei abitavano ancora nella capitale,
e anche se aveva ricevuto rassicurazioni del fatto che fossero tutti in buona
salute non riusciva a stare tranquilla.
«Sono
passate quasi due settimane da quando i militari hanno preso il potere, e
ancora non è stato fatto nulla.» puntualizzò Zari con una certa insoddisfazione
«L’Agenzia
e il governo di Caldesia stanno cercando di mediare una soluzione senza
coinvolgere le Nazioni Unite, ma fino ad ora non sono stati avviati veri e
propri contatti.»
«Ovviamente.
Parlando con loro sarebbe come legittimare il loro colpo di stato. A quanto ho
avuto modo di studiare, sulle Terra questioni di questo genere venivano risolte
in tutt’altro modo.»
«Qui non
siamo sulla Terra, Colonnello. E comunque, la situazione è molto più complicata
di quanto lei potrebbe immaginarsi.
Non serve
che le ricordi come Amara sia una nazione strategicamente molto importante
tanto per noi quanto per la fazione occidentale che Caldesia comanda. Perdere il
controllo su quel territorio significherebbe perdere tutta la Nuova Carolina. Ma
in ogni caso, non possiamo in alcun modo venire meno ai principi che sono alla
base del nostro codice internazionale».
Zari lanciò
e Graham una strana ed oscura occhiata obliqua, quindi tornò a fissare quella
massa indistinta e indistinguibile di potenti che seguitava a godersi la serata
tra balli, banchetti e bella musica.
«Fa
ribrezzo vedere quello che siamo diventati. È davvero questo ciò che si erano
immaginati i nostri antenati venendo qui?».
Graham abbassò
gli occhi, non sapendo cosa o come rispondere.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Mi ci è voluto un pochino, ma finalmente
sono ritornato.
E così, alla fine, le strade di due dei
personaggi chiave della storia si sono incrociate. Non è stato un incontro
molto felice, ma certamente non sarà l’unico, e presto anche il sentiero di
Jake andrà ad incrociarsi con quello di Carmy.
A parte ciò, possiamo considerare questo
come un capitolo di transizione, che segna il passaggio da una situazione tutto
sommato tranquilla ad un susseguirsi di emozioni forti e momenti frenetici che
stanno per venire.
Grazie come sempre a tutti quelli che
leggono e recensiscono, ma anche a coloro che hanno inserito questa storia tra
le seguite o le ricordate.
Grazie a tutti!^_^
A presto!^_^
PS. E per finire,
permettevi di mostrarsi questa bellissima locandina, realizzata da una mia
affezionata lettrice. È o non è una bellezza?